In Ucraina tra Kiev e Chernobyl
Il 26 aprile non è semplicemente il giorno in cui compio gli anni. È per milioni di persone il giorno in cui si commemora uno dei disastri nucleari peggiori della storia umana: l’incidente nella centrale atomica di Chernobyl! Dopo 30 anni di progetti, finalmente dal 26 aprile 2017 si potrà guardare al reattore n° 4 con meno timore: dopo 30 anni, è stato imprigionato all’interno di una struttura che dovrebbe garantirne l’isolamento per almeno altri cento!
È il 24 agosto 2013. Eccomi arrivato in Piazza Nezalezhnosti, a Kiev, in perfetto orario! L’appuntamento con l’agenzia di viaggi Solo East è alle 8 di mattina. La guida, una ragazza ucraina minuta, consegna anche a me il braccialetto di carta, che comprova l’avvenuto pagamento dell’assicurazione contro eventuali “incidenti”, il conta Geiger e la T-Shirt “Chernobyl” di Hard Rock Café.
Prendo quindi posto nell’autobus. Siamo circa una ventina di persone, io l’unico italiano, e l’unico proveniente dal Sud Europa. Attorno a me gente dark, metallara, ragazzi in cerca di emozioni forti…
Per potermi preparare “spiritualmente”, ho visitato nei giorni precedenti il Museo di Chernobyl, a Kiev, in vulitsa Khoryva, nella periferia nord. E’ una collezione toccante, dedicata alle persone che hanno sofferto, direttamente o indirettamente, a causa del disastro. Si parla di famiglie costrette a lasciare per sempre le proprie abitazioni, i propri affetti, bambini nati con malformazioni o morti prematuramente, quindi la triste storia dei “liquidatori”: oltre 600.000 addetti alla decontaminazione dell’aera colpita dall’esplosione, inviati sul posto privi di ogni protezione, dei quali poi oltre un terzo è morto nelle settimane successive…
Le vicende legate a questo disastro mi hanno da sempre coinvolto in prima persona, probabilmente a causa della strana coincidenza che mi lega a quella fatidica data: il giorno dell’esplosione io compivo esattamente 10 anni! È per questo motivo che alla fine ho deciso di andare di persona sul luogo dell’incidente.
L’autista mette in moto il veicolo. Tutti ci siamo attenuti alle regole: è estate, ma occorre comunque abbigliarsi con scarpe chiuse e maniche lunghe. Niente pantaloncini. Occorre proteggere il più possibile il corpo, anche se ormai non è più necessario indossare la tuta protettiva. Durante l’intero percorso, la tv in alto trasmette un documentario che racconta quello che accadde quel maledetto giorno, mostrando scene della vita locale, che trascorreva serenamente anche dopo l’esplosione, finché le autorità sovietiche non hanno poi deciso di evacuare l’area. Tutto è nato per via di un test voluto per verificare la sicurezza dell’impianto nucleare, se messo sotto stress. Quel test purtroppo, a causa di alcuni errori e sottovalutazioni, provocò dunque un’esplosione che scoperchiò letteralmente il reattore n° 4, sprigionando nell’atmosfera quasi 9 tonnellate di scorie radioattive… Osservo i campi dai caldi colori estivi, interrotti qui e lì da boschetti e laghi. Sembra un paesaggio idilliaco, eppure nasconde tuttora dei veleni pericolosissimi. Avrò fatto bene ad arrivare fin qui? Indietro non si può tornare… Eccoci arrivati al checkpoint. Ci chiedono di esibire i passaporti e perquisiscono le borse: stiamo per entrare nella Zona di Alienazione. La parte Sud, dove ci troviamo in questo momento, comprende la cittadina di Chernobyl, dove tuttora circa 500 scienziati e addetti si alternano con turni di alcune settimane, per poter studiare gli effetti delle radiazioni sull’ambiente, e monitorare la situazione. Nella parte a Nord della Centrale, invece, si trova la zona di esclusione totale, che include la cittadina, ormai completamente abbandonata, di Prypyat, a ridosso del confine bielorusso. È l’area più radioattiva e pericolosa per la salute umana, in quanto, nel momento dell’esplosione, i venti fecero ricadere proprio verso nord le ceneri radioattive.
Ecco finalmente il totem di benvenuto nella cittadina di Chernobyl, in pietra, di epoca sovietica. Notiamo le tubature dell’acqua potabile, rialzate, in quanto la radioattività si annida proprio nel suolo, ricoperte da una protezione metallica.
Il primo edificio che incontriamo è il Museo dei Bambini, chiuso al pubblico, ma dall’esterno estremamente variopinto: una nota davvero allegra in un paesaggio piuttosto desolato… Raggiungiamo quindi il Monumento alle Città Scomparse: una scultura moderna metallica rappresenterebbe un angelo con una tromba. Di fronte a lui una fila interminabile di cartelli con fondo nero, ognuno dei quali porta il nome in ucraino, barrato in rosso, di ogni singolo paesino e città evacuati e mai più ripopolati dopo il disastro. Davvero toccanti le pile di cassette postali sistemate al centro della fila di cartelli, vuote, che non saranno mai più riempite della corrispondenza che solitamente distingue le abitazioni occupate da qualcuno… Tutto questo fa molto riflettere, mi riporta indietro con la mente alle foto esposte nel Museo di Chernobyl, di persone che non hanno più rivisto la loro città…
Si ritorna dunque in autobus: lentamente scorrono alla mia destra alcune abitazioni occupate dagli scienziati e dai lavoratori temporanei, che in qualche maniere danno una parvenza di “normalità” a questa cittadina. Poi si raggiunge la periferia di Chernobyl: file di caseggiati disabitati, condomini, casette e villette dove probabilmente non metterà piede nessuno per ancora molto tempo. Eccoci quindi arrivati al “Monumento a coloro che hanno salvato la Terra”. Proprio così: due torri in cemento che sorreggono il globo terrestre, di fianco l’inconfondibile ciminiera del Reattore n° 4. Ai loro piedi alcuni dei liquidatori, che cercano di spegnere l’incendio (a destra, con una pompa) oppure di ripulire dalle scorie (a sinistra). Al centro del monumento, su di un cartello, la dedica in lingua ucraina, “Tym, hto vryatuvav svit”, ovvero “a coloro che salvarono la Terra”. Di nuovo queste immagini mi portano a riflettere sulla grande sofferenza anche fisica che hanno dovuto subire in migliaia, consapevoli di andare incontro a morte certa, ma desiderosi di dare il proprio contributo perché si potesse in qualche maniera arrivare a tenere sotto controllo la situazione.
Riprendiamo il nostro cammino: qua e là cartelli avvisano del pericolo di radiazioni, invitandoci a non avventurarci in mezzo ai campi. Arriviamo quindi ad un luogo davvero singolare e toccante: il famoso Kindergarten, ovvero l’asilo di Chernobyl. A darci il benvenuto una statua sulla sinistra, commemorativa dei soldati morti durante la seconda guerra mondiale. Essendo metallica, ha accumulato tantissima radioattività, per cui il mio conta-Geiger indica un livello di 4 volte superiore a quella che è la quantità di radiazioni naturalmente presente nell’atmosfera in condizioni normali. Occorre tenersi a debita distanza! A destra, a terra, abbandonati tra il fogliame, una bambolina senza una gamba e senza braccia, quasi a ricordarmi quanti neonati son venuti alla luce deformi a causa delle radiazioni assorbite dai propri genitori, ed un camioncino a giocattolo, 14 volte più radioattivi del normale. Il Kindergarten è un luogo simbolo di questa tragedia: nel momento in cui il Governo Sovietico decide per l’evacuazione, non viene data alcuna chance alla popolazione per poter raccogliere i propri oggetti, per cui i bambini dell’asilo vengono bruscamente interrotti durante le proprie attività ricreative e portati via, lasciando a terra e ovunque si trovassero i propri giochini ed effetti personali.
La targa metallica con la dedica alla fondazione dell’asilo, posta a destra della porta di entrata, fa risuonare nuovamente il mio conta-Geiger: è 17 volte più radioattiva rispetto ai livelli di normalità. Varchiamo quindi quell’uscio, e si entra come d’incanto in un’altra dimensione, catapultati trent’anni indietro nel tempo. E’ un luogo magico: pieno di giocattoli impolveriti, lettini arrugginiti, abecedari con i caratteri dell’alfabeto cirillico, un calendario sbiadito del 1986 appeso alla parete… Qui il tempo si è letteralmente fermato: in qualche maniera tutti questi oggetti che mi circondano mi portano ad immaginare i pianti dei bambini strappati via d’un tratto da quello che era il loro luogo di ricreazione, lontano dalle persone a loro familiari: gli insegnanti, gli amici di gioco… Vite letteralmente spezzate… Dev’essere stato un momento davvero scioccante per loro!
Ora si prosegue verso nord. Ci fermiamo lungo un canale: eccolo lì in lontananza il mostro: il reattore n° 4. La guida ci porta su di un ponte, dal quale osserviamo dei “pesci gatto mutanti”, dalla lunghezza impressionante, almeno 7 volte quella che dovrebbero normalmente avere. Ci viene quindi distribuito del pane, per poter gettare loro da mangiare: eccoli improvvisamente saltar fuori dall’acqua e aprire la loro enorme bocca per inghiottire quel che gettiamo! Qui la radioattività è leggermente calata rispetto al Kindergarten: siamo attorno a 9 volte il livello di normalità.
Rientriamo in autobus: ecco sulla destra comparire dopo qualche minuto la nuova copertura, ancora in costruzione (ma da quest’anno, 2017, finalmente installata!), che sicuramente porterà un po’ di sollievo e positività alle popolazioni locali. Finalmente si concretizza la possibilità di contenere le radiazioni per almeno cent’anni! L’autobus parcheggia: ci dà il benvenuto il cartello informativo della Novarka, una joint venture che segue progettazione e lavori di costruzione del nuovo sarcofago. Ed ecco comparire alla nostra sinistra il “Monumento a Coloro che protessero il Mondo”, e 300 metri oltre, il reattore, causa di tanti danni e sofferenze.
Arrivo ai piedi del Monumento: due mani congiunte che mantengono verso l’alto il reattore, quasi a voler proteggere il mondo da questo mostro. Qui il livello di radioattività è ormai altissimo, il mio conta-Geiger comincia a suonare: indica ormai 3.18 microsilvert, ovvero 23 volte il livello di radioattività registrato a Kiev alla mia partenza! Il monumento rappresenta pure il limite massimo al quale ci si può avvicinare: il reattore è a soli 300 metri. Andare oltre senza ulteriori protezioni vorrebbe solo dire mettere in pericolo se stessi. Torniamo quindi velocemente all’autobus: non abbiamo alcun motivo di restare lì a contemplare la causa di tante malattie, sofferenze e morte!
Dopo alcuni chilometri verso nord, eccoci arrivare al famoso cartello di benvenuto a Prypyat: qui incomincia l’area di divieto assoluto di residenza. Prypyat era stata fondata nel 1970, per ospitare le famiglie dei costruttori e dei lavoratori della centrale nucleare. Nell’anno del disastro contava oltre 47.000 abitanti. Purtroppo durante l’esplosione i venti soffiavano proprio verso nord, per cui i livelli di radioattività assorbiti in questa cittadina erano tali che tuttora nemmeno gli scienziati che lavorano in zona possono restare oltre il tempo delle loro analisi del terreno.
Entriamo in città: qui l’ambiente è molto più tetro rispetto a Chernobyl: il verde della vegetazione lascia spazio a tante tonalità di grigio e marrone. Casermoni tipici dell’era sovietica si susseguono senza sosta: completamente vuoti ed abbandonati, quintali di vetri rotti e ferri arrugginiti sono sparsi ovunque.
La guida ci spiega che le tonnellate di mele radioattive sotto gli alberi si sono accumulate con gli anni, a causa della mancanza in ambiente così radioattivo dei microorganismi necessari alla decomposizione. Facciamo una passeggiata, stando molto attenti a non toccare nulla… L’Ufficio per l’Energia, con il simbolo della radioattività quale insegna, ci rammenta che qui tutto è nato e tutto è morto per via della centrale nucleare. Strano destino per una città che doveva invece divenire, nella mente di chi comandava, il simbolo del progresso tecnologico e scientifico di una grande nazione: l’Unione Sovietica!
Ecco comparire qua e là l’inconfondibile simbolo di tanta grandezza ormai passata: falce e martello campeggiano un po’ ovunque durante la nostra passeggiata a Prypyat, in cima agli edifici in cemento e sui poster sbiaditi di propaganda sovietica accanto al volto di Lenin…
Ci fermiamo davanti a quello che era un supermercato. Ancora si intravvedono all’interno dell’edificio in rovina le casse e i cartelli dei vari reparti, tutti in cirillico. Passiamo quindi davanti all’enorme Hotel Polyssya, davanti a un ristorante in rovina, e poi per un sentiero che ci conduce fino al luogo simbolo di Prypyat: la Ruota Panoramica. Qui il livello di radiazioni è 7 volte più alto del normale. Si tratta di un grande spiazzo, dove era stato montato con gran cura un enorme parco giochi dal destino fatale: avrebbe dovuto essere inaugurato in occasione dei festeggiamenti del 1° maggio, invece… l’esplosione il 26 aprile… e l’evacuazione il 28 aprile…
Mi avvicino alle macchine da scontro: 13 volte il livello normale di radioattività. Il cartello metallico posto sul cancello d’ingresso indica però un livello di radioattività 23 volte superiore: qui si raggiunge quasi il livello del reattore, meglio andare via!
Prima di ritornare nell’autobus, passiamo quindi per la sede del partito politico della città: un grande locale, dove qui è là ecco sistemati lungo le pareti, un po’ alla rinfusa, i poster coi volti di vari politici sovietici, anch’essi destinati a fare bella mostra di sé durante le parate del 1° maggio, purtroppo per loro, però, mai utilizzati…
Finalmente a bordo: ci incamminiamo verso la Foresta Rossa…il conta Geiger impazzisce, segnando 5.36 microsilvert, ovvero 38 volte il livello normale di radioattività. L’autobus prende velocità, ecco che le radiazioni raggiungono i 10.26 microsilvert, ovvero 73 volte il livello normale di radioattività nell’atmosfera. Qui un incidente stradale vorrebbe dire morte certa! Ci viene spiegato che malauguratamente le autorità sovietiche, per contenere l’altissimo livello di radioattività dell’area, avevano deciso di abbattere quella che era una foresta, chiamata appunto la Foresta Rossa per via del colore che gli alberi avevano assunto dopo l’esplosione, e sotterrarli, decisione che si è rivelata fatale, in quanto i livelli di radiazione del suolo si sono in questa maniera moltiplicati, avvelenando di plutonio terra e falde acquifere, una situazione che nemmeno il nuovo sarcofago potrà mai risolvere!
Superiamo quindi la Foresta di Ferro, composta dei pali elettrici, ora anch’essi altamente radioattivi, che conducevano verso l’esterno l’energia elettrica prodotta nella centrale, e poi il Radar, un’altissima rete metallica utilizzata per spiare i Paesi Occidentali. Qui tutto è altamente radioattivo!
Eccoci fuori dall’area proibita: siamo tornati a Chernobyl, e superiamo il primo controllo obbligatorio del livello di radiazioni assorbito. Uno specialista mi informa che il livello assorbito dal mio corpo è 4 volte superiore a quello normale, quindi mi fa i complimenti: mi sono comportato bene! Ho seguito tutte le istruzioni e ho assorbito “poca” radioattività!
Contempliamo all’esterno della struttura, dov’è avvenuto il controllo, una mostra all’aperto di alcuni dei mezzi utilizzati dai poveri liquidatori per poter “ripulire” la zona delle scorie. Quindi raggiungiamo il ristorante, frequentato prevalentemente dagli “addetti ai lavori”: pranzo tipicamente ucraino, con ingredienti freschissimi provenienti rigorosamente da Kiev (per lo meno ci assicurano che non mangeremo nulla di radioattivo). Non ci fanno mancare nulla, ed è tutto incluso nei 150 dollari circa spesi per poter partecipare a questa singolare esperienza! Una zuppa con della panna all’interno, pasta con mais, piselli e pomodorini, un’omelette molto saporita, ed ancora acqua, succhi di frutta, dolce, caffè…
Rifocillatici dopo una giornata stracarica di emozioni contrastanti, eccoci pronti per il secondo controllo: stavolta i macchinari rilevano un livello doppio di radioattività nel mio corpo. Questo vuol dire che sto reagendo molto bene, e il mio livello di radioattività va naturalmente abbassandosi col passare delle ore!
Siamo pronti per dire addio a questa incredibile esperienza! Varchiamo il controllo passaporti e si ritorna alla “normalità”! Kiev oggi è in festa: si celebrano 22 anni di indipendenza dall’Unione Sovietica! La vita qui scorre tranquilla, quasi ignara del fatto che si è a poche decine di km da un ambiente così surreale e ancora decisamente pericoloso per vari versi!
Torno in albergo, cambio di fretta e furia le mie scarpe, la camicia, i jeans, poi raccolgo gli indumenti utilizzati a Chernobyl, vado fuori e butto via il tutto nel primo cassonetto delle immondizie! Non sono più radioattivo, il mio corpo ha risposto benissimo allo stress subito…eppure non voglio portare a casa nulla che abbia a che fare con questa giornata! Un unico souvenir mi è rimasto tra le mani: un’allegra maglietta dell’Hard Rock Café dedicata a Chernobyl! Sul retro l’elenco degli strani ingredienti di questo singolare “Cafemenu”: uranio, plutonio, stronzio, curio, americio, cesio, cerio, rutenio, bario, tellurio… E in basso una frase alquanto sarcastica, che lascia l’amaro in bocca: “Aperto ogni giorno dal 26 aprile 1986, h 01:24”.
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Andrea Bonfitto