Sprazzi del Sud Africa

Immagini ed emozioni di un intenso viaggio in Sud Africa con qualche consiglio
Scritto da: sirka
sprazzi del sud africa
Partenza il: 28/08/2013
Ritorno il: 08/09/2013
Viaggiatori: 2
Spesa: 3000 €
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Il Sud Africa non faceva parte dei miei sogni, ma mi si è presentata l’occasione di seguire il mio compagno che per lavoro doveva recarvisi e quindi… perchè no? Il mio non vuole essere un diario dei 10 giorni trascorsi laggiù, ma una pennellata di immagini, riflessioni, ricordi ed emozioni.

Tre sono state le tappe del mio viaggio: Stellenbosch, Cape Town e il Kruger Park.

Stellenbosch è una graziosa cittadina abbastanza vicina a Cape Town sulla “via del vino”: può sembrare strano ma in Sud Africa si coltivano pregiati vitigni nel distretto di Cape Winelands. L’industria del vino è una delle principali industrie del Paese, con una produzione di oltre un miliardo di litri di vini all’anno. La cittadina si visita tranquillamente in una giornata: il giardino botanico, il Museo del giocattolo, il Museo etnografico e i numerosissimi negozi di artigianato fanno dimenticare gli 8° di temperatura del 30 agosto…

Non dimenticherò mai la stretta al cuore nel vedere, quasi subito l’atterraggio a Cape Town, le sterminate distese luccicanti dei tetti di lamiera delle baracche abusive che danno corpo alle township, abitate dai neri appartenenti ai ceti più poveri. La loro origine risale agli inizi del ‘900, quando i neri vennero accusati ingiustamente di aver portato, attraverso le immigrazioni, la peste nelle città e quindi vennero confinati ai margini; si ingrandiranno quando, in seguito al boom economico creatosi in seguito alle guerre, giungeranno dalle altre nazioni africane, migliaia di persone desiderose di trovare lavoro. L’apartheid, ossia la separazione tra bianchi, neri e coloured ( meticci) che partirà nel 1948, confinerà in queste baraccopoli un’altra enorme quantità di persone.

Legata indissolubilmente al concetto di apartheid è la mitica figura di Nelson Mandela, la cui immagine si trova esposta dovunque in Sud Africa. Forti sono le emozioni che si provano nell’ascoltare la sua storia raccontata da un ex detenuto della prigione di Robben Island ( l’isola delle foche) dove Mandela trascorse 18 anni per accusa di terrorismo. Vi si arriva dopo 30 minuti di navigazione su un oceano solcato dalle onde, ma che al ritorno regala la visione di un tramonto rosseggiante a pelo d’acqua.

La Table Mountain troneggia su Cape Town e dalla sua cima, raggiungibile con una funivia, si gode un panorama eccezionale, nei rari casi in cui non sia coperta. Ci siamo saliti in uno di questi momenti, in un gelido mattino riscaldato da un ottimo caffè nel confortevole bar, accanto al quale un negozietto vende graziosissimi souvenir. Da una parte si arriva a scorgere il Cape of Good Hope, dall’altra la grande moderna città con il suo grandioso stadio costruito per i Mondiali del 2010 e i numerosi grattacieli.

Vale la pena di scendere fino al Cape of Good Hope, per un incontro con i babbuini che simpaticamente osservano gli umani dai cespugli lungo la strada e i sentieri per arrivare in cima al promontorio. Sotto, i due oceani burrascosi si incontrano…Come non ricordare i numerosi vascelli che si infransero su queste rocce, dopo aver appunto nutrito “buone speranze” di attraversare il capo?

Lungo la strada che costeggia l’oceano, deviamo verso un porticciolo, dove un’enorme foca ci aspetta sul molo e una donna vende uova di struzzo dipinte a mano.

Il giro nella capitale è purtroppo breve, ma mi colpiscono gli allegri colori delle case nel quartiere malese e l’interno di una chiesa metodista dove su un tavolo sono a disposizione dei poveri, contenitori di semi con cui cibarsi liberamente; uno spazio nella chiesa è riservato ai bambini delle famiglie che assistono alle funzioni religiose: giochi, seggioline, grandi cuscini; non mancano tavolini per fermarsi a chiacchierare tra amici dopo i riti.

La strada verso il Kruger Park è lunga e vi arriviamo nel primo pomeriggio a bordo di un pulmino con altri 8 turisti di tutte le parti del mondo. La nostra guida è George, un simpatico e vivace sessantenne che lavora nel parco da sempre. Siamo alla fine dell’inverno, ma qualche zanzara potrebbe esserci; quindi a scanso di equivoci, mi spruzzo con un repellente consigliato dalle guide, ma c’è chi non lo fa. L’enorme statua del presidente Kruger fondatore del parco, troneggia all’ingresso del Camp di Skukuza, il più grande e sede amministrativa.

L’alba del giorno successivo ci aspetta con i suoi tenui colori rosati in questo tratto di bush ancora spoglio; i primi animali che vediamo sono i tenerissimi impala, che brucano in branco; sembrano i nostri cerbiatti… E già dopo questi primi incontri affiorano i ricordi della primissima infanzia, quando guidati da un genitore ci avventuriamo nel mondo ancora sconosciuto degli animali e impariamo i loro versi. Spesso durante le uscite nel Kruger, mi sono chiesta che cosa spinga tante persone a sognare di avventurarsi in un safari anche solo fotografico; penso sia per un desiderio di ritornare all’infanzia, o forse anche alle nostre origini selvagge spesso dimenticate o nascoste perché in contraddizione con il vivere civile.

Non è la stessa cosa vedere un elefante selvaggio, anche se apparentemente tranquillo, a pochi passi dalla nostra macchina fotografica e osservarlo allo zoo; qui sappiamo che potrebbe anche cambiare umore e un pizzico di adrenalina scorre nelle vene, l’inconscio collettivo che da millenni si ripresenta in ognuno di noi, ci fa ritornare con il pensiero e le emozioni a quando l’uomo per sopravvivere doveva difendersi dalle belve feroci…Ora nel parco gli animali sono giustamente protetti e totalmente rispettati; i rangers non puliscono nemmeno le strade dagli escrementi dei rinoceronti, che marcano così il territorio per le femmine che li possano ritrovare.

Le giraffe spuntano dai rami spogli degli alberi; è consigliabile visitare il parco in questa stagione proprio perchè è più facile avvistare gli animali; accanto a loro non è raro vederne altri che pacificamente brucano l’erba. Chissà se riusciremo ad avvistare i five big wild?

Di questi solo uno non si mostrerà: il leopardo, ma gli altri quattro, i rinoceronti, gli elefanti, i bufali e i leoni rimarranno indelebilmente impressi nei files dei nostri computers.

Verso un tramonto arancione, avvistiamo sulla strada una grande famiglia di scimmie: i piccoli aggrappati sulle pance delle mamme, i più grandicelli accanto al padre che li spulcia..Serenamente vivono la fine di questa giornata nel bush. Sul greto di un fiume, si mimetizza un piccolo coccodrillo e poco lontano corre una iena forse attirata dall’odore dei resti di una preda del leone. Il tragitto verso il Pretoriuskop, il secondo campo, è reso più emozionante dall’avvistamento dei leoni; sappiamo di essere sulle loro tracce; le guide dei pulmini si scambiano complici informazioni; veniamo attirati da un’assembramento di auto lungo la strada; ci infiliamo con difficoltà tra di esse e li scorgiamo a una ventina di metri: sette leonesse in fila sinuosamente si dirigono lentamente forse verso il fiume; George, pensa di anticiparle e ci fermiamo fiduciosi accanto a una radura; ma l’attesa è vana; le leonesse probabilmente hanno cambiato idea e non le vedremo più; ma quelli sono stati attimi di vera emozione. A un tratto ci attraversa la strada un magnifico kudu, il simbolo del Kruger: un tipo di altera antilope dalle lunghe corna ricurve e una gobba sulla schiena che non riesce a impedirgli l’eleganza del portamento. Inizialmente mimetizzati, ma poi a distanza ravvicinata, compaiono i musi poco rassicuranti di due bufali...non certo quelli delle mozzarelle….Spesso sono portatori di TBC e i leoni hanno adottato un metodo di assalto per evitare di rimanere contagiati.

Incontriamo anche il waterbuck, un’antilope con un singolare cerchio bianco intorno al sedere; si ripara dagli assalti del leone fuggendo in acqua. Nel cielo avvistiamo avvoltoi, aquile e tanti uccelli dai mille colori. Singolari i minuscoli uccellini pulitori vivono in simbiosi con giraffe e ippopotami. Un branco di questi dorme nel fiume; cinque enormi schiene affiorano l’una accanto all’altra.

Una magnifica serata conclude la giornata: migliaia di stelle sconosciute nel nostro emisfero, riempiono un cielo nero privo di inquinamento luminoso.

Prima di terminare la breve ma intensa visita al parco, incontriamo vicinissime al pulmino, un branco di zebre che con il loro abito a righe, chiudono il nostro safari fotografico. Non nego di aver desiderato di poter scendere dal pulmino…Ci sono gruppi che lo fanno con due rangers armati davanti e in coda. Magari in una prossima vita…

Suggerimenti:

  • I primi giorni a Stellenbosch, graziosa cittadina vicino a Cape Town, si gelava e nei B.B non ci sono caloriferi: piumino, sciarpa e stivali, sono stati fondamentali.
  • Sapere l’inglese, per chi come me ha dovuto trascorrere delle giornate da sola aggregandosi a visite guidate, è indispensabile per poter capire qualcosa delle lunghe spiegazioni delle guide.
  • Per chi in Italia viene tormentato dalle zanzare, forse è bene procedere con la profilassi contro la malaria: il Malarone non dà grossi problemi e rassicura.
  • Munirsi di una bella macchina fotografica, è necessario.
  • In Sud Africa si mangia benissimo, non ci sono problemi di acqua e si spende poco.
  • Trovare il tempo per gironzolare nei negozi di artigianato è un’esperienza fantastica: vi si trovano oggetti raffinatissimi a poco prezzo.
  • Numerose sono le gallerie d’arte che espongono le opere anche all’esterno; bello avere il tempo per visitarle con attenzione!
  • I giardini, malgrado la stagione, stavano riempiendosi dei fiori che noi possiamo trovare solo dal fiorista; può essere interessante prima di partire, documentarsi sui loro nomi per poterli riconoscere.


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