Papua Nuova Guinea

Il Paese degli ombrelli arcobaleno... là dove pochi arrivano, un viaggio nel tempo e nel luogo della terra più vicina al passato
Scritto da: valmio
papua nuova guinea
Partenza il: 06/09/2014
Ritorno il: 28/09/2014
Viaggiatori: 15
Spesa: 4000 €
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… è già arrivata l’ora di partire. Le ultime settimane sono volate. Inizio a spuntare: passaporto, €, dollari (più convenienti per il cambio rispetto agli €), spazzolino, medicine, giubbotto salvagente, zanzariera, ecc. ecc., non mi devo dimenticare niente. Credo che in PNG sia un po’ difficile recuperare qualcosa, preferisco non scordarmi nulla e partire con tutto. Informazioni se ne trovano poche (non è in Africa centrale, come molti sostengono confondendola con la Guinea Bissau) e la guida è solo in inglese. Un amico e compagno di viaggio, gentilissimo l’ha tradotta per tutti e gliene sono grata.

Nuova Guinea, la seconda isola più grande al mondo dopo la Groenlandia, si trova in Oceania, PNG occupa la metà orientale dell’isola melanesiana della Nuova Guinea, e Irian Jaya quella occidentale. Sono ancora oggi politicamente divise. Negli ultimi quasi cinquant’anni, la situazione politica divergente dei due Paesi ha comportato notevoli differenze di sviluppo. PNG, influenzata ancora oggi dall’Australia, ha sviluppato collegamenti stradali, economia del turismo ed infrastrutture anche moderne, Irian Jaya, la metà indonesiana, per ragioni governative e di sicurezza ha mantenuto chiuso gran parte del territorio. E’ una terra dimenticata, ospitava non solo gli ultimi cannibali, ma era soprattutto la patria indiscussa degli ultimi uomini della Terra. E’ un caleidoscopio etnico, un mosaico linguistico e culturale. Tanta natura incontaminata, paesaggi esotici con flora e fauna assolutamente uniche, territorio ostile e privo di collegamenti di qualsiasi genere, l’ultima ad aver conosciuto il progresso. Non esistono luoghi del nostro pianeta dove la civilizzazione sia arrivata così recentemente. Il territorio centrale dell’isola, le Highlands, è stato esplorato per la prima volta dal dim dim (straniero bianco) nel 1930. Fino ad allora due milioni di indigeni vivevano in stato tribale, qualche tribù era dedita al cannibalismo, e sembra che una non conoscesse l’uso della ruota. Pidgin lingua ufficiale, una particolare lingua franca costituita fondamentalmente da una base di lingua inglese con l’aggiunta di tedesco, portoghese e dagli idiomi locali; a scuola viene insegnato l’inglese, ma è il paese al mondo con il maggior numero di idiomi differenti, più di 800, quasi un quinto di tutti quelli parlati sul pianeta. Unicità della propria cultura; ogni tribù nella propria valle aveva formato nel tempo sue tradizioni e fedi animiste, rimaste tali. Queste tribù si sono sempre combattute fra loro con tristi conseguenze anche ora. A causa di queste diversità, di cui sono orgogliosi, sono emersi molti stili diversi di espressione culturale, ogni gruppo ha creato la propria forma espressiva: d’architettura, arte, danze, armi, costumi, canti e musica. Gli indumenti sono stati introdotti solo in tempi recenti. Oggi esistono i clan, famiglie allargate, all’interno dei quali ci si garantisce reciprocamente la sopravvivenza. La maggior parte degli abitanti afferma di praticare il cristianesimo, le cui forme più diffuse sono il cattolicesimo, la chiesa evangelica luterana e la chiesa riformata.

Il clima; in gran parte del paese le piogge sono concentrate tra dicembre e marzo, la stagione secca dura da maggio ad ottobre, durante i due mesi di transizione (aprile e novembre) il tempo tende ad essere afoso. Più del 75% della popolazione non partecipa all’economia del Paese, la moneta è la kina, è divisa in 100 toea (toia). Terra ricca di giacimenti d’oro, argento, rame, petrolio, piantagioni di caffè, cocco e cacao. In pochi decenni, quest’isola preistorica è stata catapultata nel XXI secolo. Viaggio assolutamente antropologico, oltre che naturalistico. Dal 1975 è una Repubblica.

Partiti da diverse città d’Italia ed aeroporti, appuntamento e ritrovo a Dubai. Da qui volo per Manila, cambio Port Moresby (capitale PNG), 3 voli, 20 ore circa , più, …. aggiungiamo diverse ore di attesa nei vari aeroporti, subito volo interno di altre due ore per Tari con sosta a Mt. Hagen. Siamo in un altro mondo. All’aeroporto veniamo recuperati dalla nostra guida: robusto con folta barba e capelli neri, naso schiacciato, cappello in testa, ci accompagna in albergo. Depositiamo il bagaglio e chiediamo di andare a fare un giro al mercato. Nonostante il fuso orario e le tante ore di volo, siamo svegli e vogliamo sgranchirci le gambe e tuffarci a scoprire questa parte della nostra terra. Ci accompagnano in pulmino, non ci fanno scendere a nessun costo, ci dicono per il fango ed invece, poi scopriamo per la nostra sicurezza. Il mercato è molto colorato: frutta, verdura, polli, persone a piedi nudi in mezzo al fango indossano vestiti disabbinati, e soprattutto spiccano gli ombrelli arcobaleno in questo momento aperti per il sole. Siamo a 1700mt e come ho visto in queste prime ore in PNG il tempo cambia più volte e facilmente durante la giornata. Tari, è una cittadina a sud-ovest delle Highlands, coperta da foresta pluviale, zona di miniere gestite da stranieri, è attraversata dalla valle del Tari fra montagne di 2000mt. La regione è abitata dal clan degli Huli; il gruppo etnico più numeroso della zona sud degli altopiani. Grazie al loro isolamento, gli Huli sono la tribù che ha mantenuto più intatte tradizioni e costumi di vita. E’ ancora vivo il culto degli antenati, i cui teschi sono conservati da una generazione all’altra dipingendoli con colori vivaci. I clan sono circa 450. Nel 1987 in questa regione hanno scoperto l’oro. Dopo aver pranzato, quello che non manca mai in questo viaggio è il cibo, andiamo a Lumuria village per assistere alla Spirit dance. Tutte queste performances che abbiamo visto in questo viaggio vengono programmate e fatte per i turisti a pagamento; perdono un po’ di spontaneità e naturalezza, ma offrono la possibilità di vedere i loro usi e costumi che altrimenti non sarebbe possibile conoscere. Inizia a piovere. Per assistere alla prima dimostrazione andiamo sotto la tettoia di una scuola in costruzione, meno caratteristica ma tutti asciutti. La danza viene seguita a seguito della morte di una persona nel villaggio, per acquietare gli spiriti degli antenati: del fiume, della montagna in modo che possano lasciare in pace i vivi. Tre uomini suonano e danzano al ritmo dei loro tamburi stretti e lunghi. Hanno dei grandi copricapi abbelliti da piume bianche più o meno lunghe, volto dipinto di bianco linee rosse orizzontali, mentre il contorno degli occhi è di color nero, sorrisi neri e sdentati. Tutto il corpo è dipinto di bianco a pois rossi, gonna di paglia bianca e nera, un cordino intrecciato e fatto passare più di qualche giro sotto il ginocchio, a piedi nudi, coperti con un mantello di pelliccia con perline. Si muovono a piccoli passi in cerchio attorno ad un signore anziano in “perizoma” di bilum (borsa intrecciata di corda) ed un altro a mono spalla, ampia cintura di corteccia lavorata con un drappo di cordicelle sul davanti e sul posteriore foglie di tangent, scalzo, collane di semi e rami con foglie verdi e fili d’erba secchi in testa, una piuma per mano bianca. Bimbi e signore curiose si affacciano all’esterno della scuola. Il tutto dura pochi minuti.

Torniamo in albergo sotto un diluvio e dopo una ottima cena andiamo a letto. Prima tappa di oggi il Widow Village (villaggio delle vedove). Fa freschetto, però c’è il sole. In questo villaggio delle donne ci stanno aspettando e rappresentano le vedove. Dopo la morte del marito, la moglie si veste-copre d’argilla bianca o cenere ed indossa molti fili di “lacrime di Giobbe”, collane di semi. Ogni settimana si toglie una parte dei semi, il suo periodo di lutto termina con l’ultimo di loro. Indossano gonne di raffia, alcuni bilum usati come corpetti e da sotto suona qualche cellulare, altri messi come copricapo. La nostra guida ci spiega che in questa zona i defunti venivano posti con mani e piedi legati in posizione fetale, in piccole urne a forma di casetta, poi poste su palafitte ai margini del cortile della famiglia. Venivano lasciati lì fino a quando le carni si decomponevano e rimanevano solo le ossa. In un secondo momento, dopo, venivano portate nella grotta del clan a cui appartenevano, assieme a tutte le altre. Per otto settimane le donne del clan non dovevano andare a lavorare nei campi, ma dovevano solo guardare il fuoco e cucinare. Passato questo periodo si uccideva un maiale e si mangiava tutti assieme. Con l’arrivo dei missionari queste usanze di tenere i morti nel cortile di casa sono state scoraggiate per l’odore e l’igiene. Giro nei dintorni senza perdere di vista i miei amici e compagni di viaggio ed incontro signore che tornano dai campi cariche di tuberi ed una mi invita a casa sua. Entro nel suo recinto. Tutto ben pulito ed ordinato, all’interno una Yam Hause (impalcatura di legno che funge da raccoglitore per la conservazione delle patate dolci) vicino alla casa, è per tutto il gruppo di capanne. Bimbi si affacciano all’uscio incuriositi. Grandi occhi neri mi guardano con enormi sorrisi. Qualcuno mi chiama, debbo salutare frettolosamente la signora e raggiungere gli altri. Usciamo da questo gruppo di capanne, qui non vivono in villaggi, ma in fattorie sparpagliate e disperse lungo la valle intensamente coltivata in modo impeccabile divise da mura-trincee perfettamente levigate alte fino a tre mt che delimitano la proprietà, il clan famigliare ed impediscono di vedere dentro. Hanno porte di legno dipinte a colori vivaci, che ne limitano l’accesso. E’ una caratteristica di questa zona. Facciamo circa tre km per andare a Lakwanda Lodge and Cultural Centre per assistere al sing sing (feste tradizionali che comprendono balli e canti), degli Huli Wigmen. Scoperti negli anni trenta, sono stati civilizzati dai missionari con il divieto di praticare i tradizionali riti di iniziazione ed incoraggiando uomini e donne a vivere assieme; pratica che gli Huli trovavano ripugnante. Ai lati della strada in terra battuta ancora aiuole, orti con coltivazioni di kau kau (tipo di patate dolci) sulle colline in discesa. Arriviamo allo spiazzo dove si esibiranno attraverso un sentiero pieno di fango e con folta vegetazione ai lati. Qui una decina di uomini e qualche ragazzo si stanno truccando. Si dipingono accuratamente il viso con colori naturali. I colori vengono diluiti su foglie di banano o arrugginite scatolette di tonno, poi vengono trasferiti, da mani esperte sulla pelle tramite un bastoncino inumidito, lo usano come fosse un pennello. Per la zona fronte naso zigomi e parte superiore del viso usano il colore giallo. Dalla fronte fanno partire una linea lunga fino alla punta del naso bianca e larga circa un cm, poi aggiungono dei puntini rossi e sulla punta del naso fanno passare qualche rametto o filo d’erba; invece la zona appena sopra alla bocca fino al collo è di color rosso. Per ultimo si cospargono il corpo con olio di cocco. Lunghe foglie verdi di tangent invece vengono inserite nella cintura, formando così una gonna per coprire la parti intime. In testa portano un particolare copricapo di vago stile napoleonico, ottenuto dal taglio dei stessi capelli fatto in giovane età, adornato con piume di uccelli, foglie, margherite gialle e pezzi di bambù. La parte più bella del sing sing, non sono le danze; eseguite al ritmo di alcuni tamburi, durano pochi secondi e simboleggiano le mosse fatte dall’uccello del paradiso nel periodo degli amori, per attirare le femmine, ma la preparazione. Si truccano con meticolosità e precisione usando rametti flessibili come pennelli, si specchiano su varie forme di pezzi di vetro e chi è più fortunato ha uno specchietto d’auto. Dopo la performance dei maschietti entrano tre ragazze e la loro esibizione invece rappresenta la fecondità, il passaggio dalla pubertà all’età adulta. Fino ad ora il sole ci ha fatto compagnia, ma stanno arrivando delle nuvole scure cariche solo di acqua. In fretta andiamo non molto lontano per vedere le ossa dei defunti in una delle grotte, una per ogni tribù. A gruppetti di tre o quattro, uno per uno saliamo aiutati da un Huli Wigman in costume, si vedono alcuni teschi dipinti di giallo. Foto di rito, scendiamo e stiamo attenti a non scivolare ed ecco che immancabilmente inizia a piovere. Andiamo, ci avviciniamo ad un corso d’acqua sotto la pioggia assistiamo alla dimostrazione dei “bachelor boys (scapoli). La nostra guida ci spiega il passaggio dei ragazzi all’età adulta. I maschi si staccano dalla famiglia per mesi e vivono fra di loro in isolamento rispetto al resto della comunità. Ci sono delle regole: non possono essere già sposati, mangiare cibo preparato dalle donne e frequentarle, se per caso ne dovessero incontrare una lungo il percorso, debbono deviare lo sguardo altrimenti la parrucca non verrà bene. In questo periodo hanno una cura maniacale dei capelli: li lasciano crescere, li bagnano in continuazione e con degli stecchini curvi, tipo uncinetti li muovono per farli arricciare. Di notte per dormire appoggiano la testa sopra un tronco per non rovinare l’acconciatura. Questa prima fase dura 18 mesi, ce ne vogliono altri 18 per tagliarsi i capelli, preparare la parrucca su un’intelaiatura in bambù (qualcuno ne possiede anche più di una). Durante questo periodo vengono istruiti da maestri Wigman anche per costruire la propria casa e combattere i vari nemici. Trascorso questo secondo periodo possono decidere se continuare con la vita di bachelor e diventare quindi “maestri” o se tornare alla vita comune. Continua a piovere. Poco distante un cortile recintato, in una capanna, pietre che rappresentavano vari dei e venivano usate durante i sacrifici. La pioggia rende l’ambiente più suggestivo nell’incontro con l’indovino. Uno strano indovino: parrucca rasta in testa, varie collane al collo e girato sulle spalle il becco di un casuario, rametto di legno infilato sulla punta del naso a torso nudo, un bilum sulle spalle ed un altro come gonnellino. In una capanna-teca all’aperto, diverse “finestre” simili a piccoli loculi, sono posti e conservati i teschi dei suoi antenati. Sono dipinti di giallo a linee curve rosse. Ne estrae qualcuno, uno per volta e fa un piccolo rito e ci predice il futuro… Poi richiude tutti i teschi nella capanna abbassando le “tapparelle” di legno e bambù. Per gli Huli la testa è importante, è la sede dell’anima e come tale deve essere messa particolarmente in risalto al clan e sotto clan. Un Huli può appartenere a diversi sotto clan, a seconda della loro parentela e discendenza. Le loro parentele ed i rapporti famigliari sono molto più stretti ed evoluti di quelli occidentali. Tutte quelle persone che negli ambienti famigliari occidentali vengono chiamati “zio” o “zia”, qui vengono conosciuti come “padre” e “madre”, lo stesso avviene con i cugini che diventano “fratelli”. L’arte dell’indovino viene tramandata di padre in figlio, come quella dello stregone; molto importante in questa zona perché depositari di tutta la cultura medica e religiosa. Saliamo sul nostro pulmino, sulla via del ritorno. Lungo la strada non asfaltata un bimbo rincorre un pneumatico che lui stesso fa girare con due bastoni appoggiati all’interno, altri un po’ più grandicelli tornano dal campo con lunghi machete ed al nostro passaggio, li alzano e si esaltano nel salutarci, le donne stracariche del lavoro della giornata trasportano tutto sulla testa e ci regalano dei grandi sorrisi neri sdentati nei loro volti tatuati. Dopo qualche chilometro incontriamo un gruppo di donne che stanno cantando e chiedo se possiamo fermarci. Altre quattro, due a due, stanno davanti. Hanno delle lunghe foglie rosse in mano. Vanno avanti ed indietro, incrociandosi tra loro, cantano, emettono qualche urlo. Hanno gonna nera e maglia rossa. Chiediamo spiegazione di questa “danza”. Una persona è morta nella capitale ed ora con questo gesto raccolgono dei soldi per portare a casa la salma. All’inizio con molta discrezione seguivamo il corteo, poi ne abbiamo fatto parte. Loro ci hanno coinvolto nella loro esibizione e la curiosità è suscitata in modo diverso, ma in ambo le parti. Ai lati della strada ci sono delle tombe caratteristiche, casette molto colorate in muratura tipiche solo di questa zona. Rientriamo sotto l’immancabile pioggia. Alba nebbiosa. Partiamo prima delle 6,30 per questa giornata di trasferimento da Tari a Mt. Hagen, circa 270 km. Carichiamo il bagaglio più grosso in un fuoristrada, c’è di supporto ed anche per la nostra sicurezza. Nuvole basse. La prima parte del viaggio fino a Mendi circa 142km la strada non è asfaltata, ma è in buone condizioni e lo spettacolo del paesaggio che godo dal finestrino è rilassante. Coltivazioni: tante piccole aiuole di carote e taro (tubero ricco di amido simile alla patata). Gli Huli, sono stati tra i primi popoli al mondo a praticare l’agricoltura, qui è ciclica. Noto che i locali continuano a coltivare questa terra solo con il machete, non ho visto che usino animali o mezzi. Un’altra osservazione che ho fatto in questi primi giorni in PNG, non ho visto circolare bici e moto. Per consumare il pranzo al sacco ci fermiamo lungo il fiume. Ripartiamo per arrivare ai nostri lodge a circa 40’ da Mt Hagen. Mt Hagen capoluogo delle Highlands. Situata in una spettacolare vallata ad oltre 1500mt , è circondata da montagne e vette imponenti, le più alte del Paese. Zona più popolata e ricca dal punto di vista agricolo, qui si tiene il più grande mercato di tutta la regione. Nel 1961 fu organizzato il primo sing sing. Si svolge ad agosto, è il più grande e famoso di tutta la PNG. Fu ideato per permettere un primo e globale incontro pacifico di tutti i gruppi tribali dell’isola, compresi naturalmente quelli che erano in conflitto tra loro, a sfidarsi pacificamente con cerimonie antiche: maschere, canti, danze con la forza di gesti, suoni e costumi tradizionali. Lungo la strada, davanti ad un gruppo di capanne, c’è molta gente riunita e delle ragazze hanno il volto dipinto di bianco. Qui in PNG usano cospargersi di argilla bianca in seguito di lutto, ….qualcuno ci ha lasciato!!! Per arrivare ai nostri bungalow, che si trovano sopra la montagna a 2400mt, in mezzo ad un giardino fiorito, in una bella posizione se non ci sono le nuvole, facciamo una strada sterrata. Solo le 4 x 4 riescono a salire, noi andiamo a piedi. Sistemiamo il bagaglio nelle stanze ed usciamo subito a passeggiare nei dintorni. Prendiamo un sentiero che ci porta in basso al villaggio, il terreno è molto scivoloso, fa freddo e dei grossi nuvoloni neri coprono tutta la cima della montagna. Giriamo tra le capanne del villaggio, tendiamo e stringiamo mani e riceviamo tanti sorrisi. Torniamo sul cucuzzolo, al nostro lodge, perché immancabilmente inizia a piovere. Incontriamo donne e uomini che tornano dal lavoro dei campi con grossi carichi in testa, soprattutto legna. La pioggia è scesa lenta ed incessante per tutta la notte, per questo, ….questa terra è così fertile e scura. Anche stamattina per prendere il bus bisogna scendere a piedi, a causa di tutta l’acqua venuta durante la notte il terreno è più scivoloso del solito ed il nostro pulmino non ce l’ha fatta a salire, le ruote posteriori sono pure scivolate nel fossato, ….meno male che non eravamo sopra. Prima meta di oggi è il Paiakona Village per assistere alla dimostrazione di come vengono lavorate le valve madreperlacee, chiamate kina. Grandi conchiglie di madreperla dalla forma circolare o di mezza luna che evidenziano la spirale tipica della loro struttura. Vengono incastrate anche su dei legni ed indossate dalle spose come collana. Sono tra i monili più caratteristici di questa zona. In basso a questo scudo-collana, sulla corteccia vengono fissati dei bastoncini a simboleggiare il numero dei maiali che l’uomo è disposto ad offrire alla sposa. In un’altra capanna vicino sono conservate delle pietre di spiriti. Ecco che appaiono le sei mogli del capo villaggio. Si allineano e mettono in posa per noi. Arriva anche il boss-marito con una lancia in mano, nell’altra un grosso machete e si posiziona di fianco, in testa alle sue spose. Le mogli hanno tutte il bilum appoggiato alla fronte e lasciato scivolare sulle spalle e dietro alla schiena. Indossano delle bellissime collane, tante e di vari tipi di conchiglie, solo una ha lo scudo-collana appoggiato all’abbondante seno. Bracciali sempre di conchiglie sopra i gomiti, gonnellone di rafia. Il marito ha un cappello di foglie, semi e piume, il volto dipinto di nero compresa la folta ed ispida barba, il contorno degli occhi di color bianco. Occhi molto chiari e sorriso nero sdentato, al collo una collana fatta girare diverse volte su se stessa di semi vari ed un’altra molto lunga quasi a toccare terra, di numerosi legnetti attaccati. Noi, molto curiosi di sapere con quale ordine fossero salite all’altare le signore, le spostiamo, allineandole per anzianità di matrimonio, per poi rimetterle sempre sulla stessa riga. Le mogli, dopo qualche minuto di messa in posa, qualcuna inizia a sbadigliare, rompono la fila e se ne vanno ad allestire un piccolo mercatino. Si fanno i primi acquisti. Per “ammazzare” il tempo vorremmo andare a vedere l’Orchid Garden, ma le nostre informazioni non sono esatte. Lo troviamo tutto completamente abbandonato. Lungo il sentiero facciamo dei bellissimi incontri, la gente affabile saluta. Persone di ogni età emozionate ci vengono incontro urlando, ci chiedono da dove arriviamo e ci abbracciano commosse, alcuni si mettono pure a piangere, la voglia di parlare con qualcuno che viene da fuori è tanta. Riprendiamo il nostro pulmino ed andiamo a pranzo in un bel ristorante. Ottimo il piatto che ho scelto.

Vogliamo andare al mercato, ma non per girarlo in pulmino come il primo giorno, la nostra guida è un po’ restia, ma poi ci accompagna. Ci fa diverse raccomandazioni; stare soprattutto tutti vicini e vuole che portiamo solo le macchine fotografiche. In mezzo al fango sono allestiti i vari banchetti. C’è la parte coperta e quella scoperta. L’angolo che prediligo dei mercati in questo Paese, rimane sempre la zona della frutta e verdura. Maniacalmente ordinata, c’è molto colore. Gente sorridente e curiosa, non ho percepito il pericolo. Sono solo le 16 ed immancabilmente si rientra in albergo. Oggi trasferimento da Mt. Hagen a Goroka. Lungo la strada ci fermiamo a visitare una scuola con un bel giardino ordinato e fiorito. Curiose le separazioni-divisione dei banchi per non copiare degli alunni, mi colpiscono i grossi sassi sul pavimento, segue un mercatino locale. Qui Maurizio acquista uno strano frutto lungo e grosso (red pantanal), dicono che ha moltissime proprietà; da consumare preferibilmente per chi ha problemi di colesterolo ed è pure diuretico. Ce lo facciamo preparare quando arriviamo in albergo o Goroka. Attraversiamo piantagioni di caffè e the, appisolata, vengo svegliata dai raskols. Oggi è venerdì, Friday pay nigh, il giorno di paga, il più “pericoloso” della settimana. I lavoratori prendono la paga e soprattutto i giovani, magistralmente trasformano il denaro in alcool. Giungiamo il Daulo Pass (2.478 mt), bimbi sorridenti ed incuriositi ci propongono ghirlande di fiori. Pioviggina. Ore 16,00, indovina dove siamo?!!! In albergo. Consegniamo il red pantanal al cuoco che poi ci viene a chiamare per farci vedere come va tagliato e preparato. E’ pronto per cena, ma non è di mio gradimento. Questa sera, dopo cena ci vengono consegnati i pass vip per l’ingresso nei due giorni a cui parteciperemmo al Goroka festival: un carnevale etnico, una sfida estetica e creativa.

Finalmente è arrivato il grande giorno. Finalmente prenderà corpo quella che è stata la mia ispirazione per intraprendere questo viaggio; il mitico festival di Goroka. Usciamo prestino alle 7.30 ed in bus andiamo alla ricerca dei vari gruppi che ci stanno preparando per il festival. Il primo gruppo che incontriamo è del Western Highlands. In un cortile si stanno truccando. Molto meticolosamente e separatamente si stanno dipingendo il volto donne e uomini. Linee e simboli rituali sul viso e sul corpo. Senza pudore, donne abbondanti, taglie forti a seno scoperto si stanno vicendevolmente decorando il viso di bianco ed azzurro, altre si specchiano su specchi di fortuna… questi colori risaltano molto sulla loro pelle scura. Grosse collane con conchiglie di ogni tipo e misura attorno al collo delle donne, decine e decine di fili sovrapposti, fino a circondare il mento ed a coprire completamente il petto. Gonne di rafia con sopra foglie fresche legate da cinture di conchiglie e perline. Alcune braccia tatuate, ciuffi d’erba e foglie di banano più piccole fissate sempre da collane di perline sopra i gomiti. Scalze, come l’80% della popolazione della PNG, hanno in mano un lungo e stretto tamburo, suonandolo fanno qualche passo e per ultimo si fanno mettere il copricapo costruito con piume colorate di vari uccelli ed impreziosito da quelle dell’uccello del paradiso. Si fanno fotografare, mentre loro sono concentrate nella loro preparazione ma curiose ti chiedono da dove arrivi. Gli uomini invece per il trucco al viso usano: il bianco (calce), nero (carbone), grigio (steatite), giallo (ocra), rosso (bacche selvatiche). Usciamo da questo cortile, risaliamo in pulmino ed andiamo a “caccia” di altri gruppi. Incontriamo subito un gruppo di Simbai, ….anteprima di quello che ci attenderà tra qualche giorno. Completamente diversi; più semplici nel trucco ed acconciature. Stanno cantando con archi e frecce in mano, il volto ha segni neri, vestiti di rafia e qualche foglia verde con bilum sulle spalle. Fanno mosse di guerra. Proseguiamo sempre con il nostro mezzo per cercare di vederne degli altri, ….ma questi vogliono essere pagati. I partecipanti impiegano buona parte della mattina per completare il maquillage prima di entrare nell’arena. Sono le nove ed andiamo nello spazio verde dove si svolge il festival. Arrivano camion stracarichi di persone in costume e non. Qualche gruppo è già arrivato ed entrato. Entriamo subito anche noi. I nostri pass ci permettono di fare foto senza problemi a tutti fino alle ore 12.00, un’esclusiva di chi ha pagato, tutti gli altri potranno entrare solo dopo, sono dietro al nastro bianco e rosso dei lavori in corso. I vari gruppi arrivano pian piano. Ogni raggruppamento o clan è preceduto da una sorta di portabandiera, che tutto fiero fa vedere scritto su un pezzo di vecchio cartone o legno, il nome della tribù è della regione di provenienza. Uno ad uno entrano tra due ali di persone. I gruppi saranno una sessantina, vanno a posizionarsi nella zona che gli è stata assegnata. Iniziano a cantare e ballare, ognuno ha la sua musica e danza. Un bianco arriva danzando con loro, tutto truccato, ….non è un belvedere! Non so da che parte girarmi e chi andare ad ascoltare o vedere. I clan partecipano con i loro costumi e le loro acconciature tradizionali, ma ciò che più li distingue sono le decorazioni del corpo e del volto che hanno raggiunto vere forme d’arte. Ogni gruppo intona un canto breve e ripetitivo, che si somma a tutti gli altri creando un ossessivo sottofondo musicale. I rulli dei tamburi e le voci umane si sovrappongono, i salti di centinaia di danzatori fanno vibrare il terreno. C’è un gruppo che “sponsorizza” o viene sponsorizzato dalla Coca Cola, sulle gradinate e mura di cinta svettano giganteschi cartelloni pubblicitari che stridono con le realtà circostanti. Vengo rapita da un gruppo che sta suonando un fascio di tubi di plastica di diverse lunghezze con una patta, dalla velocità non riesco a vedere bene, ma forse è la suola di una ciabatta in gomma. Emettono suoni un po’ sordi di diverse tonalità. Tradizionalmente lo strumento originale è formato da tubi in bambù, ….il bambù drum. Anche qui la plastica sta cercando di sostituire un po’ tutto quello che deriva dalla natura. Sembra di essere in discoteca, neanche il più bravo dj mixerebbe così bene. La musica diventa assordante. E’ indescrivibile. L’adrenalina è tanta, l’emozione pure. Rimango affascinata ed ammutolita, estasiata da tanta bellezza, armonia e coreografia. E’ un tripudio di colori ovunque. Simpatici e creativi i maschietti indossatori di varie forme e dimensioni di astucci penici, ….ce n’è per tutti i gusti e misure. Originale anche il trenino di bimbi di varie età a scalare ricoperti di nero, fanno da gambe ad un bel serpentone lungo e nero. Diversi turisti, al massimo un centinaio. Verso le dodici lasciano entrare i locali e tutti coloro che non avevano il pass. E’ un fiume di allegria che mi investe. Finalmente da stamane c’è il sole, ed ora che il sole è alto e ha riempito l’aria di suoni ed odori, siamo al clou della giornata. Usciamo dallo stadio ed appena fuori ci sono varie bancarelle di cibo e souvenir. Torniamo in albergo per l’immancabile pranzo e nel pomeriggio ci rechiamo al Mc. Carty Museum. Armi, ceramiche, foto, strumenti musicali, vestiti e le collane da lutto “Anga” fatte di dita umane, fanno bella mostra in questo museo. Un’occhiata al Raun Raun Teatre, costruito con materiali tradizionali, pezzi di tronco come sedie, ma l’architettura è moderna. Proseguiamo salendo fino all’Università per una panoramica sulla città. Rientriamo in albergo e non appena la nostra guida ed il nostro autista se ne vanno, usciamo dal cancello per fare una passeggiata. Solo oggi riusciamo a “scappare”, finalmente siamo soli e possiamo assaporare un po’ di “libertà”. In centro ci sono: supermercati allineati uno di fianco all’altro, stazione di polizia, banche, la posta, qualche alloggio. Impossibile non notare la grande quantità di: inferriate, lucchetti, cancelli e filo spinato. Sulla strada cartelloni che pubblicizzano il Goroka festival. Rientriamo. Facciamo il conto del fuso orario, otto ore in più rispetto all’Italia, ed ognuno di noi cerca di telefonare a casa. I nostri operatori telefonici non funzionano e su qualche cellulare viene inserita una Digicel, scheda locale, si sente bene, con qualche secondo di ritardo, …..avvisiamo che non ci hanno ancora messo in pentola. Buongiorno. Dopo un’ottima colazione ci rechiamo al nostro secondo giorno di festival. Per la strada incontriamo due gruppi che si stanno truccando. Entriamo allo stadio. Anche oggi miracolosamente c’è il sole. Arrivano i vari clan, …..è un bis di ieri, fortunatamente con meno turisti. Alle 13,00 entra la banda scortata da soldati, a seguire poliziotti, vari ministri e capi della polizia. Salgo sul palco delle autorità, così ho una vista a 360° dall’alto. E’ uno stupendo colpo d’occhio sui vari gruppi che insistentemente continuano a ballare, cantare e suonare, giovani e meno giovani. Aria di festa ed allegria generale. Usciamo. Per noi il Goroka festival è finito. Prendiamo il nostro pulmino, riusciamo a farci lasciare nella strada principale prima di rientrare in albergo, ed immancabilmente non rimaniamo soli. Rientriamo. Qualcuno ci segue ed arriva con noi, …..è un altro bell’acquazzone. Arriviamo giusti in tempo.

Lasciamo alle prime luci del giorno Mt. Hagen, ma prima vogliamo andare al mercato. La nostra guida ovviamente ci accompagna e si raccomanda che giriamo tutti assieme, per stare più tranquillo paga un locale che ci segua. Venditori con i piedi nel fango, vestiti con i colori e lo stemma dell’uccello del paradiso bandiera dei PNG, seduti su bidoncini di plastica colorata, espongono i loro prodotti a mucchietti di otto patate, bouquet di sei carote, palle di cappuccio, spiedini di fragole, ananas intarsiate, zenzero a mazzetti come le prime margherite e viole di primavera, ecc. ecc., borse indistruttibili di plastica intrecciata e le immancabili salsicce rosse. Qualche poliziotto con delle strane borse di pelo al collo riempie le stesse e maialini che si divertono tra resti di frutta, verdura e fango. Lasciamo il mercato e la città per andare nell’Asaro Valley al Kominive Village, il villaggio dei Mud Men (uomini fango). Arriviamo in questo villaggio; uomini dietro a delle piante hanno già iniziato a prepararsi. Si stanno coprendo di fango per la loro performance. Sono nudi ed indossano solo un perizoma particolare composto da foglie di banano al quale vengono aggiunte piccole foglie fresche a scopo ornamentale, …..è un bel vedere! Per ultimo indossano una maschera con i fori per occhi, orecchie e naso; qualcuno ha inserito zanne di facocero, denti di cane o maiale selvatico al naso per darle un aspetto più cattivo, aggressivo e far paura ai nemici ora turisti. A piedi nudi escono dagli alberi e siepi impugnando archi e frecce o lance con movimenti sinuosi e felini, quasi minacciosi. Sono in realtà simulazioni di sequenze di battaglia, si dirigono verso di noi, dove siamo seduti in una panchina di legno bagnata per assistere alla rappresentazione sempre breve. Finita l’esibizione ci fanno vedere come preparano la maschera, ora completamente di fango, invece una volta usavano come base un’intelaiatura di bambù. Un locale ci spiega che nella tradizione sembra che gli antenati abitanti di questo villaggio siano stati cacciati o uccisi da una tribù che aveva conquistato il villaggio stesso. I sopravvissuti si erano nascosti nelle acque fangose, dove ora raccolgono il fango per fare le maschere o dei piccoli Mud Men per souvenir, poi di notte erano tornati al villaggio, ricoperti di fango che una volta asciutto, aveva assunto il colore biancastro (in queste zone è ritenuto simbolo della morte), irriconoscibili e spaventosi, gli invasori gli scambiano per spiriti e fantasmi dei morti ed è stato così che misero involontariamente in fuga i nemici, spaventati scappano. Facciamo qualche piccolo acquisto e ripartiamo. Attraversiamo il Daulo Pass e dopo aver messo qualcosa sotto i denti andiamo al Mindima Village per assistere alla Omo Masalai, la performance dei Skeleton Men (uomini scheletro). Nascosti tra i cespugli si stanno preparando i protagonisti dell’esibizione. Escono dalla boscaglia senza fare alcun rumore. Ragazzi; sui loro corpi sono stilizzati i tratti di uno scheletro umano bianco e nero, coperti da semplici perizoma di conchiglie e reti, rappresentano esseri dell’oltretomba che inseguono uno spirito del male come un essere mostruoso. Tengono lunghi bastoni di legno in mano. Segue il Masalai, …..mi lascia sorpresa l’incarnazione dello spirito cattivo della montagna. Completamente ricoperto da un tessuto rivestito di piccoli ricci vegetali di colore bruno, la testa, simile a quella di un grosso gorilla, è avvolta dallo stesso materiale, sorretta da una “collana” di foglie verdi, si trascina una lunga e grossa coda. Riccioli di capelli umani tagliati ed appiccicati nell’intera superfice, dita-artigli allungati da canne di bambù per incutere timore.

Questa esibizione si divide in tre parti:

– all’inizio il Masalai, durante una battuta di caccia rapisce il figlio del capo, lo tocca ed uccide. I famigliari richiamandolo più volte lo riportano in vita;

– lo sciamano sale sull’albero per sfuggire al Masalai, viene vinto e consegna i propri amuleti allo spirito cattivo, così egli diventa ancora più potente;

– poi rapisce il piccolo di una donna impegnata nelle faccende di casa. Alle urla della donna tutto il villaggio accorre, lo cerca e trova lo spirito del male e lo uccide.

Foto di gruppo con gli “attori”, guardiamo il piccolo mercatino allestito per noi e nel frattempo arriva un altro gruppo di turisti. Partiamo. Ai margini, lungo la strada, incontriamo donne e uomini con dei sacchi pieni; vendono caffè ad un furgoncino che passa. Pesano e pagano i raccoglitori. Altri furgoncini, camion e macchine hanno finito di fare il loro servizio, usciti di strada, li smontano e portano via tutto. La carcassa rimane sul ciglio ed usata per stendere la biancheria, ricovero per animali o dove i bimbi vanno a giocare. Rientriamo sotto un diluvio universale al nostro lodge di Mt: Hagen. Oggi, 16 settembre è il giorno dell’indipendenza Festa Nazionale. Il sole vince sulla nebbia. Si fa un’abbondante colazione e si chiacchiera in terrazza, non c’è fretta. A causa di tutta l’acqua di ieri e stanotte, il bus ovviamente non riesce a salire, scendiamo a piedi stando molto attenti al terreno scivoloso. Oramai qui siamo di casa. Ci vengono incontro i soliti bimbi, sempre con dei grandi moccoloni, che abitano nelle capanne all’inizio della salita per il lodge. I più piccoli sono nudi, fino ai 3-4 anni la maggior parte lo sono, hanno un bel pancino, i più grandicelli tengono già l’arco con le frecce in mano. Nella strada verso Mt. Hagen folta vegetazione con alberi molto alti, ai lati della stessa in uno spiazzo una scena d’altri tempi. Centinaia di persone, soprattutto uomini a torso nudo, ma cosparso di fango con foglie appese alla vita stanno “correndo-saltando” in cerchio ed urlano canti ritmati. In mano hanno archi, frecce e lunghe lance. Chiediamo alla nostra guida che cosa sta succedendo; ci dice che è il primo giorno di commemorazione ed il defunto è suo zio, un uomo d’affari molto conosciuto. Il tutto da spettatori in pulmino. Per poter scendere e partecipare chiederà alla famiglia se la nostra presenza è gradita. Ripartiamo e lungo la strada senza una meta ci fermiamo in un mercato, per ammazzare un po’ il tempo alcuni di noi si sfidano a freccette dando spettacolo ai locali. Sempre presenti gli ombrelli arcobaleno, oggi finalmente servono per ripararsi dal sole. Facciamo quattro passi in una piantagione di the lungo la strada, questa è la zona di caffè e the. Dopo l’immancabile pranzo andiamo a casa della nostra guida, ci presenta parte della sua famiglia, veniamo accolti molto calorosamente. Con orgoglio ci fa vedere i suoi maiali ed un casuario, uccello corridore, il più pericoloso al mondo, molto apprezzato per la sua carne e le sue piume, è spesso addomesticato dagli abitanti dei villaggi. Tutti sono in gabbia. Ci racconta che i maiali sono molto importanti soprattutto negli Highlands e servono come denaro quando si vuole sposare una ragazza. Questi maiali possono arrivare a costare anche 3-4.000 kina l’uno (1kina = € 3,20 circa), facciamo due conti, …..è tantissimo!!! Ci stupiamo e chiediamo come può un uomo pagare tutto ciò. Prosegue dicendo che la persona singola non è mai sola, c’è tutto il clan e non solo la famiglia che contribuisce con soldi e maiali sia in caso di matrimoni che funerali. Salutiamo queste persone così ospitali e sempre sorridenti per raggiungere il nostro pulmino per il ritorno. Dopo qualche km siamo pronti per alla salita per rientrare al lodge. L’antipasto prima di cena è preparare uno zainetto per i tre giorni a Simbai. Alzataccia. Alle 5,30 siamo già scesi al nostro mezzo che ci accompagna in aeroporto a Mt. Hagen per il volo su Simbai. Qui i voli partono e volano solo a vista. Speriamo allora che il tempo regga. Noi siamo in 15 e dobbiamo dividerci. Lo stesso charter va e torna. C’è chi parte per prima e chi dopo, io scelgo di partire per prima. Veniamo pesati sia noi che il nostro bagaglio, compreso il cibo e l’acqua che ci portiamo per la permanenza. Mah, …..sorpresa …..forse li non c’è proprio niente. Che bello!!!! Per arrivare a Simbai non ci sono strade, o si va con un piccolo volo, come facciamo noi da Mt. Hagen, circa 20’, o a piedi con circa tre giorni e mezzo di cammino attraverso fitti boschi e foresta. Foresta che occupa il 75% del territorio della PNG ed ospita la più grande riserva di animali del Pacifico. Voliamo bassi, dall’alto lo spettacolo della natura è una meraviglia. Solo verde, un immenso mare verde, non manca nessuna tonalità. Un “vermicello” scuro, forse è il Sepik e qualche capanna in fase di atterraggio. Siamo a 1800 mt. Tutto il villaggio con il naso all’insù accompagna la discesa del velivolo. Ad attenderci, nella pista in terra battuta ed erba, il comitato di accoglienza, qualche membro in costume (no da bagno), gira attorno al nostro charter prima che noi apriamo lo sportellone per uscire. Un signore ci sta dando il benvenuto con arco e lunghe frecce. Indossa: in testa porta un gran cappello nero dalla forma di pallone contornato da pelliccia di cus cus (specie di lemure), diverse collane di perle e semi, a torso nudo, foglie fresche dietro al sedere e secche davanti, bilum colorato a tracolla. Ovviamente scalzo. Salutiamo e ringraziamo il nostro pilota che va a recuperare l’altra parte del gruppo, mentre noi veniamo portati in un cortile ed assistiamo alle loro danze e canti di benvenuto. A distanza di due ore da quando sono partita io con il primo gruppo, arriva il secondo. Sono le dieci. Loro vengono accolti anche con tamburi. Una marea di locali, tutto l’intero villaggio, quasi tutti in costume ballano, solo qualcuno ha degli indumenti addosso, cantano e suonano. Veniamo accompagnati tra due ali di persone festanti. Donne abbellite da fiori freschi, grandi copricapo costituiti da vertiginose intelaiature di legno ricoperte di piume, lunghe piume colorate, collane di semi e kine che proteggono il petto simboleggiando potere e valore, scialli di pelliccia di cus cus, bracciali dato che sono larghi vengono riempiti con varie foglie, ecco il motivo di tanti addobbi floreali intorno alle braccia, gonne di bilum e di pelli di maiali e qualche canna di bambù in mano. Gli uomini al posto dei fiori in testa hanno dei copricapo sempre di pelli di cus cus, archi, frecce e lance in mano. Ci accompagnano quasi al nostro lodge per più di un km attraverso un sentiero con una stupenda vista della valle e delle montagne. Queste catene montuose che ne costituiscono la spina dorsale della PNG, arrivano e superano i 4000 mt. Ci impieghiamo più di un’ora per arrivare; tra balli, canti, abbracci e strette di mano. Il lodge ha diverse capanne su palafitte ad uno o due letti, solo il letto, nemmeno un chiodo, molto minimaliste. Io e Claudia, fortunate, abbiamo trovato la zanzariera, non c’è energia elettrica. La luce c’è solo in cucina e nella direzione dei bagni. Hanno il tetto di paglia, fatte in bambù, sono all’interno di un giardino ben curato. Oggi c’è il sole ed un cielo azzurro visto poche volte fino ad ora a PNG. Prendiamo possesso della stanza, pranziamo e poi ci dirigiamo nella piazza principale del villaggio. Qui si svolge il festival di Kalam. Non c’è nessuna foto e nessun video che renda l’idea di com’è questo festival. Nato nel 2005; nel 2006 vi presero parte 9 turisti, 14 nel 2007, 19 nel 2013 e quest’anno siamo in 22. Questo festival si svolge di solito il giorno dopo l’Indipendenza, dal 17 al 20 settembre. Per far capire che è una festa ancora per loro, e che noi siamo solo degli ospiti, hanno già ucciso 12 maiali, avevano paura che il tempo cambiasse, e ne hanno lasciato solo uno per noi, per farci vedere dall’inizio tutta la cerimonia. Il povero maiale è legato ad una zampa e la fune fissata ad un palo. Viene preso a bastonate in testa ed ancora agonizzante messo sopra al fuoco per far bruciare il pelo. Sotto al fuoco e legna, pietre che scoppiettano. E’ una scena un po’ forte, meno male che ne hanno lasciato solo uno per noi, gli altri 12, hanno quasi finito di farli a pezzi. Qui i maiali, come in quasi tutta l’isola, è la più importante fonte di scambio, di commercio, di ricchezza e di potere. Con i maiali si comprano le mogli e con le mogli si coltivano più terre, vero simbolo di potere sociale e personale. I suini non vengono mai mangiati, ma si offrono in dono ad altri che, in questo modo sono legati da un debito. Tutti i membri della famiglia o clan sono indaffarati a preparare il mumu (tipico forno scavato nella terra): donne, uomini , bimbi compresi. Scavano una buca profonda circa 70 cm, la lunghezza e larghezza varia dalla quantità di carne e verdure che hanno da cucinare e poi diventerà il forno per cuocere il povero maiale. Di fianco altri continuano ad alimentare diversi grandi falò sopra i quali hanno posto delle pietre. La piazza del villaggio sembra un campo minato tra buche e fumo. E’ qualcosa di surreale. Dopo aver scavato la fossa, la ricoprono di foglie di platano secche, le prendono da un granaio posto al centro della piazza. Sopra alle foglie, con dei grossi rami aperti nella parte finale, come una pinza, prendono le pietre incandescenti e le mettono sopra alle foglie. Ora iniziano a mettere prima le verdure: patate dolci e taro, altre pietre e poi quarti di maiale, il tutto ricoperto da foglie di platano e pietre roventi. Tempo di cottura circa due ore ed è pronto. Assaggiato, ottimo. Tutti belli affumicati rientriamo al lodge e tentiamo di farci una doccia. Un signore scalda dell’acqua in una specie di pentola messa sul fuoco con della legna, poi la versa in un recipiente di tela spessa appeso al soffitto della capanna-bagno. Sotto a questo contenitore un soffione da doccia che si apre e chiude. Bastano poche gocce d’acqua per sentirsi nuovi. Cena a buffet e per quasi tutta la durata, fuori, tuoni rimbombano e grandi lampi illuminano la valle. Dopo cena alcuni del gruppo ritornano nella piazza principale muniti di torce e mantelle. Il tempo ha bloccato alcuni di noi, anch’io sono tra questi, per assistere dicono a delle danze moderne di donne. Ed invece si trovano donne ed uomini con i loro costumi tradizionali che cantano e suonano, altri che scavano delle buche per cucinare altre verdure e le teste dei maiali. Raccontano di uno spettacolo surreale. Io dal mio letto in bambù nel lodge sento in lontananza musica con canti ed un po’ mi pento, ma stanca ed infreddolita rimango dentro al mio sacco a pelo e sotto la coperta ad ascoltare. La musica e le danze continuano per tutta la notte. Alle 2, 3 e 4 della stessa sento dei colpi-botti. Ai primi, quelli delle 2, essendo in dormiveglia pensavo a degli spari ed invece sono i botti che danno inizio alle loro preghiere. Pregano alle 2, 3 e 4 della notte ed alle stesse ore nel pomeriggio, tutti i giorni.

Fatta colazione scendiamo al villaggio, a piedi circa 20 minuti. Fuori dal nostro lodge incontro tre ragazze locali con cappello-altare di bellissime piume lunghe e colorate, collane di grosse conchiglie e perline multicolori. Alle braccia foglie verdi lucide, gonne lunghe di rafia e pelli. Sono impacciate nei movimenti, non debbono far cadere il copricapo dal valore inestimabile. Fatto qualche centinaio di metri, imbocco un sentiero, vengo attirata dalla musica, proviene da quella direzione. Finito il sentiero, un cortile con qualche capanna, al centro uomini si stanno preparando, fanno “ripetizione” di qualche passo e suonano i loro lunghi tamburi di legno con manico. Appese ad un filo sotto una capanna aperta foglie di platano a frisé, sono pronte per essere indossate. Hanno dei bellissimi copricapo sempre di piume, volto dipinto di bianco e nasi forati. Collane come le donne con grosse conchiglie e perle. Arrivano anche gli altri del gruppo. Proseguiamo scendendo in direzione della piazza principale e lungo tutto il sentiero c’è una vista spettacolare a dx sulla valle, a sx la montagna. Circondati dai locali in costume che si abbracciano, baciano e si stringono le mani, arriviamo alla piazza. La vista dall’alto è indescrivibile. Gente in costume che arriva ballando e cantando da tutte le parti, altri che si preoccupano di pulire e spazzare la piazza, dal mumu esce ancora un po’ di fumo. Stupendo. E’ tutto vero o sono dentro ad un film?!!! Oggi iniziazione dei ragazzi. In una capanna sono rinchiusi da qualche giorno dei ragazzi. Sono stati allontanati dalle loro famiglie, chiusi in una “stanza” con il fuoco acceso, hanno dovuto arrangiarsi a cucinare. Hanno varie età e sono stati iniziati in questa festa. La foratura al naso è già avvenuta. Noi siamo tutti posizionati davanti l’ingresso della capanna ed attendiamo impazienti che succeda qualcosa. Non sappiamo neanche noi che cosa accadrà. Aspettiamo curiosi. Iniziano. Buttano giù un pezzo di parete di legno e bambù; dentro intravedo dei ragazzi sofferenti, grida e urla non si sono sentiti, avranno sofferto in silenzio da veri uomini, sono avvolti nel fumo. Arrivano due uomini con in mano dei cappelli alti più di un metro tra pelliccia di cus cus, penne e piume varie. Sembrano pesanti. Cerco di sbirciare, ma c’è troppo fumo dentro e si vede poco. Continuano a portare questi copricapi. Entrano solo uomini. L’attesa si fa un po’ lunga. Ecco che arriva una nonnina con sigaretta in bocca, senza filtro ovviamente, capelli rasta corti, foro al naso, moltissime collane, seno vuoto scoperto e bilum in testa, gonna lunga di rafia, in una mano un bastone lungo e nell’altra un pezzo di legno che fuma ancora. Arrivano uomini con lance ed altri con archi e frecce. Buttano giù un altro pezzo di parete, si arrampicano e cercano di allargare l’ingresso. Ci riescono ed ecco che si riesce a intravedere meglio i nuovi iniziati. Mi da l’impressione che siamo stanchi ed un po’ provati. Alcuni hanno in volto del nero delle braci, altri sono ricoperti di rosso. Gli mettono quel copricapo di varie piume e pelli ed escono tenendosi per mano. Spaesati. Alcuni vengono sorretti, altri ce la fanno da soli. Tutto il villaggio inizia a cantare e danzare. Li fanno camminare, formano un grande cerchio in quasi tutta la piazza, continuano a tenersi per mano ed a essere sostenuti. Si va avanti per un’ora circa tra canti e danze, alcune donne iniziano a scoprire i mumu; ecco che spuntano le teste dei maiali che si sono cotte per tutta la notte. Ci offrono ed io assaggio sia la carne che le verdure. La carne è buonissima, la più tenera di tutta la vacanza. Ottima. Bighellono nella piazza in mezzo a varie dimostrazioni: trappole per catturare anguille, tintura del filo con una pietra di color rosso per fare le gonne e bilum, la preparazione e tessitura degli stessi, frecce e lance che sono pure in vendita. Assistiamo anche al pagamento della moglie da parte del marito alla famiglia della sposa. Man mano che si svolge questa dimostrazione, un locale orgoglioso, ci traduce Descrive che cosa sta succedendo e ci spiega il perché. Prima del matrimonio viene concordata la dote che il marito dovrà pagare ed il pagamento avviene durante il sing sing, cioè oggi. Sotto alla tettoia dove sono stati chiusi gli iniziati, hanno steso delle stuoie intrecciate a destra e sinistra della porta d’ingresso abbattuta. Sopra quarti di carne di maiale, conchiglie (le kina, una volta erano utilizzate come denaro di scambio fra i locali abolite nel 1933), parenti ed amici offrono banconote che vengono anch’esse posate sopra le stuoie, anche qualcuno di noi da il suo contributo. Le spose sono due. Quando raggiungono l’accordo con il rappresentante della moglie, di solito è il fratello di lei, la sposa stessa che non parla, prende il denaro in mano, lo alza e lo consegna al fratello. Il pagamento della moglie non termina in questo momento, ma proseguirà negli anni a venire, in base a quanto lavora la moglie ed allo stipendio del marito, il tutto viene effettuato in certe circostanze ad esempio quando il figlio verrà iniziato e dovrà dare spiegazione al rappresentante della moglie il perché paga quella somma. Anche in questo caso, quando l’accordo viene raggiunto, la donna prende in mano i soldi e la alza. Torniamo al lodge per il pranzo. Il tempo sta cambiando e prima di ritornare alla solita piazza, io salgo la collina fino quasi a sbucare in cima, dove si spalanca una vista che spazia su tutta la valle. Vado a visitare delle capanne che stanno in alto, anche qui hanno preparato dei mumu. La vista da quassù è ampia su tutta la valle, si vede anche la pista d’erba e terra battuta dove siamo atterrati e da dove, aimè domani già ripartiremo. Stringo mani callose e forti. Da quassù sento la musica, la piazza inizia ad animarsi, scendo. Iniziano ad arrivare dei gruppi di suonatori e danzatori. Indossano elaborati copricapi decorati con il guscio di piccoli coleotteri verdi, varie piume e penne degli uccelli del paradiso. Questi copricapo sembrano dei grandi nidi. Quanto lavoro e pazienza. Ecco che arriva l’immancabile pioggia. Ci ripariamo sotto una capanna con loro che continuano a cantare: hooohh, hooohh, hooohh e danzare, tutti a piedi nudi. Ora siamo noi l’attrattiva per loro, perché li stiamo imitando. Allegria generale. Continuo a fare foto, loro me lo chiedono. Torno al lodge. Mi seguono a piedi nudi tra la vegetazione due ragazzini e un signore con delle lunghe lance. Vengo “scortata”; loro si sentono importanti ad accompagnarmi. Ceniamo e dopo ritorniamo in gruppo alla piazza sempre accompagnati-scortati dai locali, qui non ci sono problemi, loro si sentono onorati nel farlo. Tengono in mano arco, frecce e machete, come noi a casa teniamo e giriamo con i nostri cellullari. C’è uno spicchio di luna, ma non basta ad illuminare il sentiero, accendiamo anche le nostre torce. Stasera discoteca. Entriamo in un “recinto” all’aperto. I locali sono già scatenati. I maschi ballano con i maschi e le femminucce con le femminucce. Ci sono persone di tutte le età, compresi bimbi piccoli portati in spalla dentro al bilum. C’è un gran “profumo”. Su una palafitta dei ragazzi mettono musica illuminati da una luce al neon, due security con machete ed uno con arco e frecce controllano. Qualcuno di noi si mette a ballare e loro si fermano. Diamo spettacolo facendo il trenino, li coinvolgiamo e si aggiungono a noi. Torce alla mano, torniamo. E’ buio pesto, le nuvole hanno coperto anche quel spicchio di luna, c’è qualche stella. Ci alziamo presto. Stanotte ho dormito pochissimo, mi hanno fatto compagnia canti di uccelli e soprattutto i galli. Usciamo dal lodge, direzione “aeroporto” e nel sentiero incrociamo molti locali che ci salutano ed accompagnano alla pista, forse l’unica attrattiva del posto. Il charter non c’è ancora e quando arriva scarica molti viveri; dal riso alla Coca Cola. Noi nel frattempo ci pesiamo, uno ad uno, con lo zainetto in spalla, in una bilancia pesapersone che ognuno di noi (io no) tiene nel proprio bagno di casa. Siamo all’aperto, non c’è sala d’attesa direttamente in pista. Prima di salire diamo nuovamente spettacolo. Venti minuti di volo da Simbai a Mt. Hagen. Nell’aeroporto di Mt. Hagen c’è moltissima gente. Stanno aspettando la salma dello zio della nostra guida. Camion aperti carichi di persone con volti e corpi cosparsi di fango bianco (perché arrivano dalle montagne), altri giallo (dalle colline). Corpi nudi ricoperti solo di foglie con in mano lunghi bastoni che vengono alzati a ritmo. Nei mezzi che sono arrivati all’aeroporto; impronte di mani stampate col fango o scritte: welcome late Wum Kelgai. Gli uomini che indossano la camicia bianca, sono quelli più vicini come grado di parentela al defunto. Arriva la bara e viene caricata in una Jeep aperta dietro, avvolta nella bandiera nazionale, sopra fiori freschi. Lungo la strada, ai lati, a distanza di un metro uno dall’altro, paletti di legno piantati per terra, appesi fiori sempre freschi accompagnano il defunto per tutti i chilometri fino al villaggio. Un corteo di vari tipi di auto, bus e camion lunghissimo, accompagna la salma dall’aeroporto al suo villaggio. Viene fatta una prima sosta con celebrazione nel villaggio della madre e poi portato per la seconda dove il defunto era nato. Questa prima parte la facciamo in pulmino, poi ci viene dato l’ok da parte della nostra guida; possiamo anche noi assistere alla celebrazione e fare foto. Nell’ultimo tratto viene portata in spalla da uomini in camicia bianca e pantaloni neri. La posizionano al centro della piazza, dentro una capanna aperta dai lati e sopra ad un’ altare in bambù. Palloncini colorati ai lati e tende azzurre tutt’attorno. “Figuranti”, a torso nudo con corpi dipinti d’argilla in segno di lutto, gonnellino in rafia o di foglie con lunghi bastoni, machete o archi continuano a camminare ed urlare in cerchio attorno alla bara. Uomini con uomini, donne con donne. Sembrano in assetto di guerra. Su sedie di plastica rossa, altri uomini dalle taglie forti con camicie bianche, giacca ed alcuni con il cappello in testa; sono i parenti maschi più stretti, assistono comodamente seduti, solo uomini. Un uomo con il megafono fa dei ringraziamenti. C’è il sole, la collina di fianco ha tutte le tonalità del verde possibile, fiori variopinti interrompono le mille sfumature di verde. Gli ombrelli arcobaleno sono aperti. Decidiamo di tornare dopo aver vissuto questa straordinaria esperienza autentica. La solita salita per arrivare al lodge e ci accompagna l’immancabile pioggia. Stasera tramonto rosso, il primo della vacanza. Acqua tutta la notte, facciamo colazione nel terrazzo avvolti, ….tra le nuvole. Scendiamo a piedi, raggiungiamo il bus con destinazione Kumul lodge per vedere gli uccelli del paradiso, simbolo della PNG. Questo lodge è stato costruito in cima ad una collina a 2850 mt in mezzo al verde, dove arrivano numerosi uccelli attratti dal cibo che viene messo dal personale. Dalla terrazza imploriamo che ci volino sopra e di passare lentamente vicino a noi per immortalarli. Qualcuno ci riesce. Vediamo varie specie di uccelli. Noi abbiamo avuto anche la fortuna di vedere come uccello del paradiso il Ribbontail Astrapia maschio e femmina, tra loro sono molto diversi. In PNG ci sono 37 delle 43 specie di uccello del paradiso, il Paradisaea Raggiana è il simbolo della nazione e stemma della bandiera. Ora ci sono solo 15°, piove, io entro e mi godo lo spettacolo dalla cucina con il camino acceso. Quando smette decidiamo di andare a fare quattro passi vicino al lodge. Prendiamo un sentiero e ci immergiamo nel fango in mezzo ad una fitta foresta, filtra solo qualche raggio di sole. Torniamo per il pranzo a buffet, tavolata con vista sui pennuti. Soddisfatti per il pranzo, un po’ meno per la vista dei volatili, in bus scendiamo per fare un giro nella provincia di Enga. Ci fermiamo a vedere delle cascate, foto al seguito, ….niente di che. Colline verdi tutt’attorno, impreziosite dai raggi del sole. Proseguiamo. Vengo colpita da diversi pali bianchi (200circa), in uno spiazzo, piantati lungo la strada. Chiedo il perché, che cosa vuol dire. La nostra guida ci racconta che qualche mese fa c’è stata una battaglia fra clan diversi per ottenere dei contributi da parte dello stato per il controllo del passaggio delle merci fra le due province. Ogni palo corrisponde ad un morto. Quando si sono messi d’accordo hanno festeggiato uccidendo diversi maiali. Proseguiamo il nostro giro e ci fermiamo in un piccolo mercato molto colorato, dove gruppi di uomini giocano a carte, oggi è sabato, non lavorano, ….è così che passano il loro tempo libero. Tutti ci guardano curiosi, ci regalano della verdura e cercano di socializzare e vendere i loro prodotti. Ripartiamo per fermarci ad un altro gruppo di palafitte, facciamo conoscenza del capo villaggio, è un signore anziano. Vuole presentarsi, ci presentiamo. Sudato e sdentato mi bacia e stringe forte a se come una figlia, non mi molla, continua a tenermi vicino. Giriamo tra le capanne, c’è molto fango, circondati da decine e decine di bambini che ci seguono. Tutti escono dalle loro capanne-palafitte, vengono incontro, ci festeggiano, circondano il bus e non ci vogliamo lasciare andare via. Ritorniamo al nostro lodge e dopo cena siamo impegnati a preparare due canzoni per la S. Messa di domani. Il proprietario tutto orgoglioso ci ha invitati e ci tiene molto, noi non abbiamo niente da fare ed abbiamo accettato. Questo però ci mette un po’ in crisi. La scelta delle canzoni non è facile, ….ma ci facciamo un sacco di risate. Eccoci pronti ad andare a messa, nel tragitto per la chiesa ripassiamo i nostri due portabandiera. Siamo emozionati. Le prime due file di banchi sulla sinistra sono riservate a noi. Ci accomodiamo e dopo il loro ingresso con canti e balli, chi ha il coraggio di esibirsi?!!! Ora tocca a noi. Abbiamo pure il direttore del “coro”, ma la nostra performance, forse ha giocato l’emozione, per me è venuta peggio che nelle prove. E’ partito lo stesso l’applauso, ….sicuramente solo per l’ospitalità!! Torniamo al nostro lodge, ….la salita ci piace molto !!! Oggi per pranzo ci preparano il mumu solo per noi. Assistiamo alla cerimonia.

Pomeriggio dedicato a visitare dei piccoli villaggi. Io vedo l’ora di andarmene da qui, in questo posto fa freddo e piove sempre, ormai quello che c’era da vedere l’abbiamo visto ed è arrivato il momento di cambiare aria. E’ l’alba. Fuori c’è una strana luce, mi alzo in velocità, vengo circondata, avvolta da un arcobaleno, …..che bel risveglio. Prima del volo per Wewak andiamo a visitare una fabbrica di caffè ed assistiamo alle varie fasi della lavorazione dei chicchi. Finalmente si parte verso il caldo, almeno lo spero, la maggior parte di noi lo desidera e non vuole più sentire parlare della pioggia e di acqua. Un’ora di volo fino a Port Moresby, il bagaglio va direttamente a Wewak. Avendo un po’ di tempo durante lo scalo vado a dare un’occhiata se per caso hanno scaricato anche i nostri bagagli. Sul nastro girano solo scatole di cartone o grosse borse di plastica con della gran verdura e frutta. L’altro volo per raggiungere il caldo dura un’ora e mezza. All’aeroporto incontriamo la nostra guida e dopo dieci minuti siamo al nostro alloggio. Ceniamo fuori in un albergo e l’indomani con bagaglio ridotto in bus raggiungiamo Pagwi. Lungo la strada ci fermiamo ad un paio di mercati, molto poveri. Plachiamo la sete con l’acqua di noci di cocco. Curiosiamo qualche capanna-palafitta, bimbi ed adulti sempre molto solari ed accoglienti. Il caldo arriva assieme all’umidità. La striscia di bitume è scorrevole, qualche buca, grandi palme ai lati e dolci colline. Dopo circa centocinquanta km arriviamo all’imbarco del fiume Sepik per esplorare i remoti villaggi dislocati lungo le sue rive. Troviamo le nostre tre imbarcazioni a motore: una canoa ricavata da un lungo tronco d’albero scavato, la più gettonata e due barche in vetroresina. Si fa il pieno di benzina, indossiamo i giubbotti salvagenti e siamo pronti a partire. Ci mettono premura, dobbiamo andarcene in fretta e non capiamo il perché. Nuvole biancastre nel cielo grigio, talvolta il sole compare e subito la temperatura si fa torrida.

Dopo due ore e mezza di navigazione, arriviamo a Kanganamun, base per i nostri giorni nel Sepik. Sepik, uno dei più grandi fiumi al mondo in termini di portata e lunghezza; è lungo 1126 km, nasce dalle montagne dell’Iran Jaya ed ha un corso molto tortuoso , è navigabile quasi per intero, nel suo percorso forma un grande loop (cerchio), ha diversi affluenti e sfocia nel mare di Bismardk. Noi ne facciamo solo un piccolo tratto. Peccato. Risaliamo la corrente, lungo la navigazione abbiamo subito qualche incontro: bimbi su canoe con prue a testa di coccodrillo, vari uccelli, qualche casa-palafitta. Palafitte molto alte, penso che nella stagione delle piogge ci siano grosse inondazioni, acquistiamo da una signora pesce per cena. Poco più in là sempre lungo la riva altre 4-5 palafitte ed un ragazzo con scarificazioni, tipico di questa zona. Qui siamo nella patria con il culto del puk puk (coccodrillo). Quando approdiamo a Kanganamun, bimbi ci accolgono, sono sempre i primi ad accoglierci, smettono di giocare, alzano le braccia, gridano, salutano e salutano. Dopo di loro i grandi. Dieci minuti a piedi per raggiungere la nostra palafitta attraverso un sentiero e prati ben curati. Fiori all’ingresso della stessa come benvenuto. La nostra palafitta è grande è ben tenuta, una scaletta di legno ci parta al piano superiore, alle nostre “stanze”. Sotto è aperta come tutte le palafitte ed è usata come ripostiglio, e pollaio. Costruita con foglie di kanikwa, tipico albero dell’isola, protegge dal caldo ed afa durante la stagione secca e dall’abbondante acqua giornaliera durante il periodo delle piogge. Ci sistemiamo e poi scendiamo per andare nella Hause Tambaran (o casa degli spiriti), dove hanno organizzato per noi un sing sing di benvenuto. Imponente, altissima come una “cattedrale”, domina le poche capanne che formano il villaggio, un grande prato erboso davanti. All’interno uomini suonano dei garamut (tamburi), ci sono dei fuochi accesi. Escono due alte “statue” di rafia con maschere e fiori rossi, ballano davanti, girano in tondo nel prato. Il tutto dura pochi minuti. In questo villaggio si trova la più antica Hause Tambaran sul fiume. Le Hause Tambaran, occupano sempre la posizione centrale nei villaggi, possono raggiungere e superare i 40 mt di lunghezza ed i 25 di larghezza, sono costruite su due livelli con bambù, palme e foglie di palma. All’esterno della struttura ci sono volti stilizzati, questi volti sono quelli della natura destinata a proteggere la casa e gli uomini al suo interno. L’ingresso anteriore è alto e riccamente decorato, il tetto di foglie scende spesso fino a terra. Al piano terra generalmente i grandi pali che la sorreggono sono scolpiti, decorati con simboli totem, suddivisa in spazi con focolari, il numero dei fuochi corrisponde al numero dei clan presenti nel villaggio. Una scala sempre di legno lavorata ed intarsiata porta al piano superiore, una o due figure di donne sedute con le gambe aperte sostengono le travi del tetto. Hause Tambaran è universalmente un simbolo femminile, eppure tutto quello che la riguarda e ciò che accade al suo interno sono affari segreti degli uomini e tabù, proibita alle donne. Sopra il tesoro del clan, il centro cerimoniale del villaggio, è dedicata agli antenati, dove avvengono i riti d’iniziazione e le cerimonie funebri. Questi grandi edifici sopraelevati intagliati e dipinti, di norma sono accessibili solo agli uomini adulti, ricchi di totem, scudi, maschere intagliate nel legno, che nella tradizione locale, rappresentano gli spiriti degli antenati. Tambaran è uno spirito guardiano dei maschi adulti. Giriamo un po’ il villaggio, qualcuno fa il bagno sul Sepik, il colore dell’acqua e la corrente non sono invitanti. Ottima la cena preparata dalla nostra guida, anche se ha usato pentole e padelle incrostate di nero fuliggine, ed interessanti i racconti del dopocena con usi e tradizioni di questa zona della PNG. Prendiamo un ramo minore del fiume, oggi visitiamo altri villaggi del Medio Sepik. Usciamo solo con due barche. Qualche minuto di navigazione, segue circa mezz’ora a piedi attraverso un sentiero in terra battuta, ai lati campi coltivati a yam yam, tutt’attorno diverse piccole lagune piene di ninfee, per arrivare a Palambei. Due belle Hause Tambaran, in centro del villaggio, una di fronte all’altra ben conservate ed un’altra mezza distrutta. Facciamo acquisti. Riprendiamo le barche ed andiamo verso Chambri Lake. Vasta e bellissima distesa d’acqua poco profonda, ricoperta di fiori, canneti e fitta vegetazione dalla quale si levano in volo diverse specie di uccelli. Ci fermiamo al Wombun village dove c’è un’altra bella Hause Tambaran, molto bella anche se di recente costruzione (7 anni), in alcune di queste case degli spiriti espongono e sono in vendita pezzi del loro artigianato. Tutta questa zona del Sepik ed i suoi abitanti sono famosi per essere abili intagliatori, la loro capacità artistica e pittorica è famosa in tutta la PNG e non solo. Pranziamo in un angolo all’interno di essa. Ancora quattro passi nel villaggio, facciamo diversi incontri, tanti bei momenti di vita quotidiana, troviamo un gruppo di persone che circondano un grande coccodrillo pescato da qualche ora. Ripartiamo e dopo quindici minuti di navigazione giungiamo ad Aibom conosciuto per la produzione di vasi ed oggetti in terracotta. Attracchiamo. Attraversiamo a piedi tutto il villaggio. Teschi di coccodrillo, ormai sbiancati dal tempo sopra a tronchi d’albero tagliati segue l’ingresso della capanna-palafitta dove una donna sta affumicando dei pesci, sopra sulla “porta” dipinta la bandiera della PNG. Un’altalena ricavata da un grosso pneumatico appesa ad un grande albero con delle liane, …..ci salgo e Paola mi spinge, ritorno bambina. Un uomo torna dalla pesca con la rete vuota, in bocca una palla di varie foglie che gli deforma la guancia, come fosse un ascesso e colora la saliva di rosso; un’anziana signora in riva sta lavorando il sago. Dal midollo della pianta estrae l’amido, è un alimento base, viene cucinato e mangiato in varie forme, non vuole essere fotografata, è l’unica in tutta la PNG. Grande spiazzo e prato verde: l’Hause Tambaran. Ci chiamano, ci bloccano. Non si può entrare. Giriamo tutt’attorno, ai quattro angoli quattro garamut. Bellissimi. Stupendi. Tutti intarsiati. In testa, da un capo l’aquila, nell’altro il coccodrillo. Pezzi unici. Arrivano frotte di nat nat (zanzare), letteralmente ci assalgono incuranti dei nostri repellenti. Ce ne andiamo velocemente. Durante il rientro incrociamo: qualche canoa, sono donne che stanno pescando in queste acque fangose e quindi povere di pesce, diversi uccelli sulle rive. Dopo cena la nostra guida ha organizzato nella Hause Tambaran uno spettacolo per noi, sempre a pagamento ovviamente, con flauti e gong qui garamut. Questo tamburo è scavato e ricavato su un tronco, ha una lunga fessura longitudinale, si suona percuotendolo sul fianco con dei grossi bastoni. Niente male lo spettacolo. Tutto buio e solo qualche fuoco acceso, ….l’atmosfera c’era. Dopo lo spettacolo veniamo intrattenuti dal fratello della nostra guida e proprietario della palafitta dove siamo alloggiati, ci da delle delucidazioni sul rito della scarificazione; iniziazione del ragazzo, cioè il passaggio dalla pubertà all’età adulta. Prima di iniziare a raccontarci, fa allontanare la moglie dalla casa. Le donne ed i ragazzi non ancora iniziati non devono sapere in cosa consiste. Deciso il giorno, quando ritengono che il figlio sia maturo, assieme ad altri ragazzi viene portato in un luogo segreto del villaggio o costruiscono vicino una palizzata attorno per impedire la vista agli altri. Un waus (scarificatore), generalmente è un membro della famiglia, zio o cugino, una persona esperta. Esegue delle incisioni rapide e precise sulle spalle, schiena, braccia e torso, il corpo del ragazzo viene trattenuto a forza da 3-4 parenti. Tagliano con lame di rasoio in un modello che imitano le squame di coccodrillo. Questo “lavoro corporeo” dura mediamente un’ora, molto dipende anche da quando fermo riesce a stare il nuovo iniziato. Una volta usavano i bambù, lo tagliavano in modo da renderlo affilato come una lama, ora invece usano le lamette da barba. Subito dopo il corpo viene cosparso con l’olio dell’albero di Tigaso (pianta che si trova solo nell’entroterra), serve a fermare il sanguinamento, in seguito il corpo viene cosparso di argilla bianca. I ragazzi vengono portati nell’Hause Tambaran e dopo una settimana alle cinque del mattino vengono accompagnati al fiume per lavarsi. ….non è finita qui. Debbono nuotare per oltre un’ora per cercare di togliersi di dosso tutta l’argilla dal corpo e dalle ferite stesse. Questo “ripulirsi” nell’acqua, tra il movimento del nuotare ed il staccarsi dell’argilla risulta essere molto doloroso.

Ritorniamo poi al villaggio, ed in questo dove siamo noi, si usa cospargerli di terra rossa. Dopo 4-5 settimane l’iniziazione l’ iniziazione è terminata. Sui corpi dei ragazzi rimangono delle cicatrici vistose e rigonfie, assomigliano alla pelle del coccodrillo. Questo rito segna la rinascita a nuova vita del ragazzo, ormai uomo. Sul Sepik l’uomo nasce due volte: la prima volta nasce dal ventre della madre e la seconda volta deve maturare la sua iniziazione nel mondo degli adulti attraverso la scarificazione. Prima di partire per la via del ritorno, la nostra guida ci organizza nell’hause Tambaran nuova, vicino a dove abbiamo soggiornato, un Casuario sing sing. Un uomo dentro ad un costume fatto di foglie verdi di banano e rafia, indossa una maschera con la faccia d’uccello, il casuario. Danza al ritmo dei garamut con delle ragazze. Il tutto dura come sempre qualche minuto.

Si parte. Prima tappa al villaggio di Yenchen dove c’è una piccola Hause Tambaran ricostruita. Possiamo entrare ma non salire. Il piano superiore è solo per gli iniziati, i quali salendo passano tra le gambe del simbolo di fertilità femminile e così facendo vengono benedetti. Enormi contenitori per raccogliere l’acqua piovana davanti alcune palafitte. Korogo, altro villaggio, altra Hause Tambaran. Questa è diroccata, su ciascuna estremità del tetto c’è una coppia di aquile scolpite, ha dei pilastri ben lavorati. All’interno di essa qualche locale espone dei pezzi unici di bastoni di legno per suonare i garamut, conchiglie lavorate a collane, pietre e maschere di legno. Acquistiamo quasi tutto. Si risale, riprendiamo la navigazione e facciamo altri incontri lungo il Sepik: bimbi molto piccoli pagaiano da soli come i nostri vanno in bicicletta in campagna, ancora donne su lunghe canoe dalla prua a forma di alligatore pescano e puliscono direttamente il pesce in barca mentre pescano dell’altro, nel cielo uccelli volteggiano, altri volano raso acqua e lanciano le loro grida di gioia, altri uccelli bianchi lungo la riva osservano. Trenta minuti arriviamo a Pagwi, dove ci siamo imbarcati all’andata. C’è un bel sole e caldo umido, in barca si stava proprio bene con l’aria del movimento. Dopo tre giorni passati a navigare a pelo d’acqua su piccole imbarcazioni in mezzo al Sepik, tra laghetti, palafitte, tanto verde, uccelli vari, …. Il Sepik e la sua gente rimangono una bella finestra nel passato. Eccoci di nuovo sulla strada. Ad alta velocità, su e giù dalle colline con curve a gomito in mezzo ad alte palme, scarpe appese, stese sui fili della luce, caratteristica di tutta la PNG, cantando il nostro repertorio della S. Messa si ritorna nello stesso alloggio di Wewak, e più tardi anche stesso ristorante dell’andata, con stessi camerieri dai stessi tempi lunghi. Grazie Maurizio. Per ritornare a Port Moresby partiamo con due voli diversi, così ci siamo trovati le prenotazioni degli stessi. Io del secondo gruppo, prima di partire con qualche amico vado a bagnarmi i piedi nell’Oceano Pacifico, l’acqua e la spiaggia non sono un granché. Perso niente. Sulla lavagna dell’aeroporto con un pennarello è segnato il nostro volo. Partiamo ed arriviamo in ritardo. I nostri amici partiti prima ci vengono a prendere all’aeroporto. A Port Moresby non c’è molto da vedere e la nostra guida della capitale è poco informata, secondo lui il museo è chiuso ed allora optiamo per il negozio di PNG Art, ….ha dei bei prezzi, l’artigianato era più invitante nel Sepik. Poi ci accompagna al museo, che nel frattempo ovviamente ha chiuso. Vicino c’è il Parliament Haus, costruito nello stile delle Hause Tambaran del Sepik, inaugurato nel 1984 da Carlo d’Inghilterra. Lo vediamo solo da fuori.

In pulmino facciamo un giro panoramico della città, è la più grande città del Sud Pacifico. Situata presso una splendida insenatura nella parte meridionale del paese dove si estende per km. Fondata più di 2000 anni fa dalle popolazioni Motu e Koitabu, essi si stabilirono su villaggi palafitticoli in quello che oggi è il porto della città moderna, noi ci fermiamo all’Hanubada Village (Grande Villaggio). E’ in quartiere costruito appena fuori la città quasi interamente su palafitte. Qui la gente vive con maiali rinchiusi su piccolissimi recinti, circondata da montagne di plastica ed odore di fogna. Donne orgogliose si alzano gonne ed abbassano camicette, ci fanno vedere tatuaggi con simboli tribali; un signore taglia legna, donne fanno il bucato, panni stesi, bimbi che si lavano cu catini e ti salutano da dietro a delle grate. Tanti sorrisi. Siamo sempre sorvegliati e stiamo vicini, io però non percepisco pericolo, ed arriva il tramonto. Oggi si torna. Io sì con alcuni amici, altri hanno la fortuna di avere ancora giorni di vacanza e vanno alle isole dell’amore: le Trobriand. Bagaglio chiuso. Vogliamo sfruttare fino all’ultimo il soggiorno in PNG e di buon mattino partiamo per il Varirata National Park, famoso per la gran quantità di uccelli del paradiso. La strada per giungerci è molto bella attraverso verdi colline e tornanti. Ci fermiamo alle Rouna Falls (cascate) sul Laroki River e giungiamo al parco. Qui avendo tempo ci sono diversi sentieri da fare. Facciamo una bella passeggiata, un po’ con l’ansia di non farcela a prendere il volo di rientro visti i tempi stretti, però gli uccelli del paradiso noi non li abbiamo incontrati. Per giungere all’aeroporto molto traffico, la nostra guida ha recuperato punti, si è illuminato fermando un’auto della polizia che ci ha scortato fino all’aeroporto. Siamo arrivati perfetti per imbarcare con calma i bagagli e salutare i fortunati pensionati che hanno proseguito la vacanza.

La Papua Nuova Guinea è lontanissima, mi chiedo se è rimasta dentro di me.

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