Sulle tracce di Leonardo Da Vinci
È stato un viaggio carico e pieno non solo per i molti chilometri percorsi ogni giorno (circa trentacinque di media), ma anche per i molti impegni prefissati lungo il cammino da Roma a Susa (passando per Firenze, Pistoia, Bologna, Modena, Crema, Milano, Alessandria, Torino…). Gli incontri con le istituzioni (sindaci e assessori), che mi hanno onorato celebrando con me il Genio per antonomasia Leonardo da Vinci. Le conferenze in compagnia di molti amici interessati a condividere la mia esperienza di viaggio ed i suoi molteplici messaggi, dalla lentezza, alla responsabilità di cambiare noi direttamente gli eventi anziché subirli. Le visite alle bellezze di questa nostra Italia (l’abbazia di Badia a Settimo, la casa di Leonardo a Vinci, Giacomo Costantino Beltrami a Bergamo, Arlecchino ad Oneta, l’Ambrosiana, il Cenacolo, Susa; per dirne solo alcune). Tutto ciò mi ha dato un lato arricchito d’esperienza, ma dall’altro mi ha asportato infinite energie. C’è voluto un lungo rodaggio prima di riuscire a scivolare nel viaggio. E solo ora che aldilà delle vette che sto ammirando si avvicina la Francia, solo ora che cammino nel tempo in compagnia di chi già (forse o realmente) è passato di qua (Leonardo da Vinci, Francesco d’Assisi, Napoleone, Annibale, …), solo ora inizio a cogliere il fuoco che anima vivido e piacevole questo itinerario.
La causa principale di questo e del mio silenzio è riconducibile alla profonda tristezza che mi ha colto attraversando l’Italia e leggendo negli occhi degli italiani un pesante abbruttimento rispetto alla mia precedente esperienza di cammino quasi dieci anni fa. Negli occhi degli italiani ho letto spesso paura e diffidenza: “Con quello che si sente in giro!”, mi hanno detto. Ma nessuno mi ha mai detto: “Con quello che ho visto in giro!”. È una sottigliezza di linguaggio, ma nasconde l’origine di questa eccessiva paura che a mio avviso potrebbe essere imputabile al tipo di comunicazione mediatica che subiamo. Mi ha reso profondamente triste essere testimone di questa realtà involuta, che ha pure scordato la sacralità dell’ospitalità. Questa tristezza e questa realtà mi hanno impedito di rapportarmi con facilità a quanti ho incrociato sul mio cammino. Mi hanno impedito di scrivere gli accadimenti passo dopo passo (complice anche la scelta di non avvalermi strada facendo dell’uso della tecnologia). Lo sguardo si è quindi scostato sull’arte, l’architettura e tutti quegli infiniti gioielli che la nostra Italia possiede anche nei paesini all’apparenza più insulsi e dispersi. A capo chino sono andato avanti e avanti e avanti ancora. Gli occhi fissi su queste strade antiche che ho percorso (Francigena, Cassia, Mercatorum, Carraia del Ferro, Postumia, Emilia, Giuseppina…), strade antiche con infinite silenziose storie da raccontare. Finché sono giunte le “mie” montagne e il capo si è (e)levato in alto. Allora il cuore si è aperto, scaldato dal calore dell’affetto di queste valli e dei loro uomini d’antica stirpe. Allora il nibbio e l’airone, miei compagni di strada, hanno finalmente aperto le ali per solcare i cieli che tersi si aprono innanzi e sopra me. È tempo di volare. È tempo di viaggiare. È tempo di cambiare. Oltre quei monti m’aspetta la Francia! Continuate a camminare con me!