West Canarias Hopping
Ecco, in sintesi, come si è arrivati ad affrontare questo atipico viaggio di tre settimane nelle Canarie, arcipelago spagnolo situato nell’Oceano Atlantico, al largo delle coste meridionali del Marocco, composto da sette isole principali, delle quali ne visiteremo cinque, le più occidentali (Tenerife, El Hierro, La Gomera, La Palma e Gran Canaria), tralasciando Lanzarote, già vista qualche anno fa, e Fuerteventura, materiale per un’altra, futura esperienza.
Comunque sia, per la prima volta in quattro (o giù di lì) affrontiamo un’avventura … e in fin dei conti dal Canada alle Canarie non c’è poi tanta differenza, visto che le prime quattro lettere sono uguali! Poco dopo le 4:00 suona la sveglia e ci alziamo. Sistemiamo gli ultimi dettagli, chiudiamo le valigie e alle 4:57 prendiamo strada.
Meno di un quarto d’ora più tardi entriamo in autostrada A14 a Faenza diretti a nord, così verso le 5:40 ci lasciamo sulla destra l’aeroporto Marconi di Bologna, da dove ieri avremmo dovuto spiccare il volo per il JFK di New York, e proseguiamo imboccando la A1.
Alle 6:30 sosta nei pressi di Parma per un caffè e poi via, spediti verso Milano, dove arriviamo, senza intoppi, abbondantemente prima delle 8:00.
Lasciamo l’auto nel Quick Parking di via Corsica, prenotato con internet, e in autobus ci rechiamo all’aeroporto di Linate dal quale, il caso vuole, che non siamo mai partiti per un viaggio.
Il nostro volo sembra in orario … Imbarchiamo i bagagli, facciamo check-in e oltrepassato il metal-detector ci mettiamo in attesa davanti alla porta A8.
Essendo fin qui filato via tutto liscio dobbiamo pazientare un po’, fin verso le 11:00, quando iniziano le operazioni che ci portano a salire sull’Airbus A319 della compagnia di bandiera Alitalia, che in leggero ritardo, alle 11:47, si stacca dalla pista milanese, identificato come volo AZ48, con destinazione Madrid.
Passiamo sopra alle Alpi nella loro parte più meridionale, sorvoliamo un tratto di Francia ed entrati sulla Penisola Iberica, dopo poco più di due ore atterriamo nell’aeroporto Barajas della capitale spagnola, mentre sono le 13:34.
Appena usciti dalla porta di sbarco ecco di fronte a noi la numero 71, con le indicazioni per il prossimo volo: quello Air Europa in partenza alle 15:40 per Tenerife.
C’è giusto il tempo per uno spuntino e poi cominciano le operazioni d’imbarco … che però si prolungano più del previsto e l’Airbus A330 (volo UX9120) rulla sulla pista madrilena alle 16:13.
Puntiamo dritti a sud-ovest, recuperando anche un’ora di fuso orario. Passiamo sopra la regione dell’Algarve e ci avventuriamo nell’Oceano Atlantico, fin quando dal finestrino non notiamo, in lontananza, la sagoma dell’isola di Lanzarote, allora incominciamo la discesa per atterrare felicemente nell’aeroporto Los Rodeos di Tenerife, che con i suoi 2354 chilometri quadrati è la più grande isola dell’arcipelago.
Ritiriamo con soddisfazione tutti i bagagli, poi all’uscita ci mettiamo alla ricerca dell’autonoleggio prenotato sul web: l’Orlando Rent a Car. Lo troviamo e ci consegnano una Ford Focus grigia (targata 4507 DSM) con la quale dovremmo affrontare l’intero tour delle isole circostanti, ma apprendiamo con un certo disappunto che l’assicurazione della compagnia è valida solo per Tenerife.
Con qualche preoccupazione in più partiamo allora verso il sud dell’isola, attorniati da una strana nebbiolina, alla ricerca dell’hotel che ci ospiterà per le prossime cinque notti.
Arriviamo intorno alle 20:00, nei pressi dell’aeroporto di Tenerife-Sur, nella località di San Miguel de Abona, all’Apartamentos Gema Aguamarina Golf. Portiamo i bagagli in camera e poi usciamo per cena nei dintorni, prima di coricarci per il meritato quanto indispensabile riposo.
Lunedì 27 Luglio: Incomincia di buon ora l’esplorazione dell’isola di Tenerife che ieri, nel tragitto dall’aeroporto all’hotel, non ci ha certo entusiasmato, con il suo cupo paesaggio e le sue vaste urbanizzazioni.
Dopo la colazione, compresa nel prezzo della stanza, e dopo una provvidenziale spesa nel vicino supermarket, prendiamo a seguire l’Autopista del Sur verso nord-ovest, fin dove, oltrepassato il grande agglomerato urbano di Playa del las Americas, questa finisce lasciando posto ad una normale strada a carreggiata unica.
Il nastro d’asfalto segue ora a distanza e a notevole altezza il profilo costiero, con scenari che si fanno, nonostante l’intensa foschia odierna, via via più interessanti e selvaggi.
Superiamo l’abitato di Guia de Isora e, scendendo leggermente di quota, giunti in vista del villaggio di Tamaimo, contornato da alte ed aspre vette, scattiamo la prima foto della giornata.
La strada torna quindi a salire a tornanti fino al paese di Santiago del Teide, miracolosamente risparmiato, in passato, da un’eruzione vulcanica, nel quale spicca la bianchissima e barocca chiesa di San Fernando, costruita nella metà del XVI secolo e situata all’estremità della via principale … Ci fermiamo così brevemente ad osservare la sua asimmetrica facciata, ornata da un balcone ligneo, mentre si stanno smontando alcuni colorati festoni di una recente festa popolare, poi riprendiamo il nostro itinerario a spasso per l’isola.
Poco più avanti, superato un valico ad oltre mille metri di altezza, nei pressi dell’abitato di Ruigomez incontriamo un altro caratteristico e candido edificio religioso, che spicca sull’azzurro del cielo retrostante … Quindi scendiamo verso la costa nord dell’isola, che sembra invasa da un basso quanto insolito corpo nuvoloso, all’interno del quale c’inoltriamo prima di giungere nella cittadina di Icod de los Vinos.
Situata nel cuore di una fertile regione vinicola (come suggerisce il nome), questa località è però famosa soprattutto per il suo Drago Millenario, che non è un terrificante essere sputa-fuoco, ma il più grande esemplare di una pianta endemica delle isole Canarie (detta anche dracena), ritenuto vecchio di oltre mille anni … anche se in realtà non ne dovrebbe avere più di cinquecento.
Parcheggiamo così in prossimità del centro e a piedi ci rechiamo nella Plaza de la Iglesia, sulla quale prospetta la chiesa di San Marcos e da dove si gode della miglior vista sull’imponente albero, considerato uno dei simboli dell’intero arcipelago.
Ancora orfani del sole, attraversando immensi e verdissimi bananeti, ci spostiamo successivamente, in riva al mare, nella cittadina di Garachico, fondata nel XVI secolo da mercanti genovesi e uno dei principali porti dell’isola fino al 1706, quando un’eruzione del Volcan Negro ne distrusse le principali strutture … Rimangono però a testimonianza dell’epoca alcuni interessanti edifici, che visitiamo brevemente, come il Castillo de San Miguel (del 1575), posto a protezione della baia, la vecchia chiesa di Santa Ana e la centralissima Plaza de la Libertad, con i conventi di Santo Domingo e San Francisco a caratterizzarla.
Subito dopo mezzogiorno ci lasciamo alle spalle anche Garachico e, procedendo lungo la costa verso la punta nord-occidentale di Tenerife, ci fermiamo a pranzare con i nostri panini in un’area attrezzata per pic-nic lungo la strada che arriva nell’abitato di Los Silos.
Nel primissimo pomeriggio riprendiamo a macinar chilometri, con le nuvole che progressivamente si dissolvono man mano che ci avviciniamo a Capo Teno … All’imbocco della strada panoramica che porta al faro però una serie di cartelli, molto evidenti, ci esorta dal proseguire causa, a quanto pare, la pericolosità della strada, minacciata da frane e caduta sassi. Siamo titubanti in merito, ma altre auto arrivano e proseguono, incuranti degli avvertimenti, così, un po’ temerari, decidiamo anche noi di andare.
Per alcuni chilometri il nastro d’asfalto è veramente mozzafiato, strappato com’è con le unghie alle altissime scogliere e battuto da un forte nonché inquietante vento, fino al vertiginoso Mirador de Don Pompeyo, poi si entra in una lunga e buia galleria e all’uscita si scende verso il mare, per giungere al capo, dove si trovano un parcheggio (stranamente pieno!) ed il faro, inserito in uno straordinario scenario di rocce vulcaniche a picco sull’oceano … senza dubbio il quadro più bello della giornata … e pensare che volevano vietarcelo! Facciamo una piacevole passeggiata, finalmente baciati dal sole, e alla fine, risaliti in auto, percorriamo a ritroso l’intero tratto di strada incriminato ma bellissimo, poi, in prossimità di Buenavista del Norte giriamo a destra, verso l’interno, e cominciamo a salire lungo la Valle de el Palmar.
Un tornante dopo l’altro fra grandiosi panorami arriviamo così nel remoto villaggio di Masca, un tempo covo di pirati raggiungibile solo a dorso di mulo, contornato da altissime pareti rocciose, e da lì, con un’altra impressionante salita (fatta quasi tutta in prima marcia!), torniamo nel paese di Santiago del Teide, chiudendo in pratica un anello itinerante.
A questo punto scendiamo verso la costa ovest, fino al porto di Los Gigantes, situato in pratica ai piedi delle omonime, ciclopiche scogliere, poi, quando ormai sono le 17:00, ci concediamo un po’ di riposo nella vicina, nerissima Playa de la Arena: carina, anche se contornata da una miriade di smisurati palazzoni … e lì facciamo anche un bagno nell’oceano (meno freddo di quanto mi ricordassi a Lanzarote), infine torniamo verso il nostro hotel.
In serata proviamo ad andare a mangiare pesce a San Miguel de Tajao, ad una manciata di chilometri di distanza, in un ristorante sul quale avevo ottime referenze, ma lo troviamo chiuso, allora torniamo nella nostra zona, concludendo senza “ciliegina sulla torta”, una prima giornata comunque positiva sotto molti aspetti.
Martedì 28 Luglio: Missione Pico del Teide, vulcano attivo (anche se la sua ultima eruzione risale al 1798) e vetta più alta di Spagna, con i suoi 3718 metri, che caratterizza il profilo di Tenerife, visibile com’è da ogni sua parte, ma anche il suo clima, più umido nella zona nord-occidentale ricca di vegetazione, più caldo e secco in quella meridionale arida e rocciosa, tanto da far meritare all’isola l’appellativo di “continente in miniatura”.
Dopo tutte le operazioni di routine mattutine prendiamo strada e cominciamo a salire verso il centro di Tenerife. Attraversiamo i paesi di Granadilla de Abona e Villaflor e una curva dopo l’altra, un tornante dopo l’altro, varchiamo l’ingresso del Parque Nacional del Teide, istituito nel 1954 e tutt’oggi uno dei più vasti del paese.
A Boca de Tauce entriamo nella depressione di Las Cañadas, del diametro di sedici chilometri, venutasi a creare circa tre milioni di anni fa in seguito al collasso dell’antico cono vulcanico, al centro della quale si erge l’attuale, maestoso, Pico del Teide … e già, nonostante la foschia, sgraniamo gli occhi per la meraviglia del paesaggio, caratterizzato da nere colate laviche ed intensi contrasti cromatici.
La prima vera e propria sosta è però qualche chilometro più avanti per vedere un fantasioso arco roccioso detto Zapato de la Reina (la scarpa della regina) … Infatti assomiglia vagamente da una certa angolazione, ad un’elegante calzatura col tacco, alla quale tentiamo di avvicinarci, ma finisce che ci prendiamo una bella sgridata da una guardia del parco per essere usciti incautamente dal sentiero battuto e non riusciamo neppure a fotografarla.
Torniamo quindi alla strada asfaltata e passando per Los Azulejos, una zona di rocce multicolore dovuta alla particolare concentrazione di svariati minerali, arriviamo nell’area del parco detta Los Roques, dove si trovano le più belle e note conformazioni, originate a suo tempo, con la complicità dell’erosione, da fenomeni vulcanici e sconvolgimenti tellurici.
Parcheggiata l’auto si para subito davanti ai nostri occhi la Roque Cinchado, lo sperone di roccia più fotografato dell’intera isola, con sullo sfondo l’inconfondibile cono del Teide … ma tutta la zona merita di essere visitata attentamente, mediante un agevole sentiero che offre mirabili scorci sul sottostante Llano de Ucanca, un’arida pianura che occupa il fondo dell’antico cratere, ma anche su altre bizzarre formazioni, oppure sulle rare specie vegetali presenti, fra le quali spicca il curioso nonché endemico Echio Rosso, dalle lunghissime infiorescenze purtroppo ormai avvizzite, vista la stagione avanzata.
Trascorriamo un’ora abbondante a spasso piacevolmente per l’area di Los Roques, scattando decine di fotografie, e alla fine, estremamente compiaciuti, riprendiamo strada, mentre il mezzogiorno è già da tempo passato e fa un bel caldo, anche se ci troviamo ad oltre duemila metri di quota.
Arriviamo così ai piedi del Pico del Teide, nel luogo in cui parte una funivia che conduce fino alla vetta … C’è una bella fila di persone in attesa e noi, armati di tanta pazienza, ci accodiamo, mentre addentiamo i nostri soliti panini, con estrema calma … infatti la lancetta dei minuti deve fare oltre un giro completo prima di poter mettere piede all’interno della cabina, che poi in brevissimo tempo ci porta ai 3555 metri della terrazza panoramica su Las Cañadas.
Appena arrivati non possiamo fare a meno di notare, attaccato ad una parete, il più alto telefono pubblico di Spagna, poi usciamo all’aria aperta a goderci l’incomparabile veduta … bella, bellissima, nonostante l’eterna, maledetta, foschia.
Fa piuttosto freddo, ma non eccessivamente considerata l’altezza, basta infatti una maglietta a maniche lunghe per fare una gradevole camminata attraverso le vecchie colate fino ad alcuni mirador, ma non fino alla bocca del cratere, situata meno di duecento metri più in alto, per la quale serve un permesso speciale.
Quando scendiamo dal Pico del Teide sono già da un po’ passate le 16:00 e immediatamente riprendiamo a macinar chilometri. Ci fermiamo a Minas de San Josè, nel luogo in cui si è venuto a creare uno strano “paesaggio lunare”, fatto di ghiaie biancastre ammassate in fantasiose dune … e poi, nei paraggi, ai piedi di una dantesca collina caratterizzata da mille sfumature di rosso, infine, giunti al gate di El Portillo, usciamo dal parco e cominciamo a scendere lungo la Valle de La Orotava.
Attraversiamo un’area di fitta vegetazione, quindi, diminuendo progressivamente di quota, giungiamo in una zona densamente popolata dove si trova la cittadina de La Orotava, quando sono ormai le 17:30.
Prima della conquista dell’isola da parte degli spagnoli l’abitato, situato sul versante settentrionale del Teide, apparteneva a Taoro, il più ricco fra i regni dei guanci, gli antichi abitanti delle Canarie, poi vi si insediarono alcune famiglie di benestanti coloni andalusi e La Orotava si sviluppò rapidamente, tanto da diventare una delle più belle città dell’arcipelago.
Parcheggiamo l’auto in prossimità del centro e a piedi ne percorriamo le vie principali, fiancheggiate da interessanti costruzioni risalenti al XVII-XVIII secolo.
Cominciamo con la chiesa abbaziale di San Agustin, impreziosita da un bel portale rinascimentale barocco, quindi proseguendo lungo la Carrera Escultor Estevez giungiamo di fronte al neoclassico Palacio Municipal, che domina l’elegante Plaza del Ayuntamiento, teatro di un’importante festa religiosa durante il periodo del Corpus Domini. Ma l’edificio più rappresentativo de La Orotava è la Casa de los Balcones, palazzo edificato nel 1632-70 e caratterizzato da una vivace facciata abbellita da una pesante porta scolpita, eleganti finestre e lunghe balconate in legno di teak. All’interno poi si trova un delizioso patio sul quale si affacciano i ballatoi, sempre in legno, del primo e del secondo piano.
Sulla via del ritorno notiamo altri edifici con le classiche decorazioni lignee, tipiche dell’architettura canaria, oltre all’imponente facciata barocca della Iglesia de la Concepiton, poi vista l’ora ormai tarda riguadagniamo l’auto per far rientro al nostro hotel.
C’è ancora tanta strada da percorrere: scendiamo fino alla costa settentrionale dell’isola dove andando verso ovest, come ieri, si ammassano bassi corpi nuvolosi, mentre verso est, dove siamo diretti, splende il sole. Percorriamo così tutta l’autostrada che arriva a Santa Cruz de Tenerife e poi scende a sud fino a San Miguel de Abona e al Gema Aguamarina … e più tardi, davanti ad un buon piatto di paella, concludiamo quella che è stata, senza ombra di dubbio, un’intensa ma splendida tappa di questo nostro itinerario canario.
Mercoledì 29 Luglio: Dopo la maratona di ieri oggi contiamo di trascorrere una giornata molto più tranquilla e, consumata la solita colazione, prendiamo a seguire l’autostrada in direzione nord-est. Oltrepassiamo Santa Cruz e, giunti nei paraggi dell’aeroporto di Los Rodeos, lasciamo la doppia carreggiata per andare a visitare la vicina città di La Laguna.
Il suo nome completo è Ciudad de San Cristobal de la Laguna e per dimensioni è il secondo agglomerato urbano di Tenerife. Fondato nel 1496 dal conquistatore Alonso Fernandez de Lugo, era in origine la residenza degli Adelantados, i governatori militari dell’isola, e fino al 1723 fu la capitale di questa impervia terra oceanica. La Laguna però è anche città universitaria, la cui tradizione accademica risale al XVIII secolo, e conserva un interessante centro storico disseminato di case dai caratteristici balconi in legno, alcuni pregevoli edifici religiosi ed il palazzo del comune, affacciato sulla vivace Plaza de Adelantado.
Non ci ha comunque entusiasmato più di tanto La Laguna e ben presto ci troviamo sulla strada che porta a Santa Cruz de Tenerife, l’attuale, moderna capitale, e più precisamente al suo elegante lungomare sul quale prospettano l’avveniristico e imponente auditorium, fiancheggiato dal seicentesco Castillo de San Juan, un tempo avente funzioni difensive del porto, e poco più avanti la monumentale Plaza de España, principale punto di riferimento della città.
A Santa Cruz non ci fermiamo e proseguendo lungo la costa verso levante arriviamo prima nella località di San Andres, quindi in vista della Playa de las Teresitas, la più famosa spiaggia di Tenerife, tutta di soffice sabbia dorata importata dal Sahara.
La strada costiera sale considerevolmente di quota, così ci permette di avere l’arenile ai nostri piedi, che spicca, chiaro com’è, un po’ innaturale sulle scure rocce circostanti … tutto il contrario della vicina, nerissima, Playa de las Gaviotas, sicuramente meno invitante. Torniamo allora sui nostri passi e scendiamo alla Playa de las Teresitas.
Lasciamo l’auto nell’immenso parcheggio retrostante e andiamo a ritagliarci un pezzetto d’ombra fra le esotiche palme che punteggiano la spiaggia, perché è mezzogiorno e fa proprio un bel caldo! Il pomeriggio lo passiamo in completo relax, con qualche bagno, una sana lettura, gelato e bibite ghiacciate, così in men’ che non si dica le ombre s’allungano e giunge anche l’ora di far rientro al nostro appartamento, reduci da luoghi non proprio esaltanti, ma in compenso con i nervi più distesi del solito.
Giovedì 30 Luglio: E’ l’ultimo giorno intero che passeremo sull’isola di Tenerife ed il cielo è anche piuttosto nuvoloso. Questa mattina però ci alziamo con un chiodo fisso in testa: cambiare l’auto a noleggio e prenderne una che ci dia qualche garanzia in più per le prossime due settimane (fossero due giorni, ma sono due settimane!).
Percorriamo tutta l’autostrada che segue la costa orientale e andiamo all’aeroporto Los Rodeos, dove si trovano tutti i banchi delle compagnie di autonoleggio. Chiediamo alla Avis, ma ci fanno qualche problema e in più hanno prezzi altissimi. Chiediamo alla Hertz, ma non hanno auto a disposizione. Chiediamo infine al banco della Europecar e ci offrono un’auto, ad una tariffa accettabile, con assicurazione ed assistenza in tutte le isole dell’arcipelago … proprio quello che cercavamo! Consegniamo la vecchia auto, con la quale abbiamo percorso 730 chilometri, alla Orlando Rent a Car, che ci rimborserà molto onestamente la quota dei giorni non utilizzati, e ritiriamo una fiammante Seat Leon grigia (targata 6141 GGB), a bordo della quale, quasi a mezzogiorno, riprendiamo strada per completare l’ultima tappa sull’isola di Tenerife.
Nel frattempo è tornato a splendere il sole, ma oggi la foschia supera ogni record … Saliamo comunque verso il Teide lungo la Carretera Dorsal, che attraversa una splendida zona boscosa e offre diversi punti panoramici … sulla densa bruma circostante! Il paesaggio muta poi aspetto e l’aspro scenario vulcanico prende il sopravvento oltre i duemila metri di quota, quando passiamo accanto all’Osservatorio Astrofisico di Izaña, poi entriamo per un breve tratto entro i confini del parco nazionale e giunti a El Portillo, come due giorni fa, cominciamo a scendere lungo la Valle de La Orotava.
Ci fermiamo ad osservare il curioso fenomeno eruttivo che ha generato la Rosa (o Margarita) de Piedra e lungo la strada che porta alla costa nord dell’isola facciamo sosta per pranzare, quindi passiamo ancora una volta da La Orotava e nel primo pomeriggio giungiamo al mare nella località di Puerto de la Cruz.
La cittadina, un tempo centro di pescatori e piccoli commercianti, divenne il principale porto dell’isola dopo la distruzione di quello di Garachico e alla fine del XIX secolo si trasformò in destinazione turistica molto in voga tra gl’inglesi più abbienti … tutt’oggi Puerto de la Cruz è uno dei principali luoghi di villeggiatura di Tenerife.
Tralasciamo volutamente il famoso Loro Parque, un po’ perché non amiamo tanto per principio gli zoo, un po’ perché assomiglia molto al Sea World americano, visto qualche anno fa, e andiamo direttamente nel centro di Puerto de la Cruz.
Lasciamo l’auto in un parcheggio sotterraneo e a piedi percorriamo il vivace lungomare, sul quale spicca la bianchissima e caratteristica Ermita San Telmo, per giungere in vista del rinomato Lago Martiánez.
Sul promontorio roccioso a nord dell’abitato, nel 1969, il celebre artista canario César Manrique edificò, immersa in un rigoglioso giardino tropicale, questa estrosa laguna artificiale, fatta di giochi d’acqua, armoniosi contrasti cromatici e bizzarrie spaziali, da sempre usata come una delle più originali piscine che si conoscano … Per soli 3,50 euro a testa abbiamo così la possibilità di fare un bagno in un’opera d’arte e di passare tutto il pomeriggio, in completo relax, in un luogo unico.
Il Lago Martiánez poco dopo le 18:00 chiude però i battenti e noi ce ne andiamo, soddisfatti, verso il nostro hotel, convinti di aver concluso nel migliore dei modi la visita di questa prima isola canaria.
Venerdì 31 Luglio: Giornata imperniata sul trasferimento da Tenerife a El Hierro … Ci alziamo da letto con calma, consumiamo il nostro ultimo breakfast al Gema Aguamarina, sistemiamo i bagagli, facciamo un po’ di scorte per la colazione (non compresa nel prossimo hotel) e poco dopo le 11:30 lasciamo San Miguel de Abona imboccando l’autostrada verso sud.
Dopo una manciata di chilometri usciamo seguendo le indicazioni per Los Cristianos, e più precisamente per il suo porto, mentre sulla destra, in lontananza, sfilano i palazzoni di Playa de las Americas, località super-turistica, in balia della cementificazione, che abbiamo accuratamente evitato, quindi ci mettiamo in fila sulla darsena per salire sul traghetto della compagnia Fred Olsen, prenotato via internet, in partenza alle 12:00 in punto.
Il Benchijigua Express, modernissima nave veloce, salpa con qualche minuto di ritardo e ben presto ci lasciamo alle spalle, confusa in una foschia quasi inverosimile, l’isola di Tenerife.
Dopo circa un’ora di navigazione attracchiamo al molo di San Sebastian de la Gomera, isola che visiteremo fra qualche giorno, e una volta ripartiti, dopo un’altra ora e mezza, approdiamo nel Puerto de la Estaca, sull’isola di El Hierro.
Il più occidentale lembo di terra dell’arcipelago è anche il più piccolo tanto da essere definito “la isla chiquita” (l’isola piccola), perché si estende per soli 278 chilometri quadrati, ma è anche il meno popoloso, coi suoi poco più che seimila abitanti, il meno turistico ed il più integro dal punto di vista naturalistico, tanto da essere stato dichiarato, il 22 gennaio del 2000, Riserva della Biosfera dell’Unesco.
Soffia un vento caldissimo, di chiara origine sahariana, quando scendiamo dal traghetto e cominciamo a seguire la strada costiera verso sud, strada che ad un certo punto s’incunea in una strettissima galleria a senso unico, regolarizzata da quello che probabilmente è l’unico semaforo dell’isola, per sbucare nello spettacolare golfo di Las Playas, sovrastato da altissime pareti rocciose.
Proprio nel punto in cui finisce il tunnel si trova la scenografica Roque de la Bonanza, una roccia basaltica perforata dalla forza delle onde che s’innalza verticalmente a pochi metri dalla costa, poi più avanti s’incontrano alcune sparute case e, dove termina il nastro d’asfalto, il nostro esclusivo e prestigioso hotel … Sì perché a El Hierro ci siamo voluti proprio trattare bene e abbiamo scelto l’hotel più bello dell’isola (segnalato anche sulle carte stradali): il Parador del Hierro, costruito nel 1973 in stile castigliano, nel quale ci fermeremo per quattro notti.
La struttura alberghiera è affacciata direttamente sull’oceano e la nostra stanza (la 402) ha una vista meravigliosa! Depositiamo tutte le nostre cose e corriamo a trascorrere il resto del pomeriggio sui bordi della piscina, allietati dal grandioso paesaggio e dal solo sciabordio del mare.
In serata apprendiamo con piacere che nei servizi offerti dall’hotel è compresa anche la colazione, ma non la cena, naturalmente, per la quale usciamo alla ricerca di un ristorante, che non troviamo nelle immediate vicinanze. Finiamo così a Valverde, nel tranquillo capoluogo a quasi seicento metri d’altezza, in una modesta trattoria dove mangiamo molto bene, e col buio ormai completo facciamo poi rientro al Parador, commentando fra di noi quanto il clima ed il ritmo di vita di El Hierro ci appaiano molto più positivi rispetto alla frenesia della iper-turistica Tenerife.
Sabato 1 Agosto: Inizia quest’oggi l’esplorazione di El Hierro … e se il buon giorno si vede dal mattino sarà un’esplorazione molto positiva! Infatti quando, poco dopo le 7:30, apro la finestra della nostra stanza il sole sta sorgendo dal mare, al centro del golfo di Las Playas, proprio davanti ai nostri occhi, offrendoci uno spettacolo indimenticabile! Dopo colazione (un’ottima colazione, che non doveva neanche essere compresa) partiamo in auto lungo la costa. Ci fermiamo nuovamente a vedere la Roque de la Bonanza, ma è ancora in ombra alle altissime scogliere retrostanti. Saliamo allora a Valverde, minuscolo capoluogo caratterizzato da una via principale ed una graziosa piazza sulla quale prospettano il municipio e la chiesa di Santa Maria de la Conceptión. Qui facciamo una piccola spesa e poi continuiamo lungo la strada che s’inerpica verso il centro dell’isola.
Giunti nel paese di San Andrés, ormai ad oltre mille metri di quota, cominciamo a seguire le indicazioni per il Garoé … Percorriamo così anguste stradine ed anche un tratto di sterrato, ma alla fine troviamo questo strano luogo, un tempo sacro per i bimbaches, gli antichi abitanti dell’isola.
Tanto tempo fa, in una spaccatura della montagna si trovava un enorme albero di tiglio (l’Árbol Santo), sulle cui fronde condensava l’acqua delle basse nuvole spesso presenti (la cosiddetta pioggia orizzontale), raccolta poi in alcune pozze circostanti … una fonte preziosissima considerato che non ci sono sorgenti sull’isola. Quell’albero fu abbattuto da una forte tempesta nei primi anni del 1600, ma a testimonianza sono rimaste le pozze ed il mitico Árbol è stato, nel secolo scorso, rimpiazzato da una pianta di alloro … niente di straordinario, per carità, ma quanto basta a rendere la visita, tutto sommato, interessante.
Riguadagnata la strada principale giungiamo, nelle vicinanze, anche al Mirador de Jinama, vastissimo punto panoramico sull’intera costa nord dell’isola, chiamata El Golfo… Circa cinquantamila anni fa a El Hierro si verificò uno dei fenomeni naturali più violenti e devastanti di cui si abbia mai avuto notizia, che cambiò radicalmente la fisionomia dell’isola. Una frana di dimensioni gigantesche che in pochi secondi, probabilmente in seguito ad un terremoto, fece precipitare più di trecento chilometri cubi di materia in mare dando origine al grandioso anfiteatro naturale di El Golfo, quello stesso anfiteatro che dal Mirador de Jinama si dipana maestosamente ai nostri piedi, anche se la solita dannata foschia sminuisce un po’ lo spettacolo.
Come nei giorni scorsi anche oggi il caldo non scherza e l’alta temperatura unita al forte vento hanno indotto le autorità locali a chiudere la strada che passa per il punto più alto dell’isola, tanto che noi ci vediamo costretti a modificare l’itinerario previsto. Scendiamo così in direzione dell’abitato di Guarazoca e prima di giungervi ci fermiamo al Mirador de la Peña, forse il più noto punto panoramico di El Hierro.
Anche questo sito offre spettacolari viste sulla baia di El Golfo, ma con gli stessi problemi di visibilità di cui sopra. Nel 1988 è però stato sistemato su progetto di César Manrique, lo stesso artista di Lago Martiánez di Puerto de la Cruz, e l’architettura rimedia un po’ alla mesta bruma circostante.
A questo punto della giornata completiamo la discesa e conquistiamo la costa di El Golfo nel villaggio di Las Puntas dove, in posizione suggestiva, su di uno sperone roccioso proteso verso il mare si trova l’hotel Puntagrande, citato nel Guinness dei Primati come l’albergo più piccolo del mondo. Costruito nel 1884, prima di essere trasformato in hotel era un edificio portuale e oggi conta quattro stanze, un bar e un ristorante.
Mezzogiorno è già da tempo passato e cerchiamo un’ombra nella quale consumare il nostro tradizionale pranzo a base di sandwich … ardua impresa! Ci fermiamo nei pressi di Los Llanillos e affrontando una lunga scalinata scendiamo al mare al cosiddetto Charco Azul: lì troviamo un tavolo sul quale appoggiarci, un po’ d’ombra grazie alle alte scogliere e anche un interessante tratto di costa da fotografare, caratterizzato da pozze, grotte ed una strana conformazione di basalto a colonne prismatiche … oltre a tante lucertole.
Alla ripartenza, dopo la scarpinata in salita per raggiungere l’auto, ci fermiamo all’Ecomuseo e quindi al Lagartario di Guinea, complesso di antiche capanne di pastori restaurate, nonché allevamento di una rara specie di lucertola, lunga anche più di un metro, detta di Salmor, che si trova solo a El Hierro … ma la visita è solo guidata e la prossima sarà fra più di due ore, per cui decidiamo di sorvolare.
Andiamo così nella parte più settentrionale dell’isola e ammirata la bella, candida chiesetta di Mocanal, approdiamo dall’alto sulla suggestiva insenatura di Pozo de las Calcolsas per goderci il panorama e per osservare, nelle immediate vicinanze, una minuscola e caratteristica cappella, espressione del carattere di questa isola, fatta di tanti piccoli ma straordinari particolari.
Ancora una serie incredibile di curve ed eccoci a Charco Manso, in un luogo ai confini della realtà, sperduto fra martoriate scogliere battute dalla forza dell’oceano, dove si trova uno stupendo arco naturale di roccia, plasmato dall’incessante opera delle onde … Varrebbe forse la pena fermarsi a lungo a meditare di fronte al fragore del mare, ma noi vogliamo concludere questa bella giornata con un tranquillo bagno in piscina e con un po’ di sano relax, allora non perdiamo altro tempo e facciamo ritorno al Parador, così da sentirci ancora una volta incontrastati padroni dell’incredibile golfo di Las Playas, fin quando non scende l’oscurità e la notte prende a sua volta il sopravvento.
Domenica 2 Agosto: Partiamo per visitare l’estrema zona occidentale di El Hierro: la più selvaggia e meno accessibile.
Scavalchiamo la dorsale dell’isola e percorriamo l’intera baia di El Golfo per giungere nella remota località di Sabinosa, ubicata suggestivamente a mezza costa e ai piedi di vertiginose pareti rocciose. Da lì la strada scende a tornanti fino al mare per avventurarsi nella regione più ad ovest, ma la troviamo sbarrata, causa il vento ed il caldo che rendono altissimo il rischio di incendi, come quello, enorme, divampato ieri a La Palma, isola sulla quale sbarcheremo fra quattro giorni.
Con qualche imprecazione facciamo dietrofront e cambiamo i programmi, sperando di poter accedere domani alla zona.
La nostra nuova meta è ora la punta più meridionale dell’isola, una zona arida, completamente priva di vegetazione e quindi, pensiamo, non a rischio incendi … Causa le strade chiuse dobbiamo però fere il “giro del mondo” per arrivare e lungo il percorso ne approfittiamo per chiedere lumi ad alcuni vigili del fuoco, i quali ci dicono che, molto probabilmente, sarà così anche domani.
Ormai in tarda mattinata attraversiamo l’area vulcanica di Los Lajiales, che è un vasto campo di lava solidificatosi, grazie a particolari condizioni, in stravaganti e fantasiose forme che danno vita a scenari quasi irreali, fatti di intricati ammassi di “corde” pietrificate, rigagnoli di magma allo stato apparentemente fluido, che invece sono solidi ormai da millenni, e negli interstizi la vita che affiora timidamente sottoforma di pionieristiche specie vegetali … un fenomeno strabiliante se osservato nei più piccoli particolari! Il nastro d’asfalto termina nell’insignificante località di La Restiga, composta per lo più da anonimi palazzoni … Tornando un po’ sui nostri passi, di una manciata di chilometri, imbocchiamo però la carrareccia che porta alla Cala de Tacorón, nel litorale vulcanico di Mar de las Calmas, e lì troviamo una sorta di area ricreativa dove poter pranzare, ma anche un bel tratto di mare cristallino, seppur roccioso, nel quale fare un rinfrescante bagno.
Alla ripartenza, nel primo pomeriggio, torniamo verso la parte più alta dell’isola e vorremmo fermarci al cosiddetto Mirador de las Playas, ma anche questo lo troviamo chiuso! … Andiamo allora nel piccolo abitato di Isora e, nei pressi, riusciamo a raggiungere l’omonimo mirador, terrazza panoramica sul sottostante tratto di costa, nel quale individuiamo chiaramente la sagoma del Parador.
La vista del magnifico golfo e la piscina in riva al mare sono un richiamo irresistibile, così rientriamo al nostro hotel dove trascorriamo qualche ora allietati dal solito stupendo panorama.
La parte migliore di questa domenica canaria deve però ancora arrivare, infatti per cena andiamo all’esclusivo ristorante del Mirador de la Peña, giusto in tempo per occupare uno dei due tavoli in prima fila (dove si è seduto anche re Juan Carlos!) e goderci quella che, sicuramente, resterà una delle più belle esperienze di questo viaggio: una strepitosa vista su El Golfo condita da un indimenticabile tramonto! … Per la cronaca si è anche mangiato bene e speso poco, considerato lo straordinario spettacolo (meno di trenta euro a testa!) … Certo che questa piccola isola, sconosciuta ai classici itinerari turistici, continua a stupirci, ogni giorno di più! Lunedì 3 Agosto: Le condizioni meteo questa mattina sembrano essere cambiate: è cambiata la direzione del vento, l’aria è più frizzante, fa quindi meno caldo ed il cielo è più terso … Riproviamo così a visitare l’estrema punta occidentale dell’isola.
Saliamo a Valverde e poi passiamo per il Mirador de la Peña a scattare una foto con molta meno foschia, anche se gran parte del paesaggio è ancora nell’ombra, vuoi per le montagne, vuoi per la presenza di qualche nuvola di troppo.
Percorriamo tutta la costa settentrionale e giunti dove ieri c’era il blocco … oggi non c’è più! … Grazie al cielo, così potremo completare il nostro programma di esplorazioni! Il paesaggio si fa subito molto più aspro e decisamente … vulcanico. Passiamo a vedere la Playa de Verodal, situata ai piedi di un’alta scogliera e caratterizzata da una curiosa sabbia color ruggine, poi cominciamo a salire fra bellissimi scorci, dai vigorosi contrasti di colore, fra le calde tonalità del terreno e l’azzurro intenso dell’odierno cielo, verso la regione del Sabinar, dove dovrebbero trovarsi i celebri ginepri bianchi, piegati dal vento nelle più contorte forme, considerati il simbolo di El Hierro.
Incontriamo qualche bell’esemplare lungo la strada, ma non ancora il più famoso, allora affrontiamo il polveroso sterrato che conduce, fra panorami primordiali, al Faro de Orchilla, che si vede all’orizzonte affiancato da un vecchio cono vulcanico.
Nel 150 d.C. Il geografo greco Tolomeo indicò l’estremità occidentale di El Hierro come il confine del mondo allora conosciuto e da lì fu fatto passare il meridiano zero nel 1634, fino a quando, nel 1883, non fu spostato definitivamente a Geenwich … Quel punto è il Cabo del Barbudo che vediamo in lontananza, assieme al suo monumento commemorativo, ma è raggiungibile solo a piedi e non ci sembra il caso.
Giunti alla base del faro scattiamo qualche foto e poi risaliamo lungo lo sterrato fino al nastro d’asfalto, quindi all’Ermita de Nuestra Señora de los Reyes, il santuario meta di pellegrinaggi, dedicato alla Santa Madre dei Re (magi), patrona di El Hierro: una chiesetta e alcuni edifici, tutti rigorosamente bianchi, racchiusi entro un giro di mura, che però oggi troviamo chiusi … Al suo interno è conservata la statua della Vergine che ogni quattro anni, nel corso di una solenne processione detta Bajada, viene portata fino a Valverde (l’ultima volta è successo non più di due mesi fa).
Dal santuario un’angusta strada porta al Mirador de Bascos … proviamo a seguirla e ad un certo punto una deviazione sulla sinistra indica “El Sabinar”… ci fidiamo del cartello e affrontando un polveroso tracciato ci troviamo, fra mucche al pascolo, nella radura che ospita il più noto albero dell’isola.
Ripiegato completamente su se stesso, questo ginepro bianco, è una vera e propria scultura naturale, tanto drammatica quanto portentosa, per la spavalderia con cui ha saputo affrontare la forza del vento … e accanto a “sua maestà” ce ne sono altri, forse meno imponenti, ma comunque degni “cortigiani”, vista la loro forma altrettanto fantasiosamente contorta.
Scattato un piccolo servizio fotografico risaliamo in auto e andiamo a pranzare al Mirador de Bascos, dove nel frattempo si sono addensate parecchie nuvole, tanto che non può offrire molto dal punto di vista paesaggistico … anzi, fa anche piuttosto freddo e non ci tratteniamo più del necessario.
Nel primo pomeriggio i corpi nuvolosi hanno invaso completamente questa parte dell’isola, e cade anche qualche goccia di pioggia, ma è un fenomeno decisamente locale, infatti ritroviamo il sole mentre percorriamo la vertiginosa stradina che segue dall’alto la severa costa sud-occidentale di El Hierro, detta El Julan.
Attraversiamo poi una magnifica pineta e andiamo a sbucare sulla strada che va a La Restiga, nei pressi di El Pinar. Ne approfittiamo così per andare a vedere anche il vicino Mirador de Las Playas, ieri chiuso … e osserviamo, in questo modo, da un’altra angolazione la vasta insenatura nella quale si trova il nostro splendido hotel.
Per chiudere il cerchio transitiamo nel paese di San Andres, in uno dei punti più alti dell’isola e, di nuovo fra le nuvole, il termometro segna solamente 18 gradi … Scendendo poi alla costa i gradi diventano 27 ma, contrariamente agli altri giorni, soffia un vento piuttosto fresco e oggi la piscina del Parador non c’invita ad un bagno refrigerante. Trascorriamo comunque alcune ore in riva al mare a coronamento di una bellissima giornata, dedicata alla parte più selvaggia di El Hierro, e forse di tutte le isole Canarie.
Martedì 4 Agosto: Oggi lasceremo El Hierro per un’altra isola canaria: La Gomera, ma solo nel pomeriggio, per cui non c’è fretta.
Dopo colazione, mentre Sabrina e Federico se ne vanno sui bordi della piscina, io salgo in auto fino a Valverde per fare qualche compera e al ritorno mi fermo a fotografare la Roque de la Bonanza con la giusta luce, anche se una sfilata di nuvole dispettose mi fa perdere un sacco di tempo … Quelle stesse nuvole che poi ci disturberanno nelle ultime ore di permanenza al Parador.
Alle 13:30 salutiamo la nostra specialissima vista mare … consegniamo le chiavi alla réception e caricati tutti i bagagli, lasciamo un pezzetto di cuore nel golfo di Las Playas, e raggiungiamo Puerto de la Estaca dove ci mettiamo in attesa del traghetto della Fred Olsen.
Il Benchijigua Express arriva puntuale e con quello salpiamo alla volta de La Gomera, dopo El Hierro la più piccola delle Canarie, con i suoi 378 chilometri quadrati di estensione. Definita anche “la isla redonda” (l’isola rotonda) per la forma quasi perfetta del suo contorno, La Gomera è anche particolarmente accidentata, con profonde vallate disposte a raggiera, che rendono praticamente impossibile la realizzazione di una strada costiera lungo il suo perimetro.
Da El Hierro è sufficiente poco più di un’ora di navigazione, infatti intorno alle 17:00 sbarchiamo nel capoluogo de La Gomera: San Sebastian, che ci fermiamo subito a visitare.
Prima di tutto vediamo la cosiddetta Torre del Conde che, immersa nel verde di un piccolo e ben curato giardino, è tutto ciò che resta delle antiche fortificazioni della città, fatta erigere, in stile gotico, nel 1447 dal primo governatore spagnolo dell’isola, Hernán Peraza il Vecchio.
In Calle Real, la principale via del centro storico, spicca la caratteristica facciata dell’Iglesia de la Virgen de la Asunción, risalente alla metà del XV secolo, dove si dice si sia raccolto in preghiera anche Cristoforo Colombo prima di partire alla scoperta delle Americhe. Non a caso La Gomera, oltre ad essere “la isla redonda”, è definita anche “la isla colombina”, visto il suo legame con il grande navigatore, che vi fece sosta ben tre volte (nel 1492, 1493 e 1498) prima di affrontare le sue esplorazioni d’oltreoceano, quando soggiornò al numero 53 di Calle Real, in quella che oggi è detta, naturalmente, Casa de Colon … Non riusciamo però a vedere il Pozo de Colon, situato nel cortile interno della vecchia Dogana, che ha chiuso i battenti circa un’ora fa, sul quale si legge l’iscrizione: “Con quest’acqua fu battezzata l’America”.
Dedicato tutto il tempo necessario a Sen Sebastian partiamo per la località di Playa de Santiago, nella quale abbiamo prenotato la nostra prossima sistemazione.
Saliamo verso il centro dell’isola fra severi scenari di profonde gole e grandiosi panorami sullo sfondo dell’oceano, poi scendiamo a Playa de Santiago dove troviamo, in un’angusta strada senza uscita, l’Apartamentos Bellavista, che ci ospiterà per le prossime due notti.
La nostra stanza, all’ultimo piano di un edificio ristrutturato, ci offre un’altra bella vista mare sull’antistante baia … meglio di così non poteva andare! Per cena ci rechiamo nel vicino porticciolo dove si trovano alcuni locali che fanno al caso nostro, quindi rincasiamo, così da preparare al meglio l’esplorazione de La Gomera che prenderà il via domani mattina.
Mercoledì 5 Agosto: Una telefonata di lavoro inattesa non apre la giornata nel migliore dei modi, ma splende un bel sole e fiduciosi lasciamo Playa de Santiago verso nord-ovest e verso le alte quote della parte centrale dell’isola.
Nei pressi di Alajero cerchiamo un drago centenario, ma un cartello lo indica lungo un sentiero di cui non si vede la fine e sorvoliamo.
Continuiamo a macinare chilometri in distanza e metri in altezza, in un paesaggio arido ma ricco di alberi di palma, apparentemente spontanei, come mai ci era capitato di vedere nell’arcipelago fino ad ora … Entriamo così entro i confini del Parque National de Garajonay e l’ambiente in poche curve cambia completamente d’aspetto.
Relativamente giovane, perché istituito nel 1981, e con un’estensione limitata a soli 40 chilometri quadrati questo parco nazionale può però vantarsi di essere stato dichiarato, primo e ultimo caso del suo genere in Spagna, Patrimonio dell’Umanità dell’Unesco, in quanto ecosistema unico al mondo.
La peculiarità di Garajonay è la cosiddetta Laurisilva, una foresta sub-tropicale umida che rappresenta l’ultima, integra reliquia dei boschi che milioni di anni fa, nell’era del Terziario, ricoprivano il nord Africa e l’Europa meridionale … e se questo fossile vivente esiste ancora oggi lo si deve alla particolare posizione geografica de La Gomera. Infatti la Laurisilva è perennemente fresca e intrisa d’acqua grazie ai venti alisei che, carichi di umidità, soffiano quasi tutto l’anno da nord. Giungendo sull’isola tali masse di aria umida si trovano sospinte verso i monti, dove condensano formando un’acquerugiola perenne (la “pioggia orizzontale”), trattenuta da muschi e licheni, che agiscono come un’enorme spugna naturale.
Non appena la strada che stiamo percorrendo si affaccia sull’altro versante dell’isola si presenta sotto di noi un immenso mare di nuvole … L’effetto è a dir poco strabiliante, quasi magico, immerso com’è in un silenzio ovattato … e in lontananza sopra a quella soffice coltre, strano ma vero, svetta imperiosa, quasi inquietante, l’inconfondibile sagoma del Teide.
Ancora pochi chilometri e arriviamo a Laguna Grande, un po’ il cuore del parco, dove si trova il centro visitatori e dove intraprendiamo un brevissimo trekking che ci rende, in maniera esauriente, l’idea della foresta primordiale di Laurisilva, un paesaggio, pare, molto simile a quello che aveva l’Europa milioni di anni fa, quando l’uomo non esisteva ancora.
Dopo questa bella esperienza riprendiamo strada e cominciamo a scendere di quota, ma così facendo entriamo fra le nuvole, che viste dall’interno non sono poi così attraenti, e giungiamo sulla costa nord dell’isola nella località di Agulo, accompagnati da qualche timido raggio di sole e da una discreta vista del paese sullo sfondo di un’alta parete rocciosa … I corpi nuvolosi riprendono poi il sopravvento quando risaliamo l’accattivante Valle de Hermigua, che percorreremo anche domani, speriamo con una miglior sorte meteorologica.
E’ passato mezzogiorno e andiamo in direzione di San Sebastian dove, grazie all’incredibile variabilità climatica di queste isole, splende quasi sempre il sole, e lì ci mettiamo alla ricerca di una spiaggia.
Avevo qualche buona indicazione circa la Playa de Avalo, a nord della città, ma una volta raggiunta ci rendiamo conto che a parte qualche bella palma alle sue spalle è tutta di scuri ciottoli dalle grandi dimensioni e piuttosto sporca, quindi non certo invitante. Torniamo allora a San Sebastian e ci fermiamo nella nera spiaggia della città, che non è il massimo, ma dobbiamo accontentarci.
Pranziamo un po’ disagiatamente, fra il caldo ed alcune improvvise folate di vento, così nel primo pomeriggio decidiamo di togliere il disturbo e andare a trascorrere il resto della giornata, in completo relax, sul terrazzo vista mare del nostro appartamento, accompagnati da gelato, patatine e birra ghiacciata … Il piacere culinario prosegue poi in serata, con una seducente cenetta di pesce sul lungomare di Playa de Santiago, allietati dal riflesso argenteo della luna piena sulla baia antistante.
Giovedì 6 Agosto: A metà mattinata lasciamo l’Apartamentos Bellavista con tutti i bagagli al seguito e prendiamo a salire verso il centro dell’isola, anche se, purtroppo, oggi il cielo non è più terso come negli ultimi giorni.
Superiamo l’abitato di Alajero e poco prima dell’entrata al Parco di Garajonay svoltiamo a sinistra seguendo le indicazioni per Chipude.
Circondati da aspre montagne, fra le quali La Fortaleza, grande roccia basaltica dall’estradosso completamente piatto, giungiamo, appunto, a Chipude, che ubicato ad oltre mille metri di quota è il villaggio più alto de La Gomena e lì, presso un vecchio lavatoio pubblico, vediamo alcune signore fare il bucato … una scena d’altri tempi che si consuma davanti ai nostri occhi … Nel vicino borgo di El Cercado ci fermiamo poi ad acquistare una terracotta nera, tipica della zona, prima di cominciare a scendere verso la costa occidentale.
Lungo la strada è d’obbligo una sosta al Mirador del Santo, poco fuori il paese di Arure, dove da una sorta di balcone naturale si abbraccia un bel tratto di costa, con la vista che spazia sulle isole di El Hierro e La Palma, le cui vette più alte spiccano oltre le nuvole all’orizzonte.
Imboccato il nastro d’asfalto che va a Valle Gran Rey, nel più rinomato barranco dell’isola, ci fermiamo anche al Mirador del Palmarejo, realizzato da César Manrique, ma lo troviamo in gran parte chiuso, molto probabilmente per restauri. Ciò non c’impedisce di godere del panorama sui numerosi terrazzamenti tipici del luogo, che però ci aspettavamo più verdi e rigogliosi, tanto che il loro accostamento alle risaie di Bali, a volte decantato, ci pare eccessivamente azzardato.
Arrivati al mare in quella che è la località turistica più sviluppata de La Gomera pranziamo, vista l’ora, in un ristorantino con vista sull’oceano e nel primo pomeriggio torniamo sui nostri passi verso le zone più alte dell’isola.
Passiamo per il villaggio di Vallehermoso, in una profonda e bella vallata, ma non riusciamo ad assaporarne le qualità paesaggistiche in quanto la zona è assediata dai bassi corpi nuvolosi che, ormai lo abbiamo capito, sono soliti invadere la parte settentrionale dell’isola … Infatti anche a Playa de Vallehermoso il grigiore regna assoluto ed il servizio di barche che speravamo di trovare per le vicinissime scogliere di Los Organos, uno dei fenomeni naturali più sorprendenti de La Gomera, non esiste proprio e per vederle bisogna partire molto più da lontano (da Valle Gran Rey o da San Sebastian), con un grosso dispendio di tempo che noi non possiamo proprio permetterci.
Il clima pressoché autunnale ci accompagna lungo tutta la costa nord e nella Valle de Hermigua (come ieri), poi continuiamo a salire di quota verso il centro dell’isola, lungo un tracciato tutto curve, ed entriamo nel Parco Nazionale di Garajonay per ritrovare, giunti alla sommità, un bellissimo sole.
Siamo ora nella zona di Los Roques, caratterizzata da irte formazioni vulcaniche, fra le quali spicca l’imponente Roque de Agando, con un mare di nuvole a lambirle e a creare fantasiose cascate di vapore acqueo … uno dei paesaggi più belli de La Gomera, che resterà certamente impresso nella nostra memoria.
Un tornante dopo l’altro scendiamo ancora verso la costa, per giungere in vista del colorato scacchiere di case di San Sebastian e sul lungomare del capoluogo trascorriamo le ultime ore sull’isola, addentando per cena i nostri panini, in attesa del traghetto della Fred Olsen.
Alle 20:30 il solito Benchijigua Express si stacca dalla banchina del porto de La Gomera con destinazione isola de La Palma, la quinta per estensione dell’arcipelago, con i suoi 706 chilometri quadrati, ma la più elevata e montuosa al mondo in rapporto alla sua estensione … Anch’essa di origine vulcanica è stata, nel 1971, lo scenario dell’ultima spettacolare eruzione avvenuta nelle Canarie.
Appena partiti il sole tramonta alle spalle de La Gomera ed è buio pesto quando alle 22:30 sbarchiamo a Santa Cruz de La Palma, il capoluogo della quarta isola del nostro itinerario … e una manciata di minuti più tardi siamo all’Apartahotel El Galeon, che ci ospiterà per le prossime due notti.
Facciamo una bella doccia ristoratrice e subito dopo andiamo a letto, perché domani ci attende, forse, la tappa più impegnativa di tutto il viaggio.
Venerdì 7 Agosto: Un giorno per visitare l’isola de La Palma, abbiamo un solo giorno intero, dettato dagli orari dei traghetti, e dobbiamo farcelo bastare! C’è qualche nuvola di troppo in cielo quando lasciamo l’Apartahotel El Galeon e ci fermiamo lungo l’Avenida Maritima di Santa Cruz per fotografare le caratteristiche case de Los Balcones: un complesso di antiche e pittoresche residenze, ottimamente restaurate, dai colori vivaci e dai tipici balconi in legno.
C’è invece qualche pallido raggio di sole quando, poco più tardi, osserviamo l’esatta copia della caravella Santa Maria, detta El Barco de la Virgen, ormeggiata … in Plaza de la Alameda e ospitante un piccolo museo di marineria, che sorvoliamo volutamente, prima di affrontare una breve passeggiata nelle vie circostanti.
Spunta poi definitivamente il sole mentre usciamo da Santa Cruz e cominciamo a salire, salire, salire, salire … verso il centro dell’isola: 36 chilometri di dura ascesa, fino ai 2426 metri di Roque de los Muchachos! Tutta la parte più alta de La Palma si sviluppa attorno all’immensa Caldera del Taburiente, smisurato cratere non più attivo, del diametro di circa dieci chilometri, venutosi a creare nell’arco di milioni di anni prima a causa delle intense attività vulcaniche e poi grazie all’erosione. Dal 1954 tutta la zona è diventata parco nazionale, e a giusta ragione visti gli splendidi paesaggi che la caratterizzano.
La Roque de los Muchachos è il picco più alto del parco e di tutta l’isola e da lassù il panorama è davvero mozzafiato, con la vista che spazia da un lato sulle impressionanti pareti rocciose della caldera e dall’altro sull’immensità dell’oceano. In più a valorizzare le vedute ci sono le cupole, sparse qua e là, dei potenti telescopi dell’Osservatorio Astrofisico Internazionale, inaugurato nel 1985 alla presenza di re Juan Carlos e di molti capi di stato europei, il più importante del suo genere dell’emisfero settentrionale, sì, perché grazie alla limpidezza del cielo, le Canarie sono considerate uno dei luoghi migliori al mondo per condurre osservazioni astronomiche.
Dopo una bella passeggiata lungo il breve sentiero escursionistico di Roque de los Muchachos cominciamo la discesa verso la costa occidentale … una lunga discesa, che però non ci porta al mare, perché la strada costiera (se così si può definire) corre parecchio lontana dalla costa.
Giriamo a questo punto la prua verso il sud dell’isola e, dopo pranzo, la crescente foschia non ci permette di godere del miglior panorama dal Mirador del Time sulla sottostante piana di Tazacorte, completamente tappezzata di bananeti.
La vista è limitata dalla bruma anche al Mirador de la Cumbrecita, balcone meridionale sulla Caldera del Taburiente, allora ci avviamo, con la nostra Seat Leon, verso l’estremo sud de La Palma.
Ci fermiamo nell’abitato di Las Manchas a vedere l’originalissima Plaza La Glorieta, caleidoscopica opera di Luis Morera, artista locale discepolo di César Manrique, e poi arriviamo nella zona di Fuencaliente, dove solo qualche giorno fa, mentre noi eravamo a El Hierro, era scoppiato un grosso incendio … veramente grosso! E’ impressionante: attraversiamo chilometri di bosco carbonizzato dove si sente ancora l’odore acre del fumo, ma non basta, infatti lungo la strada ci sono anche case bruciate e carcasse di auto annerite … una vera ecatombe! … La tragedia invece è stata evitata per un soffio perché il paese di Fuencaliente, letteralmente circondato dalle fiamme, si è quasi totalmente salvato.
Dal centro dell’abitato, ancora frastornato dai fatti, scendiamo verso la costa. Attraversiamo immensi bananeti e arriviamo sull’estrema punta meridionale de La Palma, in un paesaggio prettamente vulcanico (qui si è verificata quasi quarant’anni fa l’ultima eruzione), fino al faro di Fuencaliente, dove la vista spazia al largo sulle isole di El Hierro e La Gomera.
Di fianco al faro, incastonate fra le nere rocce battute dalle onde, si trovano alcune scenografiche saline, tuttora attive, con le ordinate masse di sale e i bacini dai tipici riflessi rossastri a creare quadri dai meravigliosi contrasti di colore … Dopo Roque de los Muchachos la punta di Fuencaliente è stata sicuramente la più bella esperienza de La Palma, un’isola montuosissima ma sotto certi aspetti un po’ deludente.
Risaliti lungo la costa orientale chiudiamo il cerchio e arriviamo a Santa Cruz giusto in tempo per fare una passeggiata in Calle O’Daly, la principale arteria, completamente pedonalizzata, del capoluogo, costeggiata su entrambi i lati da case e residenze storiche a testimonianza del prestigio di cui godeva anticamente la città. In questo modo giungiamo anche in Plaza de España, su cui prospetta la rinascimentale facciata de la Iglesia de El Salvador, principale edificio religioso del centro.
Al termine di una intensissima giornata si può dire così compiuta la missione di visitare i principali luoghi d’interesse de La Palma e un po’ stanchini facciamo rientro all’Apartahotel El Galeon, per rinfrescarci prima di cenare con un buon piatto di paella in un ristorante sul lungomare di Santa Cruz.
Sabato 8 Agosto: Oggi è la giornata di trasferimento per eccellenza … e comincia molto presto. La sveglia è alle 4:30, giusto in tempo per essere mezzora più tardi nel porto di Santa Cruz de La Palma, da dove alle 6:00 in punto, col buio ancora completo, il fedele Benchijigua Express salpa per riportarci sull’isola di Tenerife.
Facciamo scalo a La Gomera, mentre il sole fa capolino più ad est dalla nera sagoma del Teide e meno di un’ora più tardi, alle 8:30, sbarchiamo a Los Cristianos.
Percorriamo tutta l’Autopista del Sur e giunti nella parte più settentrionale dell’isola decidiamo di lasciar perdere la visita delle alture di Las Mercedes (unica zona ancora a noi sconosciuta), perché le vette sono completamente avvolte dalle nubi (una costante, pare, in questo periodo dell’anno).
Proseguiamo allora per Puerto de la Cruz, con l’intenzione di andare a passare qualche ora a Lago Martiánez … ma sul lato nord dell’isola la temperatura scende, all’improvviso, di quasi dieci gradi (alla faccia del microclima!), mentre sembra si vadano accumulando anche parecchie nuvole lungo la costa. Non ci resta così che fare dietrofront per Santa Cruz e per la sua Playa de las Teresitas, dove si dice splenda quasi sempre il sole.
Infatti a Las Teresitas si sta benone e vi trascorriamo il resto della mattinata e buona parte del pomeriggio, in attesa del prossimo traghetto della Fred Olsen, che ci porterà a Gran Canaria.
Qualche minuto dopo le 18:00 il Bencomo Express prende il largo dal porto di Santa Cruz de Tenerife per la terza isola per estensione delle Canarie, con i suoi 1533 chilometri quadrati, ma la seconda come popolazione e principale antagonista di Tenerife, in quanto, come quest’ultima, capoluogo di una delle due sole province dell’arcipelago. In più, Gran Canaria, condivide con la sua sorella maggiore l’appellativo di “continente in miniatura”, per la sua divisione in zone climatiche ben distinte, oltre che il ruolo di principale meta del turismo di massa, che noi, per dir la verità, non amiamo particolarmente.
Dopo circa un’ora di navigazione tra i flutti dell’oceano sbarchiamo nel porto di Agaete, ridente cittadina della costa nord-occidentale, e da lì percorriamo, in senso orario, lungo un’agevole superstrada, oltre la metà del periplo dell’isola fino all’agglomerato iper-turistico di Playa del Ingles, che subito non ci fa una bella impressione, caotica e straripante com’è di giovani nordeuropei non proprio lucidi, almeno in apparenza, e dove si trova l’Aparthotel Green Field nel quale alloggeremo per le prossime cinque notti.
Ci consegnano le chiavi della nostra stanza e, dopo una cena nelle vicinanze, al termine di una giornata infinita, andiamo finalmente a riposare … con la speranza che domani sia veramente un altro giorno.
Domenica 9 Agosto: Al termine di una nottata al caldo infernale della nostra nuova stanza, dotata sì di aria condizionata ma solo nella zona giorno e neanche troppo ben funzionante, partiamo con l’intenzione di andare a visitare Las Palmas de Gran Canaria, il capoluogo dell’isola, fondato dai conquistatori spagnoli il 24 giugno del 1478, ma anche la maggiore città di tutto l’arcipelago delle Canarie.
Splende un bellissimo sole, ma mentre procediamo spediti verso la nostra meta all’orizzonte appaiono grossi nuvoloni grigi, che non ci meravigliano, perché in questa stagione sono quasi una costante nel nord dell’isola … Il cielo si fa però sempre più cupo e scende anche qualche goccia di pioggia, tanto che una volta arrivati sul lungomare di Las Palmas sembra d’essere in un giorno d’autunno inoltrato, in più quando siamo al cospetto del cinquecentesco Castillo de la Luz, eretto a protezione dell’antico porto, non possiamo nemmeno fotografarlo in quanto completamente recintato per lavori … proprio non riusciamo a trovare il giusto feeling con questa isola! Riprendiamo strada per andare a visitare La Vegeta, il quartiere storico della città, ma comincia a piovere con insistenza … Non è possibile! Sarebbe da pazzi trascorrere un’intera giornata in questa maniera, soprattutto quando c’è un’alternativa! … Allora giriamo la prua verso sud e cambiamo completamente programma.
Già a metà dell’isola torna a splendere il sole e superata la località super-turistica di Maspalomas le nuvole non si vedono più neanche in lontananza … Sembra tutto un altro mondo! Arriviamo così dove termina l’autostrada, e poi, poco più avanti lungo la costa, al paese di Puerto de Mogán, ubicato allo sbocco di un’ampia vallata (la Valle de Mogán). Qui, bisogna darne atto, si è costruito tutto il villaggio che circonda il porto turistico con grande rispetto architettonico, in armonia con l’ambiente circostante, dando vita ad un intero quartiere di graziosi, colorati edifici, dai balconi straripanti di fiori, in stile mediterraneo, articolati lungo un reticolo di strette vie pedonali, nelle quali per un po’ di tempo ci perdiamo volutamente.
Più tardi, ormai con il sole allo zenit, andiamo nella vicina Playa de los Amadores, un’ampia mezzaluna di candida sabbia, non certo canaria, straripante di gente. Lì ci fermiamo e approfittandone riusciamo anche a procurarci un ombrellone, che sembra essere gratuito visto che nessuno si preoccupa di riscuotere denaro, né ci sono cartelli in merito. Poi corriamo in acqua, che grazie al fondo chiaro risulta essere anche invitante, e consumiamo un lungo bagno ristoratore … Certo, anche Playa de los Amadores non è il sogno tropicale per eccellenza ma, nonostante la sfilata di orrendi palazzoni alle spalle, ci si sta benone e vi restiamo per l’intero pomeriggio durante il quale, in compagnia di Federico, torno anche un po’ bambino, facendo tuffi e giochi di equilibrio in un divertente acqua-park situato a poche decine di metri dalla riva.
Lasciamo Playa de los Amadores con le ombre lunghe della sera e, ormai in sintonia anche con Gran Canaria, rientriamo a Playa del Ingles, dove scoviamo, per cena, un simpatico ristorantino (il Bacaná), sui bordi di una piscina, che propone deliziosi menù a base di carne alla griglia ad un costo molto conveniente … un luogo nel quale torneremo certamente prima della fine del viaggio.
Lunedì 10 Agosto: Anche questa mattina il cielo è terso e partiamo con l’intenzione di riprendere il programma di visite interrotto ieri … Logicamente, però, giunti in vista di Las Palmas, ci sono le solite nuvole in agguato (sembra proprio impossibile evitarle in questo periodo), ma almeno non piove.
Ci fermiamo direttamente al quartiere de La Vegueta e parcheggiata l’auto andiamo alla sua scoperta. In breve ci troviamo così di fronte alla Casa de Colon, un palazzo signorile, dagli splendidi balconi in legno, sede dei primi governatori dell’isola, dove, secondo la tradizione, soggiornò anche Cristoforo Colombo, nel 1492, costretto a fermarsi in attesa che una delle sue navi fosse riparata: da qui il nome, Casa de Colon, o Casa di Colombo. Al suo interno si trova un piccolo ma interessante museo, al quale dedichiamo un po’ di tempo, che conserva ricostruzioni e cimeli relativi al famoso navigatore e ai suoi viaggi alla scoperta delle Indie Occidentali, ma anche testimonianze circa i progressi della cartografia ed il ruolo delle Canarie come punto cruciale sulla rotta verso il Nuovo Mondo.
Tornati all’aria aperta passeggiamo un po’ per le vie del quartiere dove osserviamo, mentre esce qualche timido raggio di sole, oltre ad alcuni storici palazzi, la grande Catedral de Santa Ana, iniziata nel 1497, che presenta una monumentale facciata neoclassica e la tranquilla Plaza de Santo Domingo.
Riguadagnata l’auto partiamo per visitare l’intera regione settentrionale di Gran Canaria che, a quanto pare, è completamente sotto ad una spessa coltre di nubi … Andando verso l’interno passiamo così, sulle prime alture, per la cittadina di Tafira Alta, disseminata di ville dal carattere coloniale e, nelle vicinanze, saliamo al Pico de Bandama, un vulcano spento che presenta una caldera di circa un chilometro di diametro, dalla cui sommità si gode … o meglio, si dovrebbe godere di un bel panorama su Las Palmas, perché il grigiore regna assoluto e non è proprio giornata.
Tornati sul tracciato principale oltrepassiamo gli abitati di Santa Brigida e San Mateo salendo di quota … con la temperatura che invece scende sotto i venti gradi quando, poco dopo, ci fermiamo a pranzare lungo la strada.
Alla ripartenza giungiamo nel paese di Teror, la capitale religiosa dell’isola da quando, nel 1914, papa Pio XII proclamò Nuestra Señora del Pino patrona di Gran Canaria e la sua basilica primario luogo di pellegrinaggi … Il grande edificio religioso prospetta sull’omonima piazza, dalla quale scaturisce anche l’arteria più importante della cittadina, fiancheggiata da interessanti edifici storici risalenti al XVI secolo, con balconi in legno e pietra molto caratteristici.
Dopo una breve visita anche degli interni e del tesoro della santa patrona torniamo a macinar chilometri e a scendere in direzione della costa settentrionale, per arrivare nel villaggio di Firgas, noto più che altro per il suo Paseo de Gran Canaria: una rettilinea viuzza pedonale decorata su entrambi i lati con panchine rivestite in ceramica e azulejos raffiguranti paesaggi e simboli storici dell’isola, mentre al centro scorre una cascatella e più in alto grandi lastre in ceramica rappresentano mappe e panorami delle altre isole dell’arcipelago … un’insolita lezione di geografia delle Canarie creata, con molta fantasia, nel 1995.
A pochissimi chilometri da Firgas ci fermiamo anche nella località di Arucas dove, fra altri edifici tipicamente canari, spicca l’enorme mole della neogotica parrocchiale di San Juan … che però troviamo inspiegabilmente chiusa.
Completato il tour del nord dell’isola, più che altro a carattere storico-culturale, ma non eccessivamente entusiasmante, puntiamo a sud e ritroviamo, naturalmente, il sole, accompagnato da un bel cielo azzurro, così decidiamo di concludere la giornata nella piscina del Green Field … un paio d’ore di meritato riposo, che finiscono per accontentare anche Federico.
Martedì 11 Agosto: Dopo la lunga scarrozzata di ieri, condita, per dir la verità, da poche soddisfazioni oggi decidiamo di prenderci una giornata, più che altro, di sano relax.
Usciti dall’hotel copriamo la brevissima distanza che ci separa dalle famose dune di Maspalomas e parcheggiata l’auto andiamo alla loro scoperta … E’ un minuscolo parco naturale, una manciata di chilometri quadrati di deserto del Sahara finito chissà come nel sud di Gran Canaria. E’ un magnifico paesaggio fatto di soffice, dorata sabbia sulle rive dell’oceano, nel quale ci avventuriamo, alla scoperta delle più classiche vedute fatte di creste modellate dal vento … Mancano solo i cammelli, che sapevamo esserci e in groppa ai quali si poteva anche fare un’escursione, ma non si vedono neppure in lontananza tanto che ci viene il sospetto non ci siano più, anche se non erano fondamentali. Certo è che questo lembo di terra, con i suoi morbidi saliscendi, seppur vergognosamente assediato dal cemento, fino ad ora è ciò che di più bello ha saputo offrirci questa grande isola plasmata dal più sfrenato turismo di massa.
Dopo Maspalomas risaliamo in auto e seguendo la costa percorriamo i pochi chilometri che ci dividono da Playa de Varga, più nota come Anfi sul Mar, un enorme villaggio turistico la cui spiaggia è però accessibile a tutti, noi compresi.
L’arenile, chiaramente artificiale, è tutto di sabbia bianchissima (importata, pare, nientemeno che dalle Bahamas), ciononostante non si può certo definire un paradiso, affollatissimo e stretto nella morsa delle urbanizzazioni più sconsiderate, ma non sembra esserci di meglio nei paraggi e ci accontentiamo, per poi trascorrere una mezza giornata di mare tutto sommato piacevole.
Mercoledì 12 Agosto: Le vacanze volgono irrimediabilmente al termine e questa sarà l’ultima giornata intera a Gran Canaria … poi domani il rientro a Tenerife.
Oggi partiamo con l’intenzione di visitare la parte centrale dell’isola, la più impervia e selvaggia … Appena usciti da Playa del Ingles cominciamo a salire verso l’interno lungo lo spettacolare Barranco de Fatata, una stretta e arida vallata, disseminata di cactus e rare palme, ai piedi di vertiginose pareti rocciose, un panorama severo e dai colori forti, che ricorda vagamente il west americano.
La strada passa per il villaggio di Fataga, poi più su per lo sperduto abitato di San Bartolomé de Tirajana e una curva dopo l’altra, superato il minuscolo agglomerato di Ayacata giungiamo in vista dell’intrigante Roque Nublo, uno dei simboli della Gran Canaria più genuina, quella della natura ancora incontaminata.
Facciamo una breve passeggiata per cogliere qualche suggestiva immagine del monolite di basalto alto sessanta metri, considerato un luogo sacro dai guanci, gli antichi abitanti di questa terra, e poi riprendiamo a salire, fino ai 1949 metri del Pico de las Nieves, il punto più alto di tutta l’isola … Da lassù il panorama, grazie anche alla splendida giornata, è davvero grandioso, con la vista che spazia su tutti i picchi rocciosi di Gran Canaria, le sue immense vallate boscose e all’orizzonte, in lontananza, fino all’inconfondibile sagoma del Teide, in quel di Tenerife! Scendiamo dal Pico de las Nieves e in pratica giriamo in senso antiorario attorno alla Roque Nublo, che osserviamo anche dal punto panoramico della Decollada de Becerra, in coppia con la Roque Bentayga, l’altro picco roccioso simbolo di Gran Canaria.
Continuando nel nostro tour fra le più alte vette dell’isola passiamo anche nel luogo in cui si trova la cosiddetta Cruz de Tejeda: una croce scolpita nella pietra che, secondo la tradizione, segnerebbe il centro esatto di Gran Canaria … Sarà vero? … Lo prendiamo per buono e scendiamo di quota verso il paese di Tejeda, talmente sperduto fra le montagne che vien da chiedersi come un qualsiasi essere umano, che non fosse un eremita, l’abbia potuto fondare, un giorno, proprio in questa scomoda, anche se panoramica, posizione.
Torniamo quindi a salire per giungere ai piedi della Roque Bentayga, scenografica roccia basaltica che raggiunge i 1412 metri sul livello del mare e, come la Roque Nublo, luogo sacro ai guanci … Poi affrontiamo la lunghissima discesa verso la costa, percorrendo un’angusta strada tutta a tornanti che sfocia nel Barranco de Mogán e, passando per l’omonima cittadina, arriva a Puerto de Mogán.
Ormai ubriachi di curve e affamati, vista l’ora tarda, andiamo a colpo sicuro nella vicina Playa de los Amadores per trascorrere un tranquillo pomeriggio di mare e accontentare Federico, che in questo modo può ancora una volta divertirsi nel suo acqua-park.
Irrimediabilmente si fa poi anche sera e, mentre gli ombrelloni uno ad uno si chiudono intorno a noi, scende in pratica il sipario anche sulla quinta ed ultima isola del nostro itinerario.
Giovedì 13 Agosto: Inizia oggi, in pratica, il viaggio di rientro in Italia … ma non saremo a casa prima di domani sera.
Ci alziamo con calma, anche perché il cielo questa mattina è piuttosto nuvoloso, poi intorno alle 11:00 lasciamo l’Aparthotel Green Field verso ovest, così da percorrere la strada bordeggiante l’unico lato dell’isola che ancora ci manca.
A Puerto de Mogán esce fuori anche il sole, mentre andiamo verso l’interno causa la mancanza di un tracciato costiero nella parte più occidentale di Gran Canaria, e poco prima dell’abitato di Mogán ci fermiamo a fotografare un vecchio mulino a vento perfettamente restaurato.
La strada GC200 sale ora di quota e si avventura fra le aspre montagne dove si trova anche la conformazione vulcanica di Los Azulejos, una parete di roccia dalle incredibili tonalità di colore, dal rosso al verdazzurro, poi, superato un passo, scendiamo verso l’ampia vallata disseminata di bananeti che ospita il piccolo agglomerato di San Nicolás, per giungere subito dopo in vista dell’oceano nei pressi della scura Playa de Aldea.
Da lì affrontiamo il tratto più spettacolare della GC200: da Punta de Aldea ad Agaete, lungo l’accidentatissima e vertiginosa costa nord-occidentale, a cominciare dall’impressionante Mirador de los Balcones, sull’orlo di una ripida scogliera a cinquecento metri sul livello del mare, purtroppo non coadiuvati dal sole, che è nuovamente sparito sotto alle nubi, tipiche di questa zona.
Dopo svariate centinaia di curve e panorami portentosi arriviamo ad Agaete, da dove nel pomeriggio c’imbarcheremo, ma non è ancora l’ora di lasciare Gran Canaria, così proseguiamo e giunti nella cittadina di Galdar andiamo, nelle vicinanze, a visitare il Cenobio de Valeron.
Una delle rare zone archeologiche delle Isole Canarie è un complesso di circa trecento caverne, dichiarate Bene di Interesse Culturale, impiegate un tempo dai guanci come magazzini per il grano, ma anche, pare, per la celebrazione di alcuni riti religiosi, un groviglio di anfratti artificiali che possono dare l’impressione di un insediamento trogloditico … tutto sommato intrigante.
Ormai nel primo pomeriggio andiamo a pranzare in riva al mare nel paese di Sardina e senza perdere altro tempo subito dopo ripartiamo per non arrivare tardi all’imbarco.
Estremo ricordo di Gran Canaria sono le reti dei pescatori e i colorati pescherecci di Agaete poi, alle 16:00 in punto, ci stacchiamo dalla banchina del porto, passiamo accanto all’anonimo scoglio che fino a novembre del 2005 era il cosiddetto Dedo de Dios (il Dito di Dio), un sottilissimo pinnacolo roccioso abbattuto, purtroppo, dalla tormenta tropicale Delta e dalle sue raffiche di vento a 250 chilometri orari, e il Bencomo Express, ultimo dei nostri sei traghetti di questo viaggio, ci riporta, in circa un’ora, a Santa Cruz de Tenerife.
Una volta sbarcati, mai sazi, andiamo a trascorrere un paio d’ore in spiaggia a Las Teresitas, dove splende un bel sole, poi troviamo anche il nostro ultimo hotel della serie, l’hotel Pelinor, che dobbiamo raggiungere a piedi, perché si trova in pieno centro di Santa Cruz, in zona pedonale.
Al termine della giornata ceniamo così in Plaza de la Candelaria, con bella vista su Plaza de España, e poi andiamo a sistemare le valigie per la partenza di domani mattina.
Venerdì 14 Agosto: La sveglia suona alle 4:30. Chiudiamo tutti i bagagli e quatti quatti lasciamo l’hotel Pelinor, quindi con la nostra fedele Seat Leon raggiungiamo l’aeroporto Los Rodeos di Tenerife Nord.
Lasciamo l’auto nel parcheggio della Europecar: con lei abbiamo percorso, a spasso per cinque isole canarie, 2340 chilometri, che sommati ai 730 della Focus, nei primi giorni, fanno 3070 chilometri! … Un bel giretto, con migliaia e migliaia di (splendide) curve! Dobbiamo attendere qualche minuto perché l’aeroporto apre alle 6:00, poi una volta entrati consegniamo le chiavi alla compagnia di autonoleggio, facciamo check-in e ci mettiamo in attesa del volo Air Europa UX9045 alla porta numero 11.
Il Boeing 737 della compagnia spagnola si stacca da terra un po’ in ritardo, grazie ai soliti quattro dispersi, alle 7:54 e sale sopra ad una spessa coltre di nubi dalla quale, mentre sta ancora albeggiando, svetta l’inconfondibile Pico del Teide e più a lato il suo osservatorio astronomico … è questa l’ultima immagine delle Canarie prima di cominciare a seguire la rotta che, verso nord-est, ci porta in direzione dell’Europa continentale.
Aggiustiamo le lancette dell’orologio portandole avanti di un’ora per poi scendere verso l’aeroporto di Madrid, dove atterriamo alle 11:07 … Ci aspetta quindi una lunga attesa di oltre tre ore, al termine della quale saliamo sull’Airbus A319 dell’Alitalia che alle 14:49 prende quota verso l’Italia come volo AZ49.
Oltre il finestrino il cielo è azzurro e sotto di noi scorrono via la Spagna prima e la Francia poi, quindi avvistiamo le bianche cime delle Alpi e subito dopo cominciamo a scendere verso Milano, per atterrare all’aeroporto di Linate alle 16:29.
Ritiriamo tutti i bagagli, usciamo dagli arrivi e con l’ausilio dell’autobus ritroviamo il Quick Parking e anche la nostra auto.
Alle 17:45 partiamo da via Corsica e un quarto d’ora più tardi ci lasciamo alle spalle la barriera di Milano diretti a sud sulla A1 … Così alle 19:00 in punto siamo a Reggio Emilia e mezzora dopo a Bologna.
Il traguardo lo intravediamo pochi minuti prima delle 20:00, quando usciamo dall’autostrada a Faenza, e lo tagliamo poi felicemente alle 20:08 davanti al cancello di casa … E’ stato un viaggio davvero strano, un insolito “Island Hopping” fra le Isole Canarie occidentali, una vacanza “On the road” dove questo genere di vacanza solitamente non si fa, alla scoperta di terre lambite sì dall’oceano ma plasmate dal fuoco, che sanno dare il meglio di sé fra aspre scogliere e severi paesaggi montani … guai andarci solo per le spiagge ed il mare cristallino, si resterebbe delusi … noi lo sapevamo e siamo tornati con tanti bei ricordi.
Dal 26 Luglio al 14 Agosto 2009 Da Tenerife a Tenerife km. 3070