Sacro e profano in Lazio
Le ultime settimane dell'anno fra Frosinone, Roma e Latina
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Anagni, Subiaco, Parco del Circeo, Terracina, Sermoneta, Gaeta, Minturno, Sperlonga Il giorno di Natale è rallegrato dal sole e da una temperatura abbastanza mite, ma io non sono in forma. Avvilita, ieri sono andata dal mio medico di famiglia, che oltre a visitarmi ci ha messo un servizio extra dell’USL: mi ha rincuorata guardando in internet le previsioni del tempo per la provincia di Latina: sereno e temperature superiori a quelle dell’Emilia-Romagna. Portandomi dietro l’aereosol la tosse può passare… Ben rimpinzati partiamo dopo il pranzo di Natale verso le tre del pomeriggio e il viaggio non presenta sorprese, in quanto il traffico è scarso come previsto e cinque ore dopo la via Cisogna nei pressi di S. Filippo (Anagni, in provincia di Frosinone, dove si trova l’agriturismo), è prontamente individuata dal navigatore. Imbocchiamo il tortuoso accesso all’agriturismo Cisogna, che offre alloggio in cinque casette di legno prefabbricate –guarda tu dove?- a Ficarolo di Rovigo, ubicate su una collina. La “baita” è scarsamente illuminata, ma abbondantemente riscaldata e, per la gioia di marito e figlio, è dotata di un piccolo televisore. A parte la presa della TV c’è solo una presa di corrente in bagno, così mi faccio l’aereosol nel gabinetto, mentre Leo e Fede trangugiano sul letto (tipo triclinio) una cena a base di tonno, carne in scatola, pistacchi e pandoro. Infatti con l’aggiunta della branda di Fede lo spazio è piuttosto angusto e anche se disponiamo di una sedia e di un tavolinetto è impossibile farne uso, perché sono incastrati fra il letto e la parete. “Mamma, stasera c’è Voyager in TV!” mi informa entusiasta il mio frugoletto, che pensa già a nuove e più ambiziose destinazioni. “E’ una puntata sulle piramidi!” Io sono ancora fiaccata dalla malattia, fatico a tenere gli occhi aperti e sudo sotto le coperte mentre il termosifone mi secca le vie respiratorie… E’ l’alba del 26/12. Purtroppo per gran parte della notte Leo ed io ci siamo rigirati, disturbati dall’abbaiare dei cani e dai miei colpi di tosse. Fortuna che era una zona silenziosa e isolata! Lo è, infatti. Ciliegina sulla torta: il nuovo giorno è salutato da una pioggia intermittente che rimbalza sul tetto in legno. Sbaglio o c’è anche un picchio che martella alla ricerca di qualche larva? Ci possiamo scordare la pista ciclabile Paliano-Fiuggi, visto che piove attueremo il piano B: visita ad Anagni e Subiaco. Per fare colazione ci dirigiamo all’ultima catapecchia in legno che è una specie di ristorantino. Dietro al bancone si affaccenda la proprietaria, bella in carne, che ci chiede cosa desideriamo bere, mentre la tavola è già apparecchiata e ci sono succo di arancia, biscotti, fette biscottate e miele di produzione dell’azienda. Canzoni napoletane malinconiche e sparate dagli altoparlanti a tutto volume allietano la prima colazione. Il tè è irriconoscibile come tale, ma Fede apprezza i biscotti. Anagni è spopolata dalla pioggia (oppure le strade sono vuote perché è un giorno festivo) e Fede “naviga” nelle scarpacce che gli si allagano immediatamente e a cui si sta anche staccando la suola. Dal parcheggio la via Vittorio Emanuele ci conduce prima alla piazza Cavour e poi alla piazza Innocenzo III, dove finalmente ecco apparire la cattedrale. Gli edifici in generale sono un po’ cadenti, bisognosi di restauro. Ciò che lascia a bocca aperta è la cripta, istoriata con episodi tratti dalla Bibbia e dalla vita dei Santi affrescati alla maniera bizantina e pregiottesca. In teoria la visita era guidata, secondo un opuscolo che mi avevano mandato, ma in realtà ci spediscono giù da soli e ci avvertono: “Dopo un quarto d’ora la luce si spegne, ma non vi allarmate, poi si riaccende”. Il pavimento a mosaico ricorda quello di Pomposa. Delle colonne sostengono piccole volte affrescate. C’è qualche santo che viene decapitato, a un altro sembra che taglino i capelli con delle forbici. E’ andato dal barbiere? Al ritorno ci fermiamo per fare una foto al palazzo Comunale sotto la pioggia battente (una tettoia mi offre un provvisorio riparo). Siamo nel parcheggio. Con il furgone non si vede se arrivano auto dalla strada, quindi resto giù per avvisare Leo se ci sono macchine. “Sì, vieni pure indietro”. Si sente uno scraacck!!!! Certo, magari nel fare retromarcia era il caso di evitare di urtare la macchina parcheggiata di fianco. Be’, per fortuna è saltata via solo un po’ di vernice –dalla nostra auto- e la colpa me la prendo io perché non ho tempestivamente urlato di sterzare a sinistra. Torniamo alla “baita” per cambio scarpe e calzettoni. La pioggia è momentaneamente cessata, il navigatore è impostato per Subiaco. Quarantacinque minuti più tardi scorgiamo da lontano la Rocca dei Borgia, passiamo accanto ai ruderi della villa di Nerone e vaghiamo un po’ nei pressi del Sacro Speco, dato che il navigatore non è così preciso nel segnalare i “punti di interesse” e Leo si intestardisce a controllare se è vero che si va dove ci indica la vocetta un po’ rauca, anche se c’è un cartello che dice “Monastero di S. Benedetto” sulla sinistra, lui su per il tornante finché non sentiamo l’annuncio: “meta in avvicinamento” (ma siamo nel bel mezzo di una galleria). Facciamo dietrofront. Tanto non possiamo entrare fino alle 15.00. Nel frattempo dall’alto di un belvedere ho l’occasione di immortalare il complesso monastico di Santa Scolastica, situato più in basso a mezza costa sulla montagna, parzialmente avvolto da una nuvola. Approfittando di una schiarita scatto altre foto al Sacro Speco, che si erge a strapiombo sulla vallata nel cui fondo scorre il fiume Aniene. Alle 14.58 si spalancano le porte e senza pagare nemmeno un euro scendiamo fino alla grotta dove una manciata di secoli fa si è raccolto in preghiera e in penitenza S. Benedetto. Il percorso passa per un corridoio con l’immagine del diavolo -che rappresenta le tentazioni-, e per la “scala santa”, che segue il tracciato che S. Benedetto percorreva per raggiungere la grotta dove è vissuto per tre anni in solitudine. Infine ammiriamo gli affreschi duecenteschi nella chiesa inferiore e quindi risaliamo gli scalini che ci portano alla chiesa superiore, a navata unica, completamente ricoperta da affreschi di scuola senese del Trecento. Non so perché lungo la scala richiama la mia attenzione la scena del trionfo della morte (ci sono comunque altri “orrori” come lo strappo della lingua con una tenaglia o la classica decapitazione). Entro le tre e mezza siamo già a Santa Scolastica, complesso monastico dedicato alla sorella gemella di Benedetto, che però non è mai stata in questo posto e inoltre, contrariamente a quanto si possa pensare, non è una comunità monastica femminile, ma maschile come quella di S. Benedetto. Tra un quarto d’ora comincia la visita guidata e mentre aspettiamo diamo un’occhiata al bookshop, dove il commesso –un frate- vende intrugli a base di erbe, rimedi per guarire qualunque male. Avrei bisogno anch’io di questi toccasana, ma ci si può fidare? Un cane randagio che zoppica sollevando ritmicamente una delle zampe posteriori fa capolino dal portale d’ingresso, ma non osa oltrepassare la soglia. Alle tre e tre quarti si è già formato un discreto gruppo di visitatori e ci viene illustrata la storia del monastero, della chiesa neoclassica, del campanile romanico -che è stato costruito solo dieci anni prima di quello di Pomposa- e restiamo affascinati dal chiostro cosmatesco e da quello gotico. In una bacheca appesa a una parete è esposta una copia dei preziosi incunaboli conservati nella biblioteca del monastero (è stato qui che due chierici tedeschi, nel 1464, hanno impiantato la prima tipografia italiana). E’ quasi il crepuscolo quando facciamo rotta per Fumone, dove ci sarebbe un castello aperto fino alle sei da visitare subito prima dell’ora di cena. Quando cala la notte una nebbia densa come lana ci consiglia di rallentare. La strada ne è come imbottita. D’un tratto siamo nel nulla, su una mulattiera di montagna senza strisce bianche, forse sull’orlo di un burrone, con auto che sbucano all’improvviso dall’oscurità. Un segnale stradale ci passa di lato, fantasmatico, illeggibile. C’è il navigatore a indicarci l’incrocio, ma non si vede dov’è la strada!!!! Solo la perizia del mio consorte e un po’ di culo ci portano fuori dal mostro lattiginoso. Presto, torniamo al Cisogna!!!! Quest’anno da noi in Emilia non c’è stata poi nemmeno tanta nebbia e siamo venuti a rischiare la pellaccia qui!!!! 27/12 Almeno oggi c’è bel tempo… La mattina si trascina alla meno peggio nello spostamento in macchina verso Sabaudia. Per strada ci fermiamo all’Abbazia cistercense di Fossanova. Dalla chiesa –particolarmente spoglia e severa- accediamo al chiostro, che a sua volta porta al refettorio e alla sala capitolare. E’ in questo posto che Tommaso d’Aquino, malato, ha reso l’anima a Dio mentre si dirigeva al Concilio di Lione (noi speriamo dopo lo scampato pericolo di ieri sera e le altre scalogne per quanto riguarda la salute, di non fare la stessa fine durante questo viaggio). Leo, a cui devo aver contagiato il virus, non si sente affatto meglio, ma ce la facciamo ad approdare all’agriturismo “Il fienile” in via Sacramento. Appena messo piede nell’appartamento ci rendiamo conto dell’insufficienza dell’impianto di riscaldamento: c’è solo il termoconvettore in camera da letto e deve servire per scaldare la stanza da letto, il bagno e la cucina. Corriamo ai ripari accendendo subito il fornello e posizionando alcune pentole piene d’acqua a bollire, ma presto i vetri si appannano e si stingono le scritte dei cartelli di avvertimento all’ingresso, tipo: vietato fumare. Io lascio Leo disteso e distrutto, accudito da Fede che preferisce sempre il riposo alla fatica e me ne vado a fare una lunga sbiciclata prima per la via Lungomare, che costeggia le alte dune litoranee, oltre le quali si intravvede il mare, in seguito sulle sponde assolate dei laghi costieri, scoprendo, con l’ausilio di una mappa del parco del Circeo, sentieri semideserti e pezzetti di piste ciclabili, bufali, cactus e palme che in alcuni punti fanno somigliare il paesaggio a un luogo tropicale. La strada Litoranea è piuttosto trafficata, ma riesco a scovare una via sterrata che porta all’area dell’orto botanico di Borgo Fogliano, l’unico posto sulle rive del lago di Fogliano abbastanza frequentato (ci sono famiglie a passeggio con i bambini che rincorrono le anatre). Il clima è primaverile, anche se io devo comunque stare coperta per via della tosse. Ormai è il tramonto. Consulto di nuovo la cartina. C’è proprio un tratto di pista ciclabile che arriva praticamente fino al Diversivo Nocchia, che è una strada rettilinea parallela alla Litoranea, per fortuna scarsamente trafficata, che mi porterà fino alla via Sacramento costeggiando il lago di Caprolace. Non so perché ma negli ultimi 200 metri sparisce la ciclabile e il sentiero si trasforma in una specie di letamaio, un letto di fango perfetto per un maiale che abbia voglia di rotolarcisi. La bici solleva schizzi d’acqua e fango, ma una volta oltrepassato anche questo ostacolo, al calar delle tenebre sono al “Fienile”. Fede e Leo hanno scorazzato un po’ in bici sulle dune e adesso i “ragazzi” sono pronti per vedersi l’ennesimo episodio di Star Trek Enterprise. 28/12 Stamattina partecipiamo all’escursione guidata gratuita organizzata dall’Istituto Pangea con appuntamento alle nove al centro visitatori del Parco Nazionale del Circeo. Stefano, il nostro accompagnatore, telefona all’autista del pulmino che ci deve venire a prendere per portarci al Peretto, località da cui partiremo a piedi per la discesa in mezzo alla foresta verso Torre Paola. Durante il tragitto Stefano ci erudisce sul Parco del Circeo, sulla “selva di Terracina”, sulla malaria e sulla bonifica delle paludi pontine. Siamo una decina di persone, tra cui una specie di gnomo, con gli scarponi, la pancia sporgente, la barba e il berretto alto sulla testa. Io, del resto, mi faccio notare per il mio copricapo da musulmana (il solito passamontagna) e per la tosse persistente. Anche imbaccuccata così mi sto congelando, perché la passeggiata si svolge nel “quarto freddo” del promontorio del Circeo, cioè lungo il versante settentrionale dove non filtra nemmeno un raggio di sole fra le foglie di lecci, querce e altre essenze. In più il cammino è quasi interamente in discesa, non ci viene certo il fiatone e le frequenti soste per riconoscere un albero o una pianta, le tracce di un cinghiale o di un’antica carbonaia non aiutano a scaldarsi. Stefano ci chiama a raccolta per mostrarci la grotta della Sibilla, che in realtà è una cisterna. Lo gnomo raccoglie un ramo biforcuto e se lo carica in spalla, dando colpetti a destra e a manca mentre si volta con il pezzo di legno rinsecchito sulla groppa. Stefano trova alcuni pezzetti della spessa corteccia spugnosa di una sughera e li offre in sacchettini biodegradabili ai bambini. Infatti oltre a Fede ci sono altri due marmocchi, più piccoli. Fede si porta dietro la corteccia e qualche foglia di edera, ma in capo a un quarto d’ora le bustine si sfasciano e gli cade tutto per terra. La guida recupera altri “tesori” come le bacche rosse e tonde di un pungitopo (ci spiega, tra l’altro, che le laminette verdi con apice pungente che vengono comunemente scambiate per foglie, sono in realtà rametti appiattiti) o i frutti maturi di un corbezzolo. Eccoci in una radura “arata” a colpi di grugno da un cinghiale per portare allo scoperto larve che considera vere e proprie leccornie. Poco più in là Stefano raccoglie due rifiuti (due bottiglie di plastica abbandonate). Con grande capacità didattica ci fa notare i buchi praticati da un picchio e ci fa capire -con l’ausilio di una spugna, un tubo di plastica e un nastrino da regalo-, come grazie al suo becco lungo e affilato che si appoggia a un osso spugnoso quest’uccello riesca a perforare i tronchi in cerca di cibo, mentre con la lingua appiccicosa penetra negli anfratti della corteccia per snidare gli insetti. Tutto ciò senza subire un trauma cranico conseguente ai forti colpi assestati contro gli alberi. Ci parla anche della manna, una sostanza bianca che trasuda dai rami dell’orniello che viene usata per tagliare la coca… Fruga fra i rami di ginepro per staccare una “coccola”, che schiaccia fra le dita per mettere a nudo i semi e farci annusare, toccare. Una volta superato un vecchio oliveto abbandonato, verso l’una meno un quarto, la torre Paola, costruita per avvistare e per difendersi dagli attacchi via mare, ci dà il benvenuto… Benché il pulmino non sia ancora arrivato. Ci viene raccontata la storia del canale che collega il lago di Sabaudia al mare. Devo ammettere che adesso sono piuttosto ansiosa di ritornare al Fienile, ormai vado avanti solo per inerzia, anche se ho appena sgranocchiato una mela e qualche pezzetto di cioccolato, non ho neanche voglia di fare delle foto. Dopo pranzo stesso programma di ieri: Fede e Leo si riposano e poi fanno una capatina in spiaggia, io invece proseguo la mia escursione in bici verso il lago di Sabaudia, mi perdo in un centro residenziale immerso in una pineta e rientro per la Litoranea quando fa buio. 29/12 E’ la volta della villa di Domiziano. L’appuntamento è sempre al centro visite del Parco, alle 9.30. Da lì ci raggruppiamo in poche auto per andare fino alla zona archeologica. Noi tre saliamo con Stefano, la guida di ieri, che ci racconta di avere origini venete. Tra gli assegnatari dei fondi ricavati nell’Agro Pontino, infatti, numerosi furono i contadini immigrati dal Veneto. Una volta smontata dall’auto di Stefano seguo il gruppo, sempre incappucciata e inguantata: fatico ad emergere dall’intorpidimento indotto dall’aereosol, mi sento “disconnessa” e mi riesce difficile seguire le spiegazioni. Fede, invece, è attento e interessato. La villa di Domiziano sorgeva sulla punta di uno dei bracci del lago di Sabaudia e oggi i ruderi si trovano nella riserva integrale “Rovine di Circe”. Prima di tutto vediamo gli ambienti legati all’attività termale –Fede indovina quali resti corrispondevano al calidarium, al tepidarium e al frigidarium,- la palestra, le pubbliche latrine. Quindi un edificio di forma semicircolare, una esedra, che si affaccia sul lago, con nicchie che probabilmente contenevano delle statue. Per finire scendiamo nella cisterna dell’Eco, composta di due vani paralleli intercomunicanti, inframezzata da sedici archi, un tempo rivestita di coccio pesto per impermeabilizzarla. Ci soffermiamo anche davanti a un tratto dell’acquedotto che alimentava l’intero sistema di cisterne. Nel pomeriggio ci dirigiamo verso Terracina, dove scopro che sul monte S. Angelo c’è un sentiero panoramico di un chilometro circa, che conduce al Tempio di Giove Anxur, costruito nel I sec. A.C. In posizione scenografica e dominante. Un ciclista si inerpica con la mountain bike per il sentiero impervio, ma poi, proprio dopo avermi superato, desiste. Le rovine sono imponenti. Passeggiamo su e giù per una serie scale e di terrazze, corridoi e criptoportici. Gli ambienti comunicano tra loro per mezzo di passaggi arcuati e si aprono verso l’esterno in squarci improvvisi. Dall’alto del monte S. Angelo la vista spazia verso est sulla Piana di Fondi, i monti Aurunci e il mare. La mia idea sarebbe quella di tornare al furgone e proseguire per Sperlonga, dove si trova la famosa villa di Tiberio, ma Leo e Fede non accettano la proposta e così facciamo ritorno a Sabaudia per l’otium prima di cena. Questa sera sono decisi a cenare in pizzeria, ma io insisto per una visita a S. Felice Circeo. Parcheggiamo subito fuori dalla zona pedonale. Passando sotto un arco ci immettiamo direttamente sulla piazza principale del paese, dominata dalla Torre dei Templari e dal palazzo municipale. Fede suggerisce di andare a mangiare la pizza in un ristorantino in centro. Scendiamo una rampa di scale e diamo una sbirciatina: in giro c’è solo un tizio che ronfa su una panca. Andiamocene, sembra un posto squallido!!! Meglio andare alla Caravella, il ristorante sul mare a pochi chilometri da casa che ci è stato consigliato da Stefano. 30/12/07 Oggi ci aspetta la scalata al Picco di Circe. L’enorme massiccio calcareo del Circeo si protende nel Tirreno con la forma di volto umano: dobbiamo spingerci fino al “naso” della Maga. La nostra guida, stavolta, si chiama Elisabeth. Fra i partecipanti c’è anche una ragazza di Siviglia, insegnante di spagnolo per stranieri, con cui faccio due chiacchiere nella lingua di Cervantes. Dopo aver lasciato l’auto alle Crocette seguiamo le indicazioni in vernice giallo-rossa: il sentiero è aspro, sale e scende a zigzag lungo il crinale della montagna. Ci sbottoniamo e togliamo i maglioni perché la salita è dura. Sfioriamo un precipizio e ci attacchiamo ai rami degli alberi per aiutarci a mantenere l’equilibrio, ma ne vale la pena: il paesaggio è magnifico nonostante ci sia un po’ di foschia. Costeggiando imponenti pareti rocciose giungiamo infine alla vetta. Ce la siamo cavata benone per essere gente di pianura! Ora, però, bisogna ripercorrere tutto il cammino a ritroso. Qualcuno propone di scendere per la “direttissima”, più ripida ma anche più breve, comunque alla fine tutti si infilano dietro la guida per tornare alle Crocette. Alle tre del pomeriggio, sudata come sono, inforco la bicicletta e via, per nuove avventure, nella selva di Circe. Leo e Fede s’incamminano verso il Fienile per il meritato otium. All’imbrunire il mio fanalino intercetta la via Sacramento. Rientro alla base. Rinvigoriti da una doccia e qualche ora di riposo ci spostiamo per cena a Sermoneta, i cui stretti vicoli -pavimentati con pietre che luccicano alla luce dei lampioni- ci conducono al castello. Ed è alla taverna Ghost che i proprietari ci accolgono “a menù aperto”, con una tipica ricotta al miele e uno stufato di fagioli alle erbe aromatiche… Per pelarci per bene al momento di presentarci il conto. Fede gradirebbe anche un dessert, ma la sua proposta è stroncata da un’occhiataccia di papà: “Siamo a dieta ferrea!” dice con tono di ammonizione. 31/12 E’ l’ultima giornata prima della partenza. Intensa, non c’è che dire. Percorrendo la strada che sovrasta la spiaggia di Serapo raggiungiamo il Santuario della Santissima Trinità. Di lì, pagando un euro, scendiamo alla Grotta del Turco, immensa cavità di erosione invasa dal mare. Degli altoparlanti diffondono canzoni natalizie. Poi dalla destra della chiesa della Trinità, attraverso un corridoio, scendiamo “in verticale” i 270 gradini che conducono alla Cappella del Crocifisso, che sorge sopra un masso incuneato tra due pareti di roccia divaricate: ci troviamo nelle viscere della Montagna Spaccata, denominata così per una fenditura che si sarebbe prodotta nel terremoto avvenuto alla morte di Gesù. Verso gli ultimi gradini della scalinata scorgiamo nella roccia come “l’impronta di una mano“. Secondo la leggenda, si è formata nel momento in cui un turco miscredente si è appoggiato alla roccia che miracolosamente è diventata morbida sotto la sua pressione e la mano è affondata come nella creta. L’escursione al Monte Orlando non finisce qui. Infatti in cima al monte si trovano il mausoleo di Munazio Planco -generale di Cesare- e il faro. Lungo il tragitto riconosciamo i resti di strutture belliche di epoca borbonica –cinta bastionata, polveriere, batterie- e una cisterna romana. Il sentiero ornitologico ci porta sul bordo delle falesie a picco sul mare e affacciandoci da un balcone naturale ci appare su uno sperone roccioso Gaeta, con i due castelli, Angioino e Aragonese in primo piano. Mi sporgo a pancia in giù sull’orlo dell’abisso per provare un brivido e una lieve vertigine guardando verso il basso. Poi mi ritraggo. Non sono l’unica ad essere attratta da questo panorama. C’è un signore baffuto che si è seduto a leggere un libro di fronte a tanto splendore. La seconda tappa del nostro tour del Golfo di Gaeta è l’area archeologica di Minturno, antico porto fluviale e colonia romana. Curiosiamo qua e là nella zona degli scavi attraversando l’antico tracciato della via Appia con i basoli segnati dalle ruote dei carri. Poi, però, superato il teatro e il foro, quando siamo nell’area delle terme, Fede rischia di ruzzolare nella natatio, un grande vano rettangolare scoperto e Leo lo prende in giro per un pezzo: “Ma come, non ti sei sfracellato ieri al Picco e vuoi finire all’ospedale inciampando qui?” Prima che faccia sera ci resta ancora da esplorare ciò che rimane della favolosa reggia dell’imperatore Tiberio a Sperlonga. La villa inglobava anche un’ampia grotta, nella quale erano collocate sculture che celebravano le gesta di Ulisse, che Fede ed io abbiamo già visto nel documentario di Superquark speciale dedicato all’Odissea e che adesso apprezziamo dal vivo nel museo archeologico (ho letto che queste opere sono state recuperate grazie a un lavoro certosino di ricostruzione da frammenti). Tiberio, utilizzò la residenza fino al 26 d.C. Quando una frana che mise a repentaglio la sua vita –fu salvato appena in tempo dal prefetto Seiano- lo spinse a scegliere l’isola di Capri (del resto non aveva che l’imbarazzo della scelta). Immaginiamo l’imperatore e i suoi ospiti di riguardo, stesi a banchettare nel triclinio dell’antro. Facciamo una sosta davanti alla vasca rettangolare d’acqua salmastra che già ai tempi dell’imperatore serviva per l’allevamento ittico e che adesso pullula di squali, secondo Leo e Fede. Il tramonto tinge d’oro la spiaggia dell’Angolo e in lontananza si scorge la Torre Truglia, che sorge su di uno scoglio sull’estrema punta del promontorio di Sperlonga. Al nostro rientro al Fienile siamo salutati da Ralph, l’alano grigio con macchie nere, che ci accoglie scodinzolante ogni volta che arriviamo all’agriturismo. C’è anche una gatta, Obelix, con la quale Ralph sembra andare d’accordo. Chissà, magari è stato uno dei due ad artigliare il sacchetto dell’immondizia che avevamo lasciato davanti alla soglia di casa e a spargerne il contenuto in giardino. 1/01 Stanotte gli scoppi dei petardi ci hanno tenuti svegli per un’ora. Ci alziamo di buonora per non incontrare traffico. BUON ANNO!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!