Georgia, Armenia e Nagorno

A passo per il Caucaso in tutta autonomia
Scritto da: Franz.wa
georgia, armenia e nagorno
Partenza il: 30/07/2011
Ritorno il: 16/08/2011
Viaggiatori: 3
Spesa: 1000 €
Viaggio in Georgia, Armenia e Nagorno Karabakh

Da tempo desideravamo visitare questi paesi del Caucaso e vista l’offerta di volo della Air Baltic, ossia 310 Euro a persona ed in agosto, abbiamo deciso di andarci.

Per avere questa tariffa i biglietti li abbiamo comperati quattro mesi prima con Expedia.

Il volo (specialmente quello di ritorno) è risultato pesante in quanto si è fatto uno stopover di sei ore, sia all’andata che al ritorno, a Riga in Lettonia. I voli sono notturni e si arriva a Tbilisi/Georgia alle quattro del mattino, di conseguenza non si dorme tutta la notte. Per di più la Air Baltic, che definirei la Ryanair del baltico, invece di lasciare la gente dormire, la martella con il suo mercatino per tutto il tempo del viaggio. Niente pasti nonostante il volo intercontinentale, neppure un bicchiere d’acqua. Tutto a pagamento.

Le mete toccate sono state Georgia, Armenia e Nagorno Karabakh.

In Georgia abbiamo visitato Tbilisi e dintorni mentre in Armenia, a Yerevan, abbiamo affittato un’auto per otto giorni ed abbiamo girato praticamente tutta l’Armenia includendo tre giorni nel Nagorno Karabakh.

Il Nagorno K. è talmente piccolo che tre giorni sono più che sufficienti. E qui devo spendere due parole su questo paese. Secondo quasi tutti i protocolli internazionali il territorio del N.K. fa ancora legalmente parte dell’Azerbaigian. Ufficialmente non è riconosciuto come stato sovrano, è uno stato indipendente solo secondo la dichiarazione d’indipendenza del dicembre 1989 del N.K. e può essere visitato unicamente dall’Armenia, che ne controlla il territorio. Il Karabakh ha combattuto per la sua indipendenza dall’Azerbaigian dal 1989 fino al 1994, anno in cui gli azeri sconfitti si ritirarono.

I libri parlano di circa 30.000 morti del Karabakh, più circa 200.000 azero-mussulmani sfollati dall’ Armenia e dal N.K.

In Armenia, a parte in aereo, si può entrare solamente attraverso la Georgia e l’Iran nel sud del paese, perché non vi sono frontiere né con l’Azerbaigian né con la Turchia.

Tutti e tre i paesi sono, a mio avviso, assolutamente sicuri.

Per la Georgia non è necessario il visto, mentre il visto per l’Armenia lo si fa direttamente in frontiera al costo di 3.000 Dram (6 Euro) e non sono necessarie foto.

Il visto per il Nagorno K. L’abbiamo fatto presso la rappresentanza di questo paese a Yerevan. Il visto viene concesso al momento, costa 3.000 Dram e sono necessarie due foto. Al momento della richiesta del visto bisogna dire che posti si intendono visitare e viene rilasciato un foglio a parte dove sono scritti i posti visitabili. In pratica, esclusa la città fantasma di Agdam, si può visitare tutto il paese. Come descriverò in seguito, nonostante il divieto, siamo stati ad Agdam.

Con questo visto non è necessario presentarsi presso il Ministero degli Esteri di Stepanakert.

Come detto abbiamo affittato un’auto a Yerevan presso la compagnia Sixt. Ci hanno dato una Renault Clio Symbol con un baule immenso dove ci stava tranquillamente il doppio dei nostri bagagli. Il costo del noleggio è stato di 25 Euro al giorno con una franchigia massima di 100 Euro.

Le strade spesso non sono in buona condizione ma tutto sommato con un po’ di attenzione si può viaggiare senza problemi.

La benzina costava circa 90 centesimi di Euro e l’auto era molto economica.

I guidatori, sia armeni che georgiani, sono spericolati e non hanno la più pallida idea di cosa sia il codice della strada. Mi è sorto il dubbio se la patente di guida la conseguano nelle macchinine delle sale dei videogiochi!

Un altro pericolo sono gli animali liberi, specialmente le mucche. Sono lasciate da sole e attraversano le strade a volte anche a decine. Gli automobilisti frenano ma non troppo. Una volta ne ho visto uno colpire a proposito con un camioncino un torello e dopo la povera bestia zoppicava vistosamente.

Ci sono molti controlli autovelox e in tutte le auto pattuglie della polizia sono montate delle pistole laser per il controllo della velocità. Raramente ho visto una pattuglia che non stesse facendo una multa.

Per quanto riguarda le persone tutti sono verso gli stranieri estremamente cordiali e disponibili.

Nel Nagorno ho trovato le persone piuttosto chiuse forse un po’ indifferenti, ma mai maleducati. Si noti che questa gente non è ancora abituata al turismo.

La moneta della Georgia è il Lari mentre per l’Armenia ed il Nagorno il Dram armeno.

Questo il cambio: 1 Euro = 2.35 lari

1 Euro = 525 dram

In giro per le città, oltre alle banche, ci sono delle case di cambio che praticano più o meno lo stesso tasso di cambio.

In Georgia si parla il georgiano e in Armenia e Nagorno l’armeno.

Nei tre stati, avendo fatto parte della vecchia UDSSR, si parla il russo. L’inglese viene parlato sufficientemente solamente in Armenia. Per questa ragione mesi prima di partire per questo viaggio mi sono munito di grammatica e dizionario russo ed ho cominciato ad imparare questa lingua per conto mio. Alla fine riuscivo a leggere il cirillico (anche se spesso non sapevo che cosa leggessi), mi sono creato una base di alcune centinaia di parole tra verbi e sostantivi. Chiaramente non riuscivo a coniugare bene i verbi e neppure a declinare i casi della lingua russa ma, nonostante tutto, me la sono cavata abbastanza bene. Con questo sistema riuscivo ad impostare della domande alle quali le risposte erano abbastanza limitate, tipo: qual è la strada per andare a… e qui chiaramente mi aspettavo un destra, sinistra, dritto, dopo il ponte ecc… tutte parole che potevo capire. A volte mi è successo di rivolgere la domanda talmente bene che si sono prodigati in discorsi più ampi dei quali io capivo solo alcune parole.

Se dovessi darmi un voto mi darei un dieci per l’impegno ed un sei per i risultati ottenuti.

Prima di partire avevo controllato le previsioni meteo di Tbilisi e Yerevan e tutte davano per il nostro periodo di permanenza in queste città dai 38 ai 40° di caldo. Con queste premesse, poi rilevatesi esatte, abbiamo iniziato la nostra avventura.

Portiamo con noi la solita guida “firmata”, ma è risultata più di una volta inaffidabile, quasi l’avessero fatta per corrispondenza.

Le carte di credito non vengono accettate praticamente da nessuna parte, tutti vogliono solo contante, in cambio ci sono cassieri automatici ovunque da dove poter prelevare o cambiare soldi.

Altra cosa che ho notato è che nessuno ha rispetto per la fila. Se stai in fila da qualche parte (banca, posta, supermercato ecc..) ti passano davanti sfacciatamente come neanche fosse il caso. Questo è comune a tutti e tre gli stati.

I mezzi di trasporto più comuni in città sono i minibus (marschrutke) che sapendo quale numero prendere, con 20 centesimi di Euro si arriva a destinazione. I taxi costano molto poco e con uno massimo due Euro si gira il centro della città, ma è meglio contrattare sempre il prezzo prima. Poi c’è anche la metro.

Domenica 31.07.11

La prima tappa del viaggio è Riga in Lettonia dove la Air Baltic fa base e qui abbiamo uno stopover di sei ore. Eravamo già stati a Riga ma ne approfittiamo comunque per farci un giretto nel centro storico che a questa ora di sera è pieno di gente, artisti di strada, tanta musica e tante bancarelle dove vendono l’ambra del Baltico.

Con il bus 241 e con un Euro a testa in venticinque minuti siamo in centro. Il centro storico di Riga è una meraviglia di architettura, vi si trovano diversi stili e tutto ben ristrutturato. In mezzo a tutti questi edifici stona enormemente (secondo il mio parere) la struttura rettangolare e grigia del museo dell’Occupazione russa, quasi sia stato fatto a proposito.

Ritornati in aeroporto ci rendiamo conto di quanto sia sviluppato il traffico aereo di questo piccolo stato baltico. A questa ora di notte partono aerei in continuazione. La Air Baltic con la sua politica low-cost attira tanti turisti e tutti i voli li fa transitare per Riga. Mentre siamo in attesa di imbarcarci arrivano a tutto spiano i vigili del fuoco che corrono avanti e indietro per la sale d’attesa degli imbarchi. Nessuno dice niente e tutto prosegue nonostante il chiasso e la curiosità della gente accorsa a vedere.

Lunedì 01.08.11

All’arrivo a Tbilisi dopo appena tre ore di volo da Riga ci viene a prendere l’autista dell’albergo prenotato. Appena entriamo nel taxi vedo che il vetro del parabrezza ha una crepa che lo attraversa da un parte all’altra. Questo, come mi renderò conto dopo, è comune a molti taxi. Costo del taxi 10 Euro, prezzo che considero equo. Al controllo passaporti non è necessario compilare alcun foglio, mettono il passaporto su uno scanner e ti fanno una foto, sempre con lo stesso scanner, allegandola ad un file con quella del passaporto. Trenta secondi ed il tutto è fatto senza alcun costo.

L’albergo (del quale non faccio il nome per non fargli pubblicità, poiché ci potrebbe essere qualche masochista che vorrebbe vedere se il tutto è vero) non mantiene quelle aspettative pubblicizzate in internet e nella guida. Attorno allo stesso e su tre lati, hanno scavato un canale (voragine) che stimo in tre metri di profondità per cinque di larghezza. Stanno appunto facendo dei lavori di costruzione. Il tutto è pieno di polvere e per fortuna che gli operai cominciano a lavorare dopo le nove. Alle cinque del mattino ci riceve la proprietaria in infradito e camicia da notte rossa. Sarà stato per il caldo ma durante la nostra permanenza la signora non ha mai cambiato “uniforme”.

Unico punto positivo è che l’albergo si trova nel centro della città vecchia, quindi vicino a quasi tutte le cose interessanti da vedere.

Fin dal mattino fa un caldo bestiale e lo stesso calore ci accompagnerà per i tre giorni passati a Tbilisi e incredibilmente, aumentando di intensità verso le otto/nove di sera quando già il sole è calato.

Dopo un paio d’ore di sonno partiamo all’attacco di Tbilisi. La migliore forma per spostarsi a Tbilisi è la metro. Si compera una tessera che poi viene restituita e la si carica con quanto si vuole. Il biglietto costa 20 centesimi di Euro. Per salire e scendere dalle stazioni della metropolitana c’è una scala mobile lunga più di centoventi metri ma messa talmente in verticale che chi soffre di vertigini non dovrebbe guardar giù. Le stazioni della metropolitana erano il posto più fresco di tutta Tbilisi. Giorni dopo volevo restituire la tessera (valore 1 Euro) ma ci voleva lo scontrino del primo acquisto ed il passaporto. Poiché non avevo nessuna voglia di farmi schedare per 1 Euro mi sono tenuto la tessera come ricordo.

Per mangiare ci sono chioschi ovunque e tutti vendono gli immancabili kachapuri, ovvero delle torte al formaggio che possono rappresentare uno spuntino come un pasto completo alla faccia delle calorie, ma camminiamo così tanto che il problema non si pone. Ogni 150/200 metri ci sono botteghe dove vendono bottiglie d’acqua fresca e noi ne comperiamo in continuazione. Si trovano anche molte kebabberie, ma la cosa più buona sono i dolcetti ripieni con noci, mandorle ecc…tipo quelli turchi e libanesi. Ne abbiamo assaggiati talmente tanti che non sapremmo riconoscerne più il gusto. L’ultimo giorno ne abbiamo fatto una scorta di un paio di chili e ce li siamo portati a casa. Altro che souvenir!

A Tbilisi ci sono molti monumenti ma la cosa più bella è girare per la città e godersi i vecchi palazzi dove quasi tutti hanno delle verande esterne in legno ormai cadenti per l’età della costruzione e la mancata manutenzione.

I monumenti più importanti sono i resti del castello che dominano la città, e varie chiese sparse un po’ ovunque ma specialmente le due dall’altra parte del fiume nel quartiere di Avlabari.

Ho trovato Tbilisi molto rumorosa per il traffico e le strade sono piene di auto di recente immatricolazione, segno che in qualche modo l’economia sta girando. Nonostante questo apparente benessere, per le strade della città ci sono molti mendicanti e soprattutto persone anziane.

Tornati verso sera in albergo troviamo il bagno della nostra camera chiuso dall’interno. La cameriera al mattino uscendo aveva schiacciato il bottone della serratura e non si poteva entrare in bagno. La ragazza del ricevimento ha cercato le chiavi di riserva dappertutto, ma non sono apparse. In conclusione, dopo una buona ora ha chiamato un operaio del vicino cantiere che con martello e scalpello ha risolto il problema. Il bagno, che dava sulla parte esterna dell’edificio, era più che bollente e ritengo, senza esagerare, che vi siano stati dentro ben oltre 40°. Per oggi ne abbiamo abbastanza.

Martedì 02.08.11

La giornata odierna la vogliamo dedicare ai dintorni di Tbilisi, visitare Mtskheta il cuore spirituale della Georgia e Gori la città natale di Stalin. Questo è stato il giorno più caldo o forse quello di maggior impatto per noi essendo il primo giorno a contatto con quest’afa a noi sconosciuta. La sera abbiamo fatto il calcolo di quanta acqua avessimo bevuto ed abbiamo calcolato ben diciotto litri diviso tre persone, praticamente sei litri a testa! Mi ricordo di messere stato in bagno solamente una volta, quindi acqua tutta trasudata. E inutile dire come odorava la mia camicia al rientro in albergo la sera!

Per andare a Mtskheta andiamo con la metro, la cui stazione di Piazza della Libertà è a pochi minuti dall’albergo, fino alla stazione di Didube dove c’è la stazione delle marshrutke. Nella metro c’era un poveraccio che dormiva scomposto su un sedile e un viaggiatore prima di scendere gli ha appioppato un paio di calci. Gli altri viaggiatori hanno girato la testa dall’altra parte. Non lo so, ma mi ha dato l’impressione per tutti che andasse bene così.

A Didube paghiamo 50 centesimi di Euro a testa per i circa venti chilometri di minibus fino a Mtskheta.

Nel paese di Mitskheta ci sono varie chiese ma la più importante è la cattedrale di Svetitskoveli risalente all’undicesimo secolo. Secondo la tradizione sotto la cattedrale sarebbe sepolta la tunica di Cristo. Si narra che un ebreo di Mitskheta, che si trovava a Gerusalemme all’epoca della crocifissione, abbia riportato nella sua città d’origine la veste di Cristo. Sua sorella morì non appena la indossò. Poiché non fu possibile sfilarle la tunica, la donna fu sepolta con l’indumento. Col passare degli anni si è persa la memoria di dove sia stata sepolta la donna ma oggigiorno si pensa che si trovi nella navata centrale sotto un pilastro quadrato decorato con affreschi.

Quello che più mi ha colpito è la religiosità della gente, il loro girare per tutti gli altari e le nicchie, le loro genuflessioni, i continui e rituali segni della croce, i baci alle icone. Tutto aveva un ordine schematico ed individuale. Ognuno aveva la propria maniera di manifestare la sua religiosità. In un angolo c’era un sacerdote che benediva qualsiasi cosa gli si portasse.

Sulla collina di fronte al paese sorge il santuario di Jvari, visibile a chilometri di distanza, che è per i georgiani il cuore spirituale del paese.

Secondo la nostra guida “firmata” un paio di chilometri dal centro del paese, quindi a circa venti minuti di strada ci dovrebbe essere stata la stazione del treno che ci avrebbe portato a Gori che dista circa cinquanta chilometri da Mtskheta. Una volta arrivati alla ferrovia ci accorgiamo che di stazioni non esiste neppure l’ombra. Fortunatamente incontro due barboni che avevano fatto della stazione la loro dimora e grazie al russo imparato riesco a capire che la stazione non esiste più da anni e che il treno passava solo due volte al giorno però senza fermarsi. La cosa peggiore era che per andare a Gori bisognava tornare alla stazione di Didube a Tbilisi e prendere un altro minibus o un taxi. Non completamente convinto dai due barboni ne sapessero più della mia guida ho chiesto anche ad altre persone lungo la strada ma il risultato è rimasto uguale. Avevano ragione loro.

Torniamo quindi a Mtskheta e prendiamo una marshrutka fino a Tbilisi. Nel viaggio di ritorno mi è rimasto impresso un signore anziano, che stimo attorno agli ottanta anni, che si è alzato dal suo posto per fare posto a mia figlia ventenne che era rimasta in piedi. Immagino volesse compiacere noi stranieri. A Didube si propongono dei tassisti che facevano servizio Tbilisi – Gori e con 20 lari (9 Euro) contratto una mercedes con aria condizionata che in meno di una ora ci porta a Gori. Al passare vicino alla collina del santuario l’autista si fa tre volte il segno della croce come prima pure gli autisti dei minibus. Durante il tragitto ho cercato di comunicare un po’ con il tassista usando il mio più che scarso russo e sinceramente non capivo molto, ma sono riuscito a capire che i georgiani detestano i russi.

Gori è una bella cittadina la cui cosa più importante, nel bene o nel male, è stata di dare i natali a Stalin.

Siamo stati a visitarne il museo che non è poi così interessante anche per il fatto che la vita politica dello statista è raccontata solo in russo e quel poco di inglese che si può leggere fa riferimento solo a regali ricevuti da Stalin o a fotocopie di lettere ricevute che si complimentano con il suo operato. Tutto qui.

Usciti dal museo passiamo davanti ad una panetteria dal cui forno usciva un aroma di pane da far venire l’acquolina in bocca. Siamo entrati e dopo alcuni scambi di cortesie il panettiere ci fa entrare nel laboratorio mostrandoci come viene cotto il pane senza lievito nei bordi di un forno interrato. Chiaramente ne comperiamo una pagnotta e bella calda e croccante com’è ce la facciamo fuori in breve senza companatico. Quando il gestore mi chiede da dove arriviamo gli dico: Italia. Lui mi dice di rimando: Italia, Adriano Celentano e si mette a cantare la canzone l’Italiano (lasciatemi cantaaare con la chitarra in mano ecc…), la canzone che credo abbia partecipato ad un festival internazionale, quella appunto dedicata da Toto Cotugno al presidente Pertini. Non sto li a spiegargli la differenza tra Celentano e Cotugno ma mi metto a cantare assieme a lui. Tutti contenti.

Passiamo alla posta, un salone che ai tempi della madre Russia avrà avuto qualche cinquantina di dipendenti, mentre adesso in un angolo c’è una stanzetta con due impiegate delle quali una seduta su uno scatolone. Qui per comperare e spedire cinque cartoline ho impiegato 45 minuti. Innanzi tutto bisogna fare la fila e davanti a me avevo, tra le altre, una signora con una ventina di lettere raccomandate da impostare. L’impiegata ad ogni lettera ha fatto una ricevuta individuale con carta carbone, poi il calcolo totale prima col pallottoliere e poi, forse per essere più sicura, con una calcolatrice. Alla fine ha riportato il tutto sul quaderno contabile, chiaramente sempre manualmente. Per non dire della lunga chiacchierata che si sono fatte. Quando finalmente è stato il mio turno ho chiesto dei francobolli per l’Italia e per altri paesi extra europei e con sorpresa avevano tutti lo stesso costo, però che costo, quasi due euro a bollo. Lei stessa ha incollato tutti i bolli raccontandomi di come le piacesse l’Italia e come le sarebbe piaciuto venire a conoscere l’ Italia. Quando le ho detto che sicuramente l’Italia le sarebbe piaciuta e che ancor di più lei sarebbe piaciuta agli italiani non c’è stato più limite alla sua gentilezza e alla sua lentezza. Bisogna onestamente dire che la signora era molto carina e che, dovuto al gran calore, aveva due enormi seni che straripavano dal vestito e lei li sventolava in continuazione con un quaderno. Alla fine per pagare la solita prassi: pallottoliere, calcolatrice, fattura in doppia copia con carta carbone con tanto di ricevuta e riporto nel libro maestro. Di un computer neppure l’ombra. Non riesco a capire che dopo la tanta tecnologia vista nell’ufficio doganale, qua si combatta ancora col pallottoliere.

Usciti dalla posta vediamo un bambino di circa dieci anni steso per terra che dormiva sul marciapiede bollente. Avevamo con noi un sacchetto con dei kachapuri e passando glieli metto davanti alla testa. Dopo essermi allontanato un po’ mi fermo a guardare la reazione e vedo che un po’alla volta si sveglia annusa il sacchetto e si mette a mangiare.

A Gori visitiamo anche la maltenuta fortezza dove due guardiani se la passavano bevendo birra e suonando la chitarra mentre le erbacce, le carte e le lattine di bibite vuote coprivano le scale di accesso. Verso sera torniamo a Tbilisi sempre con un taxi ed i soliti 20 lari.

Anche per oggi basta così.

Mercoledì 03.08.11

Oggi si voleva fare un altro tour nei dintorni ma il caldo ci ha fatto cambiare idea.

Domani si parte per Yerevan/Armenia ed ancora non abbiamo avuto il tempo di decidere come andarci, se in treno o in minibus.

Sempre con la metro andiamo alla stazione del treno di Vagzlis Moedani dove apprendiamo che il treno parte ogni giorno (mentre nella guida a giorni alterni) alle ore 19.00 per arrivare a Yerevan il giorno dopo alle 9.00 del mattino quando non fa un paio d’ore di ritardo. Bisogna sapere che da Tbilisi a Yerevan il percorso del treno è occhio e croce 300 chilometri. Miseria, che media oraria!

Il prezzo per uno scompartimento letto tutto per noi si aggira sui 90 Euro. Va pure bene che si risparmierebbe una notte in albergo ma quattordici ore di treno e per di più senza aria condizionata sono troppe. Andiamo quindi alla stazione delle marshrutke di Ortachala e qui con 38 Euro e sei ore saremmo a Yerevan partendo il mattino presto quando fa ancora un po’ fresco. Detto, fatto, acquistiamo e riserviamo tre posti con la prima partenza dell’indomani alle 7.30. Passiamo poi la giornata camminando e visitando le zone meno turistiche di Tbilisi.

Mentre andavamo verso la stazione di Ortachala abbiamo chiesto informazioni di come arrivarci ed una coppia di giovani ha insistito per darci uno strappo in macchina, anche se quella non era la loro meta.

Verso sera con la stazione del metro scendiamo nel centro a Rustaveli dove c’è un mercatino di souvenir e camminando vediamo una bambina sui 5/6 anni stesa per terra e semi addormentata. Avevamo del cibo con noi e glielo diamo. Ci sediamo una ventina di metri più avanti per vederne la reazione e mentre la bambina sta incominciando a mangiare ci passa davanti una zingara, forse la madre che probabilmente ci teneva d’occhio, che va verso la bambina, le porta via il cibo e la spinge a terra in malo modo per farla tornare al pseudo sonno.

Tornando all’albergo vediamo da lontano la funivia del monte Mtasminda, dove sopra ci dovrebbe essere un parco divertimenti nonché piccolo parco nazionale. Dopo una bella camminata in salita arriviamo alla stazione della funivia ma scopriamo che non è più in funzione da anni. Oggi la guida ha toppato ancora di brutto.

Questa sera pago il nostro conto dell’albergo e non ostante ci fossero gli adesivi che pubblicizzavano le carte di credito mi sento dire che non le ricevevano ma che sarei potuto andare al vicino cassiere automatico e prelevare del contante. Il tutto per non pagare la % sulle carte di credito. Avevo ancora un po’di contante quindi non sto li a discutere, tanto non ne vale la pena.

Giovedì 04.08.11

In albergo durante la notte è venuta a mancare l’acqua e già ci vedevamo a lavarci con la bottiglia di minerale che ci era avanzata. Fortunatamente alle 6.30 l’acqua è tornata giusto in tempo per lavarci e prendere il taxi per la stazione dei minibus.

Eravamo d’accordo che alle sette ci avrebbero servito la colazione ma alle sette non c’è nessuno. Visto l’andazzo dell’albergo non ci meravigliamo più di tanto.

Adesso arrivato a casa sto preparando un resoconto di quanto successo per inviarlo alla “guida firmata”, non so se potrà servire a qualcosa, intanto io lo farò. In ogni modo alle 7.30 siamo alla stazione di Ortachala ed il nostro pulmino parte puntuale. Dopo circa un’ora siamo in frontiera con l’Armenia ed il visto ci viene rilasciato al momento al costo di 3.000 Dram. Si compila un formulario, si va ad un vicino cassiere automatico e si cambiano i soldi da Euro in Dram. Facile.

La seconda parte del viaggio, dalla frontiera a Yerevan, dura circa tre ore e mezzo con una pausa pranzo presso uno sporco ristorante, dove suppongo che i gestori siano amici dell’autista. Bagni ultra sporchi e tutti, sia uomini che donne, si sperdono silenziosi lungo la riva del fiume sottostante e quando tornano fanno finta di niente.

Arrivati a Yerevan dalla stazione delle marshrutke di Kilikya Avtokayan ci facciamo portare in taxi all’hotel Areg dove avevamo riservato già dall’Italia. Questa volta la scelta è stata migliore. Un piccolo albergo un po’ lontano dal centro ma con vicino la stazione della metro di Sasuntsi Davit. Il personale dell’albergo ci da un biglietto da visita con il numero telefonico di una compagnia di taxi dove tutti i veicoli hanno il tassametro. Abbiamo spesso preso il taxi e la tariffa massima che abbiamo pagato è stata di 1.200 Dram, poco più di due Euro. Viaggiare con la metro è molto più facile che a Tbilisi, si compra ogni volta un gettone che vale 20 centesimi di Euro e lo si utilizza per scendere nelle stazioni.

Appena arrivati depositiamo i bagagli in camera e andiamo a conoscere la città. Yerevan si trova a circa 1.000 metri sul livello del mare, fa caldo come a Tbilisi ma è più arieggiata e meno afosa.

Si nota subito che L’Armenia è meno ricca della la Georgia, basta guardare le auto in circolazione, tutte vecchie Lada (Fiat 124) degli anni che furono, ma ben tenute. Quasi tutti i tassisti ne guidano una. In compenso il centro storico di Yerevan e la città in generale è più curato di Tbilisi. Dopo la dipartita dei russi sono stati fatti molti lavori e specialmente con l’aiuto finanziario degli armeni della diaspora. Si calcola che oltre ai 3.500.000 armeni che vivono in Armenia ce ne siano altri 8.500.000 all’estero che aiutano finanziariamente il paese.

Restiamo nel casco del centro storico dove come detto ci sono moltissimi edifici rimessi a nuovo, tra i quali la recente (2001) cattedrale dedicata a San Gregorio Illuminatore. In pieno centro, in Haranpetutyan Hraparak (piazza della Libertà) c’è anche l’ufficio postale principale da dove spediamo subito le cartoline d’obbligo. Non molto lontano dalla posta, andando verso la stazione del metro, c’è il supermercato Yerevan City Market aperto 24 ore e al cui interno si trova una casa di cambio con il miglior tasso di cambio di tutta la città.

Un paio di centinaia di metri a sud del supermercato c’è la stazione metro di Zoravar Andranik da dove con una sola fermata e cinque minuti di strada a piedi siamo al nostro albergo. Salendo sulla terrazza dell’albergo abbiamo la prima vista sul monte Ararat che si trova in territorio turco ma ben visibile da qui, visti anche i suoi 5.137 metri di altezza.

Venerdì 05.08.11

A colazione mi è venuto da ridere quando mi hanno portato dei wurst bolliti col ketchup, il che mi ha fatto ricordare un viaggio in Moldova. Per fortuna qui ho potuto scambiarli con delle uova sode.

In mattinata dobbiamo andare a fare il visto per il Nagorno Karabakh perché oggi venerdì è l’ultimo giorno utile della settimana e il consolato è aperto solamente fino alle 2.00 del pomeriggio.

Diamo l’indirizzo in albergo e loro si incaricano di chiamarci il taxi e dirgli dove portarci. Dobbiamo praticamente andare dall’altro capo della città ed il tutto ci costa 1.300 Dram, neppure tre Euro. Al Ministero degli esteri del Nagorno dobbiamo compilare un formulario, dire quali parti del paese vogliamo visitare (tutte), allegare due foto ed in una mezzora con il pagamento di 3.000 Dram abbiamo il visto sul passaporto. Ci dicono che non siamo autorizzati a visitare la città di Agdam, possiamo passarci solamente in parte. Per correttezza ci chiedono se dobbiamo recarci in Azerbaigian perché altrimenti ci avrebbero dato il visto su un foglio a parte per la ragione che non si può entrare in Azerbaigian con un visto del Nagorno. Mentre si può entrare nel Nagorno con qualsiasi visto. Tipiche ripicche stile russo, come ai tempi della guerra fredda: con visto USA non potevi entrare in Russia.

In fase di preparazione del viaggio avevo previsto di entrare nel paese da una parte ed uscirne da un’altra, ma al ministero degli esteri apprendo che c’è una sola entrata ed una sola uscita. Questo vuol dire che dovrò farmi in Armenia circa duecentocinquanta chilometri due volte, all’andata e al ritorno.

Il consolato del Karabakh si trova a nord di Yerevan vicino a Madre Armenia (Mayr Hayastan) che è una gigantesca statua che domina la città in tipico stile sovietico. Non mancano i carri armati, i missili, il mig e la fiamma eterna. Dentro il piedistallo della statua si trova il museo militare.

Proseguendo per il parco Haghtanak si arriva in pochi minuti alla cima della Kaskad dove si trova un monumento, pure questo visibile da tutta Yerevan, costruito per ricordare i 50 anni del Soviet in Armenia. Una lunga rampa di scalini di pietra scende quindi fino alla piazza sottostante dove ci sono due statue di Botero.

Dopo essere scesi tutti i gradini ci siamo accorti che all’interno c’erano delle scale mobili con un museo che ospita una collezione di opere d’arte. Dalla base della cascata parte un percorso indicato sulla nostra guida che termina alla piazza della Libertà, dove una colta arrivati entriamo nel super per fare una scorta di dolcetti da portarci l’indomani in viaggio.

Metro e in albergo.

Sabato 06.08.11

Oggi niente salsicce a colazione ma delle buone uova con prosciutto.

Alle 10.00 siamo presso la Sixt che ci consegna l’auto a noleggio. La stessa è in buone condizione e ci avvertono di fare attenzione perché le strade sono piene di buche e cosi infatti le abbiamo trovate spesso. Per uscire da Yerevan in direzione sud dobbiamo riattraversare tutta la città e nonostante il l’aiuto di mia figlia che mi fa da navigatore sbagliamo strada un paio di volte. Questo dovuto alla mancanza totale di cartelli stradali. Chiediamo ad un signore la strada per Khor Virap e questi ci dice di seguirlo. Dopo un paio di chilometri ci fa segno di fermarci mi spiega come continuare e se ne torna indietro. Questa disponibilità ci è stata dimostrata varie volte in Armenia.

A circa 30 chilometri da Yerevan, nella regione dell’Ararat, si trova il monastero di Khor Virap. Il Khor Virap è il punto armeno più vicino al monte Ararat e quindi da dove si dovrebbe avere la miglior veduta sullo stesso. Oggi sabato vi si celebrano matrimoni e noi nel breve tempo ne vediamo due. Gli sposi arrivano in limousine, i vestiti non sono all’ultima moda e si vedono nonne e mamme in ciabatte e calzetti neri, ma giustamente il matrimonio è una giornata importante e alla limousine non si rinuncia. All’entrata del monastero c’è chi vende polli e colombe, i polli, come ho poi visto, dopo la benedizione vengono sacrificati, mentre le colombe vengono lasciate libere. Sono talmente vecchie che posso ben immaginare che siano colombi viaggiatori e tornino sempre a casa per poi essere rivenduti un’altra volta. Vicino alla chiesa c’è un pozzo che dicono profondo 60 metri dove il re Tiridate tenne san Gregorio Illuminatore prigioniero per dodici anni prima di convertirsi al cristianesimo. Si può scendere giù per una cala messa in verticale con pioli in ferro ma visto il caldo, non so poi come ne saremmo risaliti, abbiamo quindi rinunciato all’impresa.

Da Khor Virap ritorniamo sulla strada principale, sempre senza cartelli e ad un certo punto faccio un fuori pista di un paio di chilometri e vado quasi a finire in territorio azero, dove un soldato con mitra a tracolla di guardia al confine mi fa gentilmente segno di girare al largo.

Prossimo paese di un qualche interesse è Areni dove si produce del buon vino. Lungo la strada è pieno di bancarelle che vendono vino in fiaschi, bottiglie e damigiane di plastica, il tutto al sole cocente. Da qui in poi ci saranno sempre bancarelle con pesche angurie e meloni. Si dice che la pesca sia originaria dell’Armenia e sia stata portata in Europa dai legionari romani. Di meloni ne abbiamo mangiati parecchi, sono bianchi all’interno e possono superare anche i dieci chili di peso. Prezzo al chilo intorno ai 20 centesimi di Euro, mentre per delle enormi pesche chiedevano 1 Euro, sempre al chilo. Lungo questo tratto di strada è anche tutto un susseguirsi di apicolture con relativa vendita.

Alcuni chilometri dopo Areni e a sei chilometri dalla strada principale c’è il complesso monastico di Noravank. A differenza di altri monasteri visitati questo è stato ristrutturato da poco ed è ben tenuto. Per visitarne la piccola chiesa bisogna salire al secondo piano attraverso degli scalini esterni. La zona è molto suggestiva e lungo la strada ci sono vari posti per il bird watching.

Una decina di chilometri dopo il paese di Vaik vedo l’insegna Hotel/ristorante scritto in russo ed il nome dell’albergo in armeno. Non so quindi quale sia il nome dello stesso. La costruzione è nuovissima e per una camera tripla con bagno mi chiedono 10.000 Dram, circa 20 Euro. Ci fermiamo anche a cenare e per altri 20 Euro ci preparano tre un’abbondanti spiedi di carne di manzo con insalata, circa mezzo chilo di formaggio di capra, pane lavash (un pane tipo piadina ma più fino e secco, a volte la grande come una tovaglia) e bibite.

Forse un po’ caro per i prezzi armeni, ma va bene così. La carne era molto tenera e saporita. Al mattino prima di partire ci offrono anche il caffè. Visto il prezzo economico riservo loro la stessa camera per il martedì prossimo quando ripasseremo di qua.

Lungo questa strada si vedono spesso dei cartelli stradali che indicano che questa era parte dell’antica via della seta.

In Armenia, lungo le strade o nei monasteri si incontrano molto spesso delle croci in pietra intagliate chiamate Khachkar e che risalgono a diversi periodi storici del paese.

Domenica 07.08.11

Dopo una cinquantina di chilometri il tempo comincia a cambiare, prima ci sembra di entrare in mezzo alle nuvole e poi piano, piano incomincia la pioggia. Una pioggia molto fine, quasi invisibile e con nostra felicità la temperatura finalmente si abbassa. Prima di Goris all’uscita per il monastero di Tatev c’è cosi tanta nebbia che non riesco nemmeno a vedere l’uscita, cosi posponiamo la visita al monastero per il ritorno. Passiamo la città di Goris in direzione Nagorno Karabakh. Dopo i primi chilometri la strada diventa molto panoramica e poco a poco esce uno spiraglio di sole. I circa cento chilometri fino a Stepanakert, capitale del Nagorno K. sono sempre un su e giù e pieni di curve. Ora capisco perché lo chiamano “Mountanous Karabakh”. Da dove comincia il Nagorno K. i bordi delle strade sono pieni di more e lamponi. In questo periodo stanno maturando e molta gente li sta raccogliendo. Spesso ci sono dei bambini che li vendono a secchi. Pure le mucche si danno da fare mangiando lamponi ai bordi delle strade.

Alla frontiera registrano solamente il mio passaporto e siamo liberi di entrare, ci dicono solo di riconsegnare al ritorno il foglio con l’autorizzazione dei posti da visitare.

Qui a volte sembra davvero di essere tornati indietro nel tempo. Ci sono contadini a dorso d’asino o cavallo con magari il puledrino che segue la mamma. Bisogna stare attenti ad ogni curva perché salgono sempre animali dai lati della strada. Sono asini, cavalli, maiali, mucche, pecore, galline, ma soprattutto tante oche e queste, a volte, a decine.

La prima cittadina che si incontra è Sushi, un importante centro culturale che si trova su un bastione naturale che sovrasta una profonda valle rocciosa, il che spiega la sua importanza strategica nel corso della storia. Passiamo davanti alla cattedrale di Ghasanchetots, da dove sta uscendo un matrimonio. La chiesa e costruita con pietra bianca. Sotto l’altare si trova una cappella che è nota per il particolare effetto acustico. Se ci si colloca al centro della sala si può ascoltare la propria voce con uno strano effetto stereofonico dovuto alla particolare conformazione dei muri che fanno rimbalzare il suono. Volevamo andare a fare la prova ma in quel momento, proprio in quel posto, c’era un sacerdote che benediva alcuni soldati. Abbiamo comunque sentito la sua voce rimbombare bene per la chiesa. In epoca sovietica questa chiesa serviva come magazzino. Davanti alla chiesa c’è un chiosco di semplici souvenir tipici locali, l’unico che abbiamo incontrato nel Nagorno. Comincia a piovere leggermente, lasciamo quindi Sushi con il proposito di fermarci al ritorno.

Arrivando a Stepanakert (circa 60.000 abitanti) si viene accolti da un monumento che raffigura due gigantesche teste di una coppia di anziani con sembianze locali che si chiama: “Noi siamo le nostre montagne”e confidenzialmente viene anche chiamato dai karabachi “Nonna e Nonno” ossia Mamik yev Babik. Il monumento è stato costruito in tufo arancione nel 1966 ed è il simbolo del Nagorno K. rappresentando l’attaccamento della gente del luogo alla loro terra e alla loro cultura. La nostra guida neppure lo menzionava.

È ancora presto per fermarsi, decidiamo così di uscire dalla capitale ed andare verso Vank e visitare il monastero di Gandsazar. Per andare a Vank uscendo da Stepanakert c’è una sola strada con un unico bivio e sono stato capace di sbagliare strada. Non c’era assolutamente alcun cartello.

Il monastero di Gandsazar è meta di pellegrini da tutto il mondo. Per il suo valore storico artistico è candidato all’inserimento nell’elenco del Patrimonio dell’Umanità UNESCO. Il complesso fu fondato nel 1216 ed è stato completamente restaurato e attualmente funziona come monastero e seminario. L’interno è molto parco e parte alcuni candelabri c’è poco o niente ma l’ambiente ha in sé molta religiosità. Le porte per entrarvi sono piccole e bisogna abbassarsi.

Nel centro del paese di Vank un magnate del legname russo, originario del posto, ha fatto costruire sul fiume che passa per il paese l’Eclectic hotel, un albergo a forma di nave che la gente del posto chiama Titanic. Un paio di chilometri più avanti su una collina (a questo la nostra guida non accennava) c’è un altro insolito e bel albergo, si chiama Sea Stone e dietro l’albergo, nella roccia, è stata ricavata la testa spalancata di un leone dalla quale uscivano in continuazione degli effetti sonori tipo ruggiti. Oggi domenica era strapieno di persone e specialmente bambini che vi giocavano. Eravamo tentati di restarvi per la notte ma avendo ancora un paio d’ore di luce decidiamo di tornare nella capitale.

Proprio all’entrata della città, poco dopo Mamik yev Papik ma dal lato opposto, c’è l’hotel Dghyak, un piccolo albergo ben tenuto. Camera con colazione 25.000 Dram (50 Euro). Al lato dell’albergo c’è anche un negozio di souvenir ma a parte qualche piccolo lavoretto artigianale aveva tutte cose esclusive e quindi abbastanza care.

Se negli altri paesi si trovava, a volte, qualcuno che parlava inglese, qui o russo o armeno. Il poco russo che avevo imparato è stato essenziale per trarmi d’impaccio.

Lunedì 08.08.11

Durante la colazione (buona e abbondante) decidiamo con mia figlia di sfidare la sorte. Avevamo letto che visitando la città fantasma di Agdam si rischiava di essere cacciati via in malo modo se non addirittura di essere arrestati e proprio questo ci ha dato l’input per provarci. Il voler fare qualcosa che non è permesso. Una piccola parentesi su Agdam. La città prima della guerra aveva circa 100.000 abitanti, quasi tutti musulmani azeri ed è stata completamente distrutta. Io mi domando distrutta da chi, dai russo-azeri o dai karabachi, visto che hanno fatto sfollare tutti i musulmani azeri? Non importa, noi ci andremo o almeno ci proveremo e nella maniera più semplice, vi entreremo per conto nostro ed in macchina. Usciti da Stepanakert e dopo aver passato il paese di Askeran la strada, per una decina di chilometri, è tutta piena di buche e per passare dobbiamo fare delle gimcane da un lato all’altro della strada. Pian piano e senza accorgercene entriamo ad Agdam. Dapprima incontriamo ai lati della strada poche case diroccate che poi, un poco alla volta, vanno aumentando di quantità fino a diventare una città. Di soldati neanche l’ombra. Ad un cero punto notiamo una coppia (probabili sciacalli) che con un’auto sta uscendo da una delle vie interne e chiedo dove sia l’entrata, me lo spiegano e continuiamo. Dopo poco siamo in piena città. Non tutte le ex-strade sono transitabili quindi andiamo piano e più di una volta dobbiamo tornare indietro. Ogni tanto c’è qualche carro armato pieno di ruggine, è tutta una desolazione. Prendiamo coraggio, scendiamo cominciamo a filmare e fare foto. È tutto silenzioso, un silenzio di tomba, come se la città fosse conscia di quanto accaduto. Non volano neppure gli uccelli, l’unico rumore è il clic della nostra macchina fotografica. È tutto distrutto non ci sono più tetti, balconi, porte e mancano intere facciate delle case. Agdam ha subito violenza due volte, prima con la guerra e poi con lo sciacallaggio. Uniche prove che una volte ci sono vissute delle persone sono delle piante di fichi, melograni e qualche vigna in giardini fatiscenti. Non ancora contenti proseguiamo verso un minareto che vediamo in lontananza, non siamo ancora arrivati al minareto che ci imbattiamo in una guarnigione di soldati che a malapena ci fanno caso. Chiedo la strada per Martuni, il prossimo paese che vogliamo visitare e ci dicono gentilmente che dobbiamo tornare indietro. Probabilmente ci hanno preso per quello che siamo: tre sprovveduti turisti. Non vogliamo più tentare la sorte e piano, piano usciamo dalla città di Agdam in direzione Martuni. I circa quaranta chilometri fino a Martuni sono una desolazione. Non c’è traffico e la strada a tratti è piena di buche. Sul lato sinistro si vedono i confini tracciati con l’Azerbaigian, una continua montagna di terra sospinta con delle ruspe. Ogni tanto dove la frontiera si avvicina alla strada si vedono delle torrette di controllo sia da una parte che da dall’altra. Il tutto è comunque molto tranquillo. Anche qua, con la scusa di fare la pipì, scendo e filmo. Come per Agdam c’è una tranquillità totale. Difficile da descrivere a parole.

Attraversiamo Martuni, questo paesetto non si è ancora ripreso dalla distruzione causata dalla guerra, era andato infatti quasi tutto distrutto. Dopo Martuni la strada incomincia a migliore, è stata asfaltata di recente ed il Nagorno Karabakh incomincia riprendere vita. Lungo la strada degli uccellini colorati come dei pappagalli sono fermi in mezzo alla stessa e si spostano solamente all’ultimo momento. Ce ne sono moltissimi e come si esce dal Nagorno Karabakh non se ne vedono più. In questa parte del paese il pericolo animali è più presente che mai, specialmente le oche.

La nostra guida segnala varie curiosità da vedere ma alcune sono vari chilometri all’interno e quindi impensabile di visitarle se non a piedi o con un fuoristrada. Passiamo Fizulj, altro paese distrutto dalla guerra e quindi Hadrut. Una cosa curiosa ad Hadrut sono le condutture del gas. In tutta la cittadina le condutture del gas ad uso domestico sono esterne e tutte dipinte di giallo (per questo me ne sono accorto), ma la cosa particolare come detto e che sono esterne. Arrivano ad ogni casa per via volante, dove ognuno ha il suo contatore e attraversano le vie varie volte ad una altezza di non più di quattro metri dall’asfalto. Mi sono poi reso conto che è così sia in Armenia che in Georgia. I russi invece di interrare i tubi avevano trovato più facile lasciarli in superficie. Quando c’è un passaggio per entrare in mezzo a dei campi coltivati i tubi sono sollevati da terra e rinforzati con dei tubi verdi perché li sostengano meglio. Sembrano porte di campi di calcio. Una volta ne abbiamo visto uno che perdeva a tutto spiano. Dopo Kamir Shuka si trova Skhtorashen un paesino dove sorge un platano gigantesco che si dice abbia più di 2.000 anni. L’albero è alto più di 54 metri ed il suo perimetro alla base è di 27 metri. Per andarlo a vedere abbiamo lasciato l’auto in strada e ci sono voluti più di trenta minuti di salita per arrivarci. Si poteva forse farcela anche con la nostra auto ma meglio cosi, abbiamo fatto finalmente un po’di movimento. Attaccati ai rami dell’albero c’erano molti fazzoletti, probabilmente messi là assieme ad un qualche voto o pensierino. Anch’io ho legato il mio fazzoletto, ma senza pensare a niente in particolare.

Continuando per la strada si arriva al paesino di Togh dove in questo posto sperduto la tra le montagne, da un paio d’anni, è stato avviato un pastificio per produrre pasta italiana con l’obiettivo di esportarla anche in Armenia.

Torniamo infine a Stepanakert allo stesso albergo di ieri. In serata visitiamo un po’ il centro della città e cerchiamo un ristorante. La scelta cade sul meno peggio, un misto tra pizzeria ed un po’ di tutto. Non vogliamo rischiare e prendiamo un paio di pizze che scopriamo scaldate al microonde. Siamo nel Nagorno Karabakh e non si può pretendere il forno a legna.

In teoria il ristorante del nostro albergo dovrebbe essere il migliore della città ma è chiuso.

Tutte le sere il centro della città viene limitato al traffico e tutta la gente si riversa nelle strade. Dagli altoparlanti esce spesso e volentieri musica italiana. Avevamo bisogno di medicine ed entrati in una farmacia abbiamo constatato che qui le medicine costano di più che in Italia. Anche qui, per quanto scarsa, la conoscenza del russo è stata determinante.

Abbiamo cercato delle cartoline tipiche del posto ma non ne abbiamo trovato nemmeno una.

Tornato in albergo voglio pagare il conto del pernottamento, quello di ieri l’ho già saldato e da non credere il prezzo è aumentato, non più 25.000 Dram ma 30.000 (10 Euro in più). Chiedo spiegazioni ma quello che riesco a capire è che il prezzo è aumentato. Faccio le rimostranze d’obbligo nel mio russo maccheronico ed alla fine chiudiamo in 27.500. Forse la ragazza del ricevimento mi ha anche detto perché, ma sinceramente la mia conoscenza del russo non arrivava a tanto. Mi è bastato poter abbassare il prezzo di 2.500 Dram, così anch’io ho avuto la mia piccola vittoria.

Martedì 09.08.11

Oggi si rientra in Armenia ma prima vogliamo cercare ancora delle cartoline. Torniamo in centro in piazza della Vittoria dove ci sono tutti gli edifici più belli della capitale, dall’hotel Armenia a quasi tutti gli uffici governativi più vari musei. Vorremmo visitarne almeno uno ma oggi lunedì mattina sono chiusi. Di cartoline postali neppure l’ombra. Vado in banca a cambiare dei soldi e qui a Stepanakert ottengo il miglior tasso di tutti i cambi effettuati in Dram.

Partiamo in direzione Armenia e uscendo dalla città ci fermiamo ancora una volta a fare delle foto davanti a Mamik yev Papik. Oggi il tempo è migliorato e con un po’ di sole le foto vengono meglio. Lungo la strada ci fermiamo a Sushi e qui davanti alla chiesa troviamo le tanto cercate cartoline. Cerchiamo la posta per spedirle e dopo tanto cercare ubichiamo l’ufficio postale in un edificio fatiscente a tre piani. Di tutto l’edificio solo un a stanza è arredata, appunto quella della posta. Per entrarvi bisogna passare prima per un passaggio esterno pieno di erbacce e poi su per delle scale esterne dove il marmo che copre i gradini è parzialmente rotto, scollato e traballante. Cose da noi impensabili. Hanno anche dei francobolli del loro paese con un determinato valore facciale ma al momento di pagare e facendo le somme i conti non quadrano. Costano il doppio di quanto appare sul francobollo. Ho chiesto spiegazioni, ma come al solito il mio russo mi tradisce. Non importa sorrido, pago e spedisco le cartoline. Fortunatamente le cartoline sono arrivate. Questo basta.

Alla frontiera ci fermiamo per consegnare il foglio con le autorizzazioni. Tutto qua, nessun timbro di entrata ed uscita nel passaporto. Poco prima della città di Goris c’è il villaggio di Khndzoresk dove a circa metà strada tra il villaggio e la gola sottostante ci sono molte grotte tutt’ora utilizzate come stalle e mi chiedo come fanno a portarci dentro gli animali visto che non vedo nessuna entrata ed hanno delle aperture nel vuoto.

Dopo Goris andiamo a visitare il monastero di Tatev. Dalla statale al monastero ci sono circa venticinque chilometri di strada dei quali più della metà ben asfaltati. La strada, attraverso vari tornanti, scende e sale per infine arrivare al monastero. Prima del monastero, in fondo alla valle, dovrebbero esserci delle sorgenti minerali e la Gola del Diavolo, dove secondo una leggenda locale gli abitanti in fuga verso Tatev furono bloccati dalle acque del fiume, ma come per incanto, prima che gli invasori potessero attaccarli, un masso di roccia si staccò dalla parete della gola e cadde in mezzo al fiume, formando un ponte che permise ai fuggitivi di mettersi in salvo. Ci dovrebbero essere anche due piscine naturali dove si potrebbero fare dei bagni da sogno. In sintesi: ci sono due pozze d’acqua sporca e probabilmente anche inquinata dove alcuni giovani russi stanno facendo il bagno, il tutto in mezzo a borsette e bottiglie di plastica.

Il monastero di Tatev è costruito su una fortificazione naturale di roccia ai margini della gola. I primi lavori per la costruzione del monastero iniziarono nel nono secolo e l’età la si vede tutta. A mio parere il sito è lasciato all’incuria, oppure per essere meno drastici, non gli viene data la giusta manutenzione. Per arrivare monastero, dopo alcuni chilometri dalla statale è stata costruita una funivia (Tatev wings) che con 3.000 Dram a percorso ed in 15 minuti ti porta a destinazione. Anche di questo sulla guida nessun accenno.

Scendendo dal monastero verso valle abbiamo potuto vedere e fotografare un’aquila solitaria che volteggiava in cielo.

Ora non sappiamo se continuare verso Yerevan o andare verso sud in direzione dei confini con l’Iran. Da bravi turisti si va verso sud. La meta finale di oggi è Kapan, una città costruita per le industri minerarie. Per arrivarci, prima bisogna salire una vallata attraverso una quarantina di tornanti e poi la pioggia, molta nebbia e tante mucche rendono la strada molto pericolosa. Sono solo settanta chilometri ma ci impiego due buone ore. In diversi punti la strada sconfina in territorio azero, ma con tanta nebbia non si vede proprio niente.

All’entrata della città c’è il nuovo Hotel Dian, bello pulito e la camera costa 25.000 Dram con colazione.

Per cena ci consigliano il ristorante Prince. Ottimi ed abbondanti spiedoni di carne di manzo con patate fritte. Per tutto 12 Euro.

Mercoledì 10.08.11

Quando ci alziamo al mattino il tempo non è migliorato, anzi. Lo scopo di venire a Kapan era di fare il giro della provincia del Syunik, arrivare fino a confini con l’Iran e tornare per un’altra strada chiudendo il cerchio ancora a Kapan. In tutto circa 170 chilometri. Dopo aver fatto le nostre considerazioni, peraltro inutili, perché già sapevo che saremmo andati avanti, partiamo verso sud. Fino a una decina di chilometri prima della frontiera il tempo è inclemente, piove e c’è tanta nebbia, a volte devo quasi guidare a passo d’uomo perché oltre alla nebbia ci sono le immancabili mucche.

Passiamo la riserva naturale di Shikahogh, ma senza vedere niente. Mentre cominciamo la discesa verso Megrhi spunta il sole e davanti a noi si stagliano montagne di rara bellezza. La strada è larga e ben asfaltata. Scendendo notiamo una coppia di aquile e possiamo filmarle da vicino. I terreni vicino a Megrhi lungo il confine sono coltivati a melograni, pesche ed uva. Il sole è tornato a splendere e fa molto caldo. Il confine tra Armenia e Iran è a due facce, mentre la parte armena e piena di verde e coltivata, al di la del fiume che fa da confine è tutto brullo, neppure un filo d’erba. Il confine e tutto recintato con filo spinato e con alta tensione in più sentinelle su delle torrette. Mia figlia cerca un posto dove posare un piede per poter dire di aver calpestato la terra iraniana ma niente da fare i confini sono ermetici. Al posto di confine sul ponte che attraversa il fiume facciamo le foto d’obbligo. Parcheggiate vicino al confine ci sono una cinquantina di mercedes usate ma in ottimo stato ed immagino che stiano li in attesa di un qualche compratore iraniano o della documentazione per essere trasferite dall’altra parte. Col senno di poi penso che se avessimo fatto il visto per l’Iran nulla ci avrebbe impedito di passare la frontiera e visitare per un paio di giorni la terra degli ayatollah. Torniamo infine di nuovo a Kapan ma per l’altra strada che non è altrettanto bella e dove bisogna passare un paio di passi di montagna. Da questa parte non piove, c’è solo un po’ di nebbia. Prima di Kapan passiamo per la cittadina di Kajaran ai piedi del monte Kaputiugh alto oltre 3.900 metri. Quello che mi è rimasto impresso di questa cittadina sono gli enormi condomini in stile sovietico ed un camion che in una curva se no avessi frenato in tempo e non gli avessi dato tutta la strada mi avrebbe sbattuto chissà dove. Da Kapan continuiamo per Goris dove svoltiamo a sinistra in direzione di Sisian. Poco prima di Sisian c’è il sito di Zorats Karer formato da 204 blocchi di basalto disposti in circolo o lungo ampie linee curve in posizione verticale. Alcuni hanno dei fori allineati con le stelle ed attraverso questi fori facciamo delle curiose fotografie. Questi buchi suggeriscono che i costruttori conoscevano bene l’astronomia, lo zodiaco e le fasi lunari.

Come da accordi presi la settimana scorsa a sera siamo al paese di Vayk dove avevamo riservato la camera per questa sera. Stessa camera, stesso prezzo e stessa cena con carne alla brace.

Attraverso la proprietà dell’albergo scorreva un torrente ed il proprietario ha messo dei ponti sul torrente con dei tavoli sopra il ponte. Praticamente si mangiava sopra l’acqua.

Giovedì 11.08.11

Ad una ventina di chilometri da Vayk c’è il paese di Jermuk famoso per le sue acque minerali che si trovano in tutte le botteghe armene. Vi facciamo una breve visita e considero che questo sia il paese, fra quelli che ho visto, più ben tenuto dell’Armenia. Unico handicap è che bisogna tornare indietro perché la strada, molto panoramica, termina a Jermuk e quella che continua per la parte nord del lago di Sevan è sterrata e mi è stata sconsigliata. Proseguiamo quindi fino a Yeghegnadzor dove svoltiamo a destra dirigendoci verso il lago di Sevan. Qui una bella strada panoramica ci porta fino al passo di Selim. Prima del passo ci sono i resti di un caravanserraglio del tredicesimo secolo.

Il lago di Sevan situato a 1900 metri di quota, nel punto più lungo misura 80 chilometri per 30 di larghezza. Causa fenomeni naturali non ancora capiti il suo colore varia dall’azzurro chiaro al blu intenso con tante colorazioni intermedie. Alcuni progetti sovietici degli anni 50 hanno ridotto le dimensioni del lago di una ventina di metri ma attualmente la politica del governo armeno e degli ambientalisti ha fatto si che ultimamente il lago sia cresciuto di un paio di metri. Prima di arrivare alla cittadina di Sevan si passa vicino al monastero di Hayravank una struttura in tufo risalente a 1.100 anni fa. Dal promontorio del monastero si gode di una bella vista del lago. Anche qui avrei qualcosa da dire su come vengono tenuti questi siti storici.

Da Sevan ci dirigiamo verso Tsaghkazdor, un paesetto di 2.000 anime dove ai tempi dell’URSS gli atleti sovietici venivano ad allenarsi prima di campionati del mondo o delle olimpiadi invernali. Oggi faceva cosi caldo che abbiamo appunto cercato un posto di montagna per il pernottamento.

Hotel Saya. Pernottamento 25.000 Dram.

Venerdì 12.08.11

Lasciato il fresco paesino di Tsaghkazdor torniamo verso Sevan proseguendo per Dilijan, Vanazdor, Gyumri , Talin e arrivando in serata a Echmiadizn a pochi chilometri da Yerevan. Praticamente il giro di tutta la parte occidentale dell’Armenia.

A parte qualche bancarella di frutta e verdura e qualche chiosco dopo Dilijan, dove vendono pannocchie di mais cotte al vapore, la strada scorre abbastanza monotona per quasi tutto il tragitto e fa anche molto caldo, nonostante viaggiamo sempre attorno ai 1.000 e più metri di altezza. Passiamo il paese di Spitak, tragicamente famoso per un terremoto che scosse l’Armenia nel 1988 e dove persero la vita più di 4.000 persone. Ora è stato tutto ricostruito e passando per la strada, se non avessi letto del scisma sulla guida, non mi sarei accorto di nulla.

Dopo Gyumri, secondo la mia guida, ci dovrebbe essere l’uscita per il Belvedere di Ani. Ani, che ora si trova in territorio turco, fu un’antica capitale dell’Armenia nel X secolo. La guida dice anche che il sito è controllato da soldati russi che difficilmente lasciano passare dei turisti. Questo per noi è gia abbastanza per provarci. Ad un certo punto troviamo una scritta che dice 35 Km. ad Ani, poi dopo non più di cinque chilometri ci immettiamo in un’altra strada che dice 12 Km. ad Ani, infine dopo ancora una ventina di chilometri sulla destra si snoda un’altra stradina tutta piena di buche con l’indicazione di 15 Km. ad Ani. Ne ho abbastanza e rinuncio ad andarci.

Lungo la strada che stiamo percorrendo c’è un bel lago che fa per un breve tratto da confine con la Turchia, ma c’è anche l’immancabile filo spinato con aggiunta di alta tensione e torrette con soldati.

Ad un certo punto la strada, anche se per pochi chilometri, diventa pessima, buche che a volte diventano quasi crateri. Bisogna guidare a passo d’uomo, ma come detto per fortuna solo per pochi chilometri. Quando finalmente ci immettiamo nella strada principale per Echmiadzin tiro un gran sospiro. Da qui ad Echmiadzin è tutto un susseguirsi di bancarelle di un po’ tutti i tipi di frutta e verdura. Sulla destra si ha finalmente una meravigliosa vista del monte Ararat con la vetta innevata nonostante siamo in pieno agosto e faccia un caldo boia. Sulla sinistra invece c’è una vecchia centrale nucleare ancora in funzione.

Quella che percorriamo è una superstrada a quattro corsie e ad un certo punto vedo un pastore arrivare con ventisei mucche (le ho anche contate) e le fa attraversare la strada. Io mi fermo e mi metto a filmare ma gli altri guidatori hanno continuato la loro corsa imperterriti, al massimo hanno decelerato un po’. Nessuno era agitato, ne gli autisti e neppure le mucche. Il più nervoso ero io mentre filmavo perché mi aspettavo un incidente da un momento all’altro. Invece niente.

Arrivati a Echmiadzin ci fermiamo presso il nuovo hotel Vip dove non hanno camere libere ma ci danno una villetta a schiera. Con una chiave privata si accede ad un garage dove ci potrebbero stare più auto, si chiude la porta e si accede ad un appartamento al piano superiore con due lussuose stanze da letto con ognuna il suo bagno privato, un soggiorno, tre televisori e tre condizionatori d’aria. Per il tutto ci chiedono 14.000 Dram, 28 Euro. Affare fatto. Lasciamo i bagagli in camera ed andiamo a visitare la cattedrale.

La città santa di Echmiadzin è la Santa Sede della chiesa apostolica armena e dove risiede il Catholicòs, ossia il patriarca degli armeni. La cattedrale di Mayr Tachar, ora un enorme complesso monastico, fu fondata da San Gregorio Illuminatore su indicazione di una luce divina. La città fu anche capitale dell’Armenia e durante questo periodo del II e III secolo la nazione si convertì al cristianesimo. Vi è anche un monumento eretto in occasione della visita di papa G. Paolo II nel 2001. Quando entriamo nella cattedrale si sta celebrando una messa cantata e noto che la gente va e viene. Come vengo poi a sapere per loro non è così importante partecipare a tutto il rito ma anche una breve presenza è sufficiente. Nel museo della cattedrale, tra altre cose, viene conservata la punta della Lancia Sacra, che si dice sia quella con la quale è stato trafitto il torace di Cristo. Nei giardini si trova un monumento che commemora il genocidio degli armeni commesso dai turchi dal 1915 al 1923.

Mangiamo nel ristorante dell’albergo e con 13 Euro in totale usciamo soddisfatti e sazi.

Sabato 13.08.11

Oggi si torna a Yerevan. Un paio di giorni fa avevo telefonato all’hotel Areg e mi avevano confermato la disponibilità di una camera per i prossimi due giorni. Lasciamo le valigie in camera ed andiamo a consegnare l’auto anche se con una giornata di anticipo, tanto non ci serve più.

Dagli uffici del rent a car mi faccio portare alla stazione delle marschrutke. Un paio di giorni fa avevo letto nella guida che ci sono solamente due viaggi al giorno per Tbilisi e non vorrei che restassimo a piedi perché una volta che partiamo da Yerevan è tutto collegato al volo di ritorno.

Troviamo posto sul minibus delle 10.30 così paghiamo e riserviamo i posti.

A circa quindici minuti di strada dalla stazione Kilikya Avtokayan c’è il Museo e Memoriale del genocidio armeno (Tsitseenakaberd) che commemora il genocidio degli armeni da parte dei turchi. La visita è commovente. Nella parte esterna, appunto sulla collina di Tsitseenakaberd, c’è una fiamma eterna circondata da dodici lastre di basalto inclinate verso l’interno e dal sottosuolo esce una triste musica. C’è poi una statua di una madre straziata dal dolore alla quale si lascia intendere viene portato via il figlio. Sempre sulla parte superiore c’è una pinetina dove personaggi illustri in visita al memoriale hanno fatto piantare un pino in segno di solidarietà con gli armeni. Nel museo nella parte interrata c’è una mostra che evidenzia il mancato interesse della comunità internazionale. Ci sono poi molte enormi fotografie che raffigurano dei sopravissuti nudi e disperati. Il tutto è molto toccante.

Con una buona camminata di circa mezz’ora ritorniamo in centro, lo percorriamo tutto verso sud fino al Mercato del fine settimana chiamato Vernissage. Qui c’è di tutto, souvenir (piuttosto cari), quadri, tante bancarelle di articoli nuovi e usati, più tanti rimasugli dell’occupazione russa. Ci sono sia venditori ambulanti sia privati che vendono i più semplici articoli casalinghi.

Per oggi basta, prendiamo la metro e con 60 centesimi siamo in albergo dove sono arrivati anche altri italiani.

Domenica 14.08.11

La giornata di oggi la vogliamo dedicare alla visita del sito di Garni dove c’è un Tempio romano dedicato al dio Elio e quindi al non lontano monastero di Geghard, patrimonio UNESCO.

Non abbiamo nessuna voglia di prendere un tour organizzato e quindi lo faremo con i mezzi pubblici. Con un taxi e 1.200 Dram (Euro 2.50) ci facciamo portare alla stazione delle marschrutke per Garni e con altri 1500 Dram (3 Euro) siamo a Garni una ventina di chilometri da Yerevan. Visitiamo il tempio da dove si ha una bella vista sulla valle sottostante. Per andare al monastero di Geghard abbiamo bisogno di un altro taxi e una gentile signora di un negozietto del paese ce ne chiama uno telefonicamente. Quando arriva quasi non ci vogliamo salire sopra perché è tutto sgangherato, ma tanto vale, non troveremo niente di meglio. Con 1.200 Dram (Euro 2.50) ci porta fino a Geghard che dista una decina di chilometri. Chiediamo al tassista come fare per il ritorno e ci dice di rivolgerci ai parcheggiatori che ce ne troveranno uno.

Geghard è il nome della lancia che trafisse il corpo di Cristo e questa lancia prima di essere portata a Echmiadzin si trovava qui. Oggi, domenica, il monastero è strapieno di gente e ci deve essere una qualche cerimonia perché siamo alla fine della messa ed i sacerdoti stanno distribuendo dell’uva sull’altare. Per curiosità me ne faccio dare un riccio ed è acerba più che mai. Il monastero è stato fondato nel IV secolo ma le due chiese rupestri che ne fanno parte un po’ più tardi, ossia nel VII e nel XIII secolo. Ci sono due cappelle scolpite nella roccia una delle quali contiene una acquasantiera alimentata da una sorgente ritenuta fortunata ed infatti sono tutti li a prendere acqua con bottiglie di plastica e c’è chi si lava il viso, gambe, braccia ecc., praticamente si fanno la doccia. L’altra contiene un sepolcro di un qualche principe e della moglie.

Sempre all’interno e da un oblò posto in mezzo al tetto della chiesa scende un raggio di luce e mi viene in mente di fare delle foto con mia figlia sotto questo raggio di luce. Ne viene fuori come San Paolo folgorato sulla via di Damasco, ma senza il cavallo. Non l’avessi mai fatto, subito gli altri visitatori mi hanno copiato l’idea e per tutto il tempo che sono rimasto in chiesa c’era sempre la fila sotto questo raggio di luce.

Anche all’esterno quasi tutto è stato scavato nella roccia e ci sono corridoi e fenditure che comunicano. Per me questo è il miglior monastero visto in Armenia.

Una volta terminata la visita andiamo da un parcheggiatore che ci dice di attendere e dopo una decina di minuti ci trova un taxi privato che ci riporta a Garni. Credo che, occhio e croce, il tassista non avesse più di sedici anni e l’auto è stata quella più sgangherata vista in tutto il viaggio. L’auto era alimentata anche gas ma quando si andava in salita il giovane la passava a benzina perché avesse più spinta ed appena si scendeva la ripassava a gas per risparmiare. Altri 1.500 Dram (3 Euro). A Garni prendiamo un minibus che ci dovrebbe portare alla stazione di partenza, ma quasi arrivati vedo che tutti scendono una stazione prima per prendere un minibus per il centro. Noi facciamo uguale e ne prendiamo uno a caso che, guarda caso, ci porta con nostro stupore al mercato Vernissage, dove volevamo andare. Qui mangiamo una specie di piadina ripiena con della carne macinata e del prezzemolo. Sono piccole e buone e facciamo il bis ed il tris. Dopo un giro del mercato camminiamo fino al supermercato per comprare qualche cosa da portare in Italia. Tra le altre cose i soliti dolcetti e del buon brandy armeno.

Si torna in albergo a preparare le valigie. Domattina si parte.

Lunedì 15.08.11

Dopo colazione incomincia il nostro lungo ritorno a casa.

Ci facciamo portare alla stazione dei minibus per Tbilisi e partiamo puntuali. Il viaggio dura quasi sei ore con la solita fermata presso i conoscenti dell’autista ed i bagni in pessime condizioni, ergo tutti in riva al fiume o in mezzo all’erba.

Poiché il nostro volo era alle tre del mattino successivo il piano era di andare all’aeroporto con un taxi, lasciare li le valigie e tornare con il pullman in centro a Tbilisi, fare una passeggiata e magari qualche acquisto. All’aeroporto ci dicono che non esiste alcun posto dove consegnare ne lasciare i bagagli. Ne gratis ne pagando. Fa talmente caldo che la moglie si offre volontaria di restare con il bagaglio, mentre la figlia ed io andiamo a farci l’ultima sudata georgiana. E che sudata! Ormai conosciamo tutte le stazioni del metro ed ottimizziamo i movimenti. Andiamo a mangiare l’ultimo kebab, ci comperiamo ancora dei dolci e del vino georgiano, tutto da portare in Italia. Quando torniamo sudati in aeroporto troviamo il terzo componente della famiglia al fresco e riposato. Noi due ci guardiamo e pensiamo: perché non siamo rimasti anche noi in aeroporto invece di fare tutte quelle corse? Ci laviamo, cambiamo ed aspettiamo fino alle tre del mattino. Durante la notte tutti i negozi ed il ristorantino sono chiusi ed aprono solamente in concomitanza con una partenza per tirare giù le saracinesche subito dopo.

Martedì 16.08.11

Alle sei del mattino siamo a Riga ed anche questa notte luci accese e mercatino notturno. Niente intrattenimento. Niente di niente.

Come per l’andata prendiamo un minibus ed in una mezzora siamo in centro. Com’è cambiata la temperatura, mentre ieri sera si moriva dal caldo questa mattina fa fresco. Qui la gente porta già la giacca e sembra voglia piovere. Alle otto entriamo in un McDonald, siamo talmente fusi che a quest’ora del mattino mangiamo hamburger con patatine fritte e coca cola. Facciamo ancora un giro veloce per il centro, ci fermiamo davanti a qualche bancarella che vende ambra e poi di corsa all’aeroporto.

Arriviamo a Venezia alle tre del pomeriggio ed arriviamo a casa verso le cinque. Se aggiungiamo le tre ore di orario legale il totale dice che siamo rimasti svegli per trentaquattro ore.

Anche a casa nostra faceva molto caldo, ma dopo l’esperienza di Tbilisi non avevamo più paura di niente.



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