Turisti per Caso Book: Patrizio racconta com’è nato il progetto di turismo solidale “Que Ecuador”!
Patrizio: La tappa in Ecuador è stata di certo una delle più stimolanti del nostro viaggio in America Latina! In realtà Darwin studiò approfonditamente le Galapagos, ma all’interno del paese fece solo un breve passaggio a Guayaquil. In Ecuador invece c’era per Darwin molto da vedere e da fare: lui non ha fatto in tempo, quindi… Siamo andati noi! Assieme al professore di Filosofia della Scienza dell’Università Milano Bicocca Telmo Pievani e ai suoi ricercatori Emanuele Serrelli e Valeria Sala, e grazie all’organizzazione del nostro amico e guida Fabio Tonelli.
TpC: Raccontaci degli Epera e di Santa Rosa! Patrizio: Fabio Tonelli ci ha portato lungo il fiume río Cayapas per andare a trovare questa comunità indios, che avrà sì e no 500 persone in tutto. Per raggiungere Santa Rosa, il loro centro più abitato, abbiamo navigato per più di un’ora. A Santa Rosa si concentra il gruppo più numeroso, ma la comunità vive dispersa in giro per la Serra. Mi ricordo tutto nitidamente, anche l’albergo in cui abbiamo dormito che era a dir poco spartano… Io di alberghi spartani ne ho frequentati molti, ma quello lo era particolarmente! Gli Epera ci hanno accolto in modo esemplare, che definirei tenero e al contempo estremamente dignitoso: ci hanno considerato una vera e propria delegazione occidentale e a loro volta si sono presentati con tutte le autorità del villaggio (la “Presidenta”, il suo braccio destro, l’intellettuale del gruppo…). Ci hanno ospitato nella loro capanna delle riunioni e ci hanno chiesto provenienza, nome e cognome, motivazione della visita… Sembrava di essere in un’assemblea ARCI degli anni 60/70, dove si stendeva un verbale se due delegazioni straniere venivano a contatto! In realtà questa burocrazia era solo una formalità per dare maggiore importanza all’incontro; ben presto abbiamo parlato del più e del meno e ci hanno dato alcune preziose lezioni, detto senza ironia e senza virgolette!
TpC: Che tipo di lezioni? Patrizio: Ad esempio l’atteggiamento che gli Epera hanno nei confronti della terra. Dispongono di un territorio di circa 50 ettari, ma lo coltivano solamente metà per volta… Quando –da bravo contadino padano! – ho detto che mi pareva un gran spreco non coltivarlo tutto e che infondo 50 ettari non sono così pochi, mi hanno preso per matto! Coltivare la terra completamente la depaupera, soprattutto la loro, che non è esattamente la pianura padana: sembra una terra ubertosa, in realtà ha uno strato coltivabile abbastanza limitato, che se coltivato intensivamente si impoverisce. Gli Epera pensano alle prossime generazioni e fanno attenzione a non privare la terra delle sue risorse, per questo coltivano solo un po’ per volta. Gli ho chiesto se ai loro occhi noi siamo degli irresponsabili e mi ha risposto che effettivamente viviamo troppo nel presente, senza avere mai l’idea del futuro. Dal punto di vista culturale, poi, ci hanno raccontato una serie di loro leggende molto affascinanti, di grande spessore linguistico e narrativo, un mondo fantastico estremamente interessante che con Valeria vorremmo anche provare a raccogliere in un libro.
TpC: Di che cosa hanno bisogno gli Epera a Santa Rosa? Patrizio: I loro problemi sono essenzialmente di sopravvivenza. Viaggiano lungo il fiume con delle barcone, ma non hanno un motore e faticano a ritrovarsi tutti. Impiegano un sacco di tempo navigando su e giù per il fiume solo per andarsi a trovare. Quando si è così in pochi è importante stare a contatto anche solo per fare una riunione, mentre qui ci sono pezzetti della comunità letteralmente dispersi (non è che hanno skype o i telefoni!). Serve un fuoribordo quindi, ma anche elettricità e acqua potabile…
TpC: Come si può aiutare la comunità Epera attraverso il turismo? Patrizio: Per ora gli Epera fabbricano per i turisti solo un po’ di artigianato, non proprio quel che si dice un business; Fabio Tonelli in questo da loro una gran mano, perché ogni tanto guida fino a Santa Rosa piccoli gruppi di visitatori, come ha fatto con noi. Gli Epera avrebbero voglia e bisogno di ospitare turisti, ma nelle giuste condizioni: da una parte nel rispetto della loro urbanistica (non è una parola sprecata, vivono in capanne assolutamente bellissime), dall’altra anche compatibili alle esigenze dei turisti stessi. Per un turista la semplice capanna non è abbastanza, io per dormire lì avrei voluto almeno due strati di zanzariere! C’è bisogno di un pozzo, di un depuratore dell’acqua, di energia, possibilmente rinnovabile per evitare di doverla continuamente trasportare e alimentare. La prima esigenza è il fuoribordo per facilitare i collegamenti, quindi anche benzina e olio, ma magari per il pozzo basta un pannello fotovoltaico o un eolico… Serve acqua potabile che sia compatibile con la nostra flora intestinale e non provochi un’immediata diarrea del turista, un bagno, la sicurezza di poter dormire tranquilli senza il timore di ricevere durante la notte la visita di qualche ragnetto (che là ha proporzioni diverse dai nostri ragni locali…). Non serve poi tanto alla fine, solo quel minimo di garanzie per potersi rilassare. L’idea è sviluppare un progetto di turismo compatibile, costruire in sintonia con la loro tradizione degli alloggi. Naturalmente non si tratta di erigere l’albergo in cemento, altrimenti andremmo a modificare radicalmente sia il paesaggio che le loro abitudini!
TpC: Per questo è nato il progetto “Que Ecuador”? Patrizio: Fabio, Valeria ed io ci siamo detti perché non aiutarli? Perché non sperimentare davvero con gli Epera un tipo di collaborazione che ha come riferimento il turismo sostenibile? Abbiamo tutti gli elementi che servono. C’è un tour operator onesto, Fabio Tonelli, che garantisce sulla sostenibilità perché è una persona sensibilissima che con gli indios ha condiviso la vita (si è perfino perso nella selva per un paio d’anni…) e ne conosce profondamente le esigenze. C’è l’Associazione Italiana di Turismo Responsabile (AITR) con cui siamo in contatto e che ci aiuterà a verificare l’operato. C’è l’Università, con la ricercatrice Valeria Sala e c’è Pro Geo, l’associazione non profit nata proprio per queste circostanze, gestita da lei e da altri validi collaboratori incontrati nel percorso (vedi Annarita Ferrante, nostra amica che di mestiere fa il bio-architetto). Ma c’è soprattutto il collegamento con un territorio vero e con una comunità molto precisa e identificabile. Secondo me se le nostre “Turiskine” possono servire a qualcosa, mi sembra che il progetto “Que Ecuador” possa rappresentare un ottimo primo banco di verifica.