La campagna in città
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ROMA: IL COMUNE PIÙ AGRICOLO D’EUROPA
Con una SAT (Superficie Agricola Totale) pari al 45% della superficie totale del Comune, Roma è il più grande polo agricolo d’Europa. A me è capitato il privilegio raro di sorvolare un paio di volte la Capitale in elicottero e dall’alto vedi cose incredibili: dentro la cerchia del Grande Raccordo Anulare prevale assolutamente il colore verde. Ci sono campi coltivati, parchi e veri e propri boschi! E dietro la facciata della metropoli congestionata dal traffico si sviluppa una Roma-alternativa. Si assiste in questi ultimi anni alla sempre più crescente attenzione verso l’agricoltura, c’è una grande domanda di spazi verdi, di orti urbani, sono nati i mercati della vendita diretta a filiera corta, sono nati collettivi auto-organizzati da gruppi locali per la diffusione di produzioni biologiche, affermazione delle filiere a km zero, socializzazione degli acquisti alimentari (gruppi di acquisto diretti o organizzati in rete), difesa delle biodiversità agraria. Il territorio della Capitale ospita 1.300 specie di piante solo dentro il GRA; in tutta la Gran Bretagna, solo per fare un esempio, sono poco più di duemila. E sembra incredibile, ma dentro Roma c’è appunto una agricoltura produttiva. Ci sono addirittura dei Marchi di qualità collettivi, tipo Roma Natura o Natura in Campo.
RISERVA DELL’INSUGHERATA
La Riserva Naturale dell’Insugherata la trovate a Roma tra i quartieri a Est della via Cassia e a Ovest della via Trionfale. È un’oasi dove trovate una biodiversità incredibile, con tutti i tipi di piante: la sughera, la roverella, oppure il leccio con boschi misti di carpino, orniello, farnia e acero, il castagno e il nocciolo. Lungo i corsi d’acqua ci sono il salice, il pioppo e felci. Con un sacco di animali selvatici: il riccio, la talpa, l’istrice, il moscardino, il gheppio, il fagiano, la tortora e il cuculo. Il tutto condito da resti archeologici di ville e sepolcri romani. Parlando con Angelo, che incontro sotto un acquedotto antico, uno non ci può credere che si tratta di un pastore che praticamente vive… in centro a Roma! Alleva 160 pecore e produce formaggio: ricotta e primo sale. Ha anche dei cavalli che servo no per le escursioni nei boschi vicini. Produce olio e ortaggi certificati Bio, e anche miele (ha le arnie vicino alla serra). Come un qualunque allevatore-contadino della Maremma o dell’Umbria, Angelo è molto preoccupato dai cinghiali che da due-tre anni sono arrivati dentro il raccordo e distruggono orti e pascoli.
COOPERATIVA BRACCIANTI AGRICOLI ORGANIZZATI
Se andate nel XIV Municipio, all’interno del parco di Casal del Marmo tra la via Trionfale, via Casal del Marmo, Boccea e Quartaccio, immediatamente dietro all’Ospedale San Filippo Neri, trovate una grande azienda agricola dove si coltiva grano, ulivi, frutta, vite e ortaggi di stagione, dove stare tranquillamente in campagna e magari comperare frutta e verdura freschissima e biologica, a chilometro doppio-zero (cioè a metri zero), e in particolare prodotti conservati come patè d’olive, di pomodori secchi, di broccolo, di melanzane, di peperoncino, di cavolfiore, marmellate di cotogne, fichi, mele, melone, arance, conserve di Pomodoro, miele di acacia, tiglio, millefiori, castagno, olive in salamoia, olio extra vergine d’oliva, birra artigianale, vino e succhi di frutta vari. L’azienda si chiama Cobragor, che sta per Cooperativa Braccianti Agricoli Organizzati. È nata nel 1977, dopo uno sciopero di disoccupati, che hanno trovato nell’agricoltura urbana la loro occupazione e soprattutto il loro stile di vita. E tra i gestori della cooperativa trovate magari vecchi “fricchettoni” e giovani rasta-alternativi, che vi offrono – oltre ai prodotti e al benessere della campagna – anche un genuino discorso ideologico, economico, politico e filosofico di cui oggi si sente assolutamente la mancanza…
ARANCETI URBANI
Cachi nel Centro Sportivo della Banca d’Italia in Via del Mandrione; albicocche, corbezzoli, prugne e persino avocado a fianco del Colosseo; mele, corbezzoli e rose canine al parco di via Proba Petronia; mandorle amare a Villa Doria Pamphili; fichi sull’isola Tiberina; l’uva sull’Ostiense; i melograni a Centocelle e gli avocado a Monteverde. Sono solo alcuni esempi delle “piantagioni” che trovate andando in giro per i quartieri di Roma. Ma il frutteto-urbano che più mi ha colpito è stato l’aranceto di Via XX Settembre, guarda caso davanti al Ministero dell’Agricoltura. È qui infatti che una mattina ho incontrato un gruppo di volontari intenti alla raccolta, con Michela del collettivo Frutta Urbana. Perché il bello è che tutto questo ben di Dio fino a poco tempo fa marciva sulle piante e sulle strade, poi è diventato il motore di un sacco di iniziative sociali: gruppi di volontari raccolgono la frutta e la portano alle organizzazioni umanitarie, tipo la Caritas a Villa Glori, che a loro volta la distribuiscono a mense o banchi alimentari. Oppure viene trasformata in marmellate e tisane, prodotte con progetti sociali ad hoc presso alcuni ricoveri per anziani o all’associazione La Sosta per bimbi afghani. A testimonianza che l’agricoltura, con tutto l’insieme dei valori che si porta dietro, scatena positive relazioni sociali e culturali.
ORTI URBANI TRE FONTANE
Arrivi nell’ottavo Municipio, tra la via Appia, via Ardeatina, via Cristoforo Colombo e via Ostiense, e ti colpisce la bruttezza (a volte il degrado) della semi-periferia metropolitana romana. Scendi in un parcheggio, trovi della spazzatura. Ma poi imbocchi un sentierino, dietro a un cespuglio e… ti sembra di essere arrivato in un altro mondo! Lo sguardo si apre in una sorta di Valle dell’Eden. Ti aspetti di trovare dei coloni ottocenteschi, tipo carovane del West, che qui hanno finalmente trovato la Terra Promessa e l’hanno curata e dissodata. In realtà si tratta di un orto sociale e collettivo: gli Orti Urbani Tre Fontane. Una storia partita un paio di anni fa, una iniziativa fatta per recuperare una zona degradata. Non c’è né cancello né recinto, è tutto aperto. Ci lavorano 300 soci, tessera annuale 10 euro e 50 euro per avere assegnati 50 metri quadrati d’orto, per finanziare corsi di formazione. Ci sono appunto orti, poi luoghi per ritrovarsi, una serra, tavoli, panchine e anche 6 arnie che fanno 50 kg di miele. In tanti posti, a Roma, là dove fino a ieri c’erano sterpaglie e spazzatura, ora ci sono gli orti urbani: appezzamenti assegnati all’interno di parchi e giardini pubblici spesso abbandonati a loro stessi e rinati, grazie alla volontà dei cittadini. Che si muovono perché quello di coltivare è un bisogno atavico, primario. A Roma gli spazi dedicati agli agricoltori metropolitani sono più di 150.
TUTTO PARTE DA UN QUADRO
Sembrerà incredibile, ma anche Milano, la città metropolitana per eccellenza, è un grande polo agricolo. Magari è facile dirlo oggi, dopo l’ubriacatura di EXPO e dei suoi contenuti legati al territorio, ma Milano ha davvero le sue radici nella terra: l’industria, il design, la moda sono venuti dopo. Io, per fare un tour agricolo-naturalistico, sono partito dal centro della città, che più centro non si può: Piazza del Duomo, o meglio da Via Marconi angolo Piazza Duomo, cioè dal Museo del Novecento. Ecco qua la scena primaria da cui volevo partire: il Quarto Stato, dipinto da Pellizza da Volpedo nel 1901. È una vera e propria scena che l’autore descrive così: “Siamo in un paese di campagna, sono circa le dieci e mezzo del mattino e due contadini s’avanzano verso lo spettatore per perorare la causa”. Pellizza è un esponente del Divisionismo. Per capire cos’è basta guardare bene: gli esperti di storia dell’arte vi spiegheranno che il Divisionismo riproduce la luce mediante la separazione delle tinte complementari, cioè rappresentando piccoli segmentini che da lontano danno un effetto complessivo, un po’ come i pixel degli schermi TV. Ma a me interessa notare che proprio in quel momento storico stava prendendo piede una coscienza sociale e i divisionisti hanno voluto dividere il popolo in classi sociali. Qui rappresentano i contadini. È il momento delle lotte, non a caso Pellizza non riesce a vendere questo quadro. Lo comprano i cittadini di Milano nel 1920 con una colletta. I Fascisti poi lo mettono in cantina e torna fuori nel 1954 come simbolo. Dal punto di vista biografico, la donna in primo piano è la moglie dell’autore, la bimba è sua figlia. Moriranno entrambe e lui non reggerà al dolore: Giuseppe Pellizza si suicida a Volpedo nel 1907. La cosa interessante è che i divisionisti – Segantini, Morbelli, Longoni, Previati – avrebbero anche potuto rappresentare gli operai, ma hanno scelto di sottolineare il mondo contadino. Ecco la prova: persino qui a Milano, nella metropoli, prevale l’idea dell’agricoltura.
LIMOUSINE CON LE CORNA…
Continuo quindi il mio itinerario agricolo a Milano: non è un paradosso. Milano fin dal nome è legata all’agricoltura: Mediolanum significa in medio lanae, in mezzo alla lana di una scrofa lanuta, a metà tra un maiale e una pecora. Milano è sorta sulla linea dei fontanili. Milano da bere?! No, quello era un altro slogan riferito agli aperitivi, in realtà Milano è strettamente legata all’acqua. Nel 1100-1200 i monaci cistercensi cominciano a fare le prime bonifiche, a tracciare i primi canali. Poi arriva Leonardo Da Vinci e l’idraulica diventa scienza. Tutto per l’irrigazione, tutto per l’agricoltura e tutto per i trasporti dalla campagna alla città attraverso i Navigli: il Naviglio Grande, il Naviglio Pavese, che arrivano alla Darsena, il Porto della città. Io a questo punto ho preso la ciclabile di fianco al Naviglio Grande, ma volendo si prende la metropolitana, si scende a Famagosta e al ponte di ferro a destra si è già in via Parenzo, per vedere le limousine! Roba di lusso, ma non sono automobili… sono vacche! Le vacche limousine vengono dalla Francia, queste sono già di terza o quarta generazione, si può dire che siano autoctone. La cosa stupefacente è che siamo in un vero allevamento, in una vera azienda agricola assolutamente dentro Milano! Lucia è la padrona della cascina Battivacco, quindi la contadina. Non è proprio la rappresentazione agricola che c’è nel Quarto Stato di Pellizza da Volpedo: sembra più un’intellettuale prestata all’agricoltura, eppure è lei, col marito, a mandare avanti l’azienda.
La cascina risale al Medioevo, al 1200-1300, e adesso è letteralmente circondata da palazzi, ma la città non è riuscita a soffocarla. L’azienda ha addirittura 600 ettari di terra, tra i quali 100 di risaia e una cinquantina coltivati a foraggio, mais e soia per le 40 limousine. Siamo nel Parco Agricolo Sud di Milano, all’interno del consorzio DAM: il Distretto Agricolo Milanese, che vuole ri-ruralizzare Milano e farla diventare “città di campagna”. Sono coinvolte una trentina di aziende consorziate. È un progetto ambizioso, l’idea è riportare la città a conoscere le proprie radici, far scoprire l’anima agricola della città. Milano si deve accorgere che non c’è solo il settore terziario, c’è soprattutto il primario!
LA MARCITA
Un turista, ma anche un milanese (e sono tantissimi quelli che ignorano l’esistenza di queste parti agricole in città) arriva – per caso – alla cascina e cosa può fare? Intanto vede una cascina, che per i bambini è già una sorpresa. Poi può fare la spesa in modo diverso, perché vede veramente da dove viene il cibo. Nello spaccio ci sono confettura di frutta, miele, insaccati, salumi, lo yogurt, la carne, il burro, i formaggi, i succhi e il vino. Non possono mancare le uova fresche e naturalmente il riso. La situazione non è stata sempre rosa e fiori, c’è stato un periodo di resistenza rurale in cui è stato necessario difendere con le unghie e con i denti la terra. Negli anni scorsi c’era chi voleva a tutti i costi far sloggiare l’azienda agricola e costruire altri palazzi. Fino a qualche anno fa questi irriducibili contadini-metropolitani sembravano dei pazzi, adesso invece si capisce che avevano ragione. Prima da queste parti li guardavano con disprezzo e sufficienza, ora con invidia. Ma il giro non è finito: in un certo senso torno verso il centro della città, verso Piazza Abbiategrasso. Sembra incredibile, ma siamo a meno di quattro km da Piazza del Duomo, meno di un’ora a piedi. Qui si arriva in metropolitana, oppure con il tram 15 o 3, l’autobus 65 o 79. E qui c’è una cascina storica: Cascina Campazzo, 30 ettari coltivati a mais, frumento e foraggio per alimentare 130 bovini. L’attività prevalente è la produzione del latte. Poi attività didattiche pratiche per i ragazzi e delle… feste agricole, nate per ricompensare i cittadini che circondano l’azienda, la frequentano e la amano, dando loro possibilità di svago, divertimento e conoscenza: un “cittadino” può venire ad imparare – tra le altre cose – cosa sia una marcita. A proposito, che cos’è una marcita? Risposta A: derrata alimentare avariata, come una “mela marcita”. Risposta B: diminutivo spagnolesco di un corteo militare breve, una “marcetta”. Risposta C: un prato stabile irriguo che permette la crescita dell’erba per l’alimentazione animale anche in inverno. In realtà una marcita è appunto un prato irriguo permanente, irrigato in continuazione a scadenza durante tutto l’anno. Di conseguenza in grado di produrre grandi quantità di foraggio. Si può dire che assomiglia a una risaia? Sì, anche in questo caso, l’acqua serve un po’ da “vestitino” per ammortizzare i cambi di temperatura. L’erba così c’è tutto l’anno… La marcita è stata un’invenzione importantissima, anche se non lo sa nessuno ha reso Milano una città ricca e anche industriale. Siamo in uno dei luoghi della storia agricola di Milano: il parco del Ticinello, 90 ettari, per il 70% ospita attività agricole vere e proprie, il restante 30% è parco aperto al pubblico, dove realizzeranno aree boscate, aree per picnic e orti. Un punto di riferimento per l’agricoltura milanese. Ma anche qui c’è stata una vera e propria lotta durata 30 anni: i proprietari dei terreni volevano costruire delle case, gli agricoltori hanno opposto resistenza. È da poco che la situazione è tranquilla!
CAMPAGNA: STILE DI VITA
Ma com’è cambiata negli ultimi anni la percezione della campagna da parte dei cittadini metropolitani? La generazione dei 70enni vede la campagna ancora come un mondo di povertà, quella successiva ha riconosciuto il valore della campagna, dell’ambiente e del territorio. Trenta anni fa le persone che abitavano nelle vicinanze delle aziende agricole metropolitane si lamentavano per l’odore delle mucche. Oggi dai palazzi lì dietro le persone dicono che svegliarsi alle sette del mattino e vedere le vacche andare in sala mungitura apre loro il cuore! Un cambiamento radicale, che si può toccare con mano anche nell’ultima tappa di questo mio agri-tour milanese: il Mercato della Terra, in centro, vicino al Cimitero Monumentale, nell’ex Fabbrica del Vapore, che si tiene ogni primo e terzo sabato del mese. Alessandro Cecchini di Slow Food Milano mi accoglie e mi spiega che è un mercato di produttori agricoli che vengono dalla provincia di Milano e zone limitrofe e che qui vendono esclusivamente prodotti propri. Chi certifica la qualità? È roba buona? “Noi di Slow Food – dice Alessandro – abbiamo visitato ogni singola azienda: per partecipare a questo mercato ogni azienda deve aderire a un disciplinare redatto dal comitato scientifico di Slow Food, dove ogni singola produzione viene dettagliata e deve rispondere a standard di tipo organolettico, o proprio tecnologico”. Ma soprattutto ognuno “ci mette la faccia”, c’è una specie di garanzia umana relazionale diretta. Al mercato della terra la cosa fondamentale è il km zero, non solo del cibo, anche a livello della relazione coi produttori. Qui ogni tipo è interessante e ha una sua storia. Giancarlo viene dalla Brianza e ha un’azienda agricola bio naturale, lui non coltiva un orto ordinato, il suo campo è un gran casino dove “copia” il sottobosco di montagna in cui crescono lamponi e mirtilli: tutto ciò che nasce spontaneamente è buonissimo. Carlo, intellettuale organico in tutti i sensi, braccia restituite all’agricoltura, alleva galline libere, oltre che maiali allo stato brado, che mangiano liberamente un po’ di tutto. Irene ha un’azienda vera che produce cose da mangiare, ma soprattutto relazioni umane, iniziative sociali per avvicinare produttore e consumatore e fare contro-informazione: la domanda giusta non è perché costa così caro il prodotto genuino del contadino, ma perché costa così poco quell’altro che compro al supermercato. Facendo l’agriturista per caso, anche nelle metropoli, si scoprono tanti mondi, si prova a rispondere a tante domande…