Lo stato Shan di e altro…

Than Hlay si fa chiamare Dante, per i turisti sarebbe troppo complicato imparare un nome birmano, e per chi lavora nel settore, è una prassi inventarsi un secondo nome occidentale. Volto scurito dal sole, occhi sinceri, prima lavorava come raccoglitore di bambù, ora, con una lenta apertura del paese agli stranieri, fa l'autista di risciò e,...
Scritto da: simoc78
lo stato shan di e altro...
Partenza il: 01/08/2006
Ritorno il: 21/08/2006
Viaggiatori: in coppia
Spesa: 1000 €
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Than Hlay si fa chiamare Dante, per i turisti sarebbe troppo complicato imparare un nome birmano, e per chi lavora nel settore, è una prassi inventarsi un secondo nome occidentale. Volto scurito dal sole, occhi sinceri, prima lavorava come raccoglitore di bambù, ora, con una lenta apertura del paese agli stranieri, fa l’autista di risciò e, quando capita, anche la guida di trekking. Sono in molti ad approfittare dell’aumento dell’afflusso turistico per abbandonare il lavoro nei campi ed inventarsi una professione più redditizia. Dante vive da sempre a Shwenyaung, un piccolo paese a 3 km di navigazione da Inle Lake, una vera perla dello stato Shan, il più grande della confederazione del Myanmar, purtroppo famoso, come tutto il triangolo d’oro, per le coltivazioni di oppio, qui gestite direttamente dal regime militare che controlla il paese. Inle Lake è un luogo unico, nella parte meridionale sorgono villaggi costruiti interamente su palafitta, la gente che ci abita può spostarsi solamente attraverso piccole imbarcazioni di legno. E’ curioso vedere cinque o sei bambini recarsi a scuola con la classica divisa verde e bianca, su di una barchetta a remi; o ammirare giovani donne che raccolgono pomodori sempre a bordo di piccole imbarcazioni. Ma la cosa che più colpisce è la tecnica di remata dei pescatori, che restano in equilibrio su di una gamba e con l’altra accompagnano il remo. Sembra di essere immersi in un altro mondo, una Venezia della preistoria, il tutto reso ancor più incredibile da una cornice di verdi montagne. L’agricoltura viene praticata grazie a veri e propri orti galleggianti realizzati poggiando della terra su di un intreccio di alghe e canne che galleggiano sul lago, ancorati al fondo del lago grazie ad alcune canne di bambù. Un’altra attività caratteristica della zona è la tessitura; il cotone e la seta vengono ancora lavorati a mano e con telai di legno dalle donne. Vengono realizzate sciarpe colorate, camice shan e splendidi longy di seta, tipica gonna birmana indossata anche dagli uomini. Sulle rive del lago sorge Indein, un piccolo villaggio famoso per le decine di antichi stupa costruiti sulla collina e per la pagoda costruita sulla cima e raggiungibile grazie ad una scalinata tutta coperta da un’antica tettoia in legno.

“Prima tagliando bambù riuscivo a guadagnare uno o al massimo due dollari al giorno, e mantenere una moglie e due figli non era facile, ora con l’avvento dei turisti le nostre condizioni di vita sono migliorate”, ci racconta Dante mentre ci accompagna a visitare i villaggi sulle colline Shan. Partiamo a piedi la mattina presto e incontriamo gruppi di donne che vanno a lavorare nei campi di riso, gruppi di giovani monaci che vanno di casa in casa a ricevere offerte, bambini che si recano a scuola con l’uniforme bianca e verde. Il primo villaggio che incontriamo Loi Kaw, è raggiungibile solo a piedi o con carretti di legno trainati da buoi, qui i mezzi meccanici non arrivano. La gente coltiva mais, riso, the; vive in piccole casette di legno di bambù con tetti di paglia immerse in una vegetazione che avvolge tutto. L’unica strada è ricoperta di fango a causa delle fitte piogge che nella stagione dei monsoni sono frequenti. Pranziamo a casa di un’anziana signora che da offrirci ha solo una zuppa realizzata con tagliolini e insalata, non molto proteica devo dire. Al centro della stanza principale in cui vive insieme al marito e ad un magro gattino, c’è un braciere acceso giorno e notte che permette di cuocere il cibo, tenere caldo il the e, durante la notte, riscaldare. La casa è quindi satura di fumo che rende difficile la respirazione a chi non è abituato, ma ci spiegano che il fumo è utile anche per tener lontane le zanzare. La gente è molto ospitale, secondo la credenza buddista lo straniero è un dono divino e deve essere trattato il meglio possibile, ciò porta fortuna. Entriamo in un’alta casa, dentro fa molto caldo. Su di una grossa fornace in pietra una donna sta riponendo foglie di tabacco appena raccolte tra piastre roventi e sacchi di stoffa contenenti grossi sassi, il tutto per farle seccare rapidamente ed essere cosi utilizzate per confezionare, sempre manualmente, dei sigari, molto più diffusi in Myanmar delle sigarette per il loro basso costo.

Partiamo la mattina presto con una canoa a motore, attraversiamo da nord a sud il lago Inle, ci fermiamo solo per acquistare in dollari il permesso speciale e per caricare a bordo un giovane ed elegante ragazzo che ci farà da guida “ufficiale” durante la giornata, senza di lui non avremmo potuto raggiungere Sankar. Il lago diventa sempre più stretto fino a diventare un canale artificiale, eredità dell’impero britannico, largo una decina di metri, sulle sponde sorgono piccoli villaggi su palafitta e ogni tanto incrociamo altre barche cariche fino al limite di riso e pomodori. Ci fermiamo a Hmawbe per visitare il mercato che si tiene una volta a settimana. Numerose barche sono ormeggiate lungo la riva del canale; le forti piogge della notte hanno reso quasi impraticabile l’intera area che si presenta come una distesa di grigio fango argilloso sul quale sono state montate fatiscenti bancarelle di legno, o più semplicemente, stesi dei teli colorati. Le donne indossano un copricapo arancione, tipico dell’etnia Pa-O. Nel mercato si possono comperare generi alimentari cotti e crudi o rudimentali attrezzi da lavoro fabbricati a mano. Un soldato in uniforme mi sfiora col suo mitra a tracolla mentre la guida mi intima di non fotografare un gruppo di uomini che stanno giocando d’azzardo con uno strano dado, su ogni faccia è raffigurato un animale colorato. La navigazione procede lenta attraverso una verdissima vallata, ci fermiamo ad un ponte dove è stato allestito un check-point, ci fermiamo per mostrare i nostri permessi a due militari che raramente devono controllare i passaporti di due europei. Sankar è un villaggio aperto solo da due anni agli occhi degli occidentali, va ricordato che la maggior parte del paese è ancora inaccessibile senza i permessi speciali rilasciati della giunta militare. Visitiamo il villaggio, la gente ci sorride e ci guarda un po’ stupita, troviamo riparo dalla forte pioggia che sta rendendo impraticabili le stradine fangose, presso una casa di legno costruita su palafitta. All’interno vivono una giovane donna ed il suo bambino di pochi mesi; ci vengono offerte banane e te. Non incrociamo nemmeno un veicolo a motore, la gente è impegnata nei campi o in piccoli lavori artigianali, come il confezionamento di reti da pesca. Il villaggio è incredibilmente silenzioso, ogni tanto dalle finestre delle due grosse scuole giunge il coro dei ragazzini che imparano a memoria gli slogan imposti dal governo. Si possono sentire anche le preghiere dei monaci provenire dall’antico monastero costruito interamente in legno tek, che si trova proprio sulla riva del piccolo lago.

Un centinaio di chilometri a nord del lago Inle sorge Hsipaw che, a causa delle restrizioni governative, si raggiunge solo dopo due giorni di autobus, percorrendo tratti di strada in condizioni disastrosi, ma immersi in un fantastico paesaggio collinare. A causa delle avverse condizioni metereologiche un ponte è parzialmente ceduto e rimaniamo per circa sei ore in attesa che diversi volenterosi camionisti lo rendano nuovamente agibile. Hsipaw è una cittadina di poche migliaia di abitanti, c’è una strada principale, un mercato mattutino da cui giungono i commercianti dai villaggi limitrofi, un cinema, la pagoda e qualche ristorantino. Ad accogliere i pochi visitatori la Guest House di Mr Charles, che si è inventato un’attività turistica in questo luogo fuori dal mondo, organizzando escursioni nella campagna circostante, e lungo il fiume che divide in due il paese. A piedi ci avventuriamo alla scoperta dei dintorni, camminiamo attraverso verdissime risaie, cascate, villaggi di poche case, dove il tempo si è fermato e l’uomo vive in simbiosi con la natura. I campi vengono arati con attrezzi di legno trainati dai buoi, a seminare ci pensano le donne con i loro cappelli di paglia. Non lo so se le zone da noi visitate rispecchiano veramente quelle che sono le condizioni di vita di tutto il popolo birmano, se questo senso di pace sia creato apposta per l’occhio del turista. Il regime oppressivo, i prigionieri politici, i lavori forzati, le torture, i soprusi, ci sono, ma sembrano cosi lontani da quello che abbiamo visto noi. I soldati sono ovunque, per le strade, nei mercati, sulle montagne a coltivare l’oppio, ma la gente non sembra curarsene troppo, anche se quando ho domandato ad un ragazzo durante un’escursione sulle montagne di Kalaw, se sapeva spiegarmi il perché io non posso girare liberamente il paese, lui mi ha risposto “non te lo posso dire, potrebbero sentirmi”.

note: Come tutti i paesi dell’indocina, anche la Birmania puo essere tranquillamente visitata senza nulla di preorganizzato, se non magari acquistando via internet eventuali voli interni, pagandoli cosi un po’ meno. Abbiamo sempre evitato strutture alberghiere statali, impossibile invece non pagare le varie tasse di accesso alle aree archeologiche (bagan, mingun,..) e al lago Inle.

Abbiamo raggiunto Yangon con un volo Thai (linate – fiumicino – bangkok – yangon) che abbiamo pagato 920e A/R. Da casa abbiamo acquistato due voli interni con www.Airmandalay.Com, yangon – bagan e heho – yangon totale 140$.

Il visto lo si richiede direttamente all’ambasciata di Roma e costa 25e.

cambio agosto 2006 Yangon : 1$=1280Kiat (tendente a svalutarsi ancora ed in breve tempo) L’itinerario è stato il seguente: Yangon – Bagan – Mandalay – Hsipaw – Mandalay – Mingun – Kalaw – Inle lake – Sankar – Yangon purtroppo tre settimane sono poche per poter avventurarsi in zone troppo remote del paese e senza i due voli interni avremmo dovuto fare qualche taglio. Non abbiamo incontrato molti turisti, solo a Mingun ed a Inle ci sono parecchi stranieri. Abbiamo mangiato sempre in ristorantini a parte durante i trekking che ci è capitato di mangiare in casa della gente. Personalmente ho trovato sempre la cucina molto buona anche se un po’ monotona, fondamentalmente si mangia birmano, cinese o indiano ma può capitare di trovare ristoranti giapponesi o addiritura italiani a Yangon e ad Inle. Mediamente per un pasto completo non si spendono più di 2 dollari. I birmani sono soliti frequentare le tea house che servono the birmano (con latte), the cinese e dolci. Qui la spesa è veramente contenuta, the più un paio di dolci 300k. Le birre più economiche sono la Tiger e la Mandalay (66cl 1200k) mentre la Myanmar costa poco di più (66cl 1500k). Costa uno sproposito la lattina di CocaCola, quella vera (1500k), mentre le imitazioni locali costano molto poco. Per una bottiglia d’acqua chiedono dai 200 ai 300 kiat.

Per il pernottamento si trovano diverse sistemazioni a basso costo e di buona qualità (certo non sono 4 stelle!!!): Yangon: Mather Land Inn (2), 3km a est della Sule Paya, pulita e ben gestita, internet, colazione abbondante, camera doppia con bagno e aria condizionata 15$, con ventilatore 13$.

Bagan: May Ka Lar, località Nyaung O, a circa 4km da Bagan, camera doppia molto grande, pulita, con aria condizionata (fa molto caldo in questa regione),biciclette (1$), colazione sulla terrazza, 12$.

Mandalay: Royal, in centro, camera doppia piccolissima, con ventilatore, 10$.Non la consiglio.

Mandalay:Et Hotel ,in centro, camera doppia con aria condizionata, pulita, personale molto ospitale, discreta colazione, 12$ Hsipaw: Mr. Charles, poco fuori dal paese, grande camera tripla con ventilatore, molto pulita, colazione in giardino, biciclette (1$), organizzano trekking nei villaggi vicini, gite in barca, personale estremamente ospitale, 12$.

Kalaw: Royal Lilly: camera tripla spartana e sporca, con una bella veranda, gestita da indiani, organizzano trekking nei villaggi circostanti, 9$, la sconsiglio.

Inle Lake:Inle Inn, località Nyaungshwe, bangalow di bambu molto puliti e ben curati, con veranda, ottima colazione in giardino, camera doppia 15$.

nb. Tutti i prezzi si intendono per stanza.

Gli spostamenti sono lenti, spesso scomodi, molte strade sono in condizioni disastrose, piene di buche. Abbiamo atteso 6 ore la ricostruzione di un ponte danneggiato dalle forti pioggie. Gli spostamenti più economici sono con autobus e treni. I taxi costano parecchio di più, in teoria sono piu veloci ma niente è sicuro sulle strade birmane. A Bagan volevamo prendere il battello per Mandalay ma arrivati al porto la mattina della partenza ci hanno detto che la sera prima la barca non era arrivata quindi per quel giorno niente battello.

Se si escludono i voli interni giornalmente si spendono una media di 15$ a testa (pernottamento, pasti, ingressi, spostamenti)



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