È la “valle delle valli” dell’Alto Adige: qui il caos e il caldo della città saranno un brutto (e lontano) ricordo
L’Alto Adige è come una matrioska di vallate immerse tra le vette delle Dolomiti: in Val Badia c’è la Valle di Marebbe, e nella Val di Marebbe c’è San Vigilio di Marebbe. La meta di questo viaggio, il punto focale intorno a cui ruotano 8 giorni di montagne, passi e valichi, borghetti e sentieri, rifugi e sapori tipici. La vacanza perfetta per sfuggire al caldo, alla città, al caos e ritemprarsi.
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Diario di viaggio in Valle di Marebbe
Giorno 1 – San Vigilio di Marebbe, Spiaggetta Ciamaor
Partiamo per una vacanza a San Vigilio di Marebbe. Ci arriviamo verso le 11 e il primo impatto è buono, a parte il caldo che è quello di Firenze, circa trenta gradi (Caronte si fa sentire anche qui). È un paese ordinato, non rumoroso, circondato dal verde dei prati e dei boschi, ed è proprio sotto la famosa stazione sciistica di Plan de Corones.
Quando arriviamo all’albergo Brunella ci viene data una brochure dove sono descritte le varie attività estive (passeggiate, escursioni, arrampicate: per noi bastano le passeggiate); esiste anche una San Vigilio card, che dà diritto a sconti e promozioni, la più importante delle quali è poter usufruire gratuitamente di una navetta che da San Vigilio porta all’albergo alpino Pederù nel parco naturale di Fanes Senes e Braies, evitando così di prendere l’auto per percorrere la strada a pedaggio che attraversa il parco fino al Pederù, da dove partono numerosi sentieri.
Nel pomeriggio scegliamo una passeggiata leggera che parte dal centro del paese e segue il percorso “Tres la val”: lungo il sentiero vi sono, a brevi intervalli, cartelli che in maniera fiabesca, raccontando di marmotte ed aquile, narrano della saga dei Fanes; ciò ci incuriosisce parecchio e cerchiamo di saperne di più: è un racconto mitologico-leggendario dei Ladini, specialmente della Val Badia e Marebbe, tramandato oralmente e che oggi è conosciuto principalmente per una versione romanzata dello scrittore Wolff del 1932.
In circa 40 minuti, risalendo il rio Vigilio, raggiungiamo spiaggetta Ciamaor, un punto dove il torrente rallenta e scorre in mezzo a verdi prati dando così un senso di freschezza a genitori e bambini che questo pomeriggio qui si radunano numerosi. Vicino ci sono vari impianti sportivi; è molto pubblicizzato anche il “lé dla creda” a circa mezz’ora più avanti, ma quando ci arriviamo ci pentiamo perché si tratta di un piccolo lago con annesso albergo tutti recintato e aperto solo ai clienti del locale.
Torniamo a San Vigilio seguendo la strada asfaltata ma poco trafficata che passa attraverso il bosco ed è più breve per raggiungere il paese. In serata intanto decidiamo per domani di prendere la navetta e raggiungere Pederù, qui sceglieremo una delle tante escursioni possibili.
Giorno 2 – Pederü
Quando il percorso torna pianeggiante (e sono già passate circa due ore da quando siamo partiti) un cartello ad un bivio segnala due rifugi: a sinistra in salita si va, circa 300 metri, al rifugio Fanes, a destra in 500 metri di strada pianeggiante al rifugio Lavarella che è situato in uno scenario davvero unico: i due rifugi sono veramente a poca distanza l’uno dall’altro e nel mezzo si trova il “lè vert”, piccolo lago formato dal ruscello che ci ha accompagnato lungo il percorso. Seguiamo prima l’indicazione di sinistra e ci troviamo così al rifugio Fanes, però scendiamo poi al Lavarella dove mangiamo. Riprendiamo poi la via del ritorno e nel frattempo notiamo che qualche mucca, per il caldo, usa il torrente non solo per abbeverarsi ma anche per mettere le zampe a mollo. La strada del ritorno è naturalmente più veloce e ci permette di arrivare al Pederu intorno alle 16:00.
Riprendiamo la navetta e dopo mezz’ora siamo già in albergo pronti per una doccia rinfrescante.
Giorno 3 – Passo Furcia e Pieve di Marebbe
Questa mattina piove, dopo i 30 °C di ieri sera, siamo scesi ai quindici. Prendiamo la macchina e poco dopo la chiesa del paese, un cartello segnala: Passo Furcia 7Km. Cominciamo a salire i tornanti, dopo 4 Km un bivio sulla sinistra indica Pieve di Marebbe, un chilometro e mezzo e ci siamo: tipico paesino ladino con pieve con caratteristico campanile a punta, circondato da prati dove notiamo che il fieno è stato messo al sicuro dalla pioggia.
Torniamo al bivio e continuiamo la salita verso il passo Furcia; ci arriviamo dopo cinque minuti e piove sempre; il passo è a 1789 metri e vediamo che da qui partono diversi sentieri per escursioni, ma ora non è proprio il caso. Proseguiamo così verso Valdaora in Val Pusteria; raggiungiamo la località Valdaora di Mezzo (1500 mt): paese turistico da cui partono parecchi impianti di risalita verso il Plan de Corones, ma ora è luglio e sono tutti chiusi.
Mentre facciamo queste considerazioni ci accorgiamo che il tempo volge al bello, quindi torniamo al Passo Furcia e qui lasciamo la macchina. Ci mettiamo gli scarponi, prendiamo i bastoncini e decidiamo di seguire il sentiero n.1 che porta al Plan de Corones, e la segnalazione indica percorso fattibile in un’ora e mezzo. Cominciamo a salire; attraversiamo per prima un bosco di abeti rossi, dopo intorno ai 2000 metri il bosco sparisce e ci sono solo prati. Qui la strada è ripida, il caldo è mitigato da un forte vento che per fortuna soffia alle nostre spalle (quando siamo in cima (sono ormai passate due ore) da dove partono tutte le pista da sci, vediamo che da quassù c’è un bel panorama a 360 gradi. Scopriamo anche che il termine “Plan de Corones” deriva dalla incoronazione leggendaria della principessa Dolasilla da parte del padre, re dei Fanes, con la preziosa gemma “raietta”.
Il panorama da quassù è stupendo: offre un’ampia visuale sulle montagne circostanti, la più lontana è la Marmolada, e si possono vedere anche le vette delle Alpi in Val Venosta. Ci sono alcuni rifugi aperti ed anche un bar dove prendiamo un panino con una bibita ed un caffè. E’ d’obbligo una foto davanti alla campana della pace “Concordia 2000”, simbolo di pace e convivenza tra i popoli del mondo. Riscendiamo seguendo la strada forestale per Passo Furcia; il percorso è stato frazione di tappa con arrivo a Plan de Corones in alcuni Giri d’Italia, ad ogni tornante c’è un cartellone dove viene ricordato un ciclista del passato. È un banco di prova importante per ciclisti dilettanti che vogliano misurare le loro capacità di scalatori.
Sono ormai passate le tre quando arriviamo al Passo Furcia; ci fermiamo al bar per una bibita e poi torniamo in albergo.
Giorno 4 – Piz da Perez
Siccome abbiamo visto che da Passo Furcia ci sono diversi itinerari, stamattina decidiamo di ritornare al passo. Salendo con la macchina ci fermiamo in località Corte, frazione di San Vigilio, che è proprio sopra il centro abitato del paese per fare delle foto. Pochi chilometri e siamo al passo, dove lasciamo la macchina nei pressi del laghetto artificiale e prendiamo il sentiero n. 3 che porta al Piz da Perez.
Sono le 9:45; dopo circa quaranta minuti una deviazione a destra (sentiero n. 12) porta al rifugio Picio Pré dove arriviamo intorno alle 10:30; da qui un’ampia pista da sci piena di fiori ed erba, interrotta a tratti da sterri perché in questo periodo è in manutenzione, scende verso il passo; arriva qui anche una cabinovia ora è ferma, infatti tutto questo comprensorio è attivissimo d’inverno perché si presta alle diverse discipline sciistiche, d’estate ci sono bei percorsi per trekking e mountain bike.
Un altro cartello indica che dal rifugio si può proseguire verso la cima del gruppo del Piz da Perez. Noi proseguiamo ancora per un po’ e arriviamo nei pressi della meta poi il cielo si rabbuia e decidiamo di tornare al rifugio dove pranziamo sulla terrazza panoramica. Il cielo a tratti si rasserena e non piove e dopo un meritato riposo scendiamo al Passo Furcia e dopo sette chilometri di auto siamo a San Vigilio.
Giorno 5 – Piz de Plaies
Oggi decidiamo di prendere un’ovovia che da San Vigilio di Marebbe porta a Piz de Plaies (A/R per due = 17 euro con la San Vigilio card). L’impianto apre alle 9:00 e noi prendiamo uno dei primi ovetti, in nemmeno 10 minuti siamo a Piz de Plaies di fronte al rifugio Col d’Ancona.
Decidiamo di andare ad un belvedere nei pressi di una località che si chiama Jù, da cui si ha una bella vista sull’alta Val Badia e si distingue chiaramente il paese di San Martino in Badia con il bel castello di Tor, sede di un museo della civiltà ladina e che ci proponiamo di andare a visitare prossimamente. Sullo sfondo si distinguono benissimo tutte le varie montagne che rendono famosa questa zona con ultima la Marmolada il cui candido ghiacciaio si confonde con le nuvole. Tutto intono al rifugio c’è una bella abetina dove si possono trascorrere ore tranquille.
Dopo pranzo ci fermiamo qualche ora per respirare a pieni polmoni passeggiando per il bosco, mentre qualche gracchio emette il suo sgraziato suono. Verso le quattro riprendiamo l’ovovia per San Vigilio. Dopo cena nella sala manifestazioni assistiamo a cori e balli tipici dell’Alta Val Badia e del Sud Tirolo.
Giorno 6 – Rifugio Sennes e Peredü
Stamattina torniamo al Pederü. Prendiamo così la navetta delle 8:15 e lo raggiungiamo alle 8:30 circa; questa volta però puntiamo verso il rifugio Sennes, strada carrozzabile a sinistra del rifugio.
Il cielo promette una bella giornata, però impareremo a nostre spese come non convenga mai fare valutazioni certe del tempo in montagna. La strada si inerpica subito in mezzo a due pareti con tornanti ripidi e ci accorgiamo che è bene prenderla con calma; siamo talmente impegnati nell’”arrampicata” che notiamo solamente che il tempo è bruscamente cambiato quando qualche goccia fredda ci cade sulle braccia sudate. È trascorsa ormai circa un’ora quando sentiamo un tuono piuttosto minaccioso; proprio in quel momento vediamo un cartello che indica rifugio Fodara Vedla 15 minuti; un altro tuono ci mette le ali ai piedi e dopo 15 minuti siamo dentro il rifugio (l’unica volta che abbiamo rispettato i tempi!).
Ci fermiamo per un cappuccino e, meraviglia delle meraviglie, quando usciamo nel prato il cielo è quasi tutto sereno; decidiamo quindi di incamminarci verso il Rifugio Sennes che poi era la nostra meta di partenza. Il sole ci accompagna e possiamo così gustarci un tipico paesaggio alpestre e ai numerosi fiori già notati fino ad ora si aggiunge anche qualche stella alpina. Ben presto però dalle vette circostanti arrivano nubi minacciose e il cielo si chiude sopra di noi; comincia perfino a piovere, per fortuna piano: sembra la stessa scena già girata, in un’ora precisa (come da sentiero n.7) raggiungiamo il rifugio Sennes a 2126 metri di altezza. Intanto è ora di pranzo ci mettiamo a sedere e ordiniamo. Durante il pranzo piove, però via via vediamo che la luce nella stanza aumenta; quando usciamo (ore 12:30) non ci azzardiamo più a fare previsioni ma visto che in qualche modo al Pederü dobbiamo tornare per prendere la navetta per San Vigilio, ci incamminiamo anche questa volta più veloci del solito e riusciamo addirittura a prendere quella delle due. Quando rientriamo in albergo è tutto sereno. In questa giornata, non fosse per altro, almeno due cose le abbiamo imparate: mai fidarsi del tempo in montagna e… quando piove camminiamo più veloci.
Nel pomeriggio andiamo quasi per noia al Centro Visite Fanes Senes Braies (ingresso libero) che è qui a San Vigilio di Marebbe proprio all’uscita del paese in direzione Pederù. Una volta dentro ci accorgiamo invece che è un interessante area espositiva che illustra l’origine delle Dolomiti, i fossili e le attività montanare, ci sono molti spunti di attrazione per bambini ed adulti come la descrizione della grotta delle Conturines con filmati e scavi archeologici, notizie del ritrovamento proprio in questa grotta di numerose ossa del famoso orso delle caverne chiamato anche orso ladino estintosi circa 30.000 anni fa. E qui di nuovo si possono approfondire ancora i miti e le leggende del popolo dei Fanes. Nel museo ci sono box a tema dove entrando è possibile sfogliare delle pagine illustrate ed avere notizie su fauna, flora e altre cose del parco.
Giorno 7 – Valparola e Falzarego
Oggi piove sul serio. Siccome dobbiamo andare a fare metano partiamo verso la Val Badia e saliamo la Valparola fino al Falzarego sperando che il tempo migliori, perché vorremmo andare a fotografare le marmotte che nei dintorni sono abbastanza numerose. Ma il tempo persiste al brutto, allora noi cambiamo programma e pensiamo di andare al Castel de Tor che è a San Martino in Badia. Ormai si è fatta ora di pranzo e ci rechiamo in una pizzeria nei pressi di La Villa. Dopo saliamo al Castel de Tor dove visitiamo un famoso museo sugli usi costumi e origini delle popolazioni ladine (con la card euro 7.20 a testa); ci vengono consegnate anche due audioguide: si inizia dai locali a terreno del castello e si segue un itinerario dove ogni stanza è numerata progressivamente e all’ingresso di ognuna l’audioguida automaticamente comincia la spiegazione, in verità sovrapponendosi qualche volta a ciò che diffonde l’altoparlante della sala; molto più semplice seguire le didascalie scritte. Comunque il museo è bello e si capisce che è frutto di accurate ricerche poiché offre preziose notizie sulla storia, la lingua, la cultura, le leggende, la geologia e l’artigianato tipici del popolo ladino e di come si sia questa etnia sviluppata durante i secoli in un territorio che sicuramente fino al boom turistico non poteva dare grosse opportunità.
Ma la giornata non è finita perché quando usciamo dal museo il tempo è notevolmente migliorato. Perché allora non mettere in atto il progetto della mattina? Saliamo così nuovamente verso il Falzarego dove riusciamo a fotografare qualche marmotta che si gode il tiepido sole spaparanzata sui massi che spuntano tra i cespugli dei rododendri e l’erba ancora più verde per la recente pioggia; il bel gioco finisce quando un prolungato fischio d’allarme segnala l’arrivo di un cane anche se tenuto opportunamente al guinzaglio. Le marmotte si precipitano nelle loro tane e noi riprendiamo la via dell’albergo. Dopo cena, anche se sta piovendo, andiamo ad ascoltare il concerto della banda del paese che si esibisce nel tendone delle manifestazioni; il repertorio comprende polke e marce, ma non rimaniamo fino alla fine perché è smesso di piovere e ne approfittiamo per tornare in albergo.
Giorno 8 – Passo delle Erbe
Stamattina quando ci alziamo le montagne sono avvolte dalla nebbia ma le previsioni parlano di una giornata di tempo buono. Quando ieri siamo andati al Museo Ladino di Castel de Tor abbiamo notato che continuando per quella strada in salita si raggiunge il Passo delle Erbe che fa parte del Parco Naturale Puez-Odle e da cui sappiamo partono molti percorsi di trekking. Decidiamo di recarci lì. Caliamo quindi a San Martino in Badia e dopo una quindicina di chilometri di tornanti che salgono tra prati in fiore e boschi, raggiungiamo, passando dal paesino di Antermoia, il Passo delle Erbe che mette in comunicazione la Val Badia con la Val d’Isarco e si trova a circa 2000 metri di altezza. Qui c’è un grande hotel alpino che si chiama Utia de Borz; è praticamente impossibile trovare il parcheggio senza spendere, ma si deve pagare un biglietto di 4,00 euro ed è valido per l’intera giornata. Indossiamo gli scarponi, prendiamo zaini e racchette e vediamo che di fronte abbiamo la cima rocciosa del Monte Putia. Un itinerario prevede che se ne faccia il giro completo della base con partenza e ritorno al Passo delle Erbe. L’anello comincia al primo rifugio dopo circa 15 minuti e naturalmente si può andare sia a destra che a sinistra; noi scegliamo di girare da destra a sinistra. Inizia un percorso molto facile (sentiero 8A) in mezzo a prati in uno scenario bellissimo, abbiamo sulla destra la valle dell’Isarco e sulla sinistra la sagoma del Putia con la cima tra le nebbie. Dopo circa mezz’ora il sentiero si divide e uno punta verso la valle, il nostro diventa n 4 e sale ed è molto faticoso procedere in un canalone tra grandi rocce in mezzo a gialli papaveri alpini; dopo circa un’ora si raggiunge forcella Putia (metri 2357) con la possibilità di seguire un sentiero che va verso la cima del monte, un altro che se ne allontana per andare al rifugio Genova che poi però rientra più a valle in quello che prendiamo noi che è quello di centro (sentiero 35) e che continua appunto il giro del monte. Ora la strada è in discesa ed è più comoda, curva sempre verso sinistra e dopo circa un’ora raggiungiamo Malga Vacaria dove mangiamo qualcosa poiché sono ormai le tredici.
Riprendiamo il sentiero 35 che dopo poco cambia numero in sentiero 8 B perché l’altro scende verso San Martino. Il sentiero 8 B con poche difficoltà tra sali e scendi e boschi che si alternano a prati ci porta in circa 2 ore alla chiusura dell’anello e nostro punto di partenza. Sono ormai le 16:00; abbiamo camminato ad un’altezza che è variata dai 2000 ai 2357 metri senza scendere né sopra né sotto questa misura. Un altro quarto d’ora e siamo al Passo delle Erbe. Come considerazione possiamo dire che queste sono zone belle e possono soddisfare le esigenze naturalistiche di qualsiasi persona. Di sabato, giorno in cui ci siamo stati noi, è piuttosto frequentato.
Giorno 9 – Rientro a Firenze
Giorno di ritorno a Firenze. Si parte la mattina presto, incrociamo la navetta che va al Pederù, nello specchietto retrovisore si allontanano la chiesetta di San Vigilio. Addio monti. Prendiamo la Brennero a Bressanone e per consolarci diciamo che ci fermeremo per strada a mangiare magari sull’appennino Tosco-Emiliano al fresco.
Verso mezzogiorno usciamo dall’autostrada a Sasso Marconi e saliamo verso Pian del Voglio facendo la strada provinciale; il navigatore: ”tornate indietro quando potete”. Magari! Troviamo nei pressi di un campeggio un ristorante piuttosto al fresco. Dopo pranzo riprendiamo la A1 in direzione Firenze dove giungiamo poco dopo le 15:00. Accendiamo il condizionatore che, visto l’umidità dell’aria, produce tanta acqua con cui possiamo annaffiare i nostri fiori appassiti, visto che giustamente dobbiamo risparmiare quella dell’acquedotto. Abbiamo percorso 1215 chilometri in 9 giorni… e non contiamo i tanti percorsi con le nostre gambe!