Perù e Colombia-alla riscoperta della Pachamama-I°

Perù e Colombia 2003 Turismo avventuroso e responsabile alla riscoperta della Pachamama (Madreterra) 1 Mar29 Alle 8,12 VOLO Venezia/Madrid (10,20 - 2h8’). Alle 13,08 VOLO Madrid/Lima (17,28 – 11h20’). 2 Mer30 Lima - M: alle 8 partenza in bus per Pisco (Ormeño econ. 3h45’). Bellissimi panorami, con la strada che si incunea tra...
Scritto da: Paolo Ciscato 2
perù e colombia-alla riscoperta della pachamama-i°
Partenza il: 29/07/2003
Ritorno il: 23/08/2003
Viaggiatori: fino a 6
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Perù e Colombia 2003 Turismo avventuroso e responsabile alla riscoperta della Pachamama (Madreterra) 1 Mar29 Alle 8,12 VOLO Venezia/Madrid (10,20 – 2h8’). Alle 13,08 VOLO Madrid/Lima (17,28 – 11h20’). 2 Mer30 Lima – M: alle 8 partenza in bus per Pisco (Ormeño econ. 3h45’). Bellissimi panorami, con la strada che si incunea tra deserto e oceano. P: in taxi (pacchetto turistico – pt) visita alla riserva di Paracas (la Catedral). S: alle 17,40 bus (econ.) per Ica (1h15’) e alle 19,15 collectivo per Nazca (21,45-2h30) 3 Gio31 Nazca – M: in bus (pt) visita alla fabbrica di ceramiche, al laboratorio dell’oro e al cimitero di Chauchilla. P: ore 16,30 VOLO (pt) sopra le linee di Nazca (ca 33’). S: alle 23 bus per Arequipa (Ormeño Business – 9h30’) e arrivo alle 8,10. 4 Ven1 Arequipa (2325 mt) – visita alla “città bianca” circondata da 3 vulcani (Misti, Chacani, Ampato): Monastero di S. Catalina, Museo Santuarios andinos, Cattedrale, la Compañia e Plaza de Armas. 5 Sab2 Arequipa – M: alle 8 escursione in bus (pt 2 gg) al Canyon del Colca (3633 mt). Riserva Nazionale Salinas y Aguada Blanca. Sosta a Cañahuasi (4000 mt) per il Mate de Coca e poi per le Vigogne. Mirador a 4910 mt. Alle 13 arrivo a Chivay (5 ore) P: bagno alle acque termali. 6 Dom3 Chivay (3633 mt)-alle 6,15 escursione al Mirador della Cruz del Condor (8,15-3600 mt) con soste a Maca, Pinchollo e Yanque. P: Pranzo a Chivay e ritorno ad Arequipa. 7 Lun4 Arequipa – M: visita alla chiesa di S. Francesco e alla Plaza de Armas. P: alle 13,37 VOLO (14-23’) per Juliaca. In collectivo a Puno (1h). Tramonto sul lago Titicaca dal porto. 8 Mar5 Puno (3860 mt) M: alle 8,20 escursione in barca (pt) sul lago Titicaca: alle isole galleggianti degli Uros e Amantanì P: alle 16 escursione al Tempio di Pachamama per il tramonto. S: Festa in costume (Peña) nel pueblo di Colquecachi dove alloggiamo 9 Mer6 Amantanì – M: Alle 7,30 partenza in barca per l’isola di Taquile. Visita al centro con danze e ritorno. 10 Gio7 Puno – M: alle 9 visita in taxi alla necropoli (Chullpas) di Sillustani (35’-4000 mt) sul lago Umayo. P: alle 13 partenza in bus (Cruz del Sur econ. 6h30’) per Cuzco. Passo La Raya 4500 mt. 11 Ven8 Cuzco (3360 mt) – visita alla città (Plaza de Armas, Cattedrale, Compañia, chiesa di S. Blas, Mercede, S. Francesco, S. Domingo Mura Inca) 12 Sab9 Cuzco: Alle 8,30 visita alle 4 Ruinas in bus (30’) e poi a piedi (Tambo Machay, Puca Picara, T.Luna, Qenko, Sacsayhuamàn). 13 Dom10 Cuzco M: alle 9,20 escursione in bus (pt) al mercatino domenicale e alle rovine di Pisac (1h). P: prosecuzione sulla Valle Sacra degli Indios lungo il Rio Urubamba (2850 mt) fino a Ollantaytambo e Visita. S: alle 19,45 treno per Aguas Calientes (1h45’). 14 Lun11 Aguas: M: ore 6,30 partenza in bus per Machu Picchu. Visita (pt) alla “città perduta degli Incas” (2400 mt). Salita al Huayna Picchu e vista della città dall’alto. Salita alla “Porta del sole” (Intipunku). 15 Mar12 Aguas: M: ore 5,45 partenza del treno per Ollantaytambo. Breve visita e in taxi per il mercato di Chinchero e Cuzco. P: visita del centro (S.Domingo e Coricancha), mura Inca (Avenida Loreto e Calle Trionfo) e shopping 16 Mer13 Cuzco M: alle 7,30 VOLO per Lima (8,26-56’). Visita al Museo dell’Oro. P: visita alla città: Plaza de Armas e Cattedrale, tramonto al Mirador di Miraflores). – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – 17 Gio14 Lima – ore 6,05 VOLO per Bogotà (8,40-2h35’). Ore 13,50 VOLO per Monteria (14,40-50’) 18 Ven15 Monteria – escursione in Jeep ad Arbolete (1h) al Vulcan de Lodo (fango) sull’oceano Pacifico. 19 Sab16 Monteria – visita alla missione. 20 Dom17 Monteria – visita alla missione. 21 Lun18 Monteria – alle 6 in taxi luz (3h15’) a Cartagena e visita al gioiello di epoca coloniale sul mar dei Caraibi. (Plaza San Pedro Claver, Cattedrale, Chiesa di S. Domingo, Porta dell’orologio, Piazza de la Aduana, Castillo de San felipe) 22 Mar19 Cartagena: visita alle Isole del Rosario (pt). Spiaggia di Cholon sull’isola di Baru’ e Isla dell’Incanto. (parco naturale con una barriera corallina fra le + ricche al mondo). 23 Mer20 Cartagena – alle 6 in Taxi luz (4h) ritorno a Monteria. Pranzo da Sr. Marisa. 24 Gio21 M: visita al centro di Monteria e al suo mercatino. Pranzo dalle Clarisse P: ore 18,40 VOLO per Bogotà (19,27-47’). 25 Ven22 Bogotà – M: visita al centro storico (Plaza Bolivar, Cattedrale, Capilla del Sagrario, S. Clara, Candelaria, e Museo dell’Oro). P: ore 17,48 VOLO per Madrid (10,16 – 9h28’). 26 Sab23 Alle 10,16 arrivo a Madrid. Alle 12,36 VOLO per Malpensa (14,20-1h43’). Trasferimento in bus (50’) alla stazione centrale e alle 17,15 treno per Vicenza.

Prologo E’ il 10 Gennaio e mi sono appena recato in agenzia per prenotare i biglietti aerei per il Perù e la Colombia. Vogliamo andare a trovare mio cognato che vive in Colombia da un anno e mezzo e ci abbiniamo anche un giretto in Perù, meta tante volte ambita e finalmente a portata di mano. Ci spaventa un po’ l’idea di andare in Colombia, lo Stato con il maggior numero di attentati. Mio cognato Marco ci rassicura dicendoci che dove vive lui, a nord verso il Mar dei Caraibi, la situazione è abbastanza tranquilla. E’ proprio quel “abbastanza” che ci preoccupa di più. Ho trascorso tutte le vacanze di Natale a leggere e rileggere tutto il materiale che mi sono pazientemente scaricato da Internet. E’ la prima volta che comincio ad organizzare un viaggio con così tanto anticipo, ma sono certo che questo sarà un viaggio molto particolare. Visto che durerà quasi 4 settimane, per economizzare e per fare un’esperienza particolare, abbiamo deciso di girare sempre con mezzi pubblici, mangiare in ristorantini, dormire in alberghetti (comunque puliti e con l’acqua calda) e cercare, dove possibile, di andare a contatto con la gente del posto, per conoscere e capire anche le realtà che stanno dietro i lustrini turistici. Oltre all’avventura vogliamo anche fare una parte di turismo responsabile. Era così buffo leggere di quei paesi così lontani e caldi mentre attorno a me la neve imbiancava il paesaggio alpino. Mancano molti mesi, ma passeranno in fretta. Il pensiero ripercorre l’immaginario di ciò che sarà, nell’auspicio che sia come noi vorremmo che fosse. Mercoledì 16 Luglio Mancano solo 12 giorni alla partenza e l’Iberia ci ha confermato i voli solo oggi. Ormai avevamo perso ogni speranza di partire! Comunque, passato lo spauracchio ora dobbiamo cominciare a preparare gli zaini e le valigie. Fa un caldo infernale e l’idea di trovare in Perù delle temperatura anche rigide ci dà un po’ di refrigerio, che ci passa subito al momento di mettere anche la giacca a vento tra i nostri bagagli. Abbiamo letto e riletto molta documentazione sul Perù. Molto materiale lo abbiamo scaricato da Internet: dal Sito Turisti per Caso (www.turistipercaso.it), da Magie delle Ande (www.magiedelleande.it), da alcuni siti peruviani (www.peruviaggi.info, www.traficoperu.com www.enjoyperu.com/italiano/principal/index-it.html). Ringrazio Sarita, Susy, Marco, Gabriele Poli, e quanti hanno reso disponibile le loro testimonianze per renderci il viaggio più accessibile e interessante. Abbiamo letto con molto interesse il libro “Magie delle Ande” di Gabriele Poli, mio concittadino che però non conosco personalmente, ma che ho visto in una trasmissione “Alle falde del Kilimangiaro”. Consigliamo anche la lettura del libro “Latinoamericana” di Ernesto Che Guevara. Le guide che abbiamo usato sono la classica Lonely Planet (da aggiornare nei dati ma molto concreta e sintetica per pianificare dettagliatamente ogni particolare) e la guida “Perù” edita da Zanfi-Logos che è molto più culturale e meno pratica. Interessante e bellissimo anche il libro fotografico “Antico Perù” edizioni White Star che Roberta e Patty mi hanno regalato lo scorso Natale per convincermi ad organizzare questo viaggio. Al ritorno abbiamo rivissuto l’emozione della scoperta di Machu Picchu tra le righe del libro “la città perduta degli Inca” scritto dal suo scopritore Hiram Bingham.

Martedì 29 Luglio – Venezia – Lima E’ finalmente arrivato il momento di partire! Io, mia moglie Gabri, sua cugina Roberta e la nostra amica Patty, soci fondatori del gruppo culturale Kaìros (kairos_it@hotmil.com), siamo pronti al lungo viaggio di 26 giorni che ci porterà in Sud America… Alle 5,30 partiamo dalla nostra cittadina in provincia di Vicenza e ci dirigiamo verso l’aeroporto di Venezia dove arriviamo alle 6,40. Rimaniamo sorpresi nel vedere il “nuovo” aeroporto che si presenta molto bene: bello, pulito, ordinato e funzionale. Abbiamo il tempo per fare colazione e poi il check-in. Il volo Iberia per Madrid decolla alle 8,12 e arriva a destinazione dopo 2 ore e 8 minuti di volo. Dal teminal di arrivo ci dobbiamo spostare a quello per le partenze intercontinentali… e non è facile. Per la disorganizzazione ci sembra di esser ancora in Italia. Arriviamo trafelati al gate B21 e attendiamo fino alle 13,08 quando decolliamo per Lima con quasi 30 minuti di ritardo. Il volo è lungo e tutto di giorno. Cominciamo a prendere confidenza con la lingua spagnola, che non conosciamo se non per alcune parole che abbiamo imparato 10 anni fa in Guatemala, e per una certa assonanza con il nostro dialetto veneto. Di dormire non se ne parla e allora leggiamo ancora le guide e i nostri appunti. Ci siamo così suddivisi i compiti: io sono l’organizzatore e il coordinatore (cioè tante responsabilità e nessun vantaggio), mia moglie è la “guida” (nel senso che legge la guida), Roberta è responsabile della cassa comune e Patty è la P.R. (Public Relations) visto le sue capacità linguistiche (purtroppo però non conosce lo spagnolo!). Il volo procede regolare anche se il sedile di Patty è un po’ scassato (poggiapiedi e auricolare) e le hostess e gli steward hanno un’età media molto elevata, quasi geriatrica. Ridiamo divertiti pensando che sia la gita dell’Inps spagnola per il personale prossimo alla pensione…se l’aereo cade ci saranno meno pensionati da mantenere. Nell’ultima parte del volo una signora peruviana mi chiede, in inglese, informazioni sul nostro viaggio. Lei è di Lima e ci raccomanda di prestare molta attenzione nel girare, soprattutto per Lima e Cuzco, perché sono città molto pericolose. Ci raccomanda di fare molta attenzione ai bagagli e agli oggetti di valore. Ci racconta di turisti assaliti e minacciati da malintenzionati. Ci sconsiglia di dormire nel centro di Lima. Siamo già al corrente di tutto questo e sappiamo anche le strategie da adottare per difenderci. Dopo 11 ore e 20 minuti di volo, alle 0,28 ora italiana, cioè alle 17,28 ora peruviana atterriamo all’aeroporto di Lima nella repubblica del Perù. Sta per imbrunire e abbiamo subito un netto impatto con il grigiore della garùa, la nebbiolina che da aprile a dicembre copre la zona della capitale. Siamo partiti con un gran caldo, ma qui siamo costretti a recuperare dal nostro zaino i maglioni e la giacca a vento perché siamo piombati nel nostro autunno. Ritiriamo i bagagli, acquistiamo i biglietti aerei per i voli Arequipa-Juliaca e Cuzco-Lima (Aerocontinente), cambiamo un po’ di dollari ed Euro e usciamo dove ci attende Rafael, il taxista inviato dall’Hostal Roma (che abbiamo prenotato via Internet dall’Italia). Siamo arrivati in Perù nel bel mezzo delle Fiestas Patria (Indipendenza del Perù 28 e 29 Luglio), la principale festa nazionale. Ce ne accorgiamo dal poco traffico, comunque chiassoso e affumicante, e dalle bandiere (3 fasce verticali, 2 rosse laterali e una bianca centrale con stemma) che sventolano su ogni edificio e su ogni automezzo. In circa 30 minuti arriviamo all’Hostal Roma che si trova vicino a Plaza de Armas. Sarà la stanchezza, sarà il fuso orario, sarà il freddo e la garùa ma questo posto ci sembra un po’ troppo spartano. Decidiamo comunque di restare e Lima, definita “la città più triste del mondo” o “Lima l’orribile”, ci ospita solo per un breve pernottamento. Domani mattina si parte subito per la costa Sur (Pisco e Nazca), Arequipa, il lago Titicaca e Cuzco per poi tornare a Lima per trasferirci in Colombia. Dopo aver depositato in camera i bagagli, io e Patty andiamo con il taxista al terminal Ormeño per acquistare i biglietti del bus per Pisco per domani mattina alle 7,30. Siamo preoccupati di non trovare posto, visto che siamo in piena festa. Il terminal dista pochi minuti dall’albergo. Troviamo, senza problemi, i biglietti per il bus di classe economica (si ferma spesso, impiega più tempo ed è poco confortevole ma comunque costa poco). Chiediamo anche per il tratto Pisco-Nazca e Nazca-Arequipa dei giorni seguenti. Ci dicono che per tali tratte, agli orari che noi abbiamo previsto, ci sono solo le Business Class e Royal Class. Queste due classi sono per turisti, quindi più veloci, con meno soste e più confortevoli, ma più costose. Stravolti dal sonno (per il nostro fisico sono le 2 di notte!) decidiamo di provare a sentire anche al terminal della Cruz del Sur e ci facciamo accompagnare dallo stesso taxista, che si prodiga per farci capire quanto ci viene detto. Qui ci dicono che i loro bus non entrano a Pisco e a Nazca e che bisogna attenderli lungo la Panamericana. Solo con i biglietti per Pisco ritorniamo in hotel. Alle 21 siamo di ritorno e, senza cenare, sistemiamo i conti della cassa comune e andiamo finalmente a letto… quando per noi è già quasi ora di alzarci. Per il freddo e per il fuso orario riusciamo a dormire ben poco. Mercoledì 30 Luglio – Lima-Pisco-Nazca Alle 6 la sveglia suona inesorabile. Depositiamo nell’Hostal le valigie con l’abbigliamento leggero/caraibico che non ci servirà per le 2 settimane di Perù e prepariamo gli zaini grandi con l’abbigliamento pesante. Vorremmo fare la colazione, compresa nel prezzo della camera, ma viene servita dalle 7. Allora, visto che non possiamo farla, chiediamo uno sconto sul prezzo della camera, ma ci viene negato. Arrabbiati e certi di non tornare qui per la notte che faremo al ritorno, alle 6,45 partiamo, sempre con il taxista Rafael, per il terminal Ormeño. Scendendo dal taxi ci carichiamo lo zaino grande sulle spalle e quello piccolo davanti. Così bardati, con un peso che ci affossa le spalle, faremo tutti i trasferimenti tra le varie città. In biglietteria chiediamo ancora per i biglietti del tratto Nazca-Arequipa (che faremo di notte) e ci comunicano un prezzo più alto di quello della sera precedente. Scopriamo per la prima volta che in Perù le informazioni non hanno mai un valore certo e assoluto! Il prezzo ci sembra un po’ eccessivo, e lo imputiamo al fatto che siamo nel periodo delle feste. Vista la nostra titubanza, la cassiera ci dice, con molta innocenza, che lo stesso biglietto preso a Pisco o a Nazca costa sicuramente meno. Decidiamo di aspettare e di provare alle prossime tappe. Nonostante che l’Ormeño sia considerata la migliore compagnia di bus del Perù, il terminal è alquanto spartano e poco funzionale. Consegniamo i bagagli che vengono numerati con il gesso. Patty ha portato dall’Italia un pezzo di catena del suo cane e un lucchetto per incatenare gli zaini durante il viaggio. Però non ci è possibile farlo perché i bagagli vengono caricati da un addetto e ci convinciamo che forse non è necessario. Finalmente saliamo, quasi in anticipo. Contro ogni previsione (Fiestas Patria comprese) il bus è quasi vuoto, tanto che parte con mezz’ora di ritardo per poter “raccogliere” altri passeggeri, richiamati in strada dal bigliettaio. Il bus parte alle 8 con a bordo alcuni venditori ambulanti che girano per vendere le loro cianfrusaglie. Ce n’è uno che comincia a predicare come fosse un santone. Non capiamo molto ma alla fine del suo sermone comincia a vendere delle caramelle. Siamo in Sud America e ci dobbiamo abituare ai loro ritmi e alle loro abitudini. Usciti dal centro di Lima, la periferia ci mostra il suo degrado con innumerevoli casupole fatte di cartone, lamiera, cartelli stradali divelti e ogni altra cosa che possa riparare dalle intemperie. D’altra parte a Lima abitano 8 milioni di abitanti, un terzo dell’intera popolazione. Il Perù ha una superficie 4 volte maggiore dell’Italia ma molte zone, sia perché costituite da deserto, montagne inospitali o foresta amazzonica, sono scarsamente popolate. La popolazione si riversa sempre più spesso nelle periferie degradate delle grandi città, alla ricerca di un minimo di sussistenza ma trovando, invece, solo miseria e disperazione. Imbocchiamo, quindi, la Panamericana, una striscia dritta di asfalto che solca la costa desertica. Il paesaggio è surreale, a sinistra il deserto con le dune di sabbia e a destra le onde dell’oceano Pacifico che si infrangono sulla spiaggia. Peccato che ci sia questo tempo uggioso, altrimenti sarebbe ancora più suggestivo! Il Perù si caratterizza per le sue tre fasce climatiche. Nella zona desertica costiera il clima è arido, all’interno è caratterizzato dalla zona andina con temperature più rigide e la zona amazzonica ha un clima caldo umido. Dopo 3 ore e 45 minuti, 235 Km e varie fermate, dove ad ognuna saliva qualcuno a vendere qualcosa, arriviamo finalmente a Pisco alle 11,45. Al terminal chiediamo ancora per i biglietti del bus notturno Nazca-Arequipa in Business Class e ci vengono proposti ad un prezzo più basso rispetto a Lima. Vedendoci indecisi ci fa uno sconto e decidiamo di acquistarli a 60 NS (16,7 Euro) invece che a 80. Al terminal troviamo una signora dell’agenzia Ballestas Travel Service che ci dice che, per fare l’escursione alle Isole Ballestas è troppo tardi e il mare è troppo mosso. Ci propone quindi l’escursione pomeridiana di 4 ore all’area protetta della Penisola di Paracas e le isole per il giorno dopo. Visto che stasera si riparte per Nazca, decidiamo di fare solo la prima. Intanto “pranziamo” in Plaza de Armas con 1 banana, 1 arancia e 1 pezzo di pane a testa. Alle 13, noi 4 con una Volvo con autista che ci fa anche da guida, ci dirigiamo verso Paracas (15 km). I colori della sabbia e delle rocce cambiano spesso lasciando intravedere venature rosse, gialle, bianche e grigie, che i riflessi del pallido sole pomeridiano esaltano ulteriormente. Ci fermiamo al mirador da dove si possono ammirare i fenicotteri rosa. Vista la lontananza e il grigiore non si vede granché e solo con il teleobiettivo da 300 mm della mia Nikon riesco a vederli meglio. Visitiamo anche il piccolo centro di documentazione che spiega i vari aspetti di quest’area: l’ecosistema, la fauna, la cultura di Paracas esistita in quest’area tra il 300 e il 200 d.C, e famosa per le stoffe e le ceramiche. Decidiamo di non visitare il piccolo museo perché abbiamo letto che non è molto fornito e comunque ne vedremo di migliori nel corso del nostro viaggio. Con l’auto ci spostiamo nel deserto su una strada sterrata fino ad arrivare alla famosa Cattedrale, un arco di roccia naturale adagiato sulle acque dell’oceano, dove nidificano innumerevoli stormi di uccelli marini. La vista della scogliera dal punto panoramico è mozzafiato. Gli unici rumori che si sentono sono il sibilare del vento e l’infrangersi delle onde. Da qui, a piedi, scendiamo per un ripido sentierino sulla sabbia fino a raggiungere la spiaggia e, quindi, le viscere della Cattedrale. Lungo la spiaggia vediamo anche le carcasse di 2 leoni marini. Ritornando verso l’uscita dell’area protetta ci fermiamo in un porticciolo da dove ci sono dei suggestivi scorci marini. Alle 17, come previsto, siamo di ritorno a Pisco. Chiediamo informazioni all’agenzia su come raggiungere Nazca. Ci consigliano di prendere lì vicino un bus per Ica e poi da lì un collectivo per Nazca. Il tutto è veloce ed economico. Ci dirigiamo a piedi al vicino terminal della compagnia Saki e assistiamo ad una processione funebre con 2 bare e la banda musicale al seguito. Sul nostro bus stanno caricando di tutto, mobili compresi. Questo è un bus popolare, sia nel prezzo che nello stile. Saliamo e prendiamo posto nei sedili assegnatici nel biglietto. Da qui partiamo alle 17,40 e arriviamo a Ica dopo 1 ora e 10 minuti di strada fatta quasi tutta al buio. Scesi dal bus chiediamo per la fermata del collectivo e ci viene indicato di proseguire per un centinaio di metri. Ce n’è uno in partenza per Nazca. Ci caricano gli zaini sul tetto e alle 19,15 il minibus, una volta pieno, parte. Siamo talmente stanchi che uno alla volta ci addormentiamo e, con la testa barcollante, assistiamo nel dormiveglia al frenetico saliscendi dei vari passeggeri alle fermate. E’ un susseguirsi di colori, odori, oggetti che vengono caricati e scaricati. Arriviamo alle 21,45 a Nazca, proprio vicino al terminal Ormeño. Qui ci chiedono qual è il nostro hotel e ci portano gratuitamente in auto all’ Hotel Alegrìa (che abbiamo prenotato via Internet dall’Italia) e che dista poche centinaia di metri. Depositiamo i bagagli in camera e usciamo a cenare, visto che oggi abbiamo saltato sia la colazione che il pranzo e ieri la cena. Andiamo al ristorante El Portòn, che, a differenza dell’apparenza, scopriremo poi dalla guida che è uno dei posti più esclusivi. Vista l’ora e la stanchezza prendiamo solo una Sopa (zuppa) di funghi o pomodoro. Patty ordina da bere la Inka Kola: è una bevanda frizzante di colore giallo fosforescente (chissà quali e quanti coloranti!) dal sapore di medicina. E’ quasi imbevibile e sarà la prima e ultima volta che la prenderemo. Alle 23,30 siamo finalmente a letto, nella speranza che il fuso orario ci consenta di dormire. Giovedì 31 Luglio – Nazca (mt 598) Alle 7,15 ci alziamo, dopo una notte tranquilla. Scendiamo e facciamo la prima colazione continentale (desayuno continental) che si ripeterà sempre uguale tutte le mattine (pane, burro, marmellata, succo di arancia/papaia/mango/ananas, caffè/tè/mate de Coca). Oggi abbiamo previsto il sorvolo delle famosissime Linee Nazca e la visita al cimitero di Chauchilla organizzate dall’agenzia turistica dell’ hotel. Ci dicono che faremo al mattino la gita al cimitero e il sorvolo alle 13. Alle 9 partiamo in minibus per l’escursione al cimitero di Chauchilla. Splende un bel sole caldo. La gita prevede una sosta al laboratorio artigianale della ceramica e al laboratorio dove estraggono l’oro. Nel primo ci fanno vedere la tecnica di come costruivano le ceramiche durante la civiltà Nazca. A noi sembra il solito modo di come vengono costruiti in qualsiasi altra parte del mondo. Nel secondo ci spiegano le procedure per estrarre l’oro dalla roccia che viene trasportata dalle vicine montagne. Il tutto, come al solito, dovrebbe servire per poi farci acquistare gli inutili souvenir. Noi, esperti e consapevoli che con il tipo di viaggio che stiamo facendo è meglio che acquistiamo i regalini all’ultima tappa, usciamo di soppiatto e ci fermiamo a chiacchierare con 2 simpatici ragazzi genovesi in viaggio di nozze, che rincontreremo ad ogni tappa del nostro viaggio. Proseguiamo l’escursione e arriviamo al cimitero che dista 30 km da Nazca ed è in pieno deserto. Racchiude una dozzina di tombe contenti i resti scheletrici, i capelli, le ceramiche e le stoffe risalenti ad un periodo tra il 1000 e il 1300 d.C. Vediamo, per la prima volta, i crani schiacciati in segno di nobiltà. Il suolo attorno è ancora cosparso di frammenti di ossa e di stoffe e alcuni avallamenti del terreno indicano il lavoro notturno dei tombaroli. Torniamo, quindi, in hotel. All’agenzia ci informano che il volo è stato posticipato alle 14. Decidiamo di non pranzare per non dover poi pentircene. Circolano voci che oggi c’è molta gente che deve sorvolare le Linee, visto che è una bella giornata dopo alcune di tempo incerto. Il rischio è che non si riesca a volare e siccome stasera si riparte decidiamo di andare in taxi al vicino aeroporto per verificare la situazione di persona. Arrivati lì entriamo nei piccoli uffici di una compagnia aerea economica e chiediamo. Ci dicono che è tutto prenotato e possiamo solo metterci in lista d’attesa. Intanto vediamo i piccoli aerei Piper decollare e ci chiediamo se realmente ce la sentiamo di fare un’esperienza tanto mozzafiato. Proviamo con un’altra. Anche in questo caso la situazione non cambia. Sono le 14 passate e qui troviamo 2 amiche di Patty che dalle 8 del mattino attendono di decollare. Anche loro le rincontreremo ad ogni tappa del nostro viaggio. Ritorniamo delusi all’hotel e aspettiamo fiduciosi…d’altra parte non possiamo fare altrimenti. Nel frattempo andiamo in un InternetCafè lì vicino e scriviamo alcune e-mail. Finalmente alle 16 hanno l’Ok dall’aeroporto e ci caricano tutti su un minibus e ci portano negli uffici dell’Aero Condor all’aeroporto. In attesa del decollo ci fanno vedere un filmato (in inglese) che spiega le varie teorie sull’origine delle Linee. Non si capisce granché e noi vorremmo finalmente vederle dal vero e dall’alto! Questi enormi disegni geometrici tracciati sul deserto per centinaia di metri, sono stati a lungo studiati dalla tedesca Maria Reiche. Secondo la sua teoria le Linee rappresentano un calendario astronomico usato per l’agricoltura. Poco dopo chiamano noi 4 e una giapponese. Ci fanno entrare in uno stanzino, paghiamo il sorvolo e l’escursione al cimitero e finalmente ci accompagnano in taxi al terminal di partenza. Cominciamo ad avere un po’ di panico. Io, essendo l’unico maschietto del gruppo, mi devo contenere. Consegnata la carta di imbarco ci dirigiamo verso l’hangar. Il panico aumenta mentre il sole comincia a scendere sull’orizzonte. E’ finalmente arrivato il momento di vedere questo stupefacente scenario, decretato dall’Unesco Patrimonio dell’Umanità nel 1994. Alle 16,30 ci fanno salire sul piccolo aereo. Il pilota mi fa sedere al suo fianco. Dietro di me c’è Roberta e la giapponese, in fondo ci sono Gabri e Patty. Il rumore assordante dei 2 motori ad elica si attenua un po’ dopo che ci siamo indossati le cuffie, dalle quali il pilota ci spiegherà le varie figure che incontreremo. Prima di partire ci consegna una mappa della zona e ci illustra il piano di sorvolo. Ci dirigiamo verso la pista di decollo, i motori sembrano girare al massimo… e via si parte! Il Piper sobbalza più volte prima di riuscire a decollare. Una volta staccati da terra il panorama è bellissimo. Nazca sembra un’oasi verde in un deserto sconfinato. Le Linee che vediamo sotto rappresentano vari soggetti. Incontriamo prima la balena, poi i triangoli, l’astronauta, le mani, il cane, l’albero, la scimmia, il condor, il ragno e l’uccello. Poi comincia il ritorno con l’alcatraz e il pappagallo. Ad ogni figura il pilota inclina il piccolo aereo prima da una parte e poi dall’altra per far vedere meglio le figure a noi passeggeri. Dopo l’apprensione iniziale mi sto divertendo. Fotografo, filmo, guardo con molto interesse, mentre, dietro di me, i succhi gastrici delle altre passeggere cominciano a dare problemi. Qualcuna è costretta ad usare il sacchettino posto sullo schienale davanti. Altre ingurgitano travelgum a tutto spiano. Dopo 33 minuti rimettiamo le ruote al suolo e finisce così la più appassionante avventura del nostro viaggio. Io e le altre 2 “superstiti” del volo facciamo la foto ricordo con il comandante davanti al Piper. Scherzi a parte merita veramente vedere questo spettacolo che non ha ancora trovato spiegazione certa. All’uscita ci attende il minibus che ci riporta all’hotel. Il pilota mi consegna la custodia della fotocamera che avevo dimenticato sull’aereo. Sono le 18 e ho una fame bestiale mentre le mie compagne di viaggio sono ancora con lo stomaco sottosopra. Decidiamo allora di fare l’ultima passeggiata per il centro di Nazca in attesa di cenare e di “smaltire” il volo. Andiamo quindi da Rico Pollo dove prendiamo 1 pollo in 4 con patatine, bibita gassata e verdure. Io mangio con gran appetito mentre le altre piluccano solo qualcosa. Dopo la cena beviamo il primo Mate de Coca in un InternetCafè per prepararci allo sbalzo di altitudine che avremo durante il trasferimento notturno ad Arequipa. Alle 20 ci spostiamo in taxi al terminal Ormeño da dove dovremo partire alle 21. L’attesa si fa lunga, comincia a fare freddo e gli zaini pesano. Dall’hostal Alegrìa ci prenotano un alberghetto ad Arequipa in modo da arrivare già sapendo dove andare. Il bus arriva alle 23! Saliamo e ci accomodiamo sui posti a noi riservati. Il bus è confortevole con sedili spaziosi e bagno. Appena saliti ci gonfiamo i cuscini che ci consentiranno di dormire meglio… e di non appoggiare la testa sui sedili sporchi. Dormiamo mentre il bus sfreccia a tutta velocità tra i pendii andini con numerosi saliscendi. Ad una fermata vado in bagno e noto che l’autista, risalendo e mettendosi al volante, si fa il segno della croce: non riesco a capire se questo è un segno di buon o cattivo auspicio. Venerdì 1 Agosto – Arequipa (mt 2325) Alle 6,30 mi sveglio mentre dal finestrino scorrono paesaggi ancora desertici e brulli. E’ il deserto montuoso delle Ande. E’ strano per noi pensare che ci sia il deserto a più di 2000 mt! Alle 7,30 una dolce musica andina ci fa pensare che siamo ormai arrivati. Il paesaggio desertico è intervallato da pianure verdi coltivate e irrigate dall’acqua che scorre sui pochi torrenti. Vediamo sullo sfondo il profilo severo e conico del vulcano Misti che sovrasta la città bianca di Arequipa. Arriviamo alle 8 al terminal terrestre (dove arrivano i bus di tutte le compagnie). C’è Jack dell’agenzia PeruTravel (legata a Colonial Tours) che ci attende e ci conduce in taxi all’hostal San Augustin. E’ pieno perché c’è un gruppo di Viaggi Avventure nel Mondo. Ci porta in un altro, ma lo riteniamo troppo spartano. Al terzo tentativo troviamo un buon alberghetto vicino al centro. E’ l’hostal La Casa de Margott. Sembra tutto nuovo o comunque ristrutturato da poco. Ha un piccolo patio in ingresso e le camere (abitacion) sono pulite e ben dotate con bagno privato e acqua calda. Facciamo colazione e Jack ci propone l’escursione al Canyon del Colca di 2 giorni al prezzo di 27 $ con un minibus. Contrattiamo per 25 $ e sono esclusi i 2 pranzi, la cena e l’ingresso alle sorgenti termali di Chivay. Alle 10,30 iniziamo a piedi la visita della città. Arequipa è chiamata anche la “città bianca”: non si sa se questo sia dovuto al fatto che tutte le costruzioni sono di colore bianco, perché fatte con blocchi di roccia vulcanica bianca o perché era abitata prevalemtemente dagli spagnoli che qui si insediarono numerosi dopo la conquista. Inoltre è attorniata da molti vulcani (Misti, Chachani, Pichu Pichu, e altri sono nelle immediate vicinanze) che rendono la zona altamente sismica. La città fu, infatti, distrutta molte volte da violenti terremoti, l’ultimo dei quali nel 1960. Il centro storico di Arequipa è stato l’ultimo ad essere decretata dall’Unesco Patrimonio dell’Umanità nel 2000. Iniziamo la visita dal monastero di Santa Catalina con la guida che parla un italiano stentato e ripetitivo. Questo è considerato il più bel edificio coloniale peruviano. Il monastero, costruito nel 1580 e che copre un’area di 20.000 mq, è tenuto benissimo, con colori sgargianti e scorci scenografici che mi fanno scattare un sacco di foto. Il cielo azzurro sul quale si staglia il profilo conico del vulcano Misti innevato, fa da degno coronamento cromatico alle mura affrescate di colori pastello sgargianti che spaziano dal rosso/marrone al giallo senape, al blu intenso, al bianco. Questa policromia, esaltata dal sole splendente, non ci fa dimenticare che tra quelle mura sono trascorsi secoli di storia, si sono vissute vite dissolute e pie, con monache ricche che portavano la loro dote e schiave che facevano loro i servizi più umili. Un monastero anomalo finché il Papa, nel 1871, non decise di farlo tornare un luogo di culto e di preghiera. Ora rimangono una ventina di suore ritirate in una piccola parte e il resto è il paradiso dei turisti. Si visitano le varie viuzze, le stanze (o meglio chiamarli appartamenti) delle monache dei vari livelli sociali ed economici, la cucina, la zona delle novizie e quella delle postulanti. C’era persino la camera mortuaria, sopra la quale campeggia la scritta “de profundis”. Dopo il giro guidato ne facciamo un altro da soli per rivederlo con più calma e per fare altre foto. In un piccolo recinto vediamo, per la prima volta, i cuy, dei piccoli porcellini d’India che sono una prelibatezza culinaria peruviana. A noi sembrano degli enormi topi o criceti! Ci soffermiamo a vedere il museo dove sono esposti gli affreschi di scuola Cuzqueña. Trascorriamo qui tutta la mattina. Usciamo alle 13,15 perché abbiamo fame. Pranziamo in un localino sulla stretta via pedonale dietro la Cattedrale. Ordiniamo un menù turistico e per pochi sol (come sarà anche nei prossimi giorni) mangiamo una sopa, un secondo e una bibita. Lungo la via alcuni musicanti ci allietano con le canzoni folkloriche andine. Le più famose sono “El Condor Pasa” (cantata anche dagli Inti Illimani) e “Achakachi”, suonate con gli strumenti tipici come il charango (chitarrina), il bombo (tamburo), il quenas (flauto) e il siku (flauto di Pan fatto di bambù). Nel corso del viaggio le sentiremo così spesso da diventarne la colonna sonora. Mentre pranziamo si avvicina una ragazzina con un bambino avvolto sulla schiena. Vuole venderci qualcosa, non ricordo cosa, e noi le chiediamo l’età e perché va in giro a vendere povere cose con il fratellino sulle spalle, invece di andare a scuola. Ci risponde che ha 17 anni, che quello sulla schiena è suo figlio e che vende quegli oggetti per poter sfamare entrambi! Rimaniamo senza parole davanti a tanta miseria. Ancora non lo sappiamo ma casi di povertà e indigenza ne vedremo molti, soprattutto nelle città, dove le persone si riversano per mendicare, per vendere, per lustrare scarpe, per suonare o per fare qualsiasi cosa possa essere gradita ai turisti per guadagnare qualche Sol. Dopo il pranzo gironzoliamo per Plaza de Armas, visitiamo brevemente la Cattedrale, dove per la prima volta vediamo la bandiera peruviana esposta vicino all’altare. Andiamo all’Aerocontinente a confermare il volo per Juliaca. Andiamo quindi al Museo Santuarios Andinos dedicato a “Juanita la principessa di ghiaccio”, vergine Inca sacrificata sulla vetta del vulcano Ampato più di 500 anni fa. Ci fanno assistere ad un filmato che spiega com’è avvenuta la scoperta. Visitiamo, quindi, il museo. La guida parla un buon italiano e ci spiega molto bene l’usanza Inca di sacrificare le vergini sulla cima dei vulcani per ingraziarsi le divinità e per scongiurare quindi catastrofi come terremoti o eruzioni vulcaniche. Nel vedere Juanita, avvolta nel ghiaccio che la conserva, proviamo un senso di orrore pensando alla sua giovane vita stroncata “inutilmente” con un colpo di pietra alla testa e sotto l’effetto di droghe e allucinogeni. Nel museo ci sono anche amuleti, stoffe, ceramiche, oggetti dorati, ritrovati accanto a Juanita e a Sarita, un’altra mummia, forse meno famosa. Usciti dal museo ci dirigiamo verso la Compañia, una delle chiese più antiche di Arequipa, completata nel 1698 dopo un secolo di lavori. E’ l’imbrunire e girovaghiamo per Plaza de Armas. Dalla Cattedrale, davanti alla quale sono accampati dei manifestanti che protestano per il lavoro, parte una processione con la statua della Madonna con tanto di abiti e coroncina di lucette. La banda suona una marcetta mentre la gente recita delle preghiere che non comprendiamo. Ceniamo sulla balconata che domina la piazza al ristorante El Cerrojo con Pisco Sur di cortesia (una bevanda leggermente alcolica simile al nostro sorbetto fatta con Pisco, bianco d’uovo, succo di limone, zucchero, sciroppo e bitter), Rocoto relleno (Peperone piccante ripieno di carne, patate e verdure). Dopo cena torniamo in hostal stanchi e dopo una bella doccia calda riassaporiamo il piacere di dormire in posizione orizzontale su un bel letto morbido. Sabato 2 Agosto – Arequipa – Canyon del Colca – Chivay (mt 3633) Alle 6,20 ci svegliamo. Facendo colazione vediamo alla tv (sempre accesa) una trasmissione peruviana che illustra con molta enfasi il programma televisivo italiano “Velone”. Ci vergogniamo di essere italiani, se questa è l’Italia che fa notizia all’estero! Alle 8 ci passa a prendere il minibus per l’escursione di 2 giorni al Canyon del Colca. Lasciamo gli zaini grandi in deposito nell’hostal, visto che torneremo per fare un’altra notte prima di ripartire. Negli zainetti piccoli abbiamo l’occorrente per trascorrere una sola notte. La guida parla solo spagnolo e oltre a noi ci sono 2 spagnoli in viaggio di nozze e una famiglia di 3 persone di Varese. Dopo circa 2 ore si lascia la strada asfaltata e ci si ferma a bere il mate de Coca nel villaggio di Pampa Cañahuasi a circa 4000 mt. Questa bevanda calda fatta di foglie di coca fresche allevia gli effetti dell’altitudine e, senza effetti collaterali, ci consente di proseguire il viaggio. La guida ci consiglia di acquistare anche un sacchettino di foglie di Coca. Il paesaggio è bellissimo, brullo con i ciuffi di ichu gialli. Il cielo limpido e azzurro fa risaltare i vari vulcani che coronano l’orizzonte: il Misti, il Chachani, e l’Ampato, tutti dai 5800 ai 6300 mt. Alcuni venditori con le guance rosse, sferzate dal vento e dal freddo, ci propongono le loro coloratissime mercanzie: stoffe, maglioni, scarpe, guanti, tappeti, berretti, tutto fatto di lana d’alpaca. Facciamo qualche foto ai bambini che sono lì in posa per poi chiedere qualche soldino. Noi preferiamo dare delle penne e delle caramelle che ci siamo portati dall’Italia. Dopo circa mezz’ora si riparte sulla strada sterrata. Lungo il percorso chiediamo alla nostra giovane guida dove si trovano i curanderos nel Canyon del Colca. Siamo partiti per questo viaggio dopo aver letto molti libri sulle Magie delle Ande e sappiamo che questa è una zona importante per i guaritori che curano il corpo e l’anima con i doni e l’aiuto della Pachamama, la Madre Terra. Durante questi riti ancestrali il curandero utilizza anche il cuy che, passato sul corpo della persona ammalata, ne assorbe gli “umori malefici” liberandolo da ogni malattia, sia del fisico che dello spirito. Il tutto si conclude con una bella bevuta con una conseguente sbornia. Lei ci risponde che non ce ne sono da queste parti e che sono nella zona delle Ande. Restiamo interdetti pensando che anche qui le nuove generazioni forse ripudiano la loro storia e le loro tradizioni per far posto a tutto ciò che di moderno offre il mondo globalizzato. Ci inoltriamo nella Reserva Nacional Salinas y Aguada Blanca. Ogni tanto ci fermiamo per vedere le vigogne che sono simili ai lama e agli alpaca ma che qui sono protetti. Il cielo si è nel frattempo annuvolato e il vento ci sferza ogni volta che scendiamo dal minibus. Tra una sosta e l’altra la guida ci spiega, in spagnolo, come si usano le foglie di Coca che per gli andini sono sacre. Si sovrappongono 5 o 7 foglie della stessa dimensione tutte con il picciolo dalla stessa parte. Si strappano tutti i piccioli e si mette nel mezzo un pezzettino di “sassolino” che viene venduto assieme alle foglie. Si arrotolano le foglie con il sassolino in mezzo e si deposita il rotolino in bocca, nella guancia e lo si tiene fermo per 5 minuti, per consentirgli di impregnarsi di saliva. Dopo lo si mastica lentamente per fare in modo che la saliva ne estragga gli elementi che servono a contrastare gli effetti dell’altitudine e rallentare lo stimolo della fame. Noi che non abbiamo mai fatto uso di “sostanze” siamo un po’ titubanti e scettici se provare o no. Poi decidiamo che anche questo fa parte dell’avventura e ingurgitiamo il nostro rotolino di Coca. Un leggero formicolio alla guancia è il segno che tutto funziona al meglio. Ad un certo punto comincia a cadere qualche fiocco di neve. Pensiamo che sia l’effetto allucinogeno delle foglie di Coca. La strada continua in salita e arriviamo al punto più alto di tutto il nostro viaggio. Alle 12 circa scendiamo dal minibus in mezzo ad una tormenta di neve e di vento. Il mirador indica quota 4910 mt e tutto attorno la vista dovrebbe spaziare sui vulcani che ci attorniano. In realtà non si vede niente dalla nebbia. Ci sono, tutto attorno, innumerevoli tumuli di sassi sovrapposti a formare delle piccole piramidi. Scopriremo poi che gli indigeni, arrivati al punto più alto della montagna, lasciano sempre alla Pachamama le loro pene simboleggiate proprio da queste pietre a piramide. A causa dell’altitudine cominciamo ad avvertire una certa emicrania che a stento l’effetto della Coca riesce a contrastare. E’ il famoso “soroche”, il mal di altura che ci farà compagnia durante tutta questa escursione. La strada scende poi verso Chivay dove arriviamo alle 13. In un’ora siamo scesi per più di 1200 mt. Pioviggina e ci portano a pranzare in un ristorante che a noi pare brutto e inospitale. Vogliono a tutti i costi che prendiamo il menù turistico che ci sembra comunque caro. Noi preferiamo mangiare solo una sopa, visto che non ci sentiamo molto bene. Ci spostiamo in un altro ristorantino e prendiamo una sopa e poi degustiamo in religioso silenzio il nostro formaggio grana che ci siamo portati dall’Italia. Scopriremo più tardi che questo è l’hostal Ricardito’s dove alloggeremo per questa notte. Saliti in camera qualcuno di noi 4 (che non nomino per questione di privacy) è costretto a mettersi a letto per un forte mal di testa e nausea. Fa un freddo terribile in camera e allora decidiamo di fare una passeggiata fuori, dove però pioviggina e la giacca a vento e il pile non bastano a riscaldarci. Alle 16,30 ci passano a prendere in minibus per portarci alle sorgenti termali “la Calera”. Piove a dirotto e la gente dentro la vasca esterna non sembra sentire il freddo che ci penetra le ossa. Visitiamo prima il piccolo museo etnologico e poi entriamo nella parte coperta dove c’è una piccola vasca circolare. Solo io decido di fare la follia di spogliarmi e di provare ad entrare. Compio un immane sforzo psicologico nel convincermi a vincere la pigrizia. Mi metto in costume, batto i denti dal freddo, mi faccio una breve doccia tiepida e poi corro dentro la vasca. L’acqua è talmente bollente che mi vengono i brividi alla schiena. Intanto mi raggiungono anche i 2 spagnoli e i signori di Varese. Per sfida ci diciamo di provare anche la vasca esterna. E’ una follia ma insieme ce la possiamo fare. Ci facciamo coraggio e corriamo fuori, dove piove a dirotto. Scendiamo, in costume, le scale e arriviamo nella vasca esterna sotto lo sguardo attonito di molti visitatori stretti nei loro cappotti. E’ buffo stare nell’acqua bollente, sotto la pioggia a circa 3700 mt di altitudine. Meno male che abbiamo ingurgitato le foglie di Coca, altrimenti farei sicuramente un collasso! Tornando in hostal la guida ci propone di cenare in un locale folcloristico con peña (musica andina), ma siamo talmente stanchi e la nostra amica è ancora a letto malconcia che decidiamo di cenare nel nostro ristorantino. Per cena prendo il Choclo con queso (pannocchia bollita con formaggio) e una bistecca di Alpaca con mate de Coca. Andiamo a letto presto perché siamo stanchi, infreddoliti e domani ci attende un’altra giornata impegnativa. Sotto le coperte fa molto freddo, il riscaldamento non esiste (consigliamo a tutti di portarsi una borsa per l’acqua calda). Domenica 3 Agosto – Chivay – Canyon del Colca – Mirador della Cruz – Arequipa Alle 5 suona la sveglia e alle 6,15, dopo colazione, partiamo in minibus per il mirador del Cruz del Condor. E’ ancora quasi buio, visto che le nuvole coprono il cielo e le montagne attorno sono imbiancate dalla neve caduta durante la notte. Nonostante l’ora il mercatino coperto davanti al nostro hostal comincia ad animarsi. Percorriamo la strada sterrata, piena di buche, che si inoltra lungo il Canyon del Colca. Ci fermiamo nel pueblo di Maca dove c’è una chiesa coloniale con ancora i segni dei terremoti che l’hanno più volte danneggiata. Un peruviano mostra orgoglioso un aquila per farsi fotografare in cambio di qualche Sol. Proseguiamo fino al Mirador de Choquetico da dove si domina la valle tutta terrazzata fin dall’epoca preincaica. Questi terrazzamenti sono addirittura segnati, fin da allora, in una mappa tracciata su un enorme masso, poco sotto la strada. In alto sulla roccia si vedono anche delle aperture che sono delle tombe preincaiche. Ci fermiamo anche al pueblo di Pinchollo dove, la piccola chiesa coloniale del XVII secolo si staglia sotto il profilo severo e imbiancato delle montagne. Alcune case con il tetto in paglia (ichu) e un asino che raglia lì vicino ci fanno assaporare per un po’ l’atmosfera di tempi andati. Ripartiamo e da qui inizia il vero e proprio Canyon del Colca, considerato il più profondo del mondo con i suoi 3400 metri di profondità massima. I terrazzamenti Inca e preinca si susseguono alla nostra destra, lungo i bordi del canyon fino ad arrivare al Mirador della Cruz del Condor. Arriviamo alle 8,15 e attendiamo di vedere i Condor che dovrebbero risalire le correnti ascensionali calde rendendo il paesaggio ancora più suggestivo. Il Condor delle Ande può pesare fino a 10 kg e avere un’apertura alare fino a 3 mt. Si nutre di carcasse animali (carogne) e carne morta. Il cielo è ancora nuvoloso e nell’attesa, dopo aver curiosato tra le bancarelle multicolori, scendiamo a piedi lo stretto sentiero che si avvicina al bordo del canyon. Tutto attorno c’è una vegetazione fatta di piante grasse e spinose e vederle con lo sfondo dei monti innevati a 3600 mt di altitudine ci riempie di stupore. Molti uccelli multicolori, addirittura fosforescenti, ci volano attorno. Trascorsa un’ora di inutile attesa ci rassegniamo che i condor, oggi, forse non si vedranno a causa delle avverse condizioni meteorologiche. Aspettiamo invano fino alle 9,45 e poi il nostro minibus deve ripartire per tornare per pranzo a Chivay. Saliamo delusi di non aver avvistato nessun condor; in fin dei conti era uno dei motivi della nostra gita. Peccato! Nel ritorno il cielo si rasserena e ci fermiamo ancora al Mirador Porta del vento e Antahuilque per vedere i suggestivi paesaggi terrazzati. Alle 11,30 ci fermiamo al pueblo di Yanque con la sua chiesa del XVII secolo a tre facciate in parte ancora distrutta dai terremoti. Essendo una bella domenica soleggiata, molte persone stanno preparando il loro misero pranzo proprio nella piazza del paese. E’ il loro modo di far festa, con i bambini che giocano a calcio con un pallone tutto rotto. Diamo ad alcuni bambini una caramella in cambio di una foto davanti alla chiesa. Siamo gli unici turisti e ci sembra di aver interrotto l’incantesimo dello scorrere lento e rilassato della loro esistenza. Ripartiamo dopo poco e torniamo a Chivay, ripercorrendo al contrario la strada tra appezzamenti di terreno recintati da muriccioli a secco con in cima delle pianticelle grasse. Anche qui la proprietà privata è ben controllata! Arrivati alle 12 a Chivay entriamo nel ristorante Wayna Punku. Siamo stanchi e ci aspetta un bel pranzetto. Siamo gli unici clienti del locale e sopra una tavola apparecchiata sta dormendo un gatto bianco e nero. Restiamo disgustati e notiamo che anche le tovagliette, sotto i piatti, sono tutte sporche. Ci consultiamo e decidiamo di rimane comunque visto che non abbiamo molto tempo e sicuramente gli altri locali non saranno migliori di questo. Ordiniamo il menù turistico con una sopa de quinua (uno dei tanti cereali), bistecca di alpaca “a la pimenta” (con pepe) e mate de Coca. Il tutto per la modica cifra di 8 NS (2,25 Euro) a testa. Dopo pranzo andiamo nella vicina Plaza de Armas, dove si sta svolgendo una processione, con tanto di banda musicale. Alle 13,20 ripartiamo per Arequipa, dove arriviamo alle 17. Scendiamo nel nostro hostal e ritiriamo i bagagli che avevamo lasciato in deposito. Saliamo nella stessa camera 104, ci laviamo (dopo 2 giorni!) e ci riposiamo un po’. Per cena scegliamo un altro locale sulla balconata attorno a Plaza de Armas. Questa volta il menù prevede Palta Rellena a la Reina (avocado ripieno), Lomo Saltado e Pisco sur di cortesia. Lunedì 4 Agosto – Juliaca – Puno (lago Titicaca) (mt 3830) Oggi abbiamo il lusso della sveglia alle 7,15, facciamo la solita buona colazione e usciamo per visitare le ultime cose, visto che abbiamo il volo per Juliaca nel primo pomeriggio. Visitiamo la chiesa coloniale di San Francesco del XVI secolo che riporta sulla cupola evidenti segni dei vari terremoti. Ha un imponente altare d’argento che risalta nella semplicità dell’interno. Passeggiamo per il centro, ci informiamo nelle varie agenzie per l’Inka Trail di 2 giorni a Machu Picchu (e ci sparano i prezzi più disparati), chiediamo il prezzo dell’escursione di 2 giorni al canyon e scopriamo che viene proposta da quasi tutte le agenzie ad un prezzo inferiore a quello che abbiamo pagato noi. Andiamo alla posta per acquistare 70 francobolli (in 4) e con sorpresa scopriamo che costano circa 1 Euro l’uno. Aggiungendo il costo della cartolina, forse, ci conveniva portare a tutti in regalo un paio di guanti o un berretto, almeno sarebbero stati usati. Incontriamo anche le amiche di Patty che ci dicono di aver visto i condor, ieri, al Mirador del Condor verso le 10,30. Loro si erano fermate un po’ più di noi perché mancavano dei turisti del loro bus. E così sono riuscite a vederli, mentre noi siamo ripartiti troppo presto. Peccato! Tornati all’hostal per pagare i pernottamenti e ritirare i bagagli ci viene comunicato un prezzo più alto di quello concordato all’arrivo. Allora chiamiamo Jack (che ha l’ufficio a poca distanza) e gli diciamo che non siamo disposti a pagare niente di più di quanto concordato (anche se in realtà li valeva). Lui cerca di mediare discutendo animatamente con la signorina. Alla fine Jack ci dice che va bene così, ma la gentile signorina ci saluta un po’ indispettita. Ci spiace andar via in malo modo visto che ci siamo trovati così bene! A Jack gli diciamo inoltre che è stato disonesto con noi perché ci ha proposto la gita al Canyon a 27 $ quando le altre agenzie la offrono a 20/21 $. Lui tenta di giustificarsi ma alla fine ci accompagna a parlare con il suo boss (che è una donna) dell’agenzia Colonial Tours. Diciamo tutte le nostre ragioni, compresa quella che i condor sono usciti dopo che noi siamo ripartiti (se avessimo avuto meno fretta di tornare ad Arequipa forse li avremmo visti anche noi), e alla fine ci lasciamo ribadendo che sono una pessima agenzia e che non gli avremo fatto una buona pubblicità. Abbiamo comunque imparato una cosa importante da queste parti: non accettare mai la prima proposta fatta da chiunque (meno ancora se la persona ispira fiducia) ma prendere tempo e informarsi altrove. Il prezzo sicuramente scende o comunque si è consapevoli di poter essere imbrogliati. Alle 11,30 prendiamo un taxi e ci facciamo accompagnare all’aeroporto dove arriviamo in 15 minuti. Facciamo il check-in, paghiamo la tassa aeroportuale e nell’attesa del decollo ci mangiamo un pezzo di formaggio grana con il pane. Alle 13,45 decolliamo con un leggero anticipo e, dopo aver sorvolato un paesaggio desolante, atterriamo dopo 23 minuti all’aeroporto di Juliaca. In attesa del ritiro bagagli un gruppo musicale ci allieta con le canzoni andine e sopra il nastro dei bagagli fa bella mostra di sé una raccolta di bamboline con i vestiti tipici del lago Titicaca. Usciamo e prendiamo un collectivo per Puno dove arriviamo alle 15,30 dopo 1 ora e 45 km di strada. Ci fanno scendere al Parque Pino e andiamo a vedere, lì vicino, l’hostal Arequipa che costa pochissimo ma ci sembra troppo spartano. Io e Patty andiamo a piedi fino all’hostal San Antonio. E’ un po’ meglio e ci è stato consigliato da Sarita. Chiediamo 2 camere doppie con bagno e acqua calda. Ce le facciamo mostrare (come conviene sempre fare) e concordiamo il prezzo con colazione a parte. Il proprietario ci propone subito l’escursione alle isole galleggianti degli Uros, pernottamento sull’isola di Amantanì (compreso pranzo/cena/colazione in famiglia) e il giorno dopo ritorno con sosta all’isola Taquile. E’ proprio come vorremmo fare noi. Ci spara il prezzo di 50 NS, che è molto interessante, ma sappiamo di poterlo abbassare con la solita tattica. Gli diciamo che ci dobbiamo pensare e il prezzo scende a 45. Gli diciamo, ancora, che usciamo e che gli faremo sapere entro sera. Ci dice che, essendo in 4 il prezzo potrebbe scendere a 40, ma noi non gli confermiamo niente. Alle 16 usciamo e andiamo a piedi verso il porto. Sbagliando strada arriviamo in un posto squallido e malfamato. Decidiamo allora di farci accompagnare al porto da due trisciò (o bicitaxi) che sono sbucati dal nulla. Arriviamo al porto al crepuscolo, con il sole che incendia il lago di colore. Fa freddo, con un vento gelido che ci sferza le guance. Verifichiamo i prezzi delle barche per le isole Uros, Amantanì e Taquile. Troviamo Giovanni Del Porto, così dice di chiamarsi, balbetta e ci dice che è capitano di una barca. Ci propone anche lui l’escursione che vogliamo fare al prezzo di 45 NS e contrattando arriva a 40. Per questo prezzo ci conviene farla tramite il nostro hostal. Gli telefoniamo, ci comunica il prezzo di 40 NS (11,2 Euro-ci avremmo scommesso!) e, quindi, confermiamo l’escursione. Gironzoliamo un po’ tra le poche bancarelle ancora aperte lungo il viale che porta agli attracchi delle barche. Poi, congelati nonostante l’abbigliamento invernale, decidiamo di tornare in centro in taxi. Scendiamo vicino a Plaza de Armas e imbocchiamo la via commerciale piena di negozietti e ristorantini. Siamo affamati ma è ancora presto per cenare. Nonostante il freddo passeggiamo avanti e indietro, entrando ogni tanto in qualche negozio o agenzia di viaggi per scaldarci un po’. Ci informiamo del prezzo dell’escursione nell’agenzia Monterrey e ci confermano che il prezzo giusto è quello di 40 NS che abbiamo concordato. In un Internet Point riceviamo l’ennesima e-mail che ci informa che in Italia fa un caldo insopportabile e a noi, così infreddoliti, non ci sembra possibile! Quasi assiderati entriamo nel ristorante Ollantay, dove al calduccio del forno a legna, ci mangiamo il menù turistico con la pizza. Tornati a piedi all’hostal mi faccio la doccia, imprecando, perché l’acqua è fredda. Il gestore prova a manomettere alcune valvole e ci dice che l’acqua calda arriva tra poco. Io intanto sono congelato e vado a letto e alle 22 sto già dormendo. Durante la notte la camera di Patty e Roberta si allaga per una perdita d’acqua dalla vaschetta del water. In piena notte si sono trovate con la camera, zaini compresi, allagati da 2 cm di acqua. Sono scese a chiamare il proprietario che dopo varie sollecitazione le ha cambiate di camera. Martedì 5 Agosto – Lago Titicaca Alle 7 ci svegliamo e facciamo colazione (che si paga a parte). Patty e Roberta ci raccontano della loro avventura notturna. Chiediamo al gestore di lasciare gli zaini grandi in deposito per i 2 giorni che faremo fuori sul lago. Questi ci dice che dobbiamo pagare le camere per la notte già fatta e sostiene che il prezzo che avevamo concordato per entrambe le camere è, invece, solo per una. Se è così il prezzo ci sembra un po’ eccessivo anche perché io ho fatto la doccia con l’acqua fredda e le nostre amiche hanno avuto l’allagamento notturno. Lui è impassibile e non ci fa nessuno sconto per i disagi subiti. Noi ci sentiamo presi in giro e, molto arrabbiati, paghiamo dicendogli che l’altra notte che dovevamo fare lì la faremo altrove. Abbiamo imparato un’altra cosa importante da queste parti: farsi scrivere sempre i prezzi pattuiti per quei servizi che si pagheranno in futuro (tipo alberghetti, pacchetti turistici, taxi per l’intera giornata…) altrimenti, giocando sul fatto che non si parla e non si capisce bene lo spagnolo, i prezzi possono “crescere” e poi è difficile dimostrare le nostre ragioni. Rischiamo, comunque, di lasciare i bagagli in deposito e alle 8,20 passa il minibus per condurci al porto. Da lì partiamo in barca alle 8,45 con un cielo azzurro che si rispecchia sulle acque limpide del lago. Il lago Titicaca, che significa puma e coniglio, è considerato il lago navigabile più alto del mondo. In realtà la nostra guida Titocastro, che parla anche un po’ in italiano, ci dice che non è proprio vero. Lo era una volta. E’ comunque molto grande perché misura 160 km x 60 km con una superficie di 8300 kmq. Il lago Titicaca è così vasto che ha anche delle piccole onde. Vi confinano sia il Perù che la Bolivia. E’ alimentato da 20 affluenti e un unico emissario sfocia poi sull’oceano Atlantico. Dopo una breve navigazione arriviamo alle famosissime isole galleggianti degli Uros. Queste isole furono create dagli Uros per sfuggire agli Inca. Sono fatte intrecciando la totora, canne che crescono spontanee sul lago. Più recentemente la vita divenne sempre più difficoltosa finché gli Uros si estinsero a causa di incroci con gli indios aymara. Ora le isole sono solo un’attrazione turistica e se ne ha una netta sensazione ma, comunque, sono un modo per conoscere un mondo che ormai non esiste più. Scesi dalla barca camminiamo, sprofondando, in questa enorme piattaforma galleggiante di totora. La guida ci spiega come si svolgeva la vita. Le donne, con la bombetta in testa e molti bambini attorno, vendono i loro prodotti artigianali. Il fortissimo sole risalta ancora maggiormente i mille colori dei tessuti posti in vendita. Da lì saliamo su una balsa de totora, tipica imbarcazione fatta anch’essa di totora, e ci trasferiamo su un’isola galleggiante vicina, in un lago piatto e azzurro come il cielo. La visitiamo brevemente e vediamo anche dei cuy e dei cormorani. Alle 10,30 ripartiamo con la nostra barca e ci dirigiamo verso l’isola di Amantanì. Poiché l’isola è sprovvista di strutture ricettive, come alberghetti e ristorantini, saremo ospitati in famiglia, e questa sarà per noi l’esperienza più particolare di tutto il viaggio. Durante il tragitto, la guida ci fa un breve corso di lingua Quechua poiché gli abitanti che ci ospiteranno non parlano lo spagnolo ma solo la loro lingua. Impariamo a dire buongiorno, grazie, acqua calda e qualche altra parola che ci potrebbe essere utile. Alle 13,30 sbarchiamo ad Amantanì nel pueblo di Colquecachi. E’ una delle 8 comunità (chiamarli paesi è un po’ troppo) presenti nell’isola di Amantanì che conta in totale circa 4000 abitanti. A causa dell’altitudine saliamo con qualche difficoltà la ripida salita che porta in prossimità delle prime case, dove ci attendono gli abitanti che ci ospiteranno. Le donne sono vestite con gli sgargianti vestiti tipici. Titocasto concorda con loro l’abbinamento di noi turisti. Noi veniamo assegnati alla famiglia di Rufino Colsin che ci saluta con cortesia e ci accompagna verso la sua casa. Scopriamo subito che parla lo spagnolo e questo ci tranquillizza un po’, anche se, dopo un settimana, non lo capiamo ancora completamente. L’abitazione è quella più in alto nel profilo dell’isola e, durante la salita, siamo costretti a fermarci spesso per prendere fiato. Il soroche si fa sentire perché siamo a quasi 4000 mt. La vista sul lago è magnifica. E’ un continuo di azzurro dal cielo all’acqua con il profilo bianco della Cordigliera Real boliviana a fare da linea di mezzeria. Siamo incerti se il fiato ci manca per la stanchezza, per l’altitudine o per questo magnifico paesaggio. Arriviamo nella casa di Rufino che domina tutto il pueblo e tutto il lago. Qui le case sono tutte sparse e fatte di adobe (impasto di fango e paglia) e l’unica modernità è rappresentata dal tetto in lamiera. Costa troppo mantenere il tetto in paglia che si deteriora con il passare del tempo. Gli unici tetti in paglia sono quelli delle piccole costruzioni, adiacenti alla casa, che fungono da cucina, utili per poter smaltire meglio il fumo dei fuochi. Qui non ci sono strade ma solo ripidi sentieri, non ci sono macchine, né motorini, né biciclette. La vita scorre sulle gambe corte e veloci dei contadini. Saliamo la scala di cemento che porta al primo piano della casa e ci abbassiamo per poter varcare l’uscio della nostra camera. Appena fuori sono stese ad essiccare le bucce di patate che serviranno poi per accendere il fuoco. Entrati ci guardiamo attorno. Ci sono 3 letti di cui uno a una piazza e mezza dove dormiremo io e mia moglie. La stanza è semplice, quasi essenziale, ma pulita. C’è un tavolino con 4 sedie e un orologio a muro. Piccole finestre sgangherate fanno filtrare poco luce ma molto freddo. Dobbiamo aspettare fino alle 15,30 per pranzare. Rufino ci porta un vassoio con una sopa de quinua, pesciolini fritti e patate di tanti tipi e colori. Per bevanda ci viene servito, per la prima volta, il Mate de Muña, un arbusto che profuma di pino e che aiuta la digestione e allevia i problemi di altitudine. Il sapore è gradevole, il profumo è simile a quello dell’acqua ragia. Lo beviamo con avidità e ci aiuta a scaldarci un po’. Dopo aver mangiato, Rufino bussa alla nostra porta, entra e ci parla un po’ di lui e delle vita nell’isola. E’ un racconto toccante. E’ vedovo e ha una figlia, Liset, che abita qui con la nonna e sua sorella Valentina. Per poter lavorare è emigrato a Juliaca, dove si è risposato e ha altri figli. Qui ci viene quando c’è da fare un po’ con il turismo, poi torna a lavorare a Juliaca. Fa il tessitore e prepara i tappeti di “alpaca baby”, morbidissima perché è il primo taglio di lana dell’animale. Ce li fa vedere (a noi sembrano orrendi ma piacerebbero molto ai tedeschi), ci mostra anche altri prodotti, guanti, sciarpe, maglioni e ci propone di acquistare qualcosa. Ci dispiace deludere le sua aspettative e prendiamo dei guanti e dei berretti. Ci spiega anche che la vita ad Amantanì è dura e si basa sull’agricoltura, la pesca e da poco anche sul turismo che però viene gestito direttamente da loro, e non dalle agenzie di Puno, per poterne trarre profitto. E’ proprio un turismo responsabile ed eco-compatibile. C’è la scuola elementare in ogni pueblo e anche la scuola media. Per le superiori bisogna andare a Puno o a Juliaca ma pochi di loro se lo possono permettere. Ci dice, sommesso, che la poca alimentazione li rende meno portati allo studio e quindi meno intelligenti. Noi siamo convinti che loro hanno comunque molti altri privilegi. Invidiamo la loro serenità, il loro modo semplice di affrontare la vita quotidiana e le sue avversità, la loro cortesia e la loro ospitalità. Alle 16 Valentina ci accompagna al campo di pallacanestro (è questo il centro del paese) dove c’è il ritrovo con tutti gli altri turisti. Siccome fa freddo lei ci presta un berretto che indossiamo senza porci molte domande. Qui c’è un clima festoso con gli abitanti che fanno bella mostra con i loro abiti multicolori. Fotografo una indigena con il suo pargoletto che dorme avvolto nella schiena, la quale mi ricambia con un sorriso sereno e amichevole. Veniamo divisi in 2 gruppi; con il nostro partiamo per la visita del Tempio di Pachamama e cioè la Madre Terra, venerata dalle popolazioni indigene, mentre l’altro sale al tempio di Pachatata. E’ l’imbrunire, e tutto attorno regna il silenzio e la pace interrotti solo dal vocio di noi turisti. Dopo circa 50 minuti e con numerose fermate arriviamo, trafelati, al Tempio a quasi 4200 mt. La guida Titocastro ci spiega come si svolge il rito di ringraziamento alla Pachamama detto Pago a la Tierra. Siamo tutti in cerchio e lui offre ad ognuno di noi tre foglie di Coca che rappresentano l’Amore, la Sapienza e il Fare. Non possiamo prenderle con il palmo della mano perché sono i mendicanti che tendono la mano. Porgiamo il nostro berretto e ce le consegna. Noi le prendiamo, le disponiamo a ventaglio tra il pollice e l’indice della mano destra e le rivolgiamo con il braccio teso verso est dove sorge il sole, le portiamo alle labbra per respirarne il profumo come segno dell’aria e poi facciamo in silenzio il giro del Tempio esprimendo un desiderio positivo. Alla fine sotterriamo le foglie in segno di ringraziamento alla Terra che ce le ha donate. Il rossore del tramonto rende l’atmosfera ancora più suggestiva e ci sentiamo un tutt’uno con il Cielo, la Terra, l’Acqua e l’universo intero. Siamo in queso luogo disperso a 10.500 km da casa nostra, in silenzio, senza luce, senza acqua corrente, senza bagno in casa, senza telefono, senza le comodità della nostra vita quotidiana, senza alcun segno di modernità. Siamo, comunque, felici perché abbiamo ritrovato qui la gioia dell’essenziale, la serenità delle cose semplici e l’importanza del saper ringraziare. Alle 17,15 il sole si spegne nel lago e dopo poco scendiamo per il ripido sentiero, prima che il buio avvolga ogni cosa. Ben presto siamo costretti ad accendere le nostre pile per poter vedere dove mettiamo i piedi. Rufino ci aspetta lungo il sentiero per riportarci a casa. Qui non ci sono nomi di vie o numeri civici e pertanto è facile perdersi, soprattutto dopo il tramonto. Alle 18,50 ci viene servita la cena ed è quasi una replica del pranzo. Purtroppo qui hanno ancora un’agricoltura di sussistenza e vivono con quel poco che possono produrre. Il lago non è molto pescoso e della carne non se ne parla. La guida ci ha spiegato che la carne si mangia solo nei giorni di grande festa e durante i matrimoni (che durano una settimana). Dopo aver mangiato quel poco che ci è stato offerto, Rufino viene a chiacchierare e questa volta vuole saper lui qualcosa di noi. Ci chiede del viaggio che stiamo facendo, perché siamo capitati lì, quanto ci è costato il viaggio e i voli aerei, quanto costa la mia nuova telecamera. Rimane esterrefatto quando gli dico i prezzi in dollari. Probabilmente sta pensando che neanche in una vita di lavoro riuscirebbe a mettere assieme così tanti saldi. Ci sentiamo un po’ a disagio nel mettere la nostra ricchezza davanti alla sua povertà. Arriva poi sua figlia Liset che aiuta mia moglie e Roberta a vestirsi con gli abiti tipici del posto. Ruffino mi fa indossare un poncho grigio. Patty rimane a letto perché non si sente bene. Insieme, così vestiti, partiamo per andare alla Peña, la festa folcloristica organizzata per noi turisti. Ruffino porta con sé dei pezzi di legna di cui non capisco il significato. Scendiamo il sentiero al chiaro di luna che, pur non essendo ancora piena, illumina a giorno tutto il paesaggio. Avvicinandoci alla sala comunitaria sentiamo una allegra musica andina e un vociare festoso. Entriamo nella stanza quasi completamente buia ma movimentata da tanti danzatori e Rufino invita Roberta a danzare. Le danze hanno movimenti semplici e ripetitivi e dopo un po’ tutti riescono a farsi coinvolgere da tanta allegria. E’ un bel spettacolo vedere tutti, turisti e abitanti locali, vestiti allo stesso modo che assieme si divertono in modo così semplice e festoso. Più tardi ci fanno uscire e accendono un falò con la legna che ogni isolano ha portato con sé. Anche questo è un simbolo dell’unità del villaggio. Danziamo attorno al fuoco, mentre i 2 gruppi musicali suonano alternandosi. Il clima è euforico e le faville salgono verso il cielo come segno di buon auspicio. Noi assistiamo alla festa con gli occhi del cuore. Siamo molto stanchi e alle 21 ritorniamo nella nostra “casa” dove Patty sta dormendo profondamente. Accendiamo la luce che viene generata dai pannelli solari, in quanto la luce “comunale” è attiva solo dalle 18 alle 20, e ci prepariamo per andare a letto. Ci laviamo solo le mani e un po’ il viso usando come brocca un vecchio flacone di plastica e un catino. La poca acqua è naturalmente fredda e ci sembra inopportuno chiedere a Rufino “almeno uno” che in Quechua significa acqua calda. La doccia e il bagno non esistono. Per i bisogni fisiologici dobbiamo scendere al margine della proprietà dove c’è una latrina in lamiera, con tanto di water sul quale dobbiamo versare l’acqua con un secchio. Pensiamo con nostalgia al “bagno della nostra camera italiana” ma accettiamo di buon grado anche questa esperienza. Qui tutto è essenziale, bagno compreso. Andiamo a dormire, nella speranza che la fredda notte possa durare poco. Mercoledì 6 Agosto – Lago Titicaca La notte scorre tranquilla, riusciamo a dormire un po’ di ore in compagnia degli spifferi d’aria che numerosi entrano dai vetri posticci e rotti delle finestre. Alle 6 ci svegliamo con il sole che esce infuocato dal lago e, tutto attorno, è un luccicare argenteo dei tetti in lamiera. Facciamo una semplice colazione e Valentina ci accompagna al porto. Il tragitto dura più di mezz’ora e, mentre noi scendiamo a passi fermi e fiato pesante, lei saltella come fosse un capretto. Mentre attendiamo l’arrivo degli altri turisti, Valentina e le altre donne ospitanti lavorano ad uncinetto. Valentina mi fa tenerezza e decido di chiederle l’indirizzo perché gli manderemo copia delle fotografie che abbiamo fatto assieme. Così noi avremo modo di ringraziali per l’ospitalità e loro avranno qualche foto ritenuta un vero lusso. Mi scrive il loro indirizzo sul mio quadernetto, con un fare lento ed incerto. Arrivati tutti i turisti, alle 7,30 salpiamo per l’isola di Taquile. La navigazione scorre tranquilla e dura circa 1 ora. Attracchiamo dalla parte da dove sale un sentiero che percorriamo in circa 50 minuti. Anche qui non esistono strade, auto e traffico, ma solo sentieri da percorrere a piedi. Arrivando alla piazza centrale di Taquile notiamo subito che gli abitanti vestono dei vestiti molto colorati e diversi tra loro. Sulla piazza stanno eseguendo la Sintakana, danza della tessitura, in cui i danzatori ruotano in cerchi concentrici attorno ad un’alta asta alla cui sommità c’è una specie di croce piumata. Da qui partono molte strisce colorate che vengono intrecciate, durante la danza, a formare una tessitura attorno all’asta. Il sole rende i colori ancor più sgargianti. Con la guida Titocastro entriamo in un bar e lui ci spiega che l’isola di Taquile, un po’ più turistica di Amantanì, ha 2000 abitanti, 6 villaggi con scuole elementari e medie. C’è un capovillaggio per ogni villaggio e ogni maschio lo deve fare, gratuitamente, almeno 1 volta nella vita. Non c’è polizia e ogni domenica mattina, nella piazza principale, vengono discusse e risolte le eventuali controversie tra cittadini. Vivono una vita cooperativa e quello che vendono ai turisti è contraddistinto dal nome della famiglia che lo ha prodotto e il prezzo è scritto e fisso. Il ricavato va per metà alla famiglia e l’altra metà alla comunità. I 18 ristorantini sono gestiti a rotazione dalle varie famiglie per consentire a tutti di trarne un ricavo. La costruzione della casa dura un giorno perché tutti aiutano colui che se la deve costruire che, a sua volta, ricambia. Prima del matrimonio sono obbligatori 3 anni di convivenza e non esiste il divorzio. In questo periodo gli anziani si recano nella casa degli sposi e danno i consigli per una serena vita matrimoniale. Le donne fanno i vestiti per gli uomini e viceversa. Vediamo lungo le strade gli uomini che sferruzzano ad uncinetto. Qui i vestiti “parlano” in quanto hanno una simbologia tale che indicano se un ragazzo o una ragazza sono liberi, fidanzati o sposati. Il berretto del maschio ne è un tipico esempio. Le donne che si sposano si tagliano i capelli per farne la fascia che il marito porterà cinta ai fianchi. Passeggiamo per la piazza, visitiamo la chiesetta, assistiamo alla danza, dove le donne vestono uno strato consistente di gonne sovrapposte. Ci spostiamo, quindi, lungo il sentiero ciottolato che fa da via principale del paese. Arriviamo alla quota di 4030 mt e pranziamo con pane e formaggio grana davanti allo spettacolo del lago argentato. Alle 12,30 scendiamo i ripidi gradini che ci conducono all’altro porticciolo dove ci attende la nostra barca. Farli in salita ci si impiega almeno un’ora, noi ci impieghiamo mezz’ora. Alle 13 partiamo per tornare a Puno dove arriviamo alle 16 circa. Un minibus ci riaccompagna all’hostal San Antonio, dove prendiamo gli zaini e ci trasferiamo all’hostal Margarita. Non è un granché e non è neanche molto pulito ma per una notte decidiamo comunque di restare. Ci facciamo una tanto sospirata doccia, ci cambiamo i vestiti da capo a piedi e usciamo alle 18 per andare, in taxi, al terminal terrestre per acquistare i biglietti per Cuzco per domani. Il bus Ormeño Royal Class delle 14 è già pieno e allora prendiamo i biglietti della Cruz del Sur delle 13. E’ un bus economico, costa 20 NS (5,6 Euro), la metà dell’Ormeño. E’ l’ultimo lungo trasferimento in bus e speravamo di farlo con più confort. Ma va bene ugualmente, tanto ci impiega, più o meno, lo stesso tempo. Andiamo in taxi in centro, mandiamo alcune e-mail e ceniamo al ristorante Don Piero. Il menù turistico di 15 NS (4,2 Euro) comprende anche il pesce. Ceniamo con le amiche di Patty che abbiamo trovato anche qui, ci raccontiamo delle nostre varie avventure e ci scambiamo alcuni suggerimenti. Lungo la via principale ci vengono offerti dei maglioni di alpaca che contrattiamo a 20 NS (5,6 Euro). Costano così poco e sono così carini che ne acquistiamo addirittura 4. Dopo cena ritorniamo in hotel a piedi e alle 22 siamo già a letto, stanchi ma contenti della bellissima avventura nelle isole del lago Titicaca. Giovedì 7 Agosto – Puno – Sillustani (mt 4000) – Cuzco (mt 3326) Ci svegliamo alle 7,30, facciamo colazione e alle 9 arriva il taxista con il quale avevamo concordato ieri, il giro a Sillustani e lago Umayo per 4 ore al prezzo di 50 NS (13,9 Euro). Percorriamo la strada in mezzo ad uno spoglio paesaggio dove ci sono molte fattorie e dove pascolano mucche, pecore e lama. Sono sempre le donne o i bambini che accudiscono il bestiame. Arriviamo in 40 minuti al lago Umayo sopra cui svettano le tombe cilindriche preincaiche dette Chullpas e sulle cui acque nidificano moltissimi uccelli acquatici. Paghiamo il biglietto di ingresso e cominciamo a percorrere la stradina sterrata che sale verso le tombe. Una bambina con un agnellino in braccio si avvicina per chiederci un soldo o una penna. Le diamo una penna, che afferra con decisione per paura che cambiamo idea, le facciamo una foto e riprendiamo la nostra visita. In questa zona dominava la tribù bellicosa dei Colla che parlava la lingua aymara. Questo popolo seppelliva i nobili in torri funerarie che raggiungevano i 12 mt di altezza. L’unica apertura è una piccola porticina rivolta verso est da dove il morto veniva introdotto disteso. Ci sono anche dei cerchi fatti di pietre dentro i quali si manifestano strane forme di energia e magnetismo. Alcune tombe sono incompiute e una ha ancora la rampa utilizzata per posizionare in alto le pietre. Alle 11,30 ripartiamo in taxi e ci fermiamo in un paesino dove vediamo un animato mercatino. Scendo per acquistare dell’acqua e giro tra i venditori. Non ci sono turisti ed è proprio un mercato indigeno. Sarebbe bello fermarsi con calma, ma dobbiamo tornare a Puno. Ci fermiamo in una country farm, una fattoria che ha sul tetto all’ingresso la statuina di 2 buoi con una croce. Significa che è una fattoria dove si allevano animali e che sono cattolici. Ci facciamo portare direttamente al terminal terrestre di Puno. Paghiamo la tassa di imbarco, ci vengono caricati gli zaini con tanto di ticket tipo aereo, e alle 13 partiamo per Cuzco. Il paesaggio che percorriamo è brullo a causa dell’altitudine e dal finestrino si susseguono piccole mandrie di alpaca, lama e mucche che brucano l’ichu nella pampa desolata e sembrano sbucare dal nulla, mentre sullo sfondo fanno bella mostra di sé delle altissime montagne innevate. Di rado si vede qualche casupola, qualche misera fattoria. La strada interseca spesso la ferrovia senza nessun passaggio a livello, segno che sia i treni che gli automezzi sono pochi e convivono liberamente. Ad ogni fermata sale una signora che vende qualcosa da mangiare o da bere. Siamo in pochi turisti in questo bus, gran parte sono peruviani che si recano a Cuzco o da qualche altra parte. Ad un certo punto sale una “rosticceria ambulante”. Una donna con un grande catino di metallo vende dei pezzi di carne che taglia e con le mani consegna al proprio cliente. Assieme alla carne consegna un tozzo di pane e un pezzo di carta che fa da salvietta. Un’altra donna vende bibite fresche e bicchieri pieni di gelatina coloratissima. A noi viene il voltastomaco per l’odore e per la scena così cruda. Ne segue un gran trambusto che movimenta la tranquillità del viaggio. Arrivati ai 4500 mt del passo La Raya, la strada scende dolcemente fino a Sicurani dove ci fermiamo per una breve sosta. E’ l’occasione per scendere a sgranchirci le gambe. Ripartiamo mentre sta per imbrunire. Lungo la strada scorrono ora tanti “presepi”. Arriviamo alle 19,30 a Cuzco, dopo 6 ore e mezza di viaggio, mentre cade una leggera ma fredda pioggerellina. L’addetto ci consegna gli zaini solo dopo aver controllato che l’etichetta corrisponda alla nostra copia. E pensare che avevamo paura che ci li rubassero!…vi ricordate della catena? All’uscita del terminal prendiamo un taxi e ci facciamo accompagnare all’hostal Ospedaje Milleniun che però è al completo. Qui troviamo una signorina di nome Sonia che ci indica di andare all’hostal El Peregrino proprio in Plaza de Armas. Ci andiamo in taxi e, dopo aver visto le camere, decidiamo di fermarci. L’hostal è buono, pulito e proprio in centro. Visto che faremo 4 pernottamenti concordiamo le 2 camere ad un prezzo di favore. Ci viene presentata Carmen dell’agenzia Sud America Travel che ci dice di essere collegata all’hostal ma scopriremo poi che non è niente vero! Usciamo a cenare lungo la Gringo Alley, saliamo al ristorante Emperador e ci sistemiamo vicino al focolare, perché siamo infreddoliti. Qui il menù turistico costa 15 NS (4,2 Euro) ma comprende anche la macedonia o dolce e caffè. Cuzco, oracolo di fasti passati, ci stupisce subito con la sua bellezza, esaltata dalle luci della sera. Purtroppo notiamo anche tanti bambini lustrascarpe e tanti accattoni. E’ pieno di turisti e questi sono una calamita per la povera gente.

IL VIAGGIO PROSEGUE. Vieni a leggerlo! Ciao, Paolo



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