Marco ci guida nella sconfinata, misteriosa Mongolia

Marco C. È un Turista per Caso che ci ha scritto per parlarci della "sua" Mongolia; ci ha contattato dopo aver letto sul sito delle iniziative di Syusy legate alla yurta e la sua mail ci ha proprio colpito!
Turisti Per Caso.it, 28 Feb 2007
marco ci guida nella sconfinata, misteriosa mongolia
Marco C. È un Turista per Caso che ci ha scritto per parlarci della “sua” Mongolia; ci ha contattato dopo aver letto sul sito delle iniziative di Syusy legate alla yurta e la sua mail ci ha proprio colpito! Per questo gli abbiamo chiesto di scriverci una lettera che spiegasse meglio a noi e ai nostri lettori l’essenza di una terra ancora poco turistica e per questo poco conosciuta. All’inizio ha risposto così:

“Penso non ci sia idea più lontana da me in questo momento del poter insegnare qualcosa a qualcuno. Anzi. La Mongolia per me è soprattutto ascoltare, osservare, cercare di intuire, assorbire… La nostra forma mentis occidentale richiede principalmente un approccio frontale, guidata dal senso della linea retta, del sillogismo. Questa attitudine si trova spesso spaesata dall’approccio orientale al mondo, qui tutto si fa etereo, allusivo, silenzioso e fluttuante. In Mongolia il pensiero deve farsi movimento flessibile, spiraleggiante, circolare come direbbe Zhang Sanfeng, il semileggendario fondatore dell’arte Taijikuan. La finalità è accerchiare, non colpire. Mi vedo in Mongolia piuttosto come uno scolaro che vuole meravigliarsi ogni giorno. L’approccio che più mi piace è proprio quello del fanciullino pascoliano; vista da questa prospettiva la Mongolia è straordinaria!”

Poi noi gli abbiamo dato carta bianca e lui ha accettato di accompagnarci, per mano, proprio come un fanciullino. Ecco il suo racconto “… Nel cuore dell’ Asia si trova la sconfinata, misteriosa Mongolia. Terra di nude montagne, di pianure arroventate dal sole e gelate dal freddo, ove regnano la peste, l’antrace e il vaiolo; terra di sorgenti bollenti e di valichi montani custoditi dai dèmoni, terra di lupi, di milioni di marmotte, cavalli e cammelli selvaggi, animali tutti che mai han conosciuto la briglia; terra di cani feroci e di uccelli rapaci che divorano i cadaveri che quel popolo abbandona nelle pianure: tale è la Mongolia”.

Così lo scrittore polacco Ossendowski descriveva la Mongolia attorno agli anni 1921-22 “… Terra di grandi ricchezze naturali che non produce nulla e ha bisogno di tutto…” Quando penso alla “mia” Mongolia, entrata al galoppo con il resto dell’Asia nel terzo millennio, evidentissimi sono i cambiamenti.

I cambiamenti in Mongolia sono come i bambini: tanti, rumorosi e caratterizzati da una crescita ipervitaminica. Ma, se non ci si lascia distrarre dal fragore dell’avanzare del futuro che qui, come in Cina, a volte riesce persino ad essere affiancato dal presente, si possono cogliere ancora oggi frammenti di quella Mongolia “magica” descritta spesso con ostentata enfasi da Ossendowski, oppure disegnata dalla penna di quel genio di Hugo Pratt, che forse meglio di tutti gli scrittori ha saputo coglierne l’essenza e fissarne lo spirito in “Corte sconta detta arcana”.

Non posso fare a meno di pensare a Corto maltese quando, intruppato nel caotico traffico di Ulaan Baatar, sfilo di fronte al deposito delle locomotive russe, perfette e lucide con la stella rossa sulla caldaia oppure il profilo di Lenin in ottone. I fumetti di Pratt qui prendono sostanza, riacquistano una forma che li rende reali, sogno e realtà per un attimo coincidono. …Poi si viene ridestati dal suono acidulo dei clacson delle UAZ dirette al mercato nero e si rientra nel secolo corretto.

Un altro frammento è Choijin Lama Khiid, prezioso monastero custode delle sacre maschere Tsam, incrostate di coralli e intrise di simbolismi antichissimi. Accerchiato in Ulaan Baatar da grigi palazzoni in puro stile socialismo reale, ricordo di un passato ancora prossimo, su cui svettano modernissimi cartelloni psichedelici che inneggiano al karaoke.

Passato remoto, prossimo, presente e futuro si fondono qui in una miscela di sensazioni e stati d’animo che difficilmente in Occidente si riesce a replicare.

Ma la Mongolia è anche Tovkhon Khiid, monastero austero, dall’architettura rustica e montanara, arroccato su di un dirupo a strapiombo attorno al quale i fedeli fanno la kora.

Ci sono tornato ad ottobre, bisogna inerpicarsi su per un fitto bosco di larici e betulle. Tra la neve, nel bosco, incontro tre cavalieri, vanno a caccia di volpi e cinghiali, ci scambiamo il tabacco come d’uso tra uomini nella steppa, mi avvertono che hanno visto tracce di lupi… Sto cercando il mio amico Tuvshinbat, giovane e colto monaco gelupka, attento e curioso osservatore dell’Occidente: è, tra l’altro, tifoso del Milan! Non lo trovo, mi consegnano una lettera che dice che lo hanno trasferito in India, mi lascia una e-mail e mi assicura che, se non in questa vita, ci rivedremo in una delle prossime.

La cosa mi mette di buon umore; cazzo, penso! Spesso faccio fatica a dare un senso a quella che sto vivendo e di colpo mi trovo un appuntamento fissato sull’agenda della prossima!! Ci dovrò meditare sopra, intanto la cosa mi fa stare bene; è curioso e nello stesso tempo sorprendente come questi monaci buddisti riescano a scrostare via le scorie del mio inquinato spirito occidentale con un soffio di tre parole…

Marco C.



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