L’intervista: Pepa C. Presenta Voice Center

Un call center, il più grande della città: in questo purgatorio della precarietà s'intrecciano le storie di personaggi così veri da essere stati inventati. Sì, perché la creazione narrativa è il motore che spinge questo romanzo e te lo fa leggere tutto d'un fiato dalla prima all'ultima pagina. Il titolo è Voice Center, di Zelda Zeta,...
Turisti Per Caso.it, 30 Mag 2007

Un call center, il più grande della città: in questo purgatorio della precarietà s’intrecciano le storie di personaggi così veri da essere stati inventati. Sì, perché la creazione narrativa è il motore che spinge questo romanzo e te lo fa leggere tutto d’un fiato dalla prima all’ultima pagina. Il titolo è Voice Center, di Zelda Zeta, pseudonimo collettivo sotto il quale si celano tre autori: uno di loro è la nostra Pepa! Pepa C. È navigatrice storica di Turistipercaso.It. È un’amica, un’istituzione, un mito. Ha aiutato anni fa Martino a dare al sito la forma che ha oggi, per il sito ha scritto racconti di viaggio e interviste ad altri amici Turisti per Caso, si è fatta intervistare ed è stata la prima Cronista per Caso. Oggi è quadruplice Guida per Caso nei forum Milano, Mangiare a Milano, forum Madrid e Mangiare a Madrid. Come capite, è anche una buona forchetta. Insieme ad altri Turisti per Caso storici come Costanzo, Cavietta Peruviana, Eloisa e Frency Pepa è stata tra i protagonisti del grande Raduno Per Caso del 14 Aprile scorso. Ora insieme a Chiara M. E Antonio S. Pepa ha scritto Voice Center, firmato Zelda Zeta. Nell’intervista scoprirete come sono nati sia il romanzo che lo pseudonimo. Il libro è Voice Center di Zelda Zeta, Cairo editore, 220 pagine, 14 euro.

1. Chi è Pepa? Presentati in breve per i (pochi) Turisti per Caso che non ti conoscono. Ho iniziato a frequentare Turistipercaso.It nel 2002, quando ancora non esistevano le Guide Per Caso. Con Martino e altri del sito, come Nicoletta ed Elisa, ho collaborato alla realizzazione di questo grande progetto. È stato un piacere e una vera soddisfazione vederlo nascere. Insieme a me, un gruppetto di esagitati aveva eletto il sito a seconda casa e per qualche anno abbiamo riso, inventato forum, creato mondi e storie surreali, tanto che Martino aveva creato uno spazio ad hoc per le nostre galoppate di fantasia: il Bla Bla. È stato un gran bel periodo, in cui il senso di appartenenza al sito non era cosa da poco, una congiunzione favorevole di situazioni, persone e luogo. Con parecchi degli amici conosciuti sul sito continuo a sentirmi e vedermi. Su Turistipercaso.It navigo con meno frequenza, ma mi capita di curiosare e leggere itinerari con lo stesso entusiasmo di qualche anno fa. Turistipercaso.It a parte: sono Pepa, sono di Milano, scrivo per lavoro e per passione, se potessi viaggerei sempre e mangerei spesso. Grazie al cielo ho conosciuto Chiara e Antonio, altri due pazzi come me con voglia di scrivere e fare narrativa, ed è nato Voice Center.

2. Trovi tre parole per farci capire che libro è Voice Center? Certo! Scelgo tre sostantivi: Ironia: è parte del dna del libro, è un’arma per esorcizzare la tragicità della vita e vincerla. Un bastone al quale appoggiarsi e con il quale colpire. Questo approccio racconta molto anche di noi tre, di come siamo. Non è solo un modo di scrivere, il nostro, l’ironia è parte indispensabile del nostro approccio alla vita.

Follia: in un call center la precarietà diventa teatro dell’assurdo. Vittime e carnefici perdono il senso della misura e questo si ripercuote anche sulle loro esistenze, fuori.

Specchio: mi piace pensare che Voice sia una sintesi dei mali di questa società, uno specchio nel quale, se ci guardiamo dentro, riconosciamo sempre qualcosa che ci appartiene.

3. Voice Center raccoglie storie di persone che sembra di conoscere da una vita e di avere accanto quotidianamente. Li hanno definiti “personaggi più veri del vero”, tutti legati dal filo instabile della precarietà. Però, malgrado questa specie di confidenza istintiva, è difficile metterli veramente a fuoco. Perché? Forse perché, da precari, nessuno di loro vive una situazione definita e definitiva. La precarietà e l’insoddisfazione affievoliscono le certezze e il modo di essere. In un certo senso fanno perdere a ognuno la messa a fuoco della propria esistenza. E allora quello che emerge, al di sopra di tutto, sono i problemi, i limiti, le patologie di persone che vivono una vita che non gli appartiene.

4. Leggendo il libro è facile riconoscersi nei personaggi, soprattutto per noi della generazione-dopo-la-zeta: farne parte, secondo te, è solo negativo o ha anche i suoi vantaggi? Ti sarai accorto leggendo il libro che la generazione-dopo-la-zeta non è una vera e propria generazione in senso stretto, che risponde a logiche anagrafiche precise e ambienti socioculturali omogenei. La generazione che vive la precarietà, e in particolar modo l’esperienza del call center, è una generazione trasversale. Vi si può incontrare il diciottenne diplomato e il laureato di fresco, ma anche la madre di famiglia, l’ex quadro licenziato che nella fase di interregno tra il licenziamento e il nuovo lavoro (si spera!), si arrabatta in un call center perché al momento non trova di meglio. Quindi gente di età ed estrazione socioculturale diverse. A guardarla dal punto di vista lavorativo non vedo grandi vantaggi a far parte di questa pseudo-generazione, se non l’opportunità di sviluppare elasticità mentale e grande capacità di adattamento.

5. In un paese dove il call center è diventato una specie di purgatorio in cui per pochi euro l’ora anche persone con una laurea alle spalle possono rimanere a lavorare per anni, secondo te c’è ancora chi sogna il “paradiso lavorativo” del posto fisso? Certo che c’è chi lo sogna e ha tutto il diritto di farlo. Nessuno è felice di lavorare in un call center, parcheggio-limbo in attesa di qualcosa di meglio che forse non verrà, perché ormai per molti il call center è sinonimo di precarietà cronica. Come nella realtà, anche la maggior parte dei personaggi di Voice Center ha sogni che spera di vedere realizzati. Alcuni sono sogni semplici, altri sono sogni di gloria, altri solo ossessioni, figli di una distorsione del reale di cui anche i media sono complici. Basta pensare a Sue Ellen, la protagonista di Venga il Mio regno, Oriani ne Il canto della balena o Veronica in Meglio di così si muore. Tralasciando l’aspetto onirico della faccenda, credo che la cosa importante sia bandire pessimismo e passività e provare a fare qualcosa per se stessi, anche piccola. Per esempio, con Antonio e Chiara abbiamo messo in piedi un’agenzia editoriale, siamo agli inizi ma va bene così, ci proviamo.

6. Amori liquidi, esistenze precarie, l’unica certezza è l’incertezza: c’è un po’ di autobiografia in queste storie o ogni riferimento a fatti o persone reali è, come si dice, puramente casuale? Qualche riferimento in effetti c’è. Tutti e tre abbiamo fatto l’esperienza del call center. Chiara ha lavorato per qualche settimana presso il servizio clienti di una compagnia di telefonia cellulare, Antonio ha venduto di malavoglia aspirapolvere improbabili, io ho fatto selezione del personale in un call center dove, precaria anch’io, mi sono trovata di fronte diplomati con famiglia e senza un posto, laureati di fresco e dirigenti cinquantenni appena licenziati. Un ammasso di forza lavoro e sogni zoppi degno dell’incubo peggiore. In Voice Center però la questione dell’alienazione da lavoro precario non prevale mai sull’invenzione narrativa: una volta levata la cuffia e spento il monitor, le storie dei personaggi sconfinano fuori dall’open space del call center perché anche le altre sedici ore della giornata sono vita vissuta.

7. Tu in quale personaggio ti riconosci? Questa è una domanda che mi viene fatta spesso. La risposta è che non esiste un personaggio nel quale mi possa riconoscere. Infatti negli episodi che ho scritto io come in quelli scritti da Chiara e Antonio c’è autobiografia nei dettagli e nelle situazioni, ma i personaggi, le storie, sono pura invenzione narrativa. Ogni personaggio è figlio della sua storia che è figlia di quello che ho visto e sentito. Le mie esperienze quindi sono il mezzo utilizzato per costruire qualcosa di diverso dalla mia realtà, qualcosa che sappia di vero, pur essendo fiction. Posso però dirti che Fulvio Marchetti e il suo Interessi Particolari è l’episodio che mi sono più divertita a scrivere, nonostante per finirlo abbia impiegato il doppio del tempo usato per gli altri: mi sono affezionata a questo personaggio così “negativo” eppure infinitamente umano. Se invece ti devo dire quale tra i miei personaggi mi è più simpatico, non ho dubbi: Andrea De Michele, protagonista dell’episodio Il cagnolino ride.

8. I tre personaggi di Voice Center che ami di più? Uno è indubbiamente Don Franco, prete-guest star di Dentro le cose del mondo: qui si ride, si guarda il call center da un punto di vista privilegiato e inconsueto. E si pensa, tanto. Un altro è Daniele, protagonista dell’episodio Dream Man: Daniele ha un carattere spigoloso, arriva in ritardo in ufficio, ma questo suo modo di essere ha una spiegazione. Con lui è facile emozionarsi e commuoversi. Il terzo, come ho già detto prima, è Marchetti, il direttore risorse umane del Voice Center. C’è uno scollamento tra il suo apparire bravo e giusto e il suo essere, invece, imperfetto, facile da biasimare ma allo stesso tempo vittima di una situazione grottesca a tal punto che si sorride. E lo si perdona.

9. Voi autori, come si legge nel risvolto di copertina, avete tutti e tre a che fare quotidianamente per lavoro con la parola scritta, come free lance, correttori di bozze, redattori, ex pubblicitari. Come vivete da professionisti l’evoluzione continua del linguaggio, tra l'”essemmessese” (l’italiano degli sms) spinto e l’inglese che continuamente s’intrufolano nella lingua italiana? secondo te è la sua normale evoluzione o la lingua italiana è minacciata di estinzione? A me non piace pensare a un’estinzione ma a una trasformazione. La tecnologia, i media, la lingua inglese spingono tutti in una stessa direzione: la semplificazione. Qualche esempio? L’introduzione nel dizionario italiano di parole anglofone, il fatto che su alcuni giornali è normale scrivere la terza persona del verbo essere maiuscola con l’apostrofo anziché con l’accento, la progressiva diminuzione dell’uso del congiuntivo a vantaggio dell’indicativo. Ecco, io ho una simpatia speciale per il congiuntivo, spero che non scompaia sul serio (avrei potuto dire “scompare”: non è bruttissimo?). Nel qual caso, apriremo su Turistipercaso.It un forum ad hoc che diventerà l’orfanotrofio del congiuntivo: quello sarà il suo regno, niente condizionali, niente indicativi, abbasso gli imperativi. Congiuntivo docet.

10. Come è nato il vostro pseudonimo, Zelda Zeta? Zelda è nato una sera, quando Marilyn Monroe ha incontrato Scott Fitzgerald. Era tardi, erano ore che partorivamo nomi improbabili alla ricerca di uno pseudonimo decente, il tavolo era una distesa di libri, fogli scritti, giornali, tutto quello che poteva servire per un’ispirazione. A un certo punto, abbiamo acceso il televisore, è una cosa che non facciamo mai quando stiamo insieme ma quella sera l’abbiamo fatto. C’era uno speciale che parlava di Marilyn Monroe. Diceva che Marilyn, quando viaggiava in incognito, usava uno pseudonimo per non farsi riconoscere: quello pseudonimo era Zelda Zonk. Come se non bastasse, tra i libri sparsi sul tavolo c’era anche Tenera è la notte di Scott Fitzgerald: anche sua moglie si chiamava Zelda ed era un personaggio incredibile, l’antesignana della donna contemporanea. È stato un attimo: l’incontro figurato di Zelda Monroe e Zelda Fitzegerald nella stessa stanza e in un lasso di tempo tanto breve ci è parso un segno. Che poi le Zelde siamo noi, Chiara e io. Antonio è la Zeta.

11. Come si scrive un libro di narrativa a sei mani? Ognuno un personaggio? Ognuno un racconto? Ognuno un paragrafo? Tutti per tutto? Il punto chiave della nostra intesa è fidarsi l’uno dell’altro, senza paura di critiche e censure. La fase della scrittura è un momento solitario e individuale, ma quando condividiamo idee e storie nascono spunti e soluzioni che aggiungono valore alla creazione del singolo. Quello che otteniamo alla fine è qualcosa di più della somma delle nostre visioni narrative: ci piace pensare che sia una sintesi sfaccettata di vicende, parole ed emozioni come se fosse un quarto autore a parlare: Zelda, appunto. Non paghi di questa esperienza, continuiamo la nostra avventura a sei mani sul blog di Voice Center, dove alcuni personaggi del romanzo continuano a vivere e raccontare la loro storia. Non solo: come Zelda Zeta stiamo lavorando a un secondo libro ma questa volta non ha nulla a che fare con il precariato.

12. Scrivi al pc, con la macchina da scrivere o con la penna a sfera? Scrivo per lo più al computer perché il pensiero va alla velocità delle dita che premono sui tasti mentre se scrivo con la penna non riesco a stare dietro alle idee, me le perdo per strada. Antonio invece è un caso a parte, scrive prima a penna e poi a computer. Un tipo strano, ma gli vogliamo bene lo stesso.

13. Cosa leggi nel tuo tempo libero? Narrativa, quasi sempre. Tra i contemporanei letti ultimamente Amelie Nothomb, Houellebeck, Ammaniti, Culicchia, Hornby, Vonnegut, Montanari. Ma anche i classici non mancano mai. Quando non leggo narrativa le letture preferite sono Lonely Planet e Routard.

14. Qual è l’ultimo viaggio che hai fatto? Barcellona ad aprile. Io sono della fazione pro Madrid, ma Barcellona è una città speciale, i paseos, le avenide, l’architettura di Gaudì e dei modernisti che la attraversa le dà un aspetto unico e inconfondibile. Per non parlare delle tapas al mercato della Buqueria e del pesce di Barceloneta. Il prossimo viaggio invece sarà tra qualche giorno, la mia seconda volta a New York. Credimi, non vedo l’ora.

15. Vuoi aggiungere qualcosa per i nostri naviganti di Turisti per Caso? Sì, una cosa che non c’entra con la scrittura. La voglio dire a loro perché sono certa che capiranno. Immaginate la vostra vita senza viaggiare. Senza prendere un treno, senza sorvolare l’oceano, atterrare in un altro continente. Io credo che non potrei farne a meno. Penso che viaggiare, conoscere il nuovo, il diverso, sia una grande ricchezza. Viaggiare apre gli orizzonti e fa scoprire luoghi dove può ammarare la fantasia. Viaggiare allarga i confini del mio piccolo universo e mi fa sentire libera. Un po’ come quando scrivo, come adesso. Allora, forse sì, forse viaggiare ha a che fare anche con lo scrivere.

Alex Castelli Redazione Turistipercaso.It



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