The Land Down Under in camper

3 settembre 2007 Inizio a scrivere questo diario ad esattamente due settimane di distanza dal nostro ritorno dal continente downunder. Premetto che non sarà facile trasmettere tutte le sensazioni e le emozioni che questo immenso Paese ci ha regalato, proprio perché sono state immense come le sue dimensioni. Emozioni diverse ma tutte molto,...
Scritto da: silvia b.
the land down under in camper
Partenza il: 13/07/2007
Ritorno il: 20/08/2007
Viaggiatori: in coppia
3 settembre 2007 Inizio a scrivere questo diario ad esattamente due settimane di distanza dal nostro ritorno dal continente downunder. Premetto che non sarà facile trasmettere tutte le sensazioni e le emozioni che questo immenso Paese ci ha regalato, proprio perché sono state immense come le sue dimensioni. Emozioni diverse ma tutte molto, troppo intense, tanto che ora, rientrati a Bologna e tornati alla vita di sempre, scrivere (e per questo pensare) diventa quasi doloroso; riempirsi nuovamente la mente dei colori, gli odori, i suoni, la luce e le stelle australiane mi fa sperare di potere un giorno rivivere tutto questo direttamente attraverso i miei sensi, ma mi riempie ogni volta di una nostalgia profonda, e la bocca mi si fa amara. Sarà perché abbiamo conosciuto mentalità più libere, libere da troppi condizionamenti burocratici, libere nel pensare che così tante nazionalità diverse possano convivere, libere nell’estensione di una terra che molto spesso è ancora dominio incondizionato della natura. Non dico di aver trovato il paradiso, dopo tutto anche gli australiani hanno i loro problemi, primo fra tutti il peso sulla coscienza dovuto alla questione aborigena. E in più la vita, al di fuori delle città, deve essere piuttosto dura! Abitare in mezzo al nulla, nel bush, o gestire una cattle station (allevamento di bestiame) estesa su un territorio grande quanto l’Emilia-Romagna non deve essere per niente semplice, e le occasioni di contatto sociale piuttosto rare. O ancora, le Roadhouse! Sulle strade deserte si fatica ad incrociare anima viva, ma quando ti fermi alla Roadhouse scopri un piccolo mondo… bar, ristorante, stazione di sevizio, motel, campeggio, minimarket e… gente! Sono come delle minuscole città dove le città non ci sono, centri di socializzazione obbligata in un luogo dove le persone le incontri solo ogni duecento, trecento kilometri. Durante il nostro viaggio abbiamo avuto modo di vederne diverse, come poi leggerete, e ognuna aveva le sue particolarità per distinguersi. Il bello qui era davvero viaggiare dentro al viaggio: ogni spostamento era un viaggio a se’, con lunghe distanze da percorrere in solitaria, e anche quando le distanze non erano così imponenti, viaggiare era sempre un’esperienza, perché la mancanza di traffico, i colori della terra e del cielo ci ripagavano delle ore al volante, e incrociare e salutare gli altri automobilisti e camperisti diventava lo scopo del tempo che si passava alla guida. Persino i road trains erano affascinanti sulla Stuart Highway! Questi bestioni di metallo che coi loro tre o quattro rimorchi ci sfrecciavano accanto a tutta velocità erano affascinanti e allo stesso spaventavano con la loro imponenza. Sono loro i re del nastro d’asfalto che taglia l’Australia da nord a sud, e purtroppo anche i principali responsabili della gran quantità di animali morti lungo la strada. L’odore di morte… anche questo ha fatto parte del nostro viaggio, entrava con prepotenza ogni tanto dai finestrini aperti come per ricordare che i famosi cartelli, i roadsigns australiani, non sono solo souvenir, ma informano su un pericolo reale (e che abbiamo sperimentato, soprattutto a Kangaroo Island).

Che dire ancora? Che era una meraviglia svegliarsi tutte le mattine con il canto degli uccelli e uscire a scoprire quale volatile aveva quel verso differente da tutti gli altri che avevamo già ascoltato in precedenza. Ammirare il cielo di notte, limpido e tanto più vicino del nostro, con la Via Lattea e la Croce del Sud. Ammirare il cielo di giorno, azzurro, in contrasto con il rosso rugginoso e a volte fosforescente della terra e col verde polveroso (o sarebbe meglio dire impolverato) della vegetazione. Andare a comprarsi una birra in un bottle shop e uscire con le stubbies nel sacchetto di carta marrone come nei film. Dormire in un campeggio che sembra uno zoo circondati da wallabies, koala e opossum e maledirsi per non aver comprato una torcia. Fare l’esperienza di provare contemporaneamente tante cucine diverse nei food courts cittadini e assaggiare tutte le carni diverse dalle nostre, canguro, coccodrillo, cammello, barramundi e finanche il povero simpaticissimo opossum. Riposarsi in una delle bellissime aree di sosta sempre, e dico sempre, provviste di BBQ (è il Paese del barbecue, grigliano tutto e dovunque!). Scoprire che esistono realtà come la School of the Air o i Royal Flying Doctors. Ma è ora di addentrarci un po’ di più nello spirito australiano e nel nostro spirito di viaggiatori attraverso una piccola parte dell’isola più grande del mondo…

Venerdì 13 – sabato 14 luglio 2007 (Milano – Hong Kong – Melbourne) Poco dopo le 6 del mattino, con pochissime ore di sonno alle spalle, ci imbarchiamo sul volo della British per London Heathrow. L’entusiasmo è alle stelle, anche se forse sotto tutto questo si nasconde un po’ di emozione per tutto quello che ci aspetta. Il primo volo passa rapido e, dopo i vari articolati controlli di sicurezza londinesi, alle 11.32 GMT siamo in fila per decollare realmente per l’Australia. Un enorme aereo bianco e rosso della Quantas ci aspetta lì sotto e noi lo ammiriamo e lo fotografiamo dalla sala d’imbarco, mentre proviamo a vedere se i nostri bagagli viaggeranno con noi o meno. Il tempo non è fantastico, e il cielo è piuttosto grigio. Ma non importa… in poche ore lasceremo per un po’ la vecchia Europa e poi il sole è già dentro di noi! Prendiamo posto nel ventre del bestione di metallo e subito andiamo alla scoperta dei programmi TV e dei vari intrattenimenti che serviranno a rendere più piacevole il lungo viaggio. Durante il volo dormicchiamo, guardiamo un po’ di film e la prima tappa (Hong Kong) arriva dopo circa 7 ore. Lo scalo dura veramente solo il tempo del rifornimento e del successivo reimbarco dei passeggeri, tanto che dopo nemmeno 2 ore siamo nuovamente sul volo QF030, questa volta con prossima destinazione Melbourne! Dopo poco tempo dalla partenza sorvoliamo le Filippine, un’infinita distesa di isolette che si stagliano nel blu intenso dell’oceano grazie alla sabbia bianca che le circonda. Alle 20.15 australiane del 14 luglio sbarchiamo a Melbourne, stanchi ma pieni di entusiasmo e attesa e anche belli pasciuti, visto che la Quantas serve cibo in continuazione!! Aspettiamo i bagagli e siamo estremamente felici di vederli uscire sul nastro, dopodichè prendiamo un taxi per andare in ostello poiché ci dicono che l’airport shuttle ci porterebbe a quell’ora solo fino alla stazione. Un po’ lo stordimento del viaggio e un po’ le tante lucine che vediamo fuori dai finestrini ci fanno sentire spaesati, dopotutto è il nostro primo impatto con una città così. Il Greenhouse Backpacker ci accoglie con la sua atmosfera giovane e spensierata, complice uno scozzese in kilt, che ci fa piacere dopo qualche anno di assenza dagli ostelli. La reception è al 6° piano del civico 228 di Flinders Lane, a due passi da Federation Square, una delle piazze centrali della città. La nostra camera è al piano di sotto, è abbastanza piccola ma moderna, confortevole e pulita, e proprio di fronte ai bagni (anch’essi pulitissimi, ma la pulizia dei servizi igienici sarà una costante di tutto il viaggio).

Dopo aver pagato le due notti, comprato una scheda internazionale con la quale chiameremo per tutto il tempo ad un costo davvero ridicolo e dopo aver chiamato a casa (in Italia sono 8 ore indietro, chiamiamo dal futuro!) è ora di fare una bella doccia, prendere la nostra prima capsula di melatonina (la drrrooooga!) e infilarci stanchi e appagati sotto le lenzuola.

Domenica 15 luglio (Melbourne) Un sonno davvero riposante ci avvolge fino alle 6.40, orario in cui la sveglia ci ricorda che abbiamo un’intera città da esplorare, per cui riemergiamo rapidi dalle coperte. Saliamo a fare colazione e a scrivere qualche mail tanto per fare invidia agli amici, e alle otto e un quarto siamo già per strada! Dobbiamo riconoscere che, benché l’inverno australiano sia meno rigido del nostro, fa proprio un bel freddino… ci avviamo a passo svelto verso la prima tappa della nostra giornata, Federation Square, piazza dal look ultramoderno sulla riva dello Yarra River, il fiume che passa in mezzo alla città ancora sonnolenta e che attrae sulle sue sponde sportivi che fanno jogging, che portano a far correre il cane e canoisti che si accingono a calare le affusolate imbarcazioni nelle sue acque, presumiamo piuttosto freddine anche se stamattina, complici le nuvole, sono di un bellissimo grigioazzurro metallico. Tanto per iniziare da qualcosa seguiamo l’itinerario a piedi segnalato sulla Lonely Planet e ad un certo punto ci lasciamo tentare da un caffè espresso (l’unico della vacanza) al Degraves Café, consigliato dalla guida come uno dei migliori di Melbourne. In effetti il caffè non ci delude e il locale è piacevole con la sua atmosfera un po’ retrò. Ci scaldiamo un po’… noi dopotutto veniamo dall’estate! per poi rituffarci nelle larghe strade a reticolo. Giriamo e giriamo, è domenica e quindi la maggior parte dei negozi è chiusa, sono aperti invece i numerosi 7eleven e gli immancabili fast food; ci infiliamo dentro Chinatown, che ha il suo centro principale nella Little Bourke Street. Curiosa, per noi è la prima volta e ci incantiamo davanti alle vetrine dei ristoranti che offrono anatre laccate, pesci di tutti i tipi, anche strani, conservati negli acquari a vista, e ai mille take away di tutti i generi. Ci viene quasi voglia di tornare qui per la cena e provare Yamato, consigliato anche dalla LP, ma nel nostro peregrinare finiamo al Queen Victoria Market e rimaniamo abbagliati dagli slendidi banchi di carne… morale, alla fine compriamo per una cifra ridicola due enormi bistecche e due tipi diversi di salsicce e decidiamo di sperimentare la cucina dell’ostello! Al mercato abbiamo anche il primo contatto (senza saperlo, lo scopriremo in seguito) con i food court, veri e propri parchi di divertimento mangereccio che saranno nostre mete fisse in tutte le città che toccheremo. Dopo un kranski combo e un’abbondante porzione di noodles ripartiamo carichi per esplorare il mercato, dove si vende davvero di tutto: dall’abbigliamento alla chincaglieria made in china, dagli alimentari agli stivali tipici australiani, gli Huggs e gli stivaletti per i veri aussie (Rossi Boots o Blundstone).

Ritornando verso il centro facciamo l’acquisto più kitch della giornata, se non dell’intero viaggio: il Kangaroo Scrotum… ogni commento è superfluo.

Prima di rientrare in ostello ci facciamo un giro lungo lo Yarra River, dove scopriamo parecchia gente e un vivace mercatino di artigianato. Non resistiamo alla curiosità e dobbiamo assaggiare i Poffertjes, specie di piccoli pancakes serviti con zucchero a velo e marmellata. E abbiamo il primo incontro col famigerato olio spray! Per di più con il canola oil… Camminando camminando arriviamo fino ai Docklands, il quartiere che, da vecchio porto della città, si sta trasformando in zona alla moda piena di ristorantini trendy e locali fighetti. Scopriamo che era in corso la mostra di quel tedesco pazzo che imprigiona i cadaveri nella resina e li trasforma in opere d’arte mostrando il corpo umano negli atti della vita quotidiana, ma purtroppo è già chiusa, dopotutto qui alle cinque comincia a non vedersi in giro anima viva! Per tornare verso il centro prendiamo il City Circle, il vecchio tram che gratuitamente fa il giro della città e stiamo su per tutto il tragitto fino a tornare a Federation Square.

In ostello cuciniamo le nostre due belle bistecche, dopodiché ci facciamo un altro bel giretto per vedere Melbourne by night, e anche senza cartina sembra che siamo già veterani! Dopo una bella e rilassante (e riscaldante) doccetta ora siamo giunti al momento della nanna… domani ci aspetta il camper!

Lunedì 16 luglio (Melbourne – Great Otway NP, Km 232.7) Come al solito ci alziamo di buon ora alle 6.40 e una volta fatta colazione partiamo per la grande avventura del camper! Ci concediamo il lusso di un taxi fino alla sede dell’Apolllo, che rimane vicino all’aeroporto. Nell’ufficio troviamo un impiegato, non più giovanissimo nonché piuttosto mattacchione, che ci illustra tutte le caratteristiche del mezzo e ci fa vedere il video informativo… insomma, ci sembra un po’ di tornare con la mente al noleggio della mitica Lock Star! Dopo un problema di autorizzazione alla spesa con la mia carta di credito riusciamo finalmente a pagare il saldo e siamo pronti per partire. Le dritte su come uscire da Melbourne e immetterci sulla strada giusta si rivelano azzeccate e dopo poco lasciamo la periferia della città per immetterci su uno stradone a più corsie che ci porta verso la Great Ocean Road. C’è il sole, fuori e dentro di noi. Mentre procediamo partiamo all’esplorazione del mezzo, che non ci sembra niente male, comodo e molto panoramico, anche se un po’ rumoroso. Passiamo Geelong e ci fermiamo dopo poco a Torquay, il paese dei surfisti con tanto di museo del surf (il più grande del mondo, dicono). Prendiamo un po’ di informazioni all’ufficio turistico, soprattutto sui campeggi dove ci fermeremo questa prima notte in mezzo alla natura, e naturalmente non può mancare la prima spesa per il frigo, che al momento piange… la prima volta in un supermercato straniero è sempre divertente, è una piccola esplorazione di un lato della cultura di un popolo, ma Mirco non è per niente razionale in questo tipo di esperienze, e faccio non poca fatica per non fargli comprare mezzo supermercato, attirato come un bambino da lattine, scatole e confezioni per noi nuove di ogni forma e colore. Quando finalmente riusciamo ad uscire non riusciamo però ad evitare il Bottle Shop; dappertutto in Australia infatti gli alcolici non vengono venduti nei normali negozi, ma solo nei Bottle o Liquor Shop, un po’ come in America.

Ripartiamo e la nostra prossima tappa è Anglesea dove ci fermiamo per vedere il campo da golf in cui vive una colonia di un migliaio di canguri… il nostro primo contatto con la fauna australiana! Facciamo naturalmente un sacco di foto e qualche filmatino al canguro che si gratta la borsa (col senno di poi… molto probabilmente aveva un cucciolino dentro il marsupio!) Facciamo poi una piccola deviazione per Ayres Inlet, dove c’è un vecchio faro. Lungo la strada ci fermiamo ogni tanto per ammirare il panorama dalle scogliere che fiancheggiano un oceano dal blu intensissimo, increspato da lunghe onde parallele che sono un parco giochi per i surfisti, incuranti dello sferzante vento freddo e pungente e anche del buio che avanza. Il sole che cala veloce ci fa ricordare che infatti qui siamo in inverno, e alle sei del pomeriggio è già buio pesto.

Verso l’orario del tramonto ci inoltriamo nel Great Otway National Park e alla fine, dopo un po’ di pazienza, direttamente dalla strada vediamo i nostri primi 3 koala, che si lanciano in vocalizzi un po’ inquietanti… che buffi, sembra quasi che crescano sugli alberi… avete mai visto un koala che cammina a terra? Dopo una sosta benzina ci dirigiamo verso il Bimbi Caravan Park, nel cuore del parco, dove lo slogan è “sleep under koalas”… promette bene! A dire il vero di koala non ne vediamo, ma in compenso vediamo un canguro e il gestore del campeggio ha una pecora “domestica” al guinzaglio. Martedì 17 luglio (Great Otway NP – Mt. Gambier, Km 377.30) Per tutta la notte sentiamo la pioggia cadere scrosciando e già prevediamo che la mattinata non sarà delle migliori… infatti continua a piovere anche quando ci svegliamo e la mattina si preannuncia piuttosto nera! Pieni di speranza tentiamo comunque di raggiungere il faro di Cape Otway, che con questo tempo deve essere anche piuttosto suggestivo, ma già quando arriviamo nel parcheggio la quantità d’acqua esagerata che sta venendo giù ci fa desistere dall’impresa. Peccato, però, ci dispiace molto! La signora all’entrata, viste forse le nostre facce, ci consola consigliandoci di tornare quando avremo 3 o 4 bambini (??? Mah… questi Aussie!) Oggi sul nostro percorso abbiamo anche i 12 apostoli (11 per la precisione), quindi risaliamo la strada che si inerpica tortuosa dentro al parco fino a tornare sulla principale e continuiamo sotto un cielo plumbeo al calduccio del nostro camper lungo la cosiddetta “costa dei naufragi”. Dobbiamo davvero riconoscere che questo tempo inclemente aiuta a rendere tutto molto più affascinante e suggestivo. Appena lasciamo la Great Ocean Road per deviare verso il punto di osservazione delle falesie smette di piovere, ma facciamo appena in tempo a farci un giro che comincia a grandinare di nuovo, e come!! E’ un freddo impressionante, e noi vestiti a strati ma senza giacca pesante lo sentiamo tutto! Dopo la selvaggia grandinata, che ammiriamo da dentro l’edificio dove sono le toilettes (è troppo freddo!) e dopo aver compreso profondamente il nome dato a questo tratto di costa risaliamo sul nostro Apollo, riscaldamento a tutta birra, e ci rimettiamo in marcia per Warrnambool, paesino sonnacchioso adagiato sull’oceano e punto d’avvistamento delle balene che arrivano ogni anno dall’Antardide per riprodursi e nutrirsi nelle acque più calde (!) che bagnano la costa sud orientale dell’Australia. Purtroppo però un locale che incontriamo ci spiega che quest’anno non hanno avvistato ancora nessuna balena, con tutta probabilità a causa di scavi petroliferi che stanno effettuando in mezzo all’oceano. Peccato perché la piattaforma di avvistamento tutta in legno che fronteggia le onde spumeggianti invita veramente a piazzarsi lì per ore armati di cannocchiale e speranza… Il posto merita comunque una sosta, ed è anche spuntato un po’ di sole. Il tipo che ci racconta tutto ciò, mentre perde il suo sguardo tra i marosi, sgranocchia un qualcosa di fritto che ci mette un appetito mostruoso; decidiamo quindi di fermarci in una specie di bar che avevamo intravisto mentre guidavamo verso la piattaforma. Ci fermiamo e scopriamo il locale dei nostri sogni, quelli che pensavamo si potessero vedere solo nei film! E’ un locale che fa da negozio, bar, ristorante, rivendita di permessi per la pesca… gestito da un nonno che ci prepara due fantastici fish & chips con una montagna di patate fritte di quelle belle che piacciono a noi, tagliate col falcione. Spendiamo in tutto l’enorme cifra di 12 AUD e andiamo a rintanarci nel nostro camperino, che nel frattempo, grazie al sole, ci accoglie con un bel caldino che rincuora gli animi… Nel pomeriggio ci facciamo un altro po’ di strada e guido anch’io, facciamo una sosta benzina ma il tempo non accenna per niente a migliorare, anzi! Temporali, grandine e vento non ci danno tregua e ci accompagnano fino a Mt. Gambier, dove ci fermiamo per la notte in un bel campeggio proprio nel centro del paese. In confronto ai paesi che abbiamo attraversato per tutta la giornata, questo ci sembra veramente una città! Quando ci sistemiamo è già quasi buio, ma decidiamo lo stesso di sfidare il freddo per uscire a fare due passi: la strada principale è uno sfavillio di insegne e luci, ci sono un sacco di negozi e anche qualche ristorante! Ci fermiamo in un grande bottle shop a fare un po’ di scorta di birre e ci compriamo anche una bella bottiglia di vino. Senza troppe illusioni alle cinque in punto tutto comincia a chiudere e la città diventa deserta, come quelle dei film western. Noncuranti del freddo decidiamo anche di visitare le gravine proprio nel centro del paese; particolari, nella prima c’è una cascata e crescono le palme (fuori ci sono pochi gradi, oggi è quasi nevicato!!) e una vegetazione quasi tropicale, ma è la seconda che ci fa addirittura dimenticare il freddo… ci vivono gli opossum, per noi sono una scoperta! Sono dei simpaticissimi marsupiali, interagiscono con noi e abbiamo anche un incontro ravvicinato con un cucciolino che se potessimo ci porteremmo a casa tanto è bello e morbido (e che piedini freddi!)

Mercoledì 18 luglio (Mt. Gambier – Kangaroo Island, Km 595) Dopo una gustosissima dormita ci svegliamo e restiamo a sonnecchiare per un po’… tanto poi ci ricordiamo che qui, per una singolare differenza di fuso orario, bisogna spostare le lancette indietro di mezz’ora! Dopo una delle nostre proverbiali colazioni partiamo da Mt. Gambier non prestissimo; la giornata non sembra malaccio e infatti pioverà ogni tanto solo sotto le nuvole più grigie, ma niente temporali e vento come ieri. Questo ci permette di godere appieno degli splendidi paesaggi e degli spazi immensi che attraverseremo oggi, naturalmente deserti. Le uniche creature che oggi ci tengono compagnia sono mucche e pecore, perse in esagerati prati di un verde così vivo che ci fa pensare all’Irlanda, ma con dimensioni moltiplicate per 10! Abbiamo già capito che guidare su queste strade può veramente essere noioso, non si incrociano altre auto per kilometri, e per questo quando ci si incontra si ‘saluta’ alzando solo leggermente l’indice della mano che tiene il volante come per dire: tranquillo, tutto ok! Ma per noi che siamo in vacanza e guidiamo per ‘piacere’… ci sembra quasi di essere dentro un documentario… A Wellington attraversiamo il fiume con la chiatta, poi procediamo fino a Millicent e da lì decidiamo di prendere la strada costiera invece di quella interna (entrambe conducono a Kingston). Facciamo una piccola deviazione di 3 km per vedere con i nostri occhi uno di questi sperduti paesini adagiati in riva all’oceano, Beachport, e per aver scelto a caso abbiamo una bella sorpresa perché ci accolgono decine di pappagalli grigi con il petto fucsia, che poi scopriremo chiamarsi galah. Ne vedremo molti altri nel corso della giornata, anche di più colorati, e scendendo il pomeriggio verso Cape Jervis, punto d’imbarco per Kangaroo Island, vedremo anche i cacatua bianchi. Che spettacolo per noi, che non siamo di certo abituati a vedere questi animali in libertà nel loro habitat naturale. Appena li avvistiamo ci fermiamo sul ciglio della strada, e un ragazzo si ferma col suo fuoristrada per chiederci se abbiamo problemi col mezzo… evidentemente per lui è normale vedere i cacatua, li vedrà tutti i giorni! Lo rassicuriamo e lui, soddisfatto di sapere che non siamo in panne, se ne va. Risalendo verso Kingston vediamo addirittura un wombat, anche se purtroppo non capiamo se vivo o morto. Da Kingston prendo la guida io e ci spariamo circa 150 km di strada che definire dritta è un eufemismo… la zona è piena di laghi, stagni e saline, bella, ma piuttosto monotona. Si riprende bene invece dopo Meningie, la campagna è bellissima e vediamo gli emù, un canguro che ci osserva curioso da dietro uno steccato e, per chiudere in bellezza, scendendo la collina a picco verso Cape Jervis, incorniciati da un drammatico tramonto sul mare, quattro canguri che si allontanano dalla strada zompando attraverso un campo! Arriviamo all’imbarco e scopriamo che ci hanno dato un mezzo più lungo di quello per cui avevamo prenotato il traghetto, quindi ci tocca pagare la differenza (per fortuna neanche 50 AUD). Saliamo sul traghetto in retromarcia seguendo le istruzioni dei due ‘mozzi’, esperti nell’incastrare più mezzi possibili nella pancia del barcone e poi andiamo ad accomodarci sulle poltroncine in attesa della partenza. Di fianco a noi siede una famiglia di tedeschi che incontreremo diverse volte durante la nostra permanenza sull’isola. La traversata è un po’ troppo ballerina per i nostri gusti ma alla fine cerco di sdormicchiare e riesco ad approdare sull’altra sponda senza incidenti. Arriviamo a Pennshaw che è già buio, dove ci accoglie un buffo cartello “attenzione pinguini!” e, sulla strada buia per Kingscote, ne vediamo davvero uno! Piccolo, alto circa 20cm, spaurito al lato della strada… ma che ci fai lì?? Arrivati al campeggio di Nepean Bay (quasi vuoto, si vede che è bassa stagione!) ci cuciniamo il filetto di canguro brasato allo shiraz… yum!

Giovedì 19 luglio (Kangaroo Island, Km 256) Come al solito la sveglia suona alle 6.40… ma che fatica alzarsi! E dire che stiamo veramente facendo la cura del sonno, perché qui la sera non c’è sicuramente granché da fare e andiamo sempre a letto piuttosto presto per i nostri canoni. Ma va bene così, qui è inverno e il sole tramonta verso le cinque e mezzo, è importante sfruttare tutte le ore di luce disponibili! Giusto per aumentare il nostro ‘ritardo’ incontriamo in campeggio una coppia di signori di Modena; lui è piuttosto taciturno, ma lei ha una voglia di chiacchierare… ci invita anche a mangiare nella loro trattoria a Paganine e cerca in ogni modo di non farci andare via! Ci racconta che sono venuti a trovare il figlio che abita a Sydney con moglie e figlio e che per l’occasione ha organizzato una traversata in camper Sydney – Darwin… pesante, lei ci dice di essere già stanca adesso! Allora auguri, perché di strada ne avete ancora davvero tanta davanti…!! Noi però smaniamo per scappare ad esplorare l’isola e con un po’ di diplomazia alla fine riusciamo a toglierci dall’imbarazzo e a salutare i nostri conterranei.

Partiamo in direzione di Cape Borda passando però prima per Kingscote a fare un po’ di spesa. Riprendiamo la strada ma quasi subito ci accorgiamo di essere sull’altra strada, la South Coast Road… non so come ci sia scappato il bivio su un’isola dove ci sono solo due strade, ma non importa! faremo il giro nell’altro senso.

La prima deviazione la facciamo per Seal Bay, dove vive una colonia di 600 otarie tra le 10000 rimaste al mondo. Facciamo la visita guidata, che permette l’accesso alla spiaggia accompagnati dai ranger. La guida è solo per noi due, si chiama Kate ed è una ragazza molto simpatica; ci dà un sacco di informazioni su questo animale che noi vediamo per la prima volta, ed è veramente un’emozione! Ci racconta che le otarie trascorrono tre giorni in mare per cacciare e, successivamente, tre giorni sulla spiaggia a riposarsi; e infatti si vede! Quasi tutte sono belle distese sulla sabbia, riparate dalle dune, a crogiolarsi sotto i raggi solari di questa giornata limpida e non troppo fredda. Vediamo anche una femmina incinta e qualche giovane che prova ad attirare l’attenzione di un adulto, forse per giocare, ma per tutta risposta ottiene solo di essere scacciato con qualche rognoso grugnito! Alla fine della visita facciamo anche il Border Walk per conto nostro, che ci porta a vedere altri esemplari sonnacchiosi tra cui un maschio adulto veramente enorme! Ritorniamo sulla South Coast Road e poco dopo giungiamo alla deviazione per Little Sahara: dune di sabbia bianchissima in mezzo ad un mare di eucalipti, veramente un panorama suggestivo a 360° sull’isola. C’è anche una famiglia con bambini che prova a fare snow boarding… Anzi, sand boarding! Sulla strada per il Flinders Chase NP ci fermiamo in uno dei percorsi denominati Koala Walk. Di koala non ne vediamo neanche uno, più che altro perché siamo impegnati a cercare l’animale strambo della giornata: l’echidna, ma senza successo… in compenso c’è un koala che bruca le sue foglie balsamiche proprio sopra il nostro camper! Arriviamo al centro visitatori del parco che sono circa le tre e abbiamo una gran fame, perciò ci facciamo un bel Beef Burger annaffiato dalla birretta prodotta qui a KI… stasera yogurt! Riflettiamo se fare o no il Platypus Walk, ma capiamo che non ci stiamo con i tempi, in più la ragazza al banco ci spiega che i momenti migliori per vedere questo altro animaletto bislacco sono l’alba e il tramonto; decidiamo quindi di tornare la mattina seguente molto presto e di dirigerci ora verso Cape Borda. La ragazza ci avverte che, arrivando presto, troveremo l’ufficio chiuso, e che quindi possiamo pagare la tassa del parco quando torniamo dal giro… cosa che in Italia succederebbe sicuramente! Dopo 30 km di strada sterrata (che con il nostro camper non potremmo assolutamente fare) ma non impegnativa arriviamo al faro per scoprire che l’ultima visita guidata partiva alle due del pomeriggio. Il custode (Mike), tipo solitario e taciturno, ci fa comunque visitare il minuscolo museo attiguo al faro e ci mostra un canguro con il cangurino nel marsupio che ogni tanto fa capolino per brucare un po’ di erbetta, per poi tornare quasi subito al calduccio! Che tipo il custode! Tipico lupo di mare, maglione a collo alto e barba di qualche giorno, ci racconta che vive lì da solo e questo spiega le bandiere issate sul pennone: quella che indica la M, sua iniziale, e quella che a noi sembrava la bandiera del Giappone e invece sta ad indicare il numero 1, perché in effetti lui è l’unica persona ad abitare lì! Questa storia delle bandiere la capiremo solo quando visiteremo il faro di Cape Willoughby, al momento invece rimaniamo con qualche punto interrogativo… Qui al faro di Cape Borda incontriamo una famiglia di australiani che si portano in giro una ragazza francese adolescente (che probabilmente sta facendo l’anno in Australia) e che non pare proprio entusiasta di essere in giro al freddo; li incontreremo altre volte in giro per l’isola, e alla fine anche sul traghetto il giorno del ritorno, dove la signora, dai lunghi capelli bianchi sempre acconciati a treccia, vorrà per forza scattarci una foto. Sulla strada del ritorno, che ci regala viste mozzafiato complici il tramonto e la terra più che rossa, ci fermiamo a fotografare il cimitero dei guardiani del faro, e avvistiamo finalmente l’echidna, ma non facciamo in tempo a scendere dal camper che è già sparito in mezzo alla boscaglia… E’ già quasi buio e arrivare al campeggio scansando i wallaby saltellanti in qua e in là è un’impresa, bisogna guidare a passo d’uomo (non riesco a superare i 20 km/h) e comunque si rischia di prenderne sotto qualcuno; alla fine avvistiamo il campeggio, felici di non avere fatto danni. Il Western KI Caravan Park sembra deserto, anzi, probabilmente lo è davvero; entriamo nella casupola del custode che naturalmente ci dice che possiamo sistemarci dove vogliamo, tanto è tutto vuoto! Il ragazzo ci da una mappa del campeggio e ci consiglia di fare i due percorsi naturalistici perché di notte, dice, gli animali selvatici scendono dagli alberi. Appena usciamo infatti vediamo diversi wallaby che brucano erba lì intorno, e non so quanti opossum brushtail. Mentre andiamo a fare la doccia troviamo un koala sull’albero, che come solito sta ruminando le sue foglie di eucalipto, e scorgiamo (il buio è quasi completo) almeno tre o quattro wallaby che ci gironzolano attorno. Ci mangiamo le mani per non avere una torcia, e proviamo comunque a fare un giro con un paio di candele in mano, trovate nella cucina da campo del campeggio, ma è troppo buio e le candele illuminano a malapena le nostre mani! Dopo una doccia calda veramente rigenerante (ci voleva!) mangiamo e verso le dieci, quando a casa sono all’incirca le due di pomeriggio, andiamo a telefonare per dare notizia di noi a chi sta dall’altra parte del mondo; la cabina è un vecchio carretto da panettiere e stasera, complici il posto e tutti questi animali, ci sembra di chiamare la civiltà da un altro pianeta veramente tanto, troppo lontano, ma dove noi stiamo tanto bene, così bene che non torneremmo più a casa! Il koala che avevamo visto non c’è più… allora non crescono sugli alberi!!

Venerdì 20 luglio (Kangaroo Island, Km 156) Stamattina la sveglia è puntata davvero all’alba perché il nostro programma prevede da ieri il Platypus Walk nel Flinders Chase NP. Prima di partire però dobbiamo per forza perdere qualche minuto: un bellissimo e pacioccoso koala sta facendo colazione proprio sopra il nostro camper, a circa 30 cm dalle nostre teste… come deve essere morbido! Uscendo dal campeggio ripercorriamo a ritroso la strada di ieri sera ricordandoci di tutti gli animali che ci attraversavano la carreggiata e alle 8.15 siamo sul posto, sicuramente siamo i primi perché nel parcheggio non c’è anima viva. Entriamo nel parco e la vista è davvero entusiasmante, sotto i colori dell’alba il paesaggio invita alla pace e al riposo, se non fosse per il freddo… il sole, nemmeno troppo timido a dire il vero, comincia poi a fare capolino da dietro gli alberi e ad illuminare le radure attraversate dal percorso che stiamo facendo per arrivare agli stagni e fiumiciattoli dove vive quest’altro animale curioso che la natura ha inventato. Il giro è molto piacevole, ci fermiamo spesso su piattaforme di osservazione sperando di scorgere un guizzo, un movimento improvviso che ci segnali la presenza dell’ornitorinco, ma purtroppo non ne vediamo nemmeno uno; al ritorno, quando ci fermeremo a pagare la tassa di ingresso al parco al visitor centre la ragazza ci spiegherà che non è il periodo ideale per vedere questi animali, poiché l’acqua in inverno è molto fredda e il loro cibo scarseggia, per cui gli ornitorinchi si ritirano da qualche parte in attesa della primavera, anche se nessuno sa esattamente dove. Vediamo comunque alcuni wallabies, canguri (l’erba è letteralmente costellata di pallette-ricordo!) e delle strane oche (le oche di Cape Barren) grigie con un particolarissimo becco giallo fosforescente e le zampe rosse e nere. Sugli alberi sentiamo cantare alcuni pappagalli, e con uno in particolare Mirco si mette anche a gareggiare in una sfida all’ultimo fischio… chi sarà il vero pappagallo? Appagati dalla bella e rigenerante passeggiata mattutina riprendiamo il nostro Apollo e ci rimettiamo in marcia verso Cape du Couedic, dove si trova un suggestivo faro e dove vive una nutrita colonia di foche della Nuova Zelanda che in effetti, come avevamo letto sulla guida e nei vari itinerari su Turisti per Caso, emanano un fetore alquanto pungente anche se le si osserva dall’alto della scogliera ad almeno un centinaio di metri di distanza! Anche loro, come le otarie di ieri, si crogiolano al sole, spalmate sulle rocce, e i cuccioli provano a giocare con gli adulti, a dire il vero con poco successo. Diamo un’occhiata anche ad Admiral Arch, una formazione rocciosa sull’oceano che ci ricorda l’entrata della salentina grotta Zinzulusa. Il faro non è visitabile, ma si erge imponente in fondo alla strada tutta curve che scende verso la scogliera, e ha comunque il suo fascino anche perché è ben conservato. Lungo il sentiero incontriamo la famiglia di tedeschi che era con noi sul traghetto, e la figlia ci racconta che vengono da Darwin, dove ci sono 30°…E già pregustiamo il caldino che ci accoglierà tra qualche giorno; oggi comunque il cielo è terso, attraversato solo da qualche bianco nuvolone coreografico, e il sole scalda abbastanza, quindi siamo ben felici di goderci l’isola! Seguendo la strada tortuosa lungo il ciglio dell’oceano ci dirigiamo poi verso Remarkable Rocks, bizzarra formazione rocciosa in granito che spunta improvvisamente dalla bassa vegetazione battuta dal vento. Le rocce, lavorate e scolpite nei secoli dalla salsedine, dal mare e dal vento, sono ricoperte da un lichene che conferisce loro il famoso color arancio e che le rende pericolosamente scivolose, tanto che non mancano i cartelli di pericolo un po’ ovunque, perché se da un lato ci sono la brughiera e la strada, dall’altra le rocce tondeggianti scivolano rapidamente verso la scogliera scoscesa e sotto… solo l’oceano con i suoi marosi. Uno dei cartelli avverte proprio di un incidente qui avvenuto nel vicino 2003, quando diverse persone hanno perso la vita nel tentativo di salvare un turista tedesco che si era spinto un po’ troppo in là con l’obiettivo di scattare una foto più artistica del solito… Questo luogo ci piace molto, il paesaggio è quasi lunare, le rocce hanno le forme più strane e contorte, e camminarci intorno riserva scoperte ad ogni angolo, tant’è che facciamo un sacco di belle foto. Sulla strada per il parcheggio abbiamo anche un colpo di fortuna e troviamo per terra una batteria identica a quelle per la nostra macchina digitale! Riprendiamo la Playford Highway (che nome esagerato per una strada costiera ad una sola, normalissima corsia!) e la percorriamo a ritroso fino a Kingscote, facendo una sosta alla Island Pure – Sheep Dairy & Cheese Factory, dove ovviamente compriamo formaggio e yogurt. Evitiamo la visita guidata perché tanto noi italiani di formaggi siamo piuttosto esperti (specie in Emilia-Romagna!) e ci sembra valga la pena solo assaggiare le loro specialità. Il formaggio è tutto comunque fresco, qui il formaggio stagionato e puzzolente non esiste! Comunque buono, anche lo yogurt.

Vogliamo arrivare a Kingscote prima delle cinque perché a quell’ora arriva il pescatore che tutti i giorni dà il pesce ai pellicani, e non vogliamo perderci lo spettacolo. I pellicani non vivono lì, ma arrivano puntualissimi tutti i santi giorni a mangiare, per poi tornare da dove sono venuti. La gente si raduna vicino al porto, arriva il pescatore, arrivano i pellicani e anche qualche gabbiano a dire il vero, il pescatore butta i pesci ai volatili che si azzuffano soddisfatti e poi via, a casa, anche per oggi hanno mangiato, anche per oggi lo spettacolo è finito. Nel frattempo io sono bloccata dentro un internet point perché devo mandare dei documenti al lavoro, e mi ritrovo a pensare alla stranezza di trovarsi in questa isola fuori dal mondo e riuscire a scannerizzare e inviare documenti via mail. Ma forse è una pura questione di sopravvivenza… Per finire la giornata in bellezza ci fermiamo al KI Fresh Seafood, pescheria dove si può comprare il pesce crudo, già cotto e persino scegliere il pesce crudo, farselo cuocere e mangiarlo lì seduti a tavolino. Dopo lunghi momenti di indecisione davanti a quel banco spettacolare ci facciamo preparare una decina di enormi cozze della Nuova Zelanda (fritte!), un bel filetto di salmone e uno di tonno, e poi ci prendiamo due bei marrons di Kangaroo Island, specie di piccoli astici pescati nei mari intorno all’isola e specialità del posto. Ma perché da noi non esistono dei posti così? Mangiamo divinamente e spendiamo solo 28,30 AUD, neanche 17 euro… Dato che sull’isola ci sono solo due campeggi, torniamo al primo, che è il più vicino, quello di Nepean Bay e ci sistemiamo per la notte dopo la solita ritemprante doccia calda.

Sabato 21 luglio (Kangaroo Island, Km 178) Oggi è l’ultima giornata sull’isola, e sicuramente questo ci dispiace, ma possiamo dire di averla esplorata piuttosto a fondo! Per l’ultimo giorno abbiamo tenuto le aziende, e iniziamo dalla Emu Ridge Distillery (www.Emuridge.Com.Au), che produce olio di eucalipto puro al 100% (l’unico tutto australiano, almeno stando alle parole della proprietaria) e cosmetici vari sempre a base di olio balsamico. Appena arriviamo davanti alla distilleria ci vengono incontro una vecchia cagnona e… un canguro! C’è una specie di negozietto e subito esce la proprietaria, che ci saluta e ci dice che quella è Roxy, una cangurina di 9 mesi che vive lì. Scopriremo poi nel corso della visita che Roxy è sopravvissuta ad un incidente con un auto nel quale è invece morta la sua mamma che la teneva nel marsupio, e quindi, ancora neonata, è stata adottata e allattata con il biberon fino ad oggi dalla signora Bev. Dentro al negozio ci sono due ceste, una per Rosie (la cagna) e una per Roxy, dove lei si va a rintanare infilandosi dentro ad un maglione giallo cucito a mo’ di sacca. Mentre giochiamo con Roxy arriva un pullman e ci aggreghiamo alla loro visita guidata. Bev ci racconta la storia sua e di suo marito e di come, da allevatori di pecore, abbiano deciso di cambiare mestiere e ripristinare un’attività per cui in passato l’isola era famosa: quella della distillazione d’olio di eucalipto. Qui infatti cresce una particolare varietà dell’albero, a foglia piccola e stretta, che contiene una quantità d’olio superiore a quella che si può trovare in tutti gli altri tipi di eucalipto. L’azienda è autosufficiente, perché viene utilizzata solo l’energia solare, quella eolica e qualche macchina a vapore. La visita è interessante e divertente, poiché Roxy pensa bene di ‘stendere’ (letteralmente) un bambino con il quale aveva iniziato a giocare… chissà, magari lo vedeva come un altro piccolo canguro! Compriamo qualche prodotto, salutiamo Roxy che dorme nel suo cestino e proseguiamo verso la Clifford’s Honey Farm e le sue api liguri! Sì, perché anche se sembra bizzarro, le api che producono il miele a KI vengono dalla Liguria; vennero introdotte alla fine dell’800 e sono oggi l’unico ceppo di api liguri di razza pura al mondo, dato che prima di esse a KI non esistevano api. A parte il minuscolo museo l’Honey Farm dispone di un nutrito negozietto che vende miele e prodotti a base di miele e cera d’api. In più assaggiamo, consigliati dalla guida, il famoso gelato al miele prodotto dalla proprietaria secondo una ricetta segreta; devo dire che da buoni italiani partiamo prevenuti… ma ci dobbiamo ricredere, è davvero ottimo! Assaggiamo anche i chocolate honey combs, specie di spumini al miele ricoperti di cioccolato. L’ultima ‘azienda’ che visitiamo è la Jumbuck Australiana, che produce lana. E che lana! Le pecore hanno un mantello così spesso che ricade a boccoli sul corpo e sulla testa, nascondendo perfino gli occhi. Jumbuck, senza smettere un attimo di filare la sua lana, ci spiega le varie fasi di lavorazione, le tecniche di estrazione della lanolina, ed infine il fatto che una volta la lana veniva lavata a basse temperature in modo che la lanolina rimanesse nel filato e facesse da impermeabilizzante nei maglioni e nei berretti, soprattutto dei marinai e dei pescatori. Anche qui non resisto e compro un paio di calze e un burro cacao alla lanolina, poi riprendiamo la strada principale e ci dirigiamo verso la prossima meta, il faro di Cape Willoughby. Stavolta la strada, oltre ad essere sterrata, è anche messa piuttosto male, piena di buche e allagata a tratti, e tra andata e ritorno saranno sicuramente più di 50 km. Giunti al faro ci prenotiamo per la visita delle 14 e nel frattempo facciamo pausa pranzo sul nostro camperino, circondati da un paesaggio mozzafiato. Il faro sorge infatti sull’estremità orientale dell’isola, al di sopra di una scogliera che domina un vasto tratto di oceano, e mentre guardiamo verso l’orizzonte vediamo anche lo sbuffo di una balena! E’ davvero emozionante… anche se non sappiamo ancora cosa ci riserverà il Whale Watching Tour ad Hervey Bay, nel Queensland, la prima volta è sempre la prima volta… La visita guidata è molto interessante e siamo accompagnati dalla famiglia di australiani che già avevamo incontrato al faro di Cape Borda; il custode ci fa salire sino in cima alla terrazza del faro e ci racconta di come si viveva in passato e di come si vive tuttora su un faro, le attività che a tutt’oggi vengono svolte quotidianamente (rilevazioni metereologiche) e la vita dura che gli antichi guardiani conducevano in questo posto isolato da tutto e da tutti, dove non si riusciva nemmeno a coltivare qualche ortaggio per colpa del vento che radeva al suolo qualsiasi tentativo, la difficoltà di approvvigionamento in certi periodi dell’anno, e la conseguente dieta a base di wallaby, canguri e opossum.

Attorno al faro sono conservate alcune ossa di balena e vediamo scorrazzare alcuni pappagallini coloratissimi (i rainbow lorikeet). Fatte un po’ di foto riconduciamo il nostro mitico Apollo sulla strada sterrata e ci incamminiamo verso Penneshaw, dove stasera ci aspetta la cosiddetta parata dei pinguini. Sull’isola vive infatti una colonia di pinguini minori, alti non più di una trentina di centimetri e dal mantello blu cangiante. Arriviamo con largo anticipo al paese e ci facciamo un giro, ma fa talmente freddo che alla fine ci rintaniamo in un bar / negozio e ci facciamo un bel tè caldo per ingannare il tempo e il gelo. Verso le otto, con un buio pesto, andiamo a vedere questi famosi pinguini, che sono veramente simpatici, chiacchieroni e… puzzolenti, tanto che ci ricordano i leoni marini di ieri. Al tramonto escono dall’acqua e si rifugiano nelle loro tane sulla costa, ce ne sono dappertutto! Non solo nell’area che è stata recintata dagli abitanti per proteggerli, ma lungo la strada, nei giardini delle case… ora ci spieghiamo perché la prima sera abbiamo visto sia il cartello stradale, sia un pinguino lungo la strada! Ci sono anche alcune coppie con il loro piccolo, e riconosciamo il vociare che fanno, tutti assieme, rendendo questo posto prima totalmente silenzioso improvvisamente molto animato; già nell’avvicinarci alla spiaggia avevamo sentito questo verso strano, ma non ci eravamo resi conto che erano proprio loro. Per pernottare dobbiamo per forza raggiungere un campeggio, e quello più vicino è il solito di Nepean Bay, quindi ci facciamo una trentina di km buoni in direzione Kingscote e arriviamo là che l’ufficio è già chiuso… pazienza, tanto ormai ci conoscono, pagheremo domani! Col senno di poi potevamo forse rimanere a dormire a Penneshaw ma insomma, cerchiamo in tutti i modi di essere ligi ai regolamenti, e visto che in Australia il campeggio libero è vietato… La distanza è però ripagata dall’avvistamento del mitico echidna!! Per fortuna, siamo contenti di averlo visto prima di abbandonare l’isola… appena ci fermiamo e scendiamo si appallottola e riusciamo a scattare un paio di foto solo alla ‘palla’, prima di risalire sul camper e vederlo sgattaiolare furtivo a rifugiarsi in mezzo al bush.

Domenica 22 luglio (Kangaroo Island – Adelaide, Km 178) E’ il giorno del ritorno sulla terraferma. Partiamo un po’ in ritardo dal campeggio e corriamo un po’ per strada ma arriviamo comunque tranquillamente a Cape Jervis per prendere il nostro traghetto. Dopo le solite manovre in retromarcia, scendendo dal camper, troviamo 20 dollari per terra… se li aggiungiamo alla batteria trovata a Remarkable Rocks i giorni sull’isola possono davvero considerarsi fruttuosi! Sul traghetto per l’ultima volta incontriamo la famiglia australiana con adolescente francese al seguito, e la madre insiste per farci una foto mentre la nave sta lasciando il porto… e io sono già in preda al mal di mare (dal sorriso forzato della foto il malessere è piuttosto evidente).

Scesi dal traghetto facciamo una sosta benzina e partiamo alla volta di Adelaide. Attraversiamo una bella regione, in parte coltivata e in parte dedicata all’allevamento di bestiame, e abbastanza abitata rispetto ai canoni dei giorni passati. Passiamo in mezzo a paesini dal nome curioso e siccome oggi è domenica c’è un sacco di gente in giro, e famiglie che gironzolano a piedi lungo la strada. Notiamo che i negozi sono quasi tutti aperti, e capiamo che anche se chiudono alle cinque di pomeriggio, i servizi sono comunque generalmente garantiti sette giorni su sette, al contrario che da noi. Arriviamo ad Adelaide in un paio d’ore e rintracciamo piuttosto agevolmente la sede dell’Apollo seguendo la cartina che ci aveva consegnato il mattacchione del noleggio di Melbourne. Riempiamo nuovamente il serbatoio prima della consegna e via! La prima tranche del nostro viaggio si conclude qui, in questa città dalle ampie strade e da un animatissimo centro pedonale, pieno di vita e di negozi aperti anche oggi che è domenica.

Fatte due chiacchiere con l’addetta dell’Apollo che ci racconta del suo italianissimo marito ci facciamo chiamare un taxi e andiamo ad appoggiare le borse all’ostello Backpack OZ, prima di farci un giretto in città visto che abbiamo ancora tutto il pomeriggio davanti. L’ostello non è malaccio, in precedenza era un hotel, è piuttosto colorato e sembra abbastanza tranquillo e non particolarmente affollato. Alla reception prenotiamo già lo shuttle che domattina presto ci porterà all’aeroporto, da dove prenderemo il volo per Darwin. Si va al caldo!! Molliamo i bagagli e ci fiondiamo a fare un giro per il centro… qui bisogna sbrigarsi, che alle cinque chiude tutto! Anche se durante il tragitto in taxi la città ci era sembrata un po’, come dire, asettica… dobbiamo ricrederci perché ha un vivacissimo centro pedonale e uno stile architettonico oserei dire stravagante, perché buffi edifici in pieno stile ‘far west’ (come l’Austral Hotel) convivono con ultramoderni superpalazzoni in pieno stile metropolitano. Sarà un pomeriggio spendaccione perché, visti i prezzi notevolmente più bassi che in Italia, ne approfitteremo per fare un po’ di acquisti (un paio di jeans a testa). Quando cominciano a chiudere i negozi ci ricordiamo di avere fame e testiamo il famoso KFC, anche se hanno finito il famoso pollo fritto original recipe… Torniamo in ostello e dopo qualche mail e una bella doccia ce ne andiamo a nanna, perché domattina la sveglia, come al solito, suonerà presto!

Lunedì 23 luglio (Adelaide – Darwin) Sveglia alle 5.30! Alle 6.40 abbiamo il bus per l’aeroporto ma succede un piccolo ‘disguido’ che ci fa perdere i 10 dollari della cauzione della chiave della stanza, infatti quando vediamo il bus che ci aspetta dall’altra parte della strada ci accorgiamo che la porta della reception è chiusa… dove se ne sarà andato il ragazzo? E così lasciamo la chiave sul banco ma nessuno ci può restituire la cauzione! In più lo shuttle costa 15 dollari e non 10 come ci avevano detto in ostello… insomma, forse è l’unico ostello sul quale abbiamo qualcosa da ridire in fatto di professionalità! Impariamo poi dall’autista che è abitudine per i receptionist accompagnare in giro chi ne ha bisogno, ad esempio i ragazzi che, ospiti dell’ostello, devono prendere un treno dalla stazione… in questo modo però i favori per qualcuno si trasformano in disservizi per qualcun altro! Il giorno dopo da Darwin scriveremo una mail di reclamo all’ostello, senza però mai ricevere risposta… L’autista è davvero sportivissimo e ad un certo punto cazzia anche un tipo che, invece di salire, si mette a chiacchierare con un passante, apostrofandolo con un deciso “This is not a taxi… this is a bus!” Arrivati all’aeroporto ci mettiamo in fila al check-in Quantas per Darwin… destinazione Top End! Partiamo puntuali e appena finita la fase del decollo gli efficientissimi steward e hostess della compagnia di bandiera cominciano a rimpinzarci di cibo, così facciamo una seconda colazione con tanto di latte e cereali Kellog’s. Arriviamo a Darwin alle 12.20 in perfetto orario.

Mentre scendiamo la scaletta dell’aereo e camminiamo (sì, avete letto bene!) verso l’aerostazione la capitale del selvaggio Northern Territory ci dà il benvenuto scaldandoci le spalle con il suo umido tepore tropicale. Devo dire che dopo una settimana e più di freddo intenso il caldo sulla pelle fa proprio piacere, ma per tutta la giornata rimarremo piuttosto storditi e sfiancati dal repentino cambio di temperatura… qui ci sono una trentina di gradi buoni, e per di più belli umidi! L’aeroporto è piccolissimo ma tutto colorato, pareti e moquette sono decorati con i motivi tipici aborigeni e un cartello dà il benvenuto da parte delle popolazioni originarie di queste zone. Usciamo e il sole splende su una vegetazione nuova, palme e fiori dappertutto, e già sentiamo i numerosi cinguettii di tutti i vari volatili che ci intratterranno nei prossimi giorni. Prendiamo il solito shuttle e andiamo a sistemare le nostre cose al Frogshollow Hostel, poi, entusiasti, usciamo subito in esplorazione! L’ostello è a circa una decina di minuti a piedi dal centro e camminando sotto il sole ora che sono circa le due e mezza di pomeriggio ci rendiamo subito conto che il nostro fisico sta cominciando a risentire del clima; ci trasciniamo sfiaccati per le strade di questa cittdina che ci sembra subito piuttosto divertente e piena di giovani. Darwin è in effetti una delle città più giovani della comunque giovanissima Australia, perché è stata interamente ricostruita dopo essere stata letteralmente rasa al suolo dalla violenza nefasta di un ciclone tropicale negli anni ’50 (da verificare). La via principale, Mitchell Street, è piena di ostelli, locali, pub, take away e agenzie che vendono escursioni più o meno avventurose nei dintorni (tra le quali vediamo anche la nostra cara Aussie Adventure, con la quale abbiamo prenotato l’escursione alla Tiwi Islands!). Girovaghiamo un po’ senza meta e poi, stoditi, decidiamo di fermarci un po’ per riposare e mangiare qualcosa. Scegliamo un food court con l’aria condizionata sparata a palla (tutta salute…!) e ci rimpinziamo la pancia con una porzione ‘big’ di noodles, pollo all’aglio e barramundi in salmì (“four choices”, come ci esorta la ragazza tailandese vista la nostra esitazione).

Rientrati in ostello troviamo alla reception un fax di Aussie Adventure che ci dà il benvenuto e ci conferma la prenotazione del tour alle Tiwi per i due giorni successivi.

Dato che abbiamo ancora un po’ di pasta residua dalla settimana in camper decidiamo di cucinarci due fusilli con un sughetto inventato al momento… pomodoro e qualche cappero trovato nella cucina dell’ostello. La cucina sicuramente, come del resto tutto l’ostello camera compresa, non è sicuramente fra i più puliti, anche se è carino per come è fatto, a due piani con una specie di corridoio – terrazzo davanti alle camere, dove ci sono alcuni tavolini; ci mettiamo proprio a mangiare seduti ad uno di questi e ci godiamo ancora una volta la possibilità di stare all’aperto senza gelare! Dopo cena ci facciamo una passeggiatina digestiva fino al pub The Deck in fondo a Mitchell St., dove ci beviamo una buona e dissetante James Squire Amber Ale facendo due chiacchiere con il cameriere, che dalla parlata non sembra proprio australiano… e infatti è un tedesco di Monaco! Alle undici tutti a nanna che domattina si parte per le Tiwi!

Martedì 24 e mercoledì 25 luglio – TIWI ISLANDS Nemmeno stamattina il nostro destino è quello di poltrire sotto le coperte, ma oggi l’alzataccia è ricompensata da un tour che abbiamo sognato sin dal momento in cui abbiamo iniziato ad organizzare questo viaggio! Le Tiwi sono due isole a nord di Darwin, distanti dalla costa circa un’ottantina di km, raggiungibili con due ore di traghetto o mezz’ora di volo. Visto che è la nostra luna di miele ci siamo viziati un po’ e abbiamo scelto questa seconda opzione, e non vediamo l’ora di vedere dall’alto questa terra di acqua e mangrovie. Con un po’ di (strano) ritardo passa l’airport shuttle e scopriamo che tutte le persone a bordo sono dirette al nostro stesso terminal, denominato General Aviation, per prendere il volo dell’Australasian Jet. Entriamo in una piccola saletta che proprio per le ristrette dimensioni risulta un po’ affollata anche se poi di gente non ce n’è così tanta; i due impiegati fanno un po’ di confusione con nomi e valigie, pesano noi e i bagagli e segnano tutto su un registro da dove poi attingeranno i dati e soprattutto le somme dei pesi per poter organizzare gli aerei. Nuovi a tutto questo non capiamo subito il perché di tanti calcoli, ma afferriamo tutto al volo appena vediamo gli ‘aerei’ su cui ci fanno salire! Il primo, da 10 posti, parte e noi rimaniamo un po’ ad aspettare con un’altra coppia di signori di Sydney, e ci tremano le gambe appena vediamo l’aereo (se si può chiamare così) su cui ci vogliono far salire! E’ minuscolo, appena 6 posti compreso il pilota, che però si rivelerà essere un gran soggetto, pieno di tic, incapace di stare fermo sul sedile. Appena vede un po’ di colore ricomparire sulle nostre guance proprio il pilota ci illustra le misure di sicurezza e poi… si parte! All’inizio scherziamo un po’ per rilassare l’atmosfera, ma ci dobbiamo subito ricredere perché il volo è entusiasmante… il velivolo vola ad un’altezza relativamente bassa per cui è possibile vedere tutta la costa e il verde tropicale della vegetazione che affonda letteralmente le radici nell’azzurro cangiante dell’oceano. Arriviamo a Nguiu dopo circa mezz’ora e troviamo ad attenderci i due pullmini della Tiwi Tours. Qui veniamo divisi in due gruppi, perché la maggior parte farà il tour di un giorno. Noi del ‘two days tour’ siamo in undici e subito arrivano le due guide a presentarsi: John, sulla quarantina, della locale popolazione Tiwi, e Liam, più giovane, con una massa di capelli rasta nascosti dal tipico cappello australiano, con una vaga somiglianza a Luca Bizzarri. Scopriremo nel corso del tour che sono due tipi simpatici, in gamba e John ‘gambe a stecco’ si fumerà anche un toscano la sera davanti al fuoco, provocando le grasse risate e il tipico sfregamento di mani dell’amico Liam. Ci sentiamo di consigliare vivamente questo tour, è stata per noi una splendida occasione per scoprire la cultura della popolazione originaria di questa immensa terra prendendola dal lato meno ‘turistico’ di un’etnia che ha vissuto isolata per secoli (i Tiwi non si sono mai mischiati alle altre popolazioni aborigene del resto dell’Australia) e di un territorio che la maggior parte delle agenzie di viaggio nemmeno conosce. Noi ne siamo venuti a conoscenza tramite Donnavventura e abbiamo copiato l’idea informandoci su internet. Il tour inizia proprio a Nguiu, centro principale dell’isola, dove visitiamo 2 laboratori d’arte Tiwi, il museo della storia Tiwi e la bellissima chiesa della missione cattolica insediatasi sull’isola un centinaio di anni fa. Prendiamo poi il tè (il billy tea, dal contenitore in cui il tè viene preparato negli accampamenti) con le donne Tiwi, che ci mostrano nel frattempo la lavorazione dei cesti e la tecnica della classica pittura ‘a puntini’ aborigena, poi tutti si esibiscono nei balli locali e nella smoking ceremony, portafortuna. Insieme al tè assaggiamo lo squisito pane che viene cotto sotto la cenere. Chiacchieriamo un po’ con le altre guide e scopriamo che si ricordano bene delle ragazze di Donnavventura… e che le hanno molto apprezzate!! Per la sosta pranzo ci riuniamo con l’altro gruppo vicino ad un tranquillissimo laghetto. Dopo mangiato visitiamo un burial site, luogo dove i Tiwi ricordano il defunto con i tipici pali, i pukumani, decorati con simboli che rimandano alla vita del caro estinto. E’ già pomeriggio avanzato e bisogna avvicinarsi al campo dove trascorreremo la notte, vicino al lago Moantu. Qui troviamo un campo con una baracca dove le guide tengono lenzuola, coperte, cuscini e le tende… naturalmente da montare! Ci sono poi un wc e addirittura una doccia, piuttosto spartani (il wc è a fossa biologica ed entrambi sono alimentati da una cisterna d’acqua posta sul tetto) ma utili! Per il resto una specie di gazebo con tavolo e sedie e naturalmente a terra il posto per il BBQ. In due e due quattro montiamo le tende, sistemiamo le nostre poche cose e mentre Liam rimane lì a preparare il billy tea noi ci arrampichiamo con John in cima ad una bellissima duna di sabbia rosata per ammirare il tramonto che spazia dal lago Moantu fino al mare. Affascinati dai colori ridiscendiamo la collina di sabbia per tornare al campo sempre in compagnia del ‘piromane’ John. Non è difficile infatti in Australia vedere vaste aree di bush annerite dal fuoco appiccato dagli aborigeni; all’inizio non ne capivamo il perché, e ci faceva strano vedere John spesso con il fiammifero acceso in mano, poi ci ha spiegato che nell’alta sterpaglia è impossibile vedere gli animali, e di conseguenza cacciare, e che, parallelamente, l’erba nuova che cresce dopo l’incendio attira gli animali. In gruppo con noi c’è un tizio sulla sessantina, appassionato di serpenti, che in continuazione spera di vedere uno dei suoi amati rettili, e per entrambi i giorni ci tormenterà coi suoi ‘carpet snake’ e ‘black-headed pyton’, compreso stasera… Al ritorno al campo troviamo tutto pronto per il tè, e facciamo una pausa rilassante prima della cena… la cena! Liam e John si mettono davanti al BBQ per arrostire canguro, barramundi e coccodrillo, tutto veramente squisito. Peccato solo per la bevanda simil-vino al posto dell’acqua… Dopo la cena e dopo che i ragazzi hanno lavato i piatti e risistemato ci sediamo un po’ intorno al fuoco a fare due chiacchiere, e diamo un toscano a John, che lo fuma assieme a Mirco suscitando le risate di Liam. Mi faccio anche mostrare da Liam la Croce del Sud, la famosa costellazione dell’emisfero australe che ospita la stella che indica il sud, equivalente opposta della nostra stella polare. Il cielo australiano è una delle meraviglie che ci rimarrà più impressa tra le tante cose che vedremo in questo viaggio, è di una bellezza travolgente, così limpido e pieno di stelle da sembrare molto più vicino del nostro. E questo la dice lunga sull’inquinamento, specialmente su quello luminoso, dato che evidentemente il cielo è dappertutto lo stesso… Dopo una bella dormita riposante ci svegliamo tra i versi sgraziati dei cacatua e, fatta colazione e smontate le tende, si riparte per la seconda giornata del tour, tutta all’insegna della natura. La prima sosta è alle scogliere d’ocra da dove i Tiwi attingono i colori naturali per le loro opere (bello il contrasto con il blu del mare e l’ocra rossa che tinge l’acqua), poi ci attende un bel giro sulla spiaggia per ‘cacciare’ le uova di tartaruga (uno degli alimenti locali) seguendo le tracce lasciate dalle mamme che durante la notte si avventurano sulla spiaggia per nidificare. Altro appuntamento l’abbiamo con i famosi mangrove worms, che in realtà non sono vermi ma molluschi che vivono nei tronchi putrescenti delle mangrovie… cibo prelibato per i Tiwi, come ci dimostra John, che se ne mangia una decina davanti ai nostri occhi! Alcuni coraggiosi li assaggiano e dicono che in fondo non sono male, assomigliano alle costose e raffinate ostriche… sarà, ma ho la scusa che non mi piacciono nemmeno le ostriche!! Terminiamo il pomeriggio con un bel bagnetto rinfrescante nelle Maralumpi Waterholes, dopodiché purtroppo ci attende il rientro a Darwin. Salutiamo Liam e John (che si sta fumando uno dei toscani che gli abbiamo regalato!); stavolta ci tocca il velivolo un po’ più grande a 10 posti e, con un caldo terribile a bordo, lasciamo Bathurst Island verso le quattro e mezza, un po’ tristi ma felici per la bella esperienza.

La sera ci facciamo un giretto per Darwin e per cena ci facciamo un kebab con due belle birrette fresche. Prima di andare a nanna l’ultima incombenza: la lavatrice! Crolliamo dal sonno, ma purtroppo si deve fare!!

Giovedì 26 luglio (Darwin) Oggi giorno di relax a Darwin prima della seconda avventura in camper (e sarà anche la tratta più lunga). La prima tappa sarebbe l’Acquascene, specie di acquario ‘all’aperto’ situato sul litorale della città, dove si può dare da mangiare direttamente in mare alle numerosissime specie di pesci locali che arrivano lì per l’occasione; scopriamo però che l’apertura e determinata daii giorni di alta e bassa marea… e naturalmente oggi è chiuso! Peccato, ci facciamo comunque una bella passeggiata per Darwin e nel grande parco che collega l’Acquascene al centro ci diamo al birdwatching scoprendo come solito un’infinità di volatili strani, tra i quali una specie di merlo bicolor bianco e nero, il bellissimo ibis dai colori cangianti e un altro stranissimo uccello simile ad un trampoliere ma con una specie di maschera gialla che gli penzola dal muso… dopodiché facciamo una puntatina veloce al Coles e la conseguente pausa pranzo seduti sulle panchine.

All’ufficio turistico ci informiamo sul famoso mercato del giovedì sera, il Mindil Beach Sunset Market, e il ragazzo ci informa che se abbiamo voglia di camminare un po’ possiamo tranquillamente farcela a piedi. Verso le cinque e mezzo ci incamminiamo e in circa 40 minuti, attraversando parte dei quartieri residenziali, arriviamo a destinazione. La popolarità del mercato si nota subito: centinaia e centinaia di persone stanno già affollando il luogo, molti con sedie, tavolini da campeggio, frigo da pic-nic in una mano e l’immancabile stubbie-holder con relativa birra gelata nell’altra. In spiaggia una miriade di persone si sta godendo il tramonto sul mare, davvero indimenticabile. Ci tuffiamo nella piazza e nelle viuzze affollate di bancarelle, tra i mille colori dell’arte aborigena e gli odori degli stand che cucinano cibo di ogni angolo del mondo. In una banchetto giapponese assaggiamo una succulenta tempura di gamberi e zucca, ma poi non riusciamo a resistere davanti al RoadKill Café, il cui motto è “You kill it, we grill it”… qui cadiamo sulle salsicce di cammello, di opossum, e naturalmente sul crocco-spiedino! Vediamo anche un bellissimo didjeridoo e prima della fine della serata ce lo compriamo; sulla strada del ritorno, in mezzo agli alberi abitati dai simpaticissimi opossum, lo portiamo a spalla fino all’ostello e ora ci manca solo di spedirlo per posta!

Venerdì 27 luglio (Darwin – Jabiru, Km 265) Ci svegliamo presto per andare a ritirare il nostro secondo camper alla sede dell’Apollo che tra l’altro, senza farlo apposta, è a cinque minuti a piedi dall’ostello. Fatte tutte le pratiche per il ritiro torniamo al Frogshollow, carichiamo le borse e il didjeridoo (per qualche notte dormirà sul letto di fianco a noi, prima di essere spedito in Italia, visto che l’ufficio postale di Darwin oggi è chiuso per il 56° Royal Darwin Show, la fiera agricola più importante della regione, mah… che feste hanno questi australiani!?). Ci accorgiamo che ci hanno consegnato il mezzo un po’ sguarnito, perché mancano il tavolino, le sedie e gli strofinacci, nonché il filo da stendere e lo scopettino, ma ce ne accorgiamo tardi e non vogliamo tornare indietro e perdere tempo, decidiamo comunque di segnalarlo al prossimo noleggio.

Facciamo un po’ di spesa al Woolworth e poi via verso il Kakadu NP! Appena usciamo da Darwin il paesaggio comincia subito a diventare molto monotono, ma penso che questo sia solo l’inizio! Rossa terra brulla, alberi spernacchiati e altissimi termitai ci accompagnano fino alla nostra prima sosta, l’Adelaide River, dove facciamo la crociera dei Jumping Crocodiles. I coccodrilli si vedono davvero, e davvero saltano con metà corpo fuori dall’acqua per afferrare la pork chop che la signorina vestita alla Crocodile Dundee fa penzolare da una canna appesa fuori dal balcone; che bestioni! In effetti forse si tratta più che altro di uno spettacolo per turisti, ma non costa molto e direi che ne vale la pena anche per vedere i falchi che alla fine vengono ad afferrare i cubetti di carne al volo. Proseguiamo poi per un centinaio di km fino a Jabiru, cittadina che viene definita ‘the heart of Kakadu’. Oggi, causa la festività, è tutto chiuso, ma definire cittadina questo sparuto gruppo di case è comunque esagerato… secondo i canoni di qui quando tornerò a casa potrò dire di vivere in una città, invece che in un paesino di un migliaio di anime!! A Jabiru c’è comunque un bellissimo campeggio con tanto di piscina, delle cui gelide acque approfittiamo volentieri dopo il caldo di oggi. Nei campeggi australiani si può vedere l’amore degli aussie per la vita all’aria aperta: persone di ogni età, molte roulottes, camper che sembrano – anzi sono – veri pullman… e ogni campeggio ha la sua area barbecue! Per la cronaca, una cartello appeso al vetro della reception avverte di prestare attenzione ai serpenti velenosi e di portarsi dietro una torcia quando cala il buio evitando di allontanarsi dai sentieri…

Sabato 28 luglio (Jabiru – Cooinda, km 175) La sveglia suona puntualmente alle 6.40 ma riusciamo a mettere il naso fuori dalle coperte solo alle sette e mezza… certo che ci stiamo facendo la cura del sonno, visto che qui la sera non c’è granché da fare! Usciamo da questo bellissimo campeggio dopo la solita abbondante colazione e, prima di iniziare la nostra giornata, ci dirigiamo verso Jabiru per fare diesel. E’ qui che abbiamo il primo contatto con la complicata realtà di queste terre; infatti le pompe al momento sono “not in use” e la signora della petrol station corre subito fuori a dirci che il diesel non arriverà prima delle tre del pomeriggio. La difficoltà a rifornire i servizi in questi luoghi si riflette naturalmente anche sul prezzo, la benzina infatti qui e nel red centre toccherà le quote più alte di tutta la vacanza. Noi comunque abbiamo ancora metà serbatoio, quindi riusciremo ugualmente a fare quello che avevamo pensato per stamattina, ma rimane il fatto che questo ‘contrattempo’ ci servirà per imparare che la prima cosa da fare quando si arriva in un paese è verificare subito la situazione carburante! Partiamo prendendo la strada per Ubirr e dopo una quarantina di km arriviamo al sito di arte rupestre più celebre del Kakadu. Parcheggiamo e ci inoltriamo a piedi nel parco; i dipinti sono tanti, alcuni conservati piuttosto bene e altri meno, ma comunque il sito è molto affascinante sia dal punto di vista artistico sia da quello paesaggistico, ci arrampichiamo fino in cima al belvedere sulla Nardab Floodplain, da dove si gode una vista unica a 360° sulla pianura alluvionale e sui billabong che rimangono dopo la stagione delle piogge, e dove gli animali vanno ad abbeverarsi. Peccato non riuscire a fermarsi fino al tramonto, da qui su deve essere veramente spettacolare… Davanti alla parete di roccia dove ci sono le pitture più importanti stentiamo a credere ai nostri occhi ma alla fine dobbiamo riconoscerlo: arriva (purtroppo) un pullman di turisti e tra questi c’è… il bambino ‘steso’ da Roxi!! Ce la prendiamo comoda, davanti ad altri dipinti ascoltiamo un ranger che ci descrive la storia che viene qui descritta, anche per capire qualcosa in più delle complicate leggende aborigene sulla creazione del mondo e sulle strane creature che popolavano il mondo al tempo degli avi. Riprendiamo il camper e ci fermiamo al folkloristico Border Store, sull’East Alligator River, che segna il confine con le terre aborigene. Nel parcheggio dalla parte opposta della strada facciamo pic nic, ci cuociamo un bel piatto di pasta coi pomodorini freschi e mangiamo con calma seduti sulle panche, poi ci facciamo un giretto a piedi, fotografando i cartelli di attenzione ai coccodrilli (!) e il passaggio di confine tra il Kakadu e le terre aborigene dell’Arnhem Land, dove per accedere bisogna essere in possesso di uno speciale permesso rilasciato a Jabiru dalle autorità del posto. Con questo permesso sarebbe stato possibile giungere fino ad Oenpelli, su piste che immagino sterrate e polverose, e con un bel mezzo 4×4! Sembra di essere sulla scena di un film, il passaggio non è sul fiume, è proprio DENTRO il fiume, nel senso che per attraversare il confine bisogna guadare il corso d’acqua e i cartelli parlano chiaro, con tanto di fotografie! Il fiume a volte si alza per un’improvvisa piena e il passaggio viene totalmente sommerso, diventando impraticabile anche per i 4×4… A proposito di coccodrilli: il ranger di Ubirr diceva di prestare attenzione anche nelle affascinanti waterfalls che si trovano tutto attorno al parco, e dove molta gente si reca anche per fare il bagno; solitamente i coccodrilli non si spingono così lontano, e i guardiaparco cercano di tenere controllata la situazione con regolari sopralluoghi, ma il monitoraggio non può essere sicuro al 100%! Brr… ve lo immaginate? Un idilliaco paradiso in mezzo al verde, una cascata tropicale, un bel bagno rinfrescante e… due occhietti gialli che si avvicinano veloci…!!! Il pomeriggio facciamo finalmente il pieno a Jabiru, dopodiché ripartiamo per Nourlangie Rock (Anbangbang e Burrunggui in lingua aborigena), meno interessante dal punto di vista artistico ma comunque affascinante per la vertiginosa scarpata. Anche qui ascoltiamo i racconti dei ranger e la leggenda dell’uomo fulmine, identificato in un bestiolino tipo millepiedi che compare dopo i temporali).

La prossima tappa è la crociera sulle Yellow Waters, che faremo domani, quindi ci dirigiamo verso Cooinda; arriviamo al campeggio del Gagudju Lodge che è già quasi buio e non troviamo più piazzole con attacco luce, comunque hanno posto e ci sistemiamo per la notte. Alla reception ci prenotiamo per la crociera seguendo i consigli della ragazza; optiamo quindi per quella all’alba quando, ci dicono, si vedono più animali. Quella successiva, alle 10.30, risente già del troppo caldo, che induce gli animali a trovare riparo dal sole fino all’ora del tramonto. Al minimarket non resistiamo e compriamo il nostro primo… peanut butter!! La principale attività sportiva di queste terre umide è la pesca, e infatti poco dopo assistiamo al rientro di una barca e alla pulizia del famoso barramundi, per gli amici ‘barra’!

Domenica 29 luglio (Cooinda – Katherine, km 271) La sveglia stamattina? Alle 5.50!! la crociera sulle Yellow Waters parte alle 6.45, ma alle 6.25 abbiamo il ritrovo alla fermata dello shuttle, di fronte alla reception. C’è parecchia gente, e infatti all’imbarco ci dividono in 3 barche. Il ricordo dell’alzataccia sparisce appena molliamo gli ormeggi… la barca viene condotta a ritmo più che rilassato lontana dalle altre, in modo che ogni gruppo possa avere il proprio territorio da esplorare; d’altronde direi che qui lo spazio non è assolutamente un problema! Scivoliamo lenti e sonnacchiosi sulle acque del fiume che in realtà è già brulicante di fermento vitale, anche ora prima dell’alba. Con la luce del sole, che in meno di 5 minuti sarà già alto, arrivano centinaia, anzi forse migliaia di uccelli di ogni tipo: anatre, oche, ibis, aironi, falchi, aquile, il martin pescatore e chissà quante altre specie iniziano ad affollare il cielo e i pascoli liquidi delle Yellow Waters. Poi a poco a poco i dorsi rugosi dei coccodrilli cominciano a rompere la liscia superficie dell’acqua, pronti a non lasciarsi sfuggire nemmeno un raggio del prezioso, caldo sole.

Dopo due ore di lenta navigazione i nostri occhi saranno pieni di bei ricordi e le nostre macchine fotografiche avranno rubato decine di incredibili immagini da documentario.

Torniamo in campeggio alle nove e dopo la solita ricca colazione ai bagni conosciamo Lorenzo e Francesca, di Firenze, che incontreremo diverse volte durante il resto del viaggio.

Appena partiti facciamo una sosta al centro culturale aborigeno Warradjan, che dista pochi km dal campeggio, poi via, alla volta di Katherine! Per sgranchirci le gambe dopo le ore passate alla guida facciamo una sosta a Pine Creek, paese sorto all’epoca della febbre dell’oro e oggi sparuto gruppo di case che vive solo di quei ricordi. Facciamo un rapido giro per il museo all’aria aperta dove sono raccolti locomotive e strumenti legati alla tecnica dell’estrazione del metallo prezioso per eccellenza, poi ci rimettiamo in marcia.

Arriviamo a Katherine e scopriamo una cittadina deserta (è domenica); parcheggiamo sulla strada e ci facciamo un giretto, incontrando solo aborigeni che ciondolano per la strada e chiacchierano riuniti in gruppetti. E’ triste, ma è la realtà; fuori dalle loro terre e dalle loro comunità i veri abitanti abitanti dell’Australia sono stati portati a diventare dei disadattati, non è difficile da capire… una popolazione primitiva prelevata dalla sua cultura senza tempo e sbattuta nella modernità, in una città, negozi, auto, tecnologia, comodità e gente bianca… Ne approfittiamo per fare un po’ di spesa al Woolworth e poi ci incamminiamo per trovare un powered site per la notte, dato che il giorno prima abbiamo fatto senza elettricità ora ci serve un attacco per ricaricare il frigo. Sarà l’unica volta che faticheremo un po’ a trovare un posto, giriamo un paio di campeggi e nessuno ha una piazzola con la luce, ma alla fine uscendo appena dal paese verso sud riusciamo a trovare al villaggio All Season. Alla reception la ragazza ci assegna la piazzola, e noto che a fianco c’è scritto ‘en suite’. Mi interrogo sul significato della cosa finché non vedo la piazzola e non credo ai miei occhi… le piazzole sono disposte a raggiera attorno ad un edificio ottagonale che ospita… 8 toilette, una per postazione! Il campeggio è molto bello, anche qui c’è la piscina ma stavolta non ne approfittiamo. Decidiamo di uscire per cena e andare in un localino che abbiamo visto il pomeriggio, il Diggers Den, un pub/ristorante (licensed) che per poco più di 20 euro ci ha offerto una cena a buffet a base di zuppa del giorno, 3 tipi di arrosto (beef, pork & lamb) con 6 tipi diversi di contorno e 3 birre! La donna al bancone, che naturalmente da buona australiana si mette a chiacchierare con noi, ci racconta di Nino, suo marito, di origine calabrese… Tornati al campeggio dopo la lauta cena ci facciamo un giretto a piedi digestivo e vediamo uno strano movimento sugli alberi; incuriositi ci avviciniamo e puntiamo la luce della torcia in mezzo alle fronde… e probabilmente disturbiamo una delle tante volpi volanti penzolanti dai rami, che subito parte verso di noi! La nostra fuga è rapida, rapidissima! Altro che i nostri pipistrelli, questi sono molto più brutti e grandi come un bel gattone!! Ci rifugiamo sul nostro camperino, anche se continuiamo a sentirne i versi sgraziati… brr!

Lunedì 30 luglio (Katherine – Daly Waters, km 309) Trascorriamo una tranquilla mattinata a Katherine in giro per i vari negozietti finalmente aperti. Ci infiliamo in un simil-antiquario (perché in effetti vende un po’ di tutto) e compriamo una riproduzione di una vecchia pubblicità di un sapone, una confezione in latta di talco Johnson probabilmente degli anni ’60 – ’70, e una macchina da scrivere giocattolo inglese per mio padre. Visitiamo due gallerie d’arte aborigena segnalate sulla Lonely Planet nella speranza di trovare un bel dipinto da portare a casa, ma i prezzi sono proibitivi come al solito. Quanta speculazione! Prossima tappa: ufficio postale… dobbiamo ancora spedire in Italia il nostro didje! In posta acquistiamo una ‘didje box’ (hanno le scatole apposta!!), impacchettiamo il tutto e andiamo allo sportello. Alla fine decidiamo di spedire via mare perché costa molto meno… te lo credo, ci mette due o tre mesi!! Beh… vorrà dire che quest’anno riceveremo un bel regalo di Natale! Tra pacco, scotch, spedizione e assicurazione spendiamo circa 75 AUD, circa 45 euro. Dopo una settimana di dormite a fianco del nostro didje a malincuore ce ne separiamo… chissà se mai arriverà a destinazione? Risaliti sul nostro supercamper ci dirigiamo verso la School of the Air, la scuola via radio, che permette ai bambini che vivono sparsi nell’outback di avere una normale istruzione, e che è presente anche in altri centri isolati tra i quali Alice Springs. Peccato però che sia già mezzogiorno e l’ultima visita guidata sia stata alle 11, vorrà dire che ci riproveremo proprio ad Alice. Prima di lasciare definitivamente Katherine proseguiamo sulla strada della scuola fino al Knotts Crossing, luogo del primo insediamento del paese e punto di attraversamento del fiume. Anche qui i soliti cartelli di attenzione coccodrilli avvertono gli incauti bagnanti. Ci fermiamo un’oretta per il pranzo, poi ci rimettiamo sulla Stuart Hwy in direzione sud. Un centinaio di km di strada punteggiata da cadaveri di animali ai lati e caratterizzata dall’acre odore di morte che a tratti entra violentemente dai finestrini aperti e già decidiamo di fare una sosta rilassante: qui si trova infatti la piscina termale naturale di Mataranka, dove incontriamo nuovamente Lorenzo e Francesca e assieme a loro ci facciamo un bel bagnetto ritemprante di un’ora e mezza nelle trasparenti acque color acquamarina della piscina a temperatura ambiente… mmh, l’ideale dopo tanta strada! Con i due fiorentini facciamo un po’ di chiacchiere e ci scambiamo le impressioni su questo strano continente dove fuori dalle città il tempo sembra essersi veramente fermato. Anche loro sono entusiasti e sognano di trasferirsi qui un giorno, chissà… Scopriamo che anche loro hanno pensato come noi di fermarsi per la notte a Daly Waters, forse poco più di un puntino sulla carta geografica, ma sede del più ‘antico’ pub dell’intera Australia… e mica ce lo potevamo perdere!! Alla fine percorriamo la strada praticamente insieme, e loro ci seguono fino al Daly Waters Pub; ci arriviamo che è già buio, entriamo nel campeggio anche se c’è scritto di rivolgersi prima al pub (e infatti prenderemo il nostro avere dal gestore!) e ci facciamo accompagnare proprio da lui, in sella alla moto, alla nostra ‘piazzola’. Spartano, molto spartano, ma qui le roadhouse sono tutte così: pub, che fa anche da ristorante e da motel, uno spiazzo come campeggio, qualche bungalow prefabbricato e toilette da cantiere… ma che spettacolo! D’altronde offrono un servizio eccellente, perché ovunque trovi sistemazioni economiche senza problemi e scorci veramente autentici di questa regione tutta particolare. Ci sistemiamo, decidiamo di non approfittare della serata BBQ (strano!!) del pub ma di mangiare per conto nostro, dopodiché entriamo in quello che per tutti gli australiani, e di conseguenza per i turisti, è un pub storico. La pareti non si vedono dalle mille e mille foto, maglie, reggiseni, mutande, infradito, targhe, bandiere e chi più ne ha più ne metta lasciate come ricordo da chi è passato di lì. Ci facciamo una prima birra fresca con Lorenzo e Francesca e mentra chiacchieriamo e giriamo per questo fantastico locale ci attaccano bottone due australiani seduti al banco, Graham, di Melbourne, e John, di Brisbane, operai della Telstra (equivalente della nostra Telecom) in giro per lavoro, anche se a giudicare dalle birre che si sono fatte durante la serata non si direbbe!! Passiamo una bella serata, ci raccontano che sono in viaggio per andare a riparare alcune linee telefoniche nei territori aborigeni dove, per entrare, è necessario avere un permesso ministeriale, e si offrono anche di portarci con loro. Sarebbe una bellissima esperienza, ma purtroppo dobbiamo declinare l’invito perché vorrebbe dire rallentare di un paio di giorni, maledetta tabella di marcia!! Ci facciamo un sacco di risate e scopriamo che John è un fiero membro del Ducati Club del Queensland, tanto che molto orgoglioso regala a Mirco la maglietta dell’associazione. Ci racconta che negli anni passati è stato anche presidente del club, ma che purtroppo non è mai riuscito a venire a Bologna a visitare la Ducati. Graham invece ha la mamma olandese e un fratello sposato con una ragazza toscana che, ci dice, appena arrivata in Australia ha deciso di non tornare più in Italia… non stento a crederci! Dopo avermi detto che io lì troverei lavoro subito (sigh sigh…) ci offre un’altra birra e continua a offrircene per tutta la serata (“tanto paga la Telstra!”), meravigliandosi che una donna riesca a bere una pinta di birra… ma non sa con chi ha a che fare!! Scopriamo con stupore che anche lì, dall’altro capo del mondo, hanno gli stessi pregiudizi sui meridionali che ritroviamo nel nostro nord. I veneti e i piemontesi? Instancabili lavoratori. Siciliani? Calabresi? No lavoro, solo mafia! Non ci potevo credere… Dopo qualche ora di chiacchiere e risate salutiamo i nostri due amici ringraziandoli per le birre e per la bella serata, ci scambiamo gli indirizzi e ce ne andiamo a nanna.

Martedì 31 luglio (Daly Waters – Wauchope Roadhouse, km 544) La mattina ci alziamo, salutiamo Lorenzo e Francesca che d’ora in poi faranno più o meno il nostro giro ma con qualche giorno in meno e poi torniamo dentro il pub e non resisto a comprarmi la canotta di questo posto così particolare. Facciamo anche diesel (naturalmente a prezzi alti se comparati con i normali standard australiani) e poi si riparte! Ci fermiamo già dopo pochi km facendo una piccola deviazione dalla Stuart Highway per dare un’occhiata alla cittadina fantasma di Newcastle Waters, abbandonata negli anni ’70 insieme alla chimera dell’oro. Più che una cittadina anche questa è solo un puntino sulla mappa, una stradina polverosa ai bordi della quale rimangono ancora oggi ad affascinarci alcuni edifici ormai in decadenza: il Junction Hotel con le sue vecchie pompe di benzina Shell corrose dal sole, il bancone della reception, il vecchio frigo, le stanze, le toilettes con tanto di vasca da bagno ed il General Store, l’emporio.

Seguiamo ancora per un po’ l’interminabile nastro d’asfalto prima di fermarci a mangiare qualcosa nel parcheggio del Renner Springs Desert Roadhouse e quando ripartiamo, dopo circa una settantina di km, vediamo una vecchia Holden ferma sull’altro lato della strada. Facciamo inversione e torniamo indietro, in nome della prudenza a cui gli australiani ci hanno abituato. L’auto ha infatti il parabrezza completamente frantumato e la signora sulla cinquantina alla guida ci spiega che una pietra è schizzata dalla ruota di un road train che la precedeva causando il danno che, desolata, stava constatando quando ci ha visti fermare. La signora, che stava procedendo in direzione contraria alla nostra verso nord, ci chiede se possiamo aiutarla fermandoci alla prima roadhouse (saranno almeno 40 km da qui, ci dice) per comunicare telefonicamente i dati della sua polizza all’assicurazione. Mentre scriviamo tutti i dati ci rassicura dicendo di non preoccuparci perché ha acqua (20 litri!) e cibo a sufficienza e che aspetterà lì il carro attrezzi o eventualmente tenterà di procedere molto lentamente verso nord. Ci racconta anche che da tempo dice al marito di montare la radio sull’auto… in effetti in questi casi servirebbe! Ci rendiamo conto che ora qui è inverno e benché faccia caldo le temperature non sono così insopportabili, ma capiamo perché in tutta la regione avvertano i turisti “fai da te” dei pericoli di guidare autonomamente nel Northern Territory: siamo in mezzo al deserto, i telefoni non prendono (l’unico modo di comunicare è via radio), le Roadhouse distano anche centinaia di km e le temperature, di giorno, arrivano a sfiorare i 50°… ecco perché consigliano di portare con sé almeno 20 litri d’acqua a testa e cibo a sufficienza, ed eventualmente di sdraiarsi sotto l’auto per ripararsi dal sole; senza pensare a tutte le piste non asfaltate e alle strade secondarie dove non passa nessuno per ore e ore.

Dopo averla salutata con un doverosa “Good luck!” ci rimettiamo in marcia e ci fermiamo alla Three Ways Roadhouse, dove la ragazza del bar telefona all’assicurazione e ci mette un bel po’ di tempo a far capire all’addetto dove si trovi Three Ways… e comunque il carro attrezzi arriverà da Alice Springs, e ciò significa almeno 500 km di distanza! Fatto il nostro dovere e sperando in bene ripartiamo per Tennant Creek. Attraversiamo quest’altro paese in mezzo al nulla, facciamo diesel e un po’ di spesa e proviamo anche ad entrare da un macellaio per cercare il coccodrillo, ma purtroppo l’hanno finito! Verso le cinque e mezza arriviamo ai Devil’s Marbles, che è la nostra meta per il tramonto di oggi. Dopo kilometri e kilometri di terra piatta, rossa, punteggiata solo qua e là dai cespugli di spinnifex ecco che cominciano a spuntare queste curiose formazioni rocciose tonde, come tante sfere lanciate a caso da chissà chi ai tempi degli antenati. Al tramonto, se possibile, le rocce diventano ancora più tonde illuminando tutto di una luce soffusa che ha del magico, peccato solo per le mosche! Facciamo un po’ di foto e poi ancora una decina di km quasi al buio fino alla Wauchope Roadhouse dove ci fermeremo per la notte.

Mercoledì 1 agosto (Wauchope – Alice Springs, km 414) La meta di oggi è Alice Springs! A pochi km dal campeggio ci fermiamo a dare un’occhiata alla Wycliffe Well Roadhouse, rinomata per essere luogo di avvistamento di UFO… entriamo e il locale è deserto, c’è solo il gestore che sta facendo colazione, evidentemente oggi siamo stati piuttosto mattinieri! Le pareti sono letteralmente rivestite da centinaia di foro e articoli che documentano gli incontri ravvicinati e gli avvistamenti verificatisi in zona. Anche l’esterno della roadhouse non è da meno ed è decorata da decine di pupazzi dalle sembianze extraterrestri; non mancano neanche i cartelli stradali visibili dalla Stuart che invitano a fare attenzione ai “landing U.F.O.”! Certo che qui in mezzo al deserto qualcosa ci si deve pur inventare per sopravvivere…! Un’altra breve deviazione la facciamo per raggiungere la Red Centre Farm, azienda che coltiva mango e produce marmellata (molto dolce, naturalmente, ma sfiziosa), gelato (buono), salse varie e vino (?).

A Ti Tree ci fermiamo a vedere la Red Sand Gallery, che ha dei bei didjeridoo e vende opere della comunità aborigena di Utopia.

Arriviamo nella capitale del Red Centre verso le tre e mezza e finalmente possiamo dire di aver attraversato mezza Australia; Alice Springs è infatti il punto centrale della lunghissima strada chiamata Stuart Hwy che collega nord e sud, Darwin e Adelaide, una traversata di circa 6500 km che ha il sapore di un sogno e dei viaggi dei tempi antichi. Noi ne abbiamo percorsa metà, l’altra metà offrirebbe la sosta alle miniere di opale e alla città sotterranea di Coober Pedy ma purtroppo il tempo è sempre tiranno, anche se cinque settimane prima di partire ci sembravano un tempo infinito… Facciamo un giretto per il centro, che si riduce ad un paio di strade, due supermercati, una decina di gioiellerie che vendono opali e la solita serie di negozietti di souvenir. C’è però un bel negozio di musica che vende soprattutto percussioni e didjeridoo e che fa workshop gratuiti, ma purtroppo il prossimo sarà lunedì e noi saremo già in volo per Cairns… Avvistiamo un locale che ci ispira per la cena, un po’ in stile pacchian-western… ma è buffo! Andiamo al campeggio, paghiamo la notte, dopodiché usciamo di nuovo mentre i nostri vicini di piazzola si accingono a preparare il loro BBQ; il locale si chiama Bo’s Saloon & Restaurant ed è davvero pazzesco, all’entrata c’è una botte piena di noccioline e la pelle di un enorme coccodrillo troneggia in bella vista sul soffitto davanti al bancone. Al banco ordiniamo le birre, poi ci sediamo per farci un piattone di carni miste tra cui spiedini di cammello e polpetta di crocodile (appunto). Sparse per il locale ci sono delle webcam che trasmettono in diretta sul loro sito internet: in pratica, si potrebbe telefonare a casa e contemporaneamente… ciao mamma, guarda come mi diverto (e c’è chi lo fa)!! Soddisfatti per la buona cena e per aver visto un po’ di gente dopo tanto deserto ce ne torniamo al campeggio e anche per oggi è arrivata l’ora della nanna.

Giovedì 2 agosto (Alice Springs – Kings Canyon, km 505) Stamattina ci incamminiamo prestino perché vogliamo andare a visitare la School of the Air, visto che ci siamo persi quella di Katherine. Alle 8.30 perciò siamo già davanti alla scuola; le addette sono molto gentili e anche se probabilmente siamo i primi visitatori ci fanno entrare ed accomodare per vedere un filmino su come è organizzata la scuola che ha le aule più grandi del mondo (ovvio!). Riusciamo anche ad assistere ad una vera lezione in diretta, e scopriamo aspetti interessanti sulla strana vita che conducono i ragazzini dell’outback. Gli aborigeni vivono in comunità e il governo riesce ad assicurare almeno un insegnante per gruppo, mentre i bambini bianche sono sparsi su di un territorio vastissimo e molto spesso appartengono a famiglie che vivono isolate nelle cattle station, gli allevamenti di bestiame, a centinaia di kilometri dai centri abitati. La condizione perché un bambino possa usufruire del servizio via radio è infatti che viva ad almeno 80 km dalla scuola più vicina. Tutto viene finanziato dal governo: libri, strumentazione tecnica e, una volta l’anno, la ‘gita’ di socializzazione ad Alice, che permette loro di conoscere gli altri bambini. Questo avviene anche via radio, infatti alla lezione a cui assistiamo in diretta partecipa oltre alla maestra anche uno degli alunni della scuola, che a turno vengono a trasmettere per socializzare con i loro compagni lontani. Appeso al muro c’è un grande poster con le foto di tutti i bambini posizionate sulla cartina del Northern Territory.

Siamo molto affascinati da questa realtà, ma quando guardiamo l’orologio sono già le dieci, ed è ora di proseguire il nostro viaggio. Salutiamo, ringraziamo e poi ci spariamo tanti, ma tanti km perché oggi la nostra meta è il King’s Canyon. C’è da dire che i tempi di percorrenza nel NT sono effettivi, grazie alla totale assenza di traffico, cosa che non sarà invece nel Queensland, dove circolano molte più macchine (molte è inteso sempre per i canoni australiani, per noi italiani un ‘traffico’ così sarebbe un sogno!) e dove troveremo spesso lavori stradali. Proseguiamo verso sud fino ad Erldunda, poi svoltiamo a destra sulla strada per Ayers Rock e poi ancora a destra sulla Luritja Road.

Sulla strada vediamo molte carogne di animali (anche un cammello!) ed enormi aquile che, appollaiate sul loro pranzo, non accennano nemmeno a spostarsi quando passiamo. Per sicurezza noi rallentiamo comunque, e facciamo bene! visto che di ritorno da Ayers Rock una invece penserà bene di alzarsi in volo e, vista la lentezza, fra un po’ si schiantava contro il nostro parabrezza! Il cielo è nuvoloso e man mano che ci avviciniamo diventa sempre più grigio… facciamo appena in tempo a fare il percorso breve di 2 km che inizia a piovere, speriamo che domani il tempo migliori perché vogliamo fare anche il percorso superiore, quello che lambisce l’orlo del Canyon. Il percorso breve invece penetra, per un paio di km appunto, nella gola ed è carino, anche se molto meno affascinante; ci permette però di vedere le famose Honey Ants, formiche di cui sono ghiotti gli aborigeni e che immagazzinano nel loro gonfio ventre un liquido zuccherino simile al miele, poiché vengono utilizzate dal popolo delle formiche come risorsa alimentare in caso di carestia.

Sotto la pioggia ci avviamo verso il campeggio del resort sperando nel sole…

Venerdì 3 agosto (Kings Canyon – Uluru, km 362) …Grigio, grigio, il cielo è pessimo quando ci alziamo! Ma appena albeggia spunta il sole e il cielo si colora immediatamente dell’azzurro australe. Quindi ci lanciamo nel percorso più impegnativo, lungo 6 km sul crinale del canyon. Il primo tratto è ripido e alquanto faticoso, ma ne vale davvero la pena! Lo scenario e le vedute spettacolari che si hanno dall’alto ripagano gli sforzi fatti per arrivare fin su e i colori variegati della roccia in contrasto col verde della vegetazione e il blu intenso del cielo appagano la vista in tutto e per tutto.

Alla fine del giro e dopo un pranzo ristoratore ripartiamo alla volta di Ayers Rock, il mitico monolite luogo sacro degli aborigeni. La voglia di vedere questo luogo così speciale è talmente tanta che addirittura confondiamo con Ayers Rock il Mt. Connor, altro monolite meno famoso che si incontra sulla strada… Arriviamo a destinazione verso le quattro e devo dire che vedere la sagoma della montagna che si staglia nel blu all’orizzonte quando ancora siamo a 60 km di distanza lascia a bocca aperta; oltre al significato che rappresenta per i veri australiani, le dimensioni la rendono ancora più emozionante. Ci avviciniamo contemplandola fino ad arrivarci sotto; a quel punto parcheggiamo e per oggi ci accontentiamo del base walk, il sentiero che gira tutto attorno alla base e che, sinceramente, non ci regala più emozioni di quelle che abbiamo vissuto finora, perché ci rendiamo conto che è la visione d’insieme a renderlo davvero grandioso. Come da tradizione ora ci aspetta il tramonto, per cui ci dirigiamo verso il parcheggio da dove meglio si può ammirare il fenomeno, affollato come Piazza Maggiore il sabato pomeriggio. Qui troviamo i pullman, i camper, le auto e i gruppi organizzati organizzati con tartine e flute di aperitivo a base di coloranti rigorosamente analcolico; noi cerchiamo comunque di ritagliarci il nostro angolino per non perdere del tutto nella folla la magia di quello che stiamo per vedere. Ed ecco che il sole comincia a scendere, colorando il cielo di un rosa sempre più intenso, e dall’alto comincia a spuntare il blu della notte, che in nemmeno cinque minuti si mangia vorace tutte le sfumature di rosso e d’azzurro che si fondevano attorno alla roccia, tingendo anche il monolite del colore dell’oscurità. A domani, grande roccia, ora nessuno ti può più vedere se non immaginare il tuo profilo sotto la pallida luce delle stelle.

Al campeggio del resort, prima di abbandonarci a questa fredda notte stellata nel cuore dell’Australia, speriamo che domani ci venga regalata un’altra giornata così.

Sabato 4 agosto (Uluru, Katja Tjuta, km 136) Ci alziamo presto, ma non così tanto da non renderci conto che alla fine abbiamo rinunciato a vedere le prime luci dell’alba alzarsi sulla grande roccia rossa. Un po’ ci dispiace, soprattutto a me che sono la più romanticona, perché chissà se mai ci ricapiterà, ma il sonno era davvero troppo… Dopo la solita abbondante colazione ci rimettiamo in strada verso il parco e facciamo una sosta al cultural centre (meritata), dopodiché ci dirigiamo verso i monti Olgas, o Kata Tjuta, per chiamarli con il loro vero nome che in lingua aborigena significa “molte teste”. E davvero tante ‘teste’ vediamo diventare sempre più grandi man mano che ci avviciniamo a quest’altro sito molto suggestivo, forse ancora più affascinante dell’ormai inflazionata Ayers Rock. Parcheggiamo il camper e ci accingiamo a fare il percorso chiamato “Valley of the Winds” per il suono che il vento produce infilandosi e percorrendo le varie valli formate da tutte queste rocce rosse che spuntano dalla terra piatta dell’outback. Il sentiero è lungo 7,6 km ma merita davvero tutta la fatica e il sudore che si lascia sul percorso, poiché porta in luoghi che altrimenti rimarrebbero non visibili e quindi sconosciuti. Lungo il sentiero ci sono cartelli che avvertono del pericolo legato al vento, alle alte temperature e alla disidratazione; non è il nostro caso perché anche se fa caldo le temperature invernali sono più che accettabili, ma immagino che in effetti d’estate la situazione possa essere molto più critica. A metà circa del percorso troviamo anche una cisterna riempita con acqua potabile e con due rubinetti, per la salvezza degli escursionisti! Terminato il giro nella Valley of the Winds intraprendiamo anche il molto più breve sentierino che porta fino al cuore di una delle vallate principali; anche questo merita ma i paesaggi di cui si gode percorrendo la valley non lasciano dubbi su quale dei due percorsi preferire. Alla fine del nostro camminare ci fermiamo un po’ al parcheggio per godere ancora un po’ di questi meravigliosi panorami che pian piano si infuocano nel rosso del tramonto.

Anche questa sera pernotteremo al campeggio del resort per poi ripartire l’indomani alla volta di Alice Springs e trascorrere l’ultima nostra giornata nel red centre.

Domenica 5 agosto (Uluru – Alice Springs, km 465) Riprendiamo la strada di buon mattino a ritroso verso il centro che più centro non si può e ci facciamo un ultimo giretto in questa cittadina che sembra uscita dal più insolito dei film. La maggior parte dei negozi è chiusa essendo domenica, per cui ci trasciniamo per le strade semideserte con la lentezza di chi è un po’ restio ad andarsene e vuole godersi tutta l’atmosfera fino all’ultima briciola. Dopo cena, sempre per immagazzinare più ricordi possibili e entrare ancora un po’ nella vita sociale di questo luogo, torniamo da Bo’s a farci una birretta, sgranocchiare qualche peanut presa dalla botte, e ad osservare un campionario umano straordinario di gente che riesce a vivere (e sopravvivere) in un luogo remoto come questo.

Lunedì 6 agosto ( Alice Springs – Cairns) Il nostro volo è nel pomeriggio, per cui dedichiamo ancora la mattinata ad Alice; ci tenevamo a visitare la sede dei Royal Flying Doctors ma purtroppo scopriamo che in tutto il Northern Territory il primo lunedì di agosto è un giorno di festa, il Picnic Day. Scopriamo che questa festività fu introdotta per permettere agli operai che lavoravano alla linea ferroviaria di andarsene per un giorno a rilassarsi e fare un pic nic sull’Adelaide river, usanza meritevole, anche se nel 2007 non ci permette di visitare la sede dei medici “volanti”… peccato, ma ormai questo è davvero il nostro ultimo giorno qui. Davanti all’edificio incontriamo un’altra famiglia ‘ingannata’ dal Picnic Day, che alla fine per ovviare all’inconveniente decide di visitare il Reptile Centre dall’altro lato della strada; li seguiamo anche noi e devo dire che la visita si rivela utile e interessante. Assistiamo anche ad una dimostrazione dal vivo con alcuni serpenti e alcune specie di lizards (lucertole? Un po’ grandine…!!). Bel centro per imparare qualcosa in più sulle numerosissime specie di rettili che vivono in questo continente, a volte anche nelle città e quindi a strettissimo contatto con la popolazione. Come ci raccontano gli addetti del centro, il fatto di non sapere se un animale è pericoloso o inoffensivo crea panico e provoca reazioni violente, che possono essere anche molto dannose per l’uomo e che per la maggior parte delle volte portano alla morte dell’animale. E’ curioso scoprire come questi lucertoloni, solitamente di aspetto poco rassicurante, siano in realtà totalmente innocui e spesso vengano uccisi perché scambiati per serpenti! Prossima tappa è a questo punto la riconsegna del camper; sbrigate le solite formalità prendiamo un taxi con due olandesi che vanno come noi all’aeroporto, così riusciamo anche a dimezzare le spese per il taxi.

Arrivati all’aeroporto facciamo il check-in e poi ci sediamo un po’ in relax calcolando i km che ci siamo già sparati da quando siamo partiti da Melbourne: 3446 km percorsi in questo noleggio, che sommati ai 1973 del primo fanno (per ora) 5419 km… come dire, è come se fossimo andati su e giù per l’Italia almeno 4 volte! Arriviamo a Cairns verso le 17, dove ritroviamo il fuso orario del South Australia, quindi rispetto a Darwin e al Red Centre c’è solo mezz’ora di differenza. Ancora una volta palme, fiori e una vegetazione lussureggiante ci accolgono appena usciamo dall’aeroporto, come a ricordarci che ci siamo lasciati ormai alle spalle la polvere e la sabbia del deserto australiano e che ora siamo ai tropici! Ancora una volta i nostri borsoni spuntano dal nastro bagagli senza sorprese. Prendiamo come solito il bus degli hotel che per i soliti 15 dollari ci porta all’ostello, che stavolta è della catena YHA ed è molto carino e pulito. E’ fatto a corte con in mezzo l’area relax, zona biliardo e piscina. Appena il tempo di appoggiare le borse e via! Alla scoperta di Cairns, visto che purtroppo abbiamo solo questa serata per farlo… Scopriamo subito una città molto viva, con una sacco di locali e ristoranti e ci meravigliamo di trovare anche qualche negozio aperto; naturalmente sono solo quelli più “turistici” ma sono già qualcosa visto che generalmente alle cinque è già tutto deserto, e poi come giretto digestivo possono bastare. La zona vicina al mare e alla esplanade è bellissima, con la piscina balneabile che si estende fino al mare e tutti i BBQ attorno (tipicamente aussie…)! Questi australiani! Girando girando troviamo il food court e siamo già contenti; avevamo visto qualche localino che ci ispirava, ma il food court è decisamente il massimo. Siamo nel tropicale Queensland e ciò vuol dire che siamo nel regno del crocodile! Ben 2 stalls offrono infatti la specialità di queste zone, scegliamo quello che ci ispira di più e voilà! due bei piatti di crocodile tail fillet fumanti sono davanti a noi! E come poteva mancare un piatto di noodles fumanti come accompagnamento??? Dopo mangiato ci facciamo un giretto nel Night Market retrostante, dove troviamo qualche “paccottiglia” tra le tante, anche perché quasi tutti i banchetti di souvernirs sono gestiti da orientali. Continuiamo il nostro tour digestivo per le strade della città e dopo un po’ iniziamo a riavvicinarci all’ostello, dove ci aspetta una bella doccia rigenerante e poi… a nanna, pronti per una nuova giornata!

Martedì 7 agosto (Cairns – Cape Tribulation e ritorno, km 347) Stamattina abbiamo l’appuntamento per l’ultimo noleggio camper (sig!) Cairns – Brisbane. Con un taxi in circa 10 minuti siamo alla sede dell’Apollo. La carta di credito dà i soliti problemi ma pazienza, ormai non ci preoccupiamo più perché sappiamo come funziona, anche se sicuramente è sempre una perdita di tempo. Stavolta ci danno il Ford Transit, sempre Euro Tourer ma la versione più corta lunga solo 5,60 m; naturalmente il mezzo è meno spazioso ma guadagna in maneggevolezza su strada, tanto che sembra di guidare un’auto (però a 6 marce!). Appena ci consegnano il nostro nuovo camper partiamo subito in direzione nord, perché vogliamo arrivare fino a Cape Trib, come viene affettuosamente chiamato qui Cape Tribulation. Ci accorgiamo subito che la strada qui è molto diversa da quelle che abbiamo percorso finora, c’è molto più “traffico”, anche se mi rendo conto che per noi bolognesi abituati a code e lavori stradali ovunque questa dovrebbe essere veramente una sciocchezza! Tra l’altro qui non salutano nemmeno, riusciamo a strappare qualche ‘dito alzato’ soltanto da altri camperisti Apollo… Il paesaggio è sicuramente più vario di quello che abbiamo avuto modo di attraversare finora, coltivazioni di banane e ananas affiancano la strada e si alternano alle abitazioni dei (pochi) paesini, ma è la canna da zucchero con il suo odore acre a farla veramente da padrona. Dopo aver attraversato Mossman facciamo la prima tappa a Port Douglas, l’ultimo centro abitato di medie dimensioni prima di quella zona che a vederla sulla mappa è tutta verde come la fitta vegetazione che la ricopre. Il nostro intento infatti è anche quello di rifornire la dispensa! Il paese è molto carino, si sviluppa su una sola strada principale sulla quale si affacciano un sacco di negozi, ristorantini e agenzie di viaggio che vendono pernottamenti ed escursioni di uno o più giornate nei dintorni. Ci fermiamo in una a caso per chiedere un po’ di informazioni su di una escursione notturna a Cape Trib di cui avevamo letto da qualche parte, e alla fine prenotiamo per telefono (senza pagare commissioni perché il ragazzo fa parlare direttamente me) il Croc Spotting Nightwalk con il Mason’s Store per 38 dollari a testa. I Mason sono una delle prime famiglie che si sono insediate e che tuttora vivono nell’area di Cape Trib e per questo possiedono un’ampia porzione di foresta all’interno della quale organizzano le loro escursioni.

Port Douglas è anche famosa per la Four Miles Beach che, come dice il nome stesso, è una lunghissima spiaggia bianca lambita dalle palme. Facciamo qualche foto, la spesa, mangiamo un fish & chips annaffiato da James Squire Amber Ale in un pub irlandese (lo so, non è molto aussie…) e ripartiamo.

A Daintree ci si ferma per attraversare sulla chiatta il fiume che segna il confine con il capo e già dalla nostra parte vediamo i cartelli che annunciano la presenza dei casuari e dettano le norme di comportamento per la loro salvaguardia. L’imbarcazione ci trasporta in un paio di minuti sull’altra sponda del fiume, dove a mano a mano che procediamo la foresta tropicale si fa sempre più fitta e intensamente verde. Di cartelli coi casuari ne vedremo tanti, di animali nemmeno uno per l’intera giornata.

Ci fermiamo dopo una quindicina di kilometri a Cow Bay, dove ci facciamo una lunga passeggiata sulla bellissima spiaggia. E’ un paradiso: sabbia bianca, palme, pochissima gente che si gode la tranquillità e riusciamo a regalarci un po’ di relax. All’accesso troviamo la postazione pronto soccorso per le punture di meduse, con tanto di istruzioni e… aceto.

Un’altra tappa obbligata? La Daintree Ice Cream Company, dove assaggiamo 4 gusti (Soursop – aspro, come dice il nome, e non esaltante…-, Watterseed, Jackfruit e il più normale lampone). Forse più che per il gelato vale la pena venire qui per il posto in se’, perché davanti al chiosco si estende un giardino fiorito davvero entusiasmante.

Arriviamo a Cape Tribulation dopo esserci sbagliati e aver continuato per qualche km sulla non segnalata Bloomfield Track. Cape Trib è infatti l’ultima località raggiungibile con le normali automobili, dopodiché è possibile proseguire solo se in possesso di un 4×4. Facciamo inversione di marcia appena troviamo un angolo abbastanza largo da riuscire a girarci, impresa non facilissima lungo un tracciato in cui farebbero fatica ad incrociarsi due macchine.

Cape Trib è un rigogliosissimo promontorio coperto dalla foresta tropicale che, fittissima, si spinge fino al mare senza interruzione ed entra in acqua con le radici delle mangrovie. Restiamo sulla spiaggia a passeggiare per un’oretta, fino a che l’acqua non comincia a salire e la luce a calare. Ceniamo in camper davanti al Mason’s Store in attesa dell’orario di partenza dell’escursione. Che buio! Non si vede davvero nulla, il negozio ha chiuso e sembra davvero di essere fuori dal mondo… puntualissimo come al solito arriva il fuoristrada con la nostra guida e gli altri partecipanti raccolti chissà dove un po’ qua un po’ là nelle varie strutture ricettive della zona. Ci uniamo al gruppo e la nostra guida, un donnone vestito alla Crocodile Dundee, apre un cancello che dà accesso alla proprietà dei Mason e comincia ad inoltrarsi nella ‘giungla’. Quando finalmente spegne il motore e i fari, è davvero IL BUIO. La ‘ranger’ dota ognuno di noi di torcia e di alcune norme di sicurezza nel caso avvistassimo serpenti o coccodrilli. Per due ore e mezzo vaghiamo così nel mezzo della foresta, e lungo il percorso veniamo istruiti sulla flora e la fauna locale. La guida ci racconta anche dei casuari e delle associazioni che si battono per la loro salvaguardia; ci fa vedere due tipi di piante molto pericolose, tra cui lo ‘stinging tree’ di cui avevamo già letto sulla guida, un apparentemente innocuo alberino con le foglie a forma di cuore che però con la loro sostanza urticante possono provocare lacerazioni e ulcere dolorosissime. Insomma, l’Australia non è solo il regno degli animali più velenosi e pericolosi al mondo, ma bisogna guardarsi anche dalle piante! La visita si rivela affascinate ma un po’ deludente dal punto di vista dei pochi animali che riusciamo a scorgere, solo qualche mallamie e un paio di orrendi ed enormi ragnacci. D’altronde questo è la stagione secca, mentre nella stagione umida qui sarebbe tutto un fiorire di animali e… di rettili (brr…!).

Quando la guida ci lascia al nostro camper si raccomanda più volte di guidare con molta attenzione, perché purtroppo sembra che a fare i danni maggiori agli animali siano proprio i turisti che salgono fino a Cape Trib solo per una giornata e ritornano quando ormai il buio rende pericoloso girare per strada. Le promettiamo che faremo del nostro meglio e infatti non uccidiamo nessun animale, anche se in effetti i mallamies e bandicoots che incrociamo fino al traghetto sono veramente tantissimi! Sulla chiatta al ritorno siamo solo noi, soli soletti. Guidiamo fino ad oltrepassare Cairns, fermandoci un attimo a vedere un povero pitone in mezzo alla strada, schiacciato da un’auto. Ci fermiamo a dormire in un paesino appena fuori dalla Highway, vicino ad uno stabilimento di raffinazione della canna da zucchero, visto l’orario infatti stasera dobbiamo fare senza campeggio!

Mercoledì 8 agosto (Cairns – Airlie Beach, 581 km) Quando ci alziamo ci spostiamo dal paese e ci fermiamo a fare colazione in una bella area di sosta al lato della Highway dove vediamo che alcuni ragazzi, evidentemente molto meno ligi di noi in fatto di leggi e regole, si sono accampati per la notte addirittura con le tende. Oggi ci aspetta una giornata di trasferimento ‘intensivo’ (sempre in relazione alla calma con cui ci piace spostarci!); dobbiamo arrivare fino ad Airlie Beach perché domani abbiamo l’escursione alle Whitsunday Islands che abbiamo prenotato da casa via internet scegliendo tra le tantissime agenzie che propongono tour simili.

Per strada ci fermiamo in una roadhouse a telefonare e prenotiamo un campeggio (Flame Tree) vicino al porto, dopodiché contattiamo anche la Ragamuffin per accordarci sul pick-up del giorno seguente. Verso le 18, senza alcun intoppo lungo il percorso, siamo al campeggio. Il gestore, molto gentile, fa di tutto per trovarci un posto anche per la notte seguente. Siamo infatti in periodo di alta stagione per questi luoghi, sia perché appunto siamo nella stagione secca, sia perché da metà giugno circa inizia la stagione delle balene, che raggiungono le coste orientali dell’Australia dalle più fredde acque antartiche per riprodursi. Alla fine ce la fa e dobbiamo solo adattarci a stare senza corrente per una notte. Ci chiede se abbiamo già prenotato l’escursione alle Whitsunday e quando sente che l’abbiamo fatto con MaxiRagamuffin ci dice che è la migliore che potevamo scegliere… non male per aver scelto totalmente a caso!! Questa agenzia infatti utilizza barche da regata e durante la navigazione bisogna collaborare alla gestione delle vele! Belli soddisfatti ci sistemiamo nella nostra piazzola, ci prepariamo una bella cenetta, dopodiché andiamo a lavare i piatti e chi troviamo nell’area dei servizi / TV? Il nostro amico opossum, che se ne sta polleggiato di fianco alla TV ad osservare i movimenti degli umani sotto di lui in attesa di un po’ di cibo. E così passiamo un po’ di tempo a divertirci dandogli da mangiare una banana…!

Giovedì 9 agosto (Whitsunday Islands) Oggi alzataccia perché ci aspetta la crociera alla splendida Whiteheaven Beach! L’abbiamo sognata per tanto tempo, sognando davanti alle foto di questo paradiso bianco e azzurro, accattivante punto di forza di ogni catalogo sull’Australia che abbiamo sfogliato… Peccato che il cielo stamattina non ci sia amico, è proprio del tutto coperto e il sole non farà mai capolino dalle nubi per l’intera giornata, nemmeno per un attimo.

L’organizzazione australiana si fa notare ancora una volta e puntuale come sempre arriva il pullman a raccoglierci davanti al campeggio. Nel tragitto verso il porto la guida ci spiega che cosa ci succederà durante la giornata, l’itinerario di navigazione e soprattutto cosa dovremo fare sulla barca.

Ma eccoci al porto, ed eccoci davanti alla Ragamuffin! Un benvenuto da parte del capitano, qualche parola sulle procedure di sicurezza, via le scarpe per stare in coperta e si parte.

Nonostante il brutto tempo la navigazione ci distrae, c’è parecchio vento e la cosa, su una barca da regata, non può che rendere tutto più divertente; quando bisogna tirare su la vela ci trasformiamo a turno in “coffee grinders”…! Navigando tra le varie isole che compongono l’arcipelago delle Whitsundays arriviamo verso l’una di pomeriggio alla paradisiaca Whiteheaven Beach. Ci caricano sui gommoncini e ci portano a terra, abbiamo qualche ora da passare qui e cominciamo a girare a piedi nudi sulla spiaggia, che deve il suo colore bianco candido alla forte presenza di particelle di silicio. La sabbia è talmente fine che al contatto con i piedi produce uno schricchiolio buffissimo… sembra di camminare sulla fecola di patate! I nostri accompagnatori nel frattempo allestiscono il tavolo per il pranzo / pic-nic. Il pranzo oggi è a base di panini e frutta fresca ed è compreso nel prezzo, le bevande invece sono a pagamento… vabbè, vorrà dire che ci faremo una VB fresca! Ci godiamo un po’ la spiaggia, peccato che il forte vento non ci permetta di liberarci dei vestiti e di rimanere in costume, e soprattutto è troppo freddo per farsi un bagno in questa acqua così meravigliosa! Rientriamo verso le 16, quando comincia a spiovigginare… è un vero peccato che il tempo non sia stato dalla nostra parte… Rientrati al campeggio troviamo il nostro mezzo già nella nuova piazzola, allacciato alla corrente; niente da dire… questi australiani sono davvero efficienti, oltre che gentili e premurosi!

Venerdì 10 agosto (Airlie Beach – Miriam Vale, km 648) Seconda giornata di trasferimento ‘intensivo’, guidiamo tutto il giorno fino a Miriam Vale, per il giorno successivo ci restano così circa 250 km per riuscire ad essere al porto di Hervey Bay intorno all’una.

La strada è piacevole, passiamo a tratti in mezzo a fitti boschi e il traffico non è eccessivo. Per mangiare ci fermiamo in una roadhouse dove ci facciamo un ‘fisherman’s basket’ con insalata in compagnia di un bellissimo volatile (che soprannominiamo Pippo) dalla testa blu e dal corpo verde cangiante, che veniva a prendere il pane dalle mani! Il secondo animale strano di oggi è il kookaburra, altro simbolo australiano che riusciamo finalmente a vedere e a riconoscere grazie al buffo ciuffetto di penne sulla testa.

Per la notte ci fermiamo in una bakery – roadhouse dotata di caravan park, dove per soli 15 AUD abbiamo la nostra piazzola con tanto di attacco luce. Il luogo è spartano, i servizi sono container (li abbiamo già trovati più volte, specialmente nel Red Centre) ma pulitissimi, ci sono le volpi volanti sugli alberi… e viene da pensare a quanta è bella la vita libera on the road, complice un cielo immenso e stellato, che sembra incredibilmente vicino…

Sabato 11 agosto (Miriam Vale – Hervey Bay, km 236) Partiamo alle 8.15 dalla roadhouse di Miriam Vale e ci rimettiamo in strada. Meno di 250 km ci separano da Hervey Bay, ultima meta di escursioni prima del trasferimento a Sydney.

Arriviamo al paese verso le 11, dopo aver attraversato diversi paesini molto carini in mezzo alla foresta (come Childers) dove fantastichiamo di trasferirci e aprire un’officina di riparazione auto oppure un magazzino di ‘spare parts’, visto che di kilometri qui le auto ne fanno veramente tanti e considerate le auto che si vedono in giro…!! Chissà come deve essere la vita qui, questi paesini tranquilli hanno per noi abituati alla città e al ‘ fittume’ italiano un fascino tutto particolare, ma come sarà viverci davvero? Sarebbe forse troppo noioso? In mezzo al bosco vediamo anche un bel cangurone zompettare a fianco della strada e così siamo soddifatti! Quando arriviamo ad Hervey Bay ci accorgiamo che è davvero un paesone in confronto a quelli che abbiamo attraversato in mattinata, un largo stradone pieno di negozi, magazzini e supermercati precede il centro del paese, adagiato sull’oceano. Troviamo subito posto al campeggio Happy Wanderer e prenotiamo la piazzola per due notti. Anche questo campeggio è molto bello e curato, e dà l’impressione di essere stanziale, come anche il Flame Tree di Airlie Beach. Questo tratto di costa infatti, non solo questa parte a nord di Brisbane ma anche tutta quella tra Brisbane e Sydney è per i locali luogo di villeggiatura, e si vede. Un sacco di belle casine ‘da vacanza’, atmosfera rilassata, molti servizi, e un’età media che si aggira intorno ai 60 anni… insomma è un luogo da pensionati!! Ma ci farei la firma per vivere in un posto così dopo la pensione (a dire il vero farei la firma anche per la pensione!!).

Dopo esserci sistemati nella nostra piazzola e visto che è presto usciamo a piedi dal campeggio e camminiamo tra queste strane case che sembrano tutte prefabbricate e costruite come ‘palafitte’ sopraelevate rispetto al terreno (probabilmente a causa del clima tropicale e delle forti piogge che qui si abbattono nella ‘wet season’) fino a raggiungere l’ampia spiaggia, dove i pescatori convivono tranquillamente con i pellicani che passeggiano polleggiati con le loro buffe espressioni anche vicini alle persone.

Dopo questa perlustrazione torniamo al campeggio a prendere il camper e ci dirigiamo verso il porto, dove arriviamo in anticipo e con tutto il tempo di farci uno spuntino. Individuiamo un bel posticino per un bel barra + chips che ha anche i tavolini fuori, e per 18,60 dollari ci facciamo due belle ‘bisteccone’ fritte con una montagna di patatine, annaffiate da due belle birrette gelate dal frigo del nostro camper!! La giornata è splendida, c’è un bel sole e lì, seduti all’aperto sul molo, si sta divinamente bene… Quando apre il nostro ‘pier’ ci mettiamo in fila e ci imbarchiamo verso le 13.30. A bordo troviamo già i nostri biglietti per la gita dell’indomani a Fraser Island, così paghiamo tutto insieme e ci togliamo subito il pensiero, e ci mettiamo già anche d’accordo per il pick-up davanti al campeggio. Non spendo parole sulla onnipresente organizzazione… E finalmente si parte! Una coppia di delfini accompagna la nostra barca all’uscita dal molo. Costeggiamo Fraser Island per un bel po’ di tempo (e di vento…) fino a Platypus Bay. Nel frattempo sull’imbarcazione ci offrono come al solito tè e caffe per ingannare l’attesa; un po’ non vediamo nulla, poi eccolo… il primo sbuffo d’acqua cattura improvvisamente la nostra attenzione. Il capitano punta quindi la rotta verso questa prima balena e di lì a poco l’animale comincia ad avvicinarsi, prima mostrandosi solo con qualche timido spruzzo d’acqua, poi facendo uscire la coda dall’acqua e infine il muso… è incredibile, sembra assurdo ma come dicono le guide l’impressione è davvero che non siamo noi a fare whale-watching, ma piuttosto loro a fare men-watching!! Infatti la guida ci invita a fare chiasso, battere le mani e urlare per attirare l’attenzione delle balene, perché sono animali curiosi e in questo modo si avvicinano alla barca per vedere che succede… ed è veramente così! È davvero emozionante, e qualcosa di mai provato prima, vedere questi animali giganteschi esibirsi in evoluzioni, sbuffi d’acqua, salti, tuffi, avvicinarsi fino a qualche metro dalla barca, poi improvvisamente immergersi e passare sotto la barca riemergendo dall’altra parte… probabilmente la gita più bella di tutta la vacanza… ad avere più tempo l’avremmo ripetuta!! Dopo tante balene e tante foto (di cui restano solo i ricordi visto che sono andate perdute…) rientriamo al porto che sono già le sei, con sullo sfondo un romantico tramonto sul mare… Stasera a nanna presto perché anche domani l’alzataccia è ignobile!

Domenica 12 agosto (Fraser Island) Stamattina la sveglia suona alle 6.30 perché alle 7.25 ci vengono a prendere per portarci all’imbarco. Arriva un autobus piuttosto vecchiotto a 2 piani (!); alla guida c’è Hayden, che sarà anche la nostra guida e autista sull’isola. Il traghetto per Fraser Island non parte dal molo di Hervey Bay, ma dall’attracco di River Heads, a circa 20 minuti di strada dal paese. È incredibile, anche qui in Australia non manca la nebbia!! La campagna che attraversiamo è immersa in questa coltre grigia e anche quando arriviamo al molo la situazione non migliora. Speriamo in bene! Il traghetto è una specie di vecchia chiatta che trasporta anche le auto; sono molte infatti le persone che noleggiano un fuoristrada (unico modo per poter circolare sull’isola visto che è interamente fatta di sabbia) e trascorrono alcuni giorni sull’isola, con il rischio continuo di rimanere insabbiati in qualche luogo sperduto! Ma si sa… il richiamo dell’avventura è più forte! Ad avere più tempo sarebbe molto bello percorrere a piedi i vari sentieri e pernottare nei campi base allestiti in vari punti dell’isola, come al solito molto spartani e degni dei veri amanti del campeggio all’aria aperta. Scopriremo infatti che l’isola è un luogo davvero suggestivo, e che meriterebbe qualche giornata in più… Ci imbarchiamo e comincia la traversata, con l’impressione di navigare in mezzo al nulla vista la nebbia incredibilmente fitta che ci avvolge… Nella sala passeggeri, seduta davanti a noi, una coppia davvero singolare: lei, bella donna sui 40 – 45 anni, interamente di bianco vestita (su un’isola di sabbia??), e lui, uomo sulla sessantina, piuttosto grinzo e di discendenza simil-maori (scopriremo in seguito che in effetti vengono dalla Nuova Zelanda) che per tutto il giorno non abbandonerà mail il suo boccione d’acqua da 3 litri… Attracchiamo alla foce di un fiumiciattolo orlato dalle solite tropicali mangrovie, anche se ce ne accorgeremo solo al rientro a causa della sempre persistente nebbia.

Ad attenderci ci sono già i pullman 4×4 che ci porteranno a scorrazzare sull’isola. Sono dei carrozzoni davvero orrendi, ma appena partiamo capiamo perché sono fatti così! Se leggere che l’isola è interamente costituita da sabbia non rendeva bene l’idea, viaggiare su piste di sabbia dove la gamba affossa fino al ginocchio ci fa realizzare subito che cosa si intende e che manici bisogna essere per guidare su questi tracciati! La prima sosta è Central Station, dove sorgeva il villaggio dei lavoratori che vivevano sull’isola per tagliare il legname destinato alle più varie industrie del continente (mobili, imbarcazioni, costruzioni e… fiammiferi!). Dopo una ‘sosta tecnica’ (e un po’ di fila nel bagno delle signore) facciamo un giro a piedi nell’intricatissima foresta fino a giungere ad un piccolo ruscello che scorre tranquillo sul suo letto… naturalmente di sabbia, ed è incredibile constatare come l’acqua sia davvero, come dice Heyden, crystal-clear. E che silenzio… Dopo un’altra mezz’oretta di piste sabbiose e di continui salti sui sedili (ora capiamo l’utilità delle cinture!) arriviamo sull’infinita spiaggia per una corsa a tutta velocità! In quest’isola interamente coperta dalla foresta la spiaggia funge anche da pista di atterraggio per gli aerei, specialmente per i piccoli velivoli della Air Fraser che per una cifra non esagerata portano i turisti in volo per ammirare dall’alto la più grande isola sabbiosa del mondo. Qualcuno cederà alla tentazione del volo panoramico (anche la coppia maori) e racconterà di aver visto anche balene, squali e delfini. Correndo correndo arriviamo al relitto del Maheno, arenato sulla spiaggia dal lontano 1945 e pieno di conchiglie e pescetti incastrati lì dalla bassa marea. Un salto veloce a Colured Sand e poi a Eli Creek, dove chi vuole può farsi un bel bagnetto nelle limpide acque di questo torrente che dall’interno dell’isola sfocia nell’oceano scavando il suo letto di sabbia nella sabbia della spiaggia.

È l’ora di pranzo! Sull’isola ci sono solo due resort, e in uno di questi ci attende un buffet (decente e all’altezza della fame che abbiamo) e un po’ di relax. Vicino al resort c’è anche una piccola bakery dove compriamo un paio di dolcetti e il pane per la cena.

Il pomeriggio, prima del rientro, ci attende l’affascinante Lake McKenzie, con la sua acqua dal colore incredibile, azzurro-piscina per i primi metri e poi di un improvviso profondissimo blu. Dicono che la sabbia della spiaggia che lo circonda sia come un ‘polish’ che torna a far risplendere i gioielli… e noi ci proviamo subito anche se le nostre fedi hanno pochi giorni di vita! Lasciamo l’isola che il sole sta tramontando e ritorniamo in compagnia di qualche delfino e qualche sbuffo di balena; per contro non abbiamo visto neanche uno squalo e nemmeno i famosi dingo, che vivono numerosissimi sull’isola.

Rientrati al campeggio è il momento di una bella doccia calda, una cenetta e poi cominciamo a preparare e impacchettare le nostre cose perché domani, purtroppo, abbiamo la riconsegna del camper e il volo per Sydney, dove trascorreremo l’ultima settimana del nostro viaggio.

Lunedì 13 agosto (Hervey Bay – Brisbane, km 295) Oggi ci svegliamo consapevoli che è l’ultimo nostro giorno di asfalto australiano… certo, poi ci rimarranno alcuni giorni a Sydney prima di rientrare in Italia, e sicuramente questo ci aiuterà a tornare nella “civiltà”, ma da amanti del viaggio on the road sappiamo già che sentiremo la mancanza dell’emozione che solo la strada sa offrire.

Cerchiamo di ritardare la partenza ancora un po’ visitando l’esposizione dello ‘shark hunter’ Vic Hislop, che raccoglie centinaia di articoli di giornale, curiosità e mascelle di squali, tavole da surf morsicate, relativi agli attacchi degli squali agli umani, nonché uno squalo bianco per niente rassicurante conservato in un enorme freezer a vetri, e fa ancora più effetto scoprire guardando il video-documentario con quale misera barchetta Vic si accinga ad effettuare le sue imprese contro queste enormi killer machines! Usciamo da Hervey Bay e ci immettiamo nuovamente sulla Bruce Highway, che ci porterà dritti dritti fino a Brisbane. Sulla strada ci fermiamo a mangiare qualcosina in prossimità dello zoo di un altro mitico pazzoide australiano, Steve ‘crocodile hunter’ Irwin (la strada che porta allo zoo è già dedicata a lui), anche se non abbiamo proprio il tempo per visitarlo.

Di nuovo sulla strada non crediamo ai nostri occhi quando sorpassiamo una vecchia auto con targa neozelandese, dove alla guida c’è il nostro amico maori di Fraser Island con a fianco la sua bella bionda!! L’hanno sempre detto che il mondo è piccolo… anche se qui in OZ non si durebbe affatto! Entriamo a Brisbane e senza difficoltà troviamo l’ufficio dell’Apollo, per l’ultima volta effettuiamo le procedure e le solite verifiche della riconsegna del camper, dopodichè decidiamo a malincuore di rinunciare ad un giretto in città… i tempi sono un po’ stretti e con i bagagli sarebbe uno sbattimento che non abbiamo tanta voglia di affrontare. Puntuale alle 21 il nostro aereo Virgin Blue si libra in volo verso il cielo di Sydney…

Martedì 14 / Domenica 19 Agosto (Sydney) Eccoci a Sydney! Alloggiamo all’ostello Eva’s Backpackers, situato a King’s Cross, forse una delle zone più folkloristiche della città, popolata da una moltitudine di giovani e da personaggi particolarissimi e coloriti che si aggirano per le strade ad ogni ora del giorno e della notte. E’ comunque un quartiere molto piacevole, vivo, dove ad ogni angolo sei sicuro di trovare un ostello o un internet cafè. Anche l’ostello è molto vivibile, con una bella cucina stile casalingo, calda e accogliente, e soprattutto pulita! La camera è spaziosa, colorata e tranquilla, se non fosse per il pavimento di legno che scricchiola un po’. Bagni ok, ampi, rinnovati di recente e sempre piuttosto puliti. Forse costa qualcosina in più di altri ostelli che avevamo visto su internet, ma direi che ne vale la pena, anche perché è un luogo cha ha un che di familiare e di intimo e in una grande città come questa, che ci accoglie dopo un mese di natura e spazi infiniti, ci fa sentire un po’ più a casa, un po’ meno spaventati dal caos, dal traffico e dal cemento.

Nella nostra mente Sydney rappresentava il traguardo del nostro mese di viaggio in strada e un modo per ritornare all’ottica della città in modo piacevole prima del rientro in Italia.

L’abbiamo vissuta e girata in lungo e in largo: ci siamo buttati nelle strade affollate di gente a qualsiasi ora, ci siamo seduti ai tavolini dei caffé ad osservare un’umanità tanto varia e così diversa dalla nostra che sfilava davanti ai nostri occhi con in mano il solito bicchiere di caffé americano, siamo rimasti incantati dalla mitica baia, dalle forme insolite dell’Opera House, dalla scenografica bellezza del ponte, ci siamo divertiti a guardare gli artisti di strada che animavano il molo e gli sportivi correre e fare ginnastica in questo scenario così suggestivo, abbiamo apprezzato ancora una volta la cucina variegata degli immancabili food courts, siamo rimasti storditi dall’incredibile quantità di negozi e centri commerciali in cui ci siamo persi e ripersi più volte, ci siamo rassegnati al fatto che fosse impossibile non trovare almeno un asiatico in ogni attività commerciale, abbiamo sorriso e chiacchierato con un italiano che vive a Sydney da cinquant’anni e che ha ormai dimenticato la sua lingua madre, tant’è che sua moglie, a detta sua, ‘viene dal bush’.

Abbiamo passeggiato e passeggiato, percorso chilometri a piedi, metri e metri di asfalto e marciapiedi, non solo a Sydney ma anche a Manly e a Bondi Beach, la spiaggia dei surfisti per eccellenza. Ci siamo inoltrati nei violetti della Chinatown e nei meandri del Paddy’s Market, abbiamo bevuto birra alla James Squire e nel pub più vecchio di Sydney ai Rocks, abbiamo fatto incetta di jeans , pantaloncini e scarpe a prezzi decisamente convenienti per noi poveri italiani piegati dall’esoso mercato della moda.

E alla fine è arrivato, spietato, il giorno della partenza. Il volo di ritorno è stato quasi insopportabile, spariti l’entusiasmo e l’euforia che avevano accompagnato quello di andata. Ci consoliamo col pensiero che torneremo, un giorno, a percorrere ancora queste strade, a parlare ancora con questa gente, a stupirci ancora una volta della serenità e rilassatezza con cui gli australiani affrontano la vita… assaporando come una grande verità il loro motto: NO WORRIES!



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