In giro per la Dalmazia 2
Mercoledì 10 agosto: Roma – Pescara – Spalato L’aliscafo della SNAV per Spalato salpa alle due e mezzo da Pescara; lungo il percorso autostradale da Roma ci fermiamo per una rapida visita alla chiesa romanica di San Clemente in Casauria. La navigazione è tranquilla; l’aliscafo è gigantesco con due ponti affollati di passeggeri. Dopo un paio d’ore, iniziamo l’attraversamento delle isole croate, fino a raggiungere Hvar, dove facciamo scalo a Stari Grad. Il paese si trova in fondo ad una profonda baia dalle acque blu, piena di barche a vela e circondata da verdi paesaggi. La nave, ripresa la navigazione, s’infila tra le isole di Brac e Solta; finalmente ci appare Spalato, con lo skyline degli alti condomini bianchi della periferia. Sbarchiamo alle sette e mezzo e, dopo qualche difficoltà d’orientamento, riusciamo a raggiungere la casa privata, presso la quale abbiamo prenotato una stanza tramite Internet (www.Palmasplit.Com). L’edificio si trova in un vicolo nel quartiere Manus, nelle vicinanze del centro. Dopo una cena frugale con le provviste portate dall’Italia, raggiungiamo la città vecchia. La Riva è il lungomare, animatissimo di gente dedita allo struscio, allietato da filari di palme e pieno di caffè con tavoli all’aperto. Subito ci rivela la particolarità di Spalato: gli edifici sono ricavati nelle mura del Palazzo di Diocleziano e le arcate romane si distinguono ancora chiaramente. L’imperatore dalmata ritirandosi a vita privata si fece costruire una gigantesca reggia nei pressi di Salona, sua città natale; alcuni secoli più tardi le invasioni barbariche spinsero gli abitanti dell’antica città a fuggire, rifugiandosi tra le possenti mura del palazzo imperiale. Oggi passeggiando nella città vecchia si avverte forte la suggestione delle rovine antiche, riutilizzate per chiese e palazzi. Il cuore è rappresentato dal Peristilio, una piazza veramente unica circondata da colonne e mura romane. Proseguiamo la passeggiata entro le mura in mezzo alla folla di villeggianti, perdendoci tra vicoli stretti e affascinanti. Più commerciale ma sempre piacevole è Marmontova appena fuori il Palazzo, dove prosegue la pavimentazione in pietra bianca caratteristica di tutto il centro. Giovedì 11 agosto: Spalato Giornata dedicata alla visita di Spalato. Riprendiamo le nostre esplorazioni dal Peristilio; il cuore del Palazzo di Diocleziano, punto d’incontro del cardo e del decumano, oggi costituisce un’animata piazzetta circondata da architetture romane, adattate nei secoli ad altri scopi. Verso il mare la piazza è chiusa dal Protiro, accesso all’imponente vestibolo, oggi privo della cupola, e agli appartamenti imperiali ormai scomparsi; ai lati sorgono due colonnati con archi. In quello ad ovest si sono inserite costruzioni successive mentre in quello opposto, accesso al mausoleo, si trova ancora una sfinge egiziana in granito nero che avrà visto passare centinaia di generazioni. L’edificio ottagonale, circondato da un portico di colonne corinzie, un tempo era il mausoleo dell’imperatore mentre oggi ospita la cattedrale di San Doimo, preceduta da uno svettante campanile. Il portale è chiuso da ante medioevali di legno con cassettoni intagliati che rappresentano belle scene della vita di Cristo. All’interno la cupola è circondata da un doppio ordine di colonne dai bei capitelli corinzi, con un fregio con scene di caccia e i ritratti di Diocleziano e la moglie Prisca. Lo spazio abbastanza ristretto è occupato da molte opere d’arte: il pulpito romanico presenta capitelli formati da un groviglio di fogliame e serpenti, l’altare di Sant’Anastasio, una cruda rappresentazione della Flagellazione di Cristo. Un vicoletto di fronte alla cattedrale conduce al Battistero, ricavato in un tempio pagano; all’interno della cella dalla volta a botte il fonte battesimale reca un bassorilievo medioevale con un personaggio prostrato davanti ad un re cristiano. Proseguiamo passeggiando nel dedalo di vicoli, ammirando alcune dimore dalle belle corti. La Porta Aurea segnava l’ingresso del Palazzo dalla terraferma verso Salona, sul lato opposto alla Riva (nei tempi antichi occupata dal mare che arrivava fin sotto le mura). Al suo esterno spicca l’imponente statua del vescovo Gregorio Nin, paladino della lingua croata nel X secolo, opera abbastanza retorica di Mestrovic. Narodni Trg (Piazza del Popolo), appena fuori le mura, nel trecento sostituì il Peristilio come centro della città; lungo l’animatissima Marmontova troviamo l’invitante mercato del pesce. Tornati entro le mura del Palazzo, raggiungiamo i vasti sotterranei. L’asse principale sotto il cardo è occupato da bancarelle di souvenir mentre gli altri imponenti ambienti, speculari a quelli che un tempo sorgevano sopra, si possono visitare a pagamento. Ormai abbiamo terminato l’esplorazione del centro e decidiamo di fare una puntata al Museo Archeologico che raggiungiamo dopo avere superato il vecchio stadio dell’Hajduk, amatissima squadra di calcio locale. I pezzi più belli sono i sarcofagi di marmo provenienti da Salona: uno pagano è ricoperto da lucidi bassorilievi che sembrano essere stati appena scolpiti, uno cristiano reca l’immagine del buon pastore. Le panchine nella corte centrale c’invitano ad un momento di relax che proseguiamo consumando il nostro pranzo a base di panini, sdraiati sull’erba di un giardino poco distante. Il promontorio di Spalato è chiuso dalla penisola di Marijan, occupata da una montagna coperta da una pineta. Per raggiungerla attraversiamo il caratteristico quartiere di Veli Varos. Sul Telgrin, la vetta più alta, campeggia una grossa bandiera croata e la vista spazia da una parte sulla città vecchia, fronteggiata dalla baia dove attraccano i traghetti, e dall’altra sul porto moderno. Ceniamo in un locale sul lungomare, il Buffet Fife, apprezzando il pesce alla griglia e la pasticada, piatto tradizionale di carne stufata con lardo arrostita nel vino e nelle spezie.
Venerdì 12 agosto: Spalato – isola di Hvar – Spalato Sull’isola di Marinkovic, davanti allo stretto con l’isola di Sveti Jerolim, ammiro in lontananza il paese di Hvar e la sua isola. La giornata nuvolosa non concede che pochi squarci di sole durante i quali il mare si accende di azzurro e turchese. Sull’isola di fronte i nudisti si godono la natura senza problemi. Mi tuffo in acqua per ammirare qualche pesce colorato che sguazza subito sotto gli scogli e la macchia scura delle alghe sul fondale più al largo. Questa mattina abbiamo girato per il paese di Hvar, raggiunto dopo un’ora di navigazione in catamarano della SEM Marina da Spalato. Le vie non erano poi così affollate come temuto mentre il sole, di solito presente nelle “Madeira dell’Adriatico”, era latitante. La piazza principale è circondata da belle case di pietra bianca. L’antico Arsenale Veneziano con un grande arco al piano terra, scalo per le galee, ospita al primo piano un piccolo e grazioso teatro di legno. Si tratta di uno dei più antichi teatri pubblici d’Europa. In fondo alla piazza campeggia la facciata rinascimentale della cattedrale Santo Stefano, con il campanile reso più aereo dalla successione di monofore, bifore, trifore e quadrifore. Il paese s’inerpica con stradine e scalinate lungo le pendici della montagna. Visitiamo alcuni monasteri: quello di San Domenico ospita un piccolo museo archeologico e una mostra fotografica con immagini da tutto il mondo (Mongolia, Mali, Birmania). Lo svettante campanile si staglia sulle acque della baia. Sul lato opposto, oltre la fermata dei traghetti, il monastero di San Francesco sorge su una caletta. Nel refettorio un’intera parete è coperta dall’affresco dell’Ultima Cena mentre nella chiesa colpiscono nella parete divisoria le rappresentazioni colorate di santi con cartigli stile fumetto. Un taxi d’acqua ci ha portato in un quarto d’ora fino a Marinkovac, la seconda delle Isole dell’Inferno (Paklene Otoci) di fronte a Hvar. Siamo approdati in una baietta raggiungendo subito l’altra sponda dove si trova un ristorante e qualche ombrellone. Il tempo coperto ha reso meno attraente il posto, la pineta dell’isola e l’insenatura sassosa. Tornati a Hvar saliamo sulla fortezza spagnola. Dopo un altro piovasco, il cielo si apre e il sole illumina il paesaggio, il paese in basso con le bianche case di pietra e la cattedrale, insieme alle isole che si estendono al largo con le lunghe strisce verdi delle loro pinete. La sera a Spalato ceniamo nuovamente al Buffet Fife, gustando risotto ai frutti di mare e frittura di calamari. Sabato 13 agosto: Spalato – strada costiera – Mostar – Dubrovnik Lasciamo Spalato diretti verso sud seguendo la Magistrala, la strada che corre lungo la costa dalmata, fedele compagna di quasi tutto il viaggio. Fino ad Omis la costa è intensamente edificata; poi la natura riprende il sopravvento con le montagne ricoperte di verdi pinete che incombono sul mare blu. Al largo c’è sempre qualche isola ad allietare il paesaggio. La riviera di Makarska è vivacissima, tanto da essere considerata la versione croata della nostra riviera romagnola, ma la Magistrala corre alta, sopra i paesi, e la confusione ci appare lontana. Poco prima della cittadina portuale di Ploce la strada piega all’interno risalendo le montagne; dall’alto ammiriamo i tre laghi carsici di Bacin, immersi nel verde e situati a livelli differenti. Siamo nella regione del delta della Neretva e la Bosnia Erzegovina è proprio dietro l’angolo; ne approfittiamo per una puntata fino a Mostar. Il confine si trova subito dopo la città di Metkovic e il suo attraversamento ci costringe ad una fila di un’ora. Siamo in Erzegovina, in una regione a maggioranza cattolica e le bandiere croate sventolano da ogni parte. Seguiamo il corso della Neretva fino a Mostar. La città sorge sulle rive del fiume che separa la parte islamica da quella cattolica. Parcheggiamo nel settore croato, vicino alla chiesa di San Francesco. Il campanile è stato ricostruito dopo la guerra, superiore in altezza ai minareti delle moschee; insieme alla croce innalzata sulla collina, dalla quale le milizie croate bombardarono la città, sembra volere ricordare ai musulmani la superiorità della fede cattolica. La pace raggiunta mi appare piuttosto una tregua, sorvegliata dalle truppe dell’Unione Europea; da entrambe le parti quasi ogni famiglia ha perso qualche congiunto e i “responsabili” vivono solo qualche strada più in là. Molti edifici sono ancora sventrati dai bombardamenti mentre altri, abitati di nuovo, hanno le facciate crivellate di proiettili e colpi di mortaio. Solo la città vecchia, ai due lati dello Stari Most (Ponte Vecchio), è stata interamente restaurata. L’antico bazar è pieno di turisti che affollano ristoranti e negozietti di souvenir turchi (che contrasto con i ricordi incombenti della guerra !!). Lo Stari Most, simbolo della città, fu distrutto durante la guerra ma è stato ricostruito lo scorso anno grazie ai finanziamenti esteri. Lo spettacolo dell’arco di pietra che scavalca con una linea ardita il fiume è entusiasmante. Durante la sua costruzione nel cinquecento il sultano turco Solimano il Magnifico minacciò di morte l’architetto se il ponte fosse crollato e così questi scappò prima che le impalcature fossero rimosse. Il ponte invece ha resistito per quattro secoli e solo i colpi di mortaio delle milizie croate sono riusciti ad abbatterlo. Scendiamo sulla riva della Neretva per ammirarlo dal basso; l’arco tra le due torri è impressionante per la sua altezza mentre le acque verdi e gli svettanti minareti con le cupole delle moschee completano lo splendido quadro d’insieme. Speriamo che la sua ricostruzione rappresenti un segno di definitiva riconciliazione tra le comunità delle due sponde. Superato lo Stari Most siamo nel settore islamico. Raggiungiamo la moschea del pascià Koskin Mehmed. Dallo svettante minareto, anche questo ricostruito dopo la guerra, si ammira un bel panorama sulla città con il fiume subito in basso. Alcuni fedeli fanno le abluzioni nella fontana situata nel cortile; questi slavi islamici sono molto meno “rigidi” degli arabi e anche le donne girano a volto scoperto. La moschea è un unico ambiente dominato dalla cupola, una versione in scala ridotta delle moschee di Istanbul. I ricordi ottomani proseguono con la Biscevica Kuca, una casa tradizionale turca costruita nel seicento. Dal cortile si sale scalzi al primo piano, con il pavimento di legno ricoperto di tappeti. Il salotto affacciato sul fiume è arredato con bassi divanetti che invitano ad un momento di relax. La moschea di Karadjoz Bey è la più grande della città, simile nell’architettura a quella visitata in precedenza. Anche questa volta salgo sullo slanciato minareto, impressionante così alto e sottile. Inoltrandoci nel quartiere islamico lontani dal centro, camminiamo tra edifici in rovina, in uno scenario ben diverso dal centro turistico. In zona è segnalata una chiesa serbo-ortodossa, ridotta ad un cumulo macerie, ma non riusciamo ad individuarla e dobbiamo accontentarci della Torre dell’Orologio, di un cimitero islamico con lapidi in arabo e di una medersa. In una stradina sorge un’altra splendida casa turca, Kajtazoza Kuca. Appartiene ancora ai discendenti degli antichi proprietari; la padrona di casa, svegliata dal nostro arrivo, ci racconta la sua storia in italiano offrendoci una dolce bevanda all’acqua di rosa. La cucina è ancora piena degli utensili di una volta mentre al primo piano due stanze separate, con “armadio doccia” e bei tappeti, sono destinate agli uomini e alle donne. La prima reca vecchi libri in arabo, la seconda antichi telai. Lasciamo Mostar seguendo a ritroso il corso della Neretva fino a Pocitelj ormai a metà strada rispetto alla costa dalmata. È un piccolo borgo affascinante, tipicamente turco. Una volta si trovava all’estremo confine dell’impero ottomano e aveva pertanto una grande importanza strategica. Una fortezza ottagonale domina ancora l’abitato, con mura e bastioni poderosi. Molti sono gli edifici ricordo del passato, alcuni utilizzati da un ristorante, ma noi ci limitiamo a visitare la moschea di Hadzi Alija. Superata la frontiera croata e ritrovata la Magistrala, riprendiamo la marcia verso sud. Dall’alto si domina la piana formata dal delta della Neretva, oggi intensamente coltivata ma un tempo paludosa. Lungo la costa attraversiamo nuovamente una frontiera, lo stretto corridoio in corrispondenza di Neum, unico sbocco al mare della Bosnia. La sua esistenza trova una ragione storica nella cessione di queste terre all’impero ottomano da parte della repubblica di Ragusa per creare una zona cuscinetto con la rivale Venezia. Oggi la costa è deturpata dalle costruzioni moderne che sfruttano il breve tratto a disposizione mentre i pullman croati si fermano nei centri commerciali per i prezzi vantaggiosi dei negozi. Superiamo la penisola di Peljesac, che per molti chilometri ci ha accompagnato oltre lo stretto braccio di mare e, percorso il litorale dell’antica repubblica di Ragusa, raggiungiamo finalmente Dubrovnik. Tramite internet (www.Dubrovnik-online.Com/english/private_accommodation.Php) abbiamo prenotato un mini appartamento a Villa Smodakla. Si trova in splendida posizione su un promontorio a picco sul mare, vicino ad una baia interamente occupata dallo scheletro di un gigantesco albergo distrutto durante la guerra. Ceniamo nella terrazza cucinandoci una pasta asciutta. Domenica 14 agosto: Dubrovnik – isola di Mljet – Dubrovnik Alle nove partiamo dal porto di Dubrovnik alla volta dell’isola di Mljet con la nave veloce Nona Ana. Dopo un’ora e quaranta sbarchiamo a Polace, una striscia di case con resti di una villa romana in una profonda insenatura tra verdi colline. Una passeggiata di un’oretta ci porta, attraverso una collina ricoperta da una pineta, fino al Veliko Jezero, il più grande dei due “laghi” del parco. In realtà si tratta di un fiordo nel quale s’infila l’acqua del mare, anche se l’aspetto è proprio quello di un laghetto. Le acque turchesi ed azzurre sono trasparenti mentre una pineta ricopre tutte le colline circostanti. Gli alberi arrivano fin sulla riva, allungando i loro rami sopra le acque con le chiome verde smeraldo che splendono alla luce del sole. Seguiamo il sentiero lungo la riva fino al Moli Most, il ponticello che scavalca lo stretto passaggio verso il “lago” più piccolo, il Malo Jezero. La corrente è molto forte e mi diverto a lasciarmi trascinare, facendo il morto a galla. Un’affollata barca ci porta fino all’isolotto dove sorge la chiesa di Santa Maria, un’interessante costruzione di pietra parte del monastero benedettino del XII secolo. Tutto intorno all’isola i turisti approfittano delle splendide acque per un bagno ristoratore e anche noi non ci lasciamo sfuggire l’occasione. Con una breve nuotata raggiungo la sponda del lago mentre una coppia compie il tragitto inverso trasportando in mano i sandali indispensabili per camminare sulle rocce dell’isolotto. Tornati a Dubrovnik, finalmente dal porto raggiungiamo in autobus la città antica. Le strade dentro le mura sono affollatissime di turisti e la ricerca di un locale per la cena tutt’altro che semplice. Davanti ad alcuni ristoranti aspettano in fila decine di persone. Dopo un’attesa di una mezz’oretta, ceniamo al Konoba Ekvinocijo, vicino alle mura oltre la cattedrale. Lunedì 15 agosto: Dubrovnik Giornata dedicata alla visita di Dubrovnik. La città è tornata ad essere uno dei poli turistici della Croazia, dopo le distruzioni della guerra con i serbi. Orde di turisti si aggirano per le strade tra palazzi sistemati a nuovo, segnando un profondo contrasto con le immagini di guerra della mostra nel palazzo Sponza. Sono passati solo pochi anni ma la realtà della città è completamente cambiata: le strade deserte vittime dei bombardamenti oggi sono invase dai tavoli dei ristoranti che occupano ogni spazio mentre gli edifici distrutti sono stati tutti ricostruiti. Le foto delle vittime della guerra fanno accapponare la pelle e riflettere sull’inutilità di quel conflitto e di tutti gli altri. La città antica è circondata da un quadrilatero irregolare di mura turrite. Raggiungiamo la Porta Pile, ingresso occidentale. Il possente bastione esterno è appena ingentilito da una statuetta di San Biagio che regge un modellino della città. Superata la porta interna, decidiamo di affrontare subito il giro delle mura poiché è presto e le folle di turisti devono ancora arrivare. La città ai nostri piedi ci appare una distesa di tetti dalle tegole rosse. I danni prodotti dalla guerra sono stati riparati ma le tegole fornite dagli americani sono troppo fiammeggianti, in acceso contrasto con le poche più antiche sopravissute. Il tratto più alto, lungo le pendici del monte Srd che incombe sulla città, domina gli stretti vicoli che si arrampicano in salita. Gli scorci pittoreschi si succedono uno dopo l’altro: fili con i panni stesi sfruttano i pochi spazi disponibili, una suora innaffia il giardinetto del convento, l’isola di Lopud forma una macchia verde nel mare. Superato il porto antico, chiuso dal forte di San Giovanni, raggiungiamo il lato che sorge sopra le scogliere a picco sul mare. Sotto una torre di vedetta, un’altra immagine di San Biagio, patrono della città, sembra fare la sentinella e vegliare sull’eventuale arrivo delle navi nemiche di Venezia. Il quartiere in basso è uno dei più antichi e caratteristici; gli abitanti si sono ingegnati, chi insediandosi in una torre, chi costruendosi un caminetto nel cortile, chi mettendo un frigorifero davanti alla porta di casa per vendere bibite ai turisti. Il giro è stato entusiasmante e ora si è formata una lunga fila all’ingresso. Lo Stradun (chiamato anche Placa) è il corso di Dubrovnik. Dopo il disastroso terremoto del 1667, gli edifici furono ricostruiti rispettando regole rigorose, uno uguale all’altro, in pietra bianca con vivaci persiane verdi. Oltre la Porta Pile ci accoglie subito una piazza arricchita dalla grande fontana circolare di Onofrio, decorata da mascheroni dai quali zampilla l’acqua, e dalla bella facciata di San Salvatore. Subito a fianco sorge il convento dei francescani. Ne visitiamo l’affascinante chiostro: le colonnine hanno capitelli tutti diversi, scolpiti con personaggi umani ed animali mentre il museo espone gli armadi della farmacia, una delle più antiche d’Europa. Ulica Prijeko corre parallela allo Stradun ed è completamente occupata dai tavoli dei ristoranti; ripidi e stretti vicoli salgono fino alle mura. All’altra estremità dello Stradun sorge Luza (Piazza della Loggia), cuore della città con la Torre dell’Orologio, il Palazzo Sponza dalle finestre in stile gotico veneziano, sede della dogana, e la chiesa di San Biagio. Al centro della piazza si trova la colonna d’Orlando, popolarissimo da queste parti in quando avversario dei musulmani. Il suo avambraccio destro costituiva l’unità di misura della repubblica. Poco lontano sorge il Palazzo del Rettore. Il timore che il governatore della città potesse impadronirsi del potere faceva sì che per il mese del suo mandato dovesse vivere recluso nel palazzo. Le colonne del portico sono decorate da bei capitelli: uno è detto di Eusculapio (il dio della medicina caro ai ragusani che ritenevano la loro città fondata da coloni di Epidauro) perché reca la rappresentazione di un laboratorio farmaceutico. All’interno tutti gli orologi sono fermi alla stessa ora, da quando all’inizio dell’ottocento l’arrivo delle truppe napoleoniche segnò la fine della repubblica centenaria. Dopo la visita alla cattedrale di S. Maria Maggiore, raggiungiamo la bella piazza Gundulicev (Piazza delle Erbe), dove interrompiamo il nostro giro turistico pranzando ottimamente al Kamenica (insalata di polpo, cozze, prosciutto e pesciolini fritti). In fondo alla piazza affaccia la scalinata che conduce alla chiesa gesuita di Sant’Ignazio (ispirate rispettivamente a Trinità dei Monti e alla Chiesa del Gesù di Roma). Il quartiere verso il lato delle mura sul mare è meno turistico, con vecchie case e archi che scavalcano vicoli dall’atmosfera medioevale. All’estremità orientale del centro storico raggiungiamo il convento dei domenicani. La balaustra della scalinata d’accesso ha la parte bassa delle colonnine murata per impedire ai guardoni di sbirciare le caviglie delle dame! L’interno presenta un bel chiostro con trifore e pozzo nel mezzo mentre il museo espone alcune tele con santi che recano in mano modellini della città. Ormai abbiamo raggiunto la Porta Ploce, ingresso orientale, esaurendo l’esplorazione della città antica. Ceniamo nel nostro mini appartamento, purtroppo senza sfruttare la bella terrazza a causa del violento nubifragio. Martedì 16 agosto: Dubrovnik – penisola Peljesac – Korcula – Ston – Baska Voda Lasciamo Dubrovnik percorrendo a ritroso la strada dell’andata. Superato l’avveniristico ponte che scavalca l’insenatura dopo il porto, raggiungiamo Trsteno; due platani giganti alti quaranta metri e vecchi quattrocento anni campeggiano a fianco della strada. Proseguiamo fino alla penisola di Peljesac (Sabbioncello). La striscia di terra si allunga nel mare per decine di chilometri ed ha tutte le caratteristiche delle isole vicine ma è collegata alla terra ferma; i suoi vini sono molto apprezzati. La punta lambisce l’isola di Korcula e nel tempo passato costituiva un delicato confine tra le repubbliche di Venezia e Ragusa: la ragusana Orebic sulla penisola fronteggiava la veneziana Korcula sull’isola. Oggi un traghetto per soli passeggeri ci porta in dieci minuti sull’isola. Dal mare il paese sembra una piccola Dubrovnik, con il centro storico situato su una penisoletta circondata da mura turrite. I vicoli hanno un fascino antico ma il monumento più celebre è senza dubbio la cattedrale di San Marco, quasi costretta con la sua mole nella piccola piazza. La facciata è dominata dallo splendido rosone e dal portale con le sculture di Adamo ed Eva, in posizione abbastanza sconcia, sormontate ciascuna da un leone. Il busto di una matrona si affaccia curiosamente dalla cima del tetto. Dopo la visita all’interessante Tesoro nel palazzo accanto, raggiungiamo la cosiddetta casa di Marco Polo. Gli abitanti di Korcula sostengono che il celebre viaggiatore veneziano era nativo proprio della loro isola; quello che è certo è che, tornato dai suoi viaggi in Cina, fu catturato dai genovesi in una battaglia navale combattuta da queste parti. La casa torre che visitiamo comunque è una costruzione del seicento. Passeggiando per i vicoletti del piccolo borgo antico raggiungiamo subito la Porta di Terraferma, dominata dalla torre del Rivellino. L’esposizione al suo interno illustra la celebre rappresentazione della Danza delle Spade che si tiene d’estate ogni lunedì (ad uso dei turisti). Nei paraggi si trova la chiesa di Ognissanti, con una imponente pala d’altare e un’annessa galleria di icone orientali, portate al sicuro (cioè trafugate!!) dai veneziani a Candia. Korcula è veramente minuscola e tornando in barca verso Orebic, i traghetti della Jadrolinja ormeggiati ai suoi moli sembrano dei giganti. Imboccata la strada del ritorno, gettiamo un ultimo sguardo allo scorcio formato dal braccio di mare blu tra i due paesi. All’imboccatura della penisola di Peljesac, si trovano due paesini gemelli, Ston e Mali Ston. Un tempo sorgevano sul confine settentrionale della repubblica di Ragusa e per questo erano difesi da imponenti fortificazioni. Mali Ston, anche grazie ai suoi allevamenti di ostriche, è apprezzata come uno dei posti migliori della Dalmazia per il pesce e quindi decidiamo di verificare se ciò che si dice corrisponde al vero: pranziamo al Kapetonova Kuca, un locale davanti al porticciolo. Dopo l’ordinazione si scatena un vero e proprio nubifragio e le tende che coprono i tavoli all’aperto si riempiono d’acqua, lasciando cadere scrosci sopra i commensali. I tentativi disperati dei camerieri sono inutili: i tavoli devono essere evacuati e ci dobbiamo trasferire nello spazio interno in mezzo ad una certa confusione. Nonostante il contrattempo, il pranzo è fantastico: gustiamo sei ostriche, calamari alla griglia, risotto al nero di seppia, terminando in bellezza con un meraviglioso crem caramel. Soddisfatti i piaceri della gola, passiamo a quelli dello spirito. Il borgo di Mali Ston è formato da poche case in pietra dominate da una possente fortezza turrita; da essa parte una muraglia che si estende per qualche chilometro fino a Ston. Le mura merlate si arrampicano sulla montagna attraverso una fitta boscaglia e fanno pensare ad una versione in miniatura della Grande Muraglia cinese. In macchina raggiungiamo Ston, più grande del suo gemello e curiosamente dominato dalle mura che formano una V risalendo la montagna. Dall’alto la vista spazia sui tetti del paese e le saline più in lontananza. Ormai è tempo di riprendere la marcia verso nord lungo la costa. Per la notte decidiamo di raggiungere Blera, nella riviera di Makarska, ma molto più tranquilla della sua vicina. Lasciata la Magistrala raggiungiamo il lungomare iniziando la peregrinazione di agenzia in agenzia alla ricerca di una camera libera. Ci rispondono sempre che è tutto pieno, storcendo il muso quando diciamo che vogliamo soggiornare solo per una notte; decidiamo quindi di provare a chiedere direttamente nelle case (quasi tutte segnalano la possibilità di affittare camere con la scritta “sobe”). Troviamo una casa dove dovrebbe essere disponibile una stanza ma al momento è presente solo un ragazzino con il quale è impossibile comunicare. Alla fine i nostri sforzi sono premiati e ci sistemiamo in una camera con bagno negli Apartment Slavica (davanti alla pensione Putnik). Dopo una cena frugale nel terrazzo comune, scendiamo di nuovo sul lungomare. Osservando una cartina scopriamo che le nostre peregrinazioni ci hanno portato oltre Blera fino a Baska Voda, animatissimo centro di vacanze balneari. Il paese è affollato dai villeggianti impegnati nella passeggiata serale mentre una parte della spiaggia è interamente occupata da bar e locali notturni.
Mercoledì 17 agosto: Baska Voda – valle della Cetina – Salona – Trogir – Primosten Lasciamo Baska Voda e la Magistrala per una breve deviazione nell’interno verso la valle della Cetina. Lungo la strada molte bancarelle vendono vino e finiamo per acquistare un litro e mezzo di “prosec”, che una vecchietta ci travasa direttamente dalla botte in una bottiglia di plastica. A Zadvarje il fiume Cetina ha scavato un canyon stretto e profondo. Le acque in basso formano una cascata con due salti. Seguiamo il percorso del fiume verso il mare, in una valle più ampia; le acque burrascose si prestano alle prodezze degli amanti del rafting. Prima della foce la valle si fa nuovamente stretta ed il fiume s’infila tra alte montagne rocciose. Ad Omis la folla di villeggianti ed il traffico sono notevoli. Proseguiamo quasi fino a Spalato, prima di piegare verso l’interno raggiungendo Solin, ormai inglobata nella periferia della città, dove si trovano le rovine di Salona, capitale della provincia romana della Dalmazia. Il sito è abbastanza deludente se si eccettuano i resti di una basilica paleocristiana e dell’anfiteatro, più grande di quello di Pola. Aggirando Spalato raggiungiamo nuovamente la costa a nord della città. Ci troviamo nella regione dei Kastela, dove i nobili amavano costruire le loro residenze sul mare contornate da borghi. Oggi però tutta l’area è intensamente edificata e non mancano gli insediamenti industriali. Finalmente arriviamo a Trogir: il centro storico su un’isoletta merita senz’altro il titolo di patrimonio dell’umanità assegnato dall’Unesco. La Piazza Giovanni Paolo II è il cuore del borgo, dominata su un fianco dalla cattedrale di San Lorenzo. Purtroppo la facciata è in restauro e non possiamo ammirare le celebri sculture del portale duecentesco. Dobbiamo accontentarci della svettante mole del campanile. Completano la piazza il palazzo Cipiko con due eleganti trifore sovrapposte in stile gotico veneziano e la Loggia Pubblica con la torre dell’orologio. Al suo interno un rilievo recava un grosso leone di San Marco ma tra le due guerre fu fatto saltare da attentatori croati che volevano eliminare le tracce del passato italiano. Nell’interno della cattedrale spicca l’architettura rinascimentale della cappella di San Giovanni da Traù, tutta in pietra bianca, opera di Nicola Fiorentino. Al centro della volta a botte, coperta di angeli, si affaccia Dio Padre mentre in basso corre un fregio di curiosi puttini alati che sbucano da porticine reggendo una torcia. Passeggiamo per i vicoli del centro, in mezzo ad affascinanti architetture antiche, rese vive dai panni stesi ad asciugare da ogni parte. In un balcone alcuni elmetti militari sono stati riciclati come vasi per i fiori. Nel convento presso la chiesa di San Nicola è ospitato un piccolo museo; il pezzo forte è un antico bassorilievo greco di Kairos, dio del momento propizio: il ciuffo sulla fronte serve per acchiapparlo al volo mentre l’assenza di capelli sulla nuca impedisce di prenderlo dopo che è passato. La Riva con un bel filare di palme è animata da una gran folla, mentre molte barche a vela sono ormeggiate alla banchina. Nella lunetta sopra il portale di San Domenico, una Maddalena cela la sua nudità dietro le lunghe chiome. In fondo all’isola raggiungiamo la fortezza del Camerlengo. Dalla torre più alta si domina tutto il borgo con il suo dedalo di vicoli e la Riva alberata. Curiosamente nella ristrettezza degli spazi, una vasta area è occupata dal campo di calcio.
Ripresa la “solita” marcia costiera verso nord, raggiungiamo Primosten sistemandoci in un appartamento sulla collina oltre la Magistrala, individuato grazie ad una delle numerose agenzie. L’abitazione è tutta per noi, con un vasto salotto ed un balcone dal quale la vista spazia sul paese in basso. Raggiungiamo la spiaggia di ciottoli a fianco di un boscoso promontorio dove sorgono alcuni alberghi. Un tuffo nell’acqua abbastanza agitata mi rinfresca dopo la calda giornata. La parte vecchia di Primosten sorge su un isolotto collegato da un istmo alla terraferma. Le case addossate le une alle altre sono dominate dalla chiesa con il campanile, alta sulla punta. Intorno sorgono le tombe del cimitero, inclusa quella di un’anziana signora ancora coperta dalle corone di fiori del recente funerale. I villeggianti non sembrano turbati da pensieri esistenziali mentre apprezzano il posto piacevole. E’ l’ora del tramonto e il sole scende infuocato nel mare mentre il promontorio oltre il paese trabocca della vegetazione di una pineta, squarciata dall’edificio di un albergo. Percorriamo a ritroso il paesino; le case sono meno pittoresche che in altre parti ma spiccano alcune curiose costruzioni di pietra, con i tetti formati da lastre poste una sopra l’altra come tegole. Un negozietto vende gustose fritture di pesciolini a portar via. Le innaffiamo con il corposo vino rosso locale, il “babic”. Completiamo la cena nel balcone di casa cucinandoci un risotto. Giovedì 18 agosto: Primosten – parco della Krka – Sebenico – Murter Superata Sebenico raggiungiamo Skradin sul fiume Krka. Nel porticciolo sono attraccate molte barche a vela, giunte fin qui direttamente dal mare. Le barche “navetta” del parco risalgono il corso del fiume per una ventina di minuti, in mezzo a boscose rive collinose, fino all’area più famosa, le cascate di Skradinski Buk. Si tratta di una delle bellezze naturali più apprezzate della Croazia: le acque della Krka, superano una serie di 17 terrazze, formando cascate, isolotti e laghetti. Per primo ammiriamo l’ultimo salto, il più spettacolare, con un fronte larghissimo. Una rete di sentieri e ponti permette una piacevole passeggiata in mezzo alla lussureggiante vegetazione, attraverso pozze d’acqua stracolme di pesci. Decidiamo di proseguire l’esplorazione del parco con la gita in barca di quattro ore fino alle cascate di Roski slap. Nel primo tratto di navigazione la valle si fa più ampia, fino a raggiungere l’isola di Visovac occupata da un convento con annessa chiesa. I giardini sono curatissimi, pieni di fiori, mentre una mostra fotografica è dedicata alle chiese danneggiate nella recente guerra. La maggioranza serba della regione non accettò la proclamazione d’indipendenza della Croazia e cercò di creare uno stato autonomo appoggiata dalla Serbia. Le operazioni di pulizia etnica e la guerra che seguirono furono particolarmente cruente. Una bomba venne anche a turbare la tranquillità di Visovac. Ripresa la navigazione, il fiume s’infila in uno stretto canyon tra pareti rocciose, fino alle cascate di Roski Slap. Alcuni mulini sono ancora attivi con le mole in pietra azionate dalla forza delle acque. Sopra la cascata, il fiume forma un’area di laghetti pieni di vegetazione; ne risaliamo un tratto lungo un sentiero. Per mancanza di tempo dobbiamo rinunciare invece alla visita, più a monte, del monastero della Krka: richiederebbe una seconda gita in barca di due ore. Tornati a Skradinski Buk, dopo un’occhiata all’interessante museo etnografico, faccio un bagno sotto il salto principale. L’affollamento di turisti ha raggiunto livelli di guardia. Un breve tratto in macchina ci riporta sulla costa a Sebenico. Il paese sorge sulle pendici di una collina a ridosso del mare, dominato dalla fortezza di Santa Anna. Raggiungiamo la cattedrale di San Giacomo, affascinante mescolanza di elementi gotici e rinascimentali. La cupola ottagonale e la copertura con volta a botte in candida pietra bianca, danno l’impressione di trovarsi in Italia di fronte ad uno splendido edificio del nostro rinascimento. Su un fianco della chiesa sorge il portale più bello con statue di Adamo ed Eva che sormontano ciascuna un leone. Un fregio con 71 teste, opera di Giorgio di Matteo il Dalmata, fornisce una realistica galleria di personaggi dell’epoca. All’interno colpisce il battistero dello stesso autore, un tripudio di bassorilievi con la volta a crociera monolitica piena di angeli che circondano il Padre Eterno barbuto. Passeggiando nel paese incrociamo altre chiese interessanti fino a raggiungere la Riva. Sebenico ci appare fuori del circuito turistico e un po’ triste. Arrampichiamo i vicoli in salita fino alla fortezza di Santa Anna dove si ammira il panorama sul paese in basso, con il “cofanetto” della cattedrale, e le isole al largo. Ripresa la marcia verso nord lungo la Magistrala, deviamo per raggiungere l’isola di Murter collegata con un ponte alla terraferma. Ci sistemiamo in una stanza di una casa privata alla periferia del paese. Tornati in centro prenotiamo per domani una gita alle Kornati con l’agenzia Coronata e ceniamo allo Zameo (pizza per Stefania, gnocchi gorgonzola e gamberi per me).
Venerdì 19 agosto: Murter – isole Kornati – Murter – Zara Le isole Kornati (Incoronate) sono pugni di terra in mezzo all’Adriatico, aride e brulle colline nell’azzurro del mare. Gli abitanti di un tempo incendiarono i boschi per liberare terreno per i pascoli e le pecore fecero il resto. Entrambi poi scomparvero, lasciando la desolazione di una terra priva di vegetazione. Lunghi muretti di sassi corrono dritti, dividendo proprietà private del nulla appartenenti agli abitanti di Murter; solo qua e là qualche piccolo recinto spicca per la macchia verde degli ulivi. I colori delle isole sono delicati: il beige delle rocce, il pallido verde dell’erbetta. Il mare risponde invece con le sue forti tonalità, cobalto, azzurro e turchese. Un parco nazionale protegge questo territorio; solo qualche raro pugno di case segnala la presenza dell’uomo mentre per il resto la natura è sovrana. Un turismo ricco di barche a vela si mescola con i gitanti della domenica dei tour organizzati. Poca cosa per turbare lo spettacolo della natura. Visitiamo l’arcipelago con una gita organizzata; la barca vecchia di 99 anni secondo il nostro accompagnatore si presenta gradevole grazie all’alberatura (di puro effetto scenografico ma nessun impiego pratico). Al mattino il tempo coperto rende triste la visione delle isole ma nel pomeriggio il cielo si apre e lo spettacolo ha inizio. Pranziamo in un ristorante sull’isola Incoronata, la principale, gustando due pesci cotti sulla piastra. Più tardi una sosta di un’ora ci consente un bagno in una baia dove una spiaggia dai bei ciottoli bianchi cede il passo più al largo ad un fondale di sabbia bianca. Le acque sono trasparenti e turchesi. La lunghezza del giro, oltre cento chilometri, tutto intorno alle Kornati, e la lentezza della barca ci consentono di tornare a Murter solo alle sei di sera. Recuperata la macchina, proseguiamo lungo la costa fino a Zara dove ci sistemiamo in una pensione lontana dal centro per evitare problemi di parcheggio.
Sabato 20 agosto: Zara – Plitvice Raggiungiamo il centro di Zara di buonora attraversando il ponte pedonale che collega la penisola alla parte moderna. La città appartenne all’Italia tra le due guerre mondiali e fu distrutta dai ripetuti bombardamenti degli Alleati. Le case pertanto sono moderne ma le numerose chiese sono state restaurate, conferendo al centro un aspetto affascinante. Narodni Trg è la piazza centrale ma a questa ora ci appare spopolata. L’area occupata dal foro romano oggi è dominata da alcuni tra i monumenti più interessanti della città: il campanile della cattedrale, la chiesa a pianta rotonda di San Donato, con curiose fondamenta fatte di materiale di reimpiego, e la facciata rinascimentale di Santa Maria. Sopra il pavimento antico solo qualche bassorilievo e mozzicone di colonna, insieme con una colonna ornamentale interamente rialzata, ricorda i tempi antichi. La Riva di Zara era considerata una delle più belle ma fu distrutta durante la guerra e oggi lo spazio vuoto è occupato da un giardino alberato. Nell’attesa dell’apertura dei vari monumenti proseguiamo la passeggiata: raggiungiamo la cattedrale di Santa Anastasia dalla facciata in stile rinascimentale pisano, proseguendo verso la punta della penisola. Torniamo indietro lungo le banchine dove attraccano i traghetti dall’Italia, fino alla chiesa di San Crisogono con tre belle absidi lombarde. Il mercato è già animatissimo; frutta e verdura fanno bella mostra sopra le bancarelle. Anche Narodni Trg si è riempita di gente ed i tavolini dei caffè sono affollati per la colazione. La porta di Terraferma segna il confine della penisola: un grosso leone di San Marco sembra schiacciare il piccolo San Crisogono a cavallo, simbolo della città, collocato subito sotto. La Piazza dei Cinque Pozzi con le vere allineate fornisce un bel colpo d’occhio. Nella chiesa di San Simeone si trova l’arca d’argento con le spoglie del santo, capolavoro d’oreficeria. Una storia racconta che la regina Elisabetta d’Ungheria cercò di rubare un dito del santo nascondendolo in seno ma dovette rinunciare per i vermi !! Tornati al foro visitiamo San Donato che con la sua architettura circolare ricorda San Vitale a Ravenna. L’interno però è completamente spoglio per le passate distruzioni. Il convento annesso a Santa Maria ospita invece una collezione d’oggetti d’arte sacra con splendidi reliquari in oro e argento. Lasciamo Zara per l’unica escursione fuori della Dalmazia del nostro viaggio, i laghi di Plitvice. Raggiunta l’autostrada Spalato – Zagabria, inaugurata lo scorso anno, puntiamo decisi verso nord ma presto veniamo arrestati dalle lunghe code. Un’uscita segnala la possibilità di raggiungere Plitvice ma testardamente decidiamo di proseguire sull’autostrada. L’errore ci costa due ore di fila a passo d’uomo, fino ad una galleria di svariati chilometri a carreggiata unica, un vero e proprio imbuto. Ci consoliamo ammirando il paesaggio montano e facendo le parole crociate. Superata la galleria, la fila svanisce e procediamo spediti. Per raggiungere il parco usciamo ad Otocac allungando ulteriormente il tragitto. La strada attraversa paesaggi montani completamente diversi dalla Dalmazia; il tedesco sostituisce l’italiano come seconda lingua. Alle quattro del pomeriggio arriviamo finalmente all’ingresso 2 del parco, punto d’accesso ai laghi superiori. Un trenino elettrico ci porta fino al lago Proscansko, il più alto, dal quale un percorso in discesa lungo passerelle e sentieri consente di ammirare la successione di laghi e cascate. Il cielo coperto purtroppo rende meno attraente il paesaggio di boschi, con le acque verdi e trasparenti piene di pesci. Gli angoli pittoreschi si succedono uno dopo l’altro. Alla fine della passeggiata una barca ci porta nuovamente alla “stazione” dei trenini. In macchina ci spostiamo all’ingresso 1, nell’area dei laghi inferiori. Un breve sentiero conduce alla Veliki Slap (Cascata Grande), la più maestosa del parco con un doppio salto e vari rami che creano un quadro incantevole. Per la notte ci sistemiamo in una casa in fondo al paese di Rakovica, situato a poche centinaia di metri dall’ingresso 1, dove facciamo ritorno per cenare al ristorante del parco, il Lika kuca (salsicce e agnello arrosto). Domenica 21 agosto: Plitvice – Fiume – Roma Ci aspetta un lungo cammino fino a Roma. Lasciamo Plitvice alle otto del mattino ripercorrendo la strada di ieri fino ad Otocac. Attraversiamo paesini dall’aspetto alpino; alcune chiese ortodosse abbandonate sono in rovina e ci ricordano la guerra recentemente combattuta in questa regione tra serbi e croati. Ci fermiamo un paio di volte per acquistare, nei chioschi lungo la strada, una forma di formaggio ed un barattolo di miele. Dopo un breve tratto lungo l’autostrada per Zagabria, ci accorgiamo che l’autostrada per Fiume, riportata sulla nostra carta, non esiste (è solo in costruzione); riprendiamo quindi la lenta marcia lungo una strada piena di curve che conduce in picchiata a Senj, di nuovo sul mare. Il tempo pessimo non ci consente di apprezzare questo tratto di costa mentre procediamo incolonnati dietro un paio di camper. Attraversiamo un paio di paesi dominati da castelli, fino all’isola di Krk collegata alla terraferma da uno svettante ponte a due campate. Superiamo poi la baia di Buccari oggi fortemente industrializzata e resa celebre dalla beffa dannunziana con i MAS, tanto citata nella Settimana Enigmistica. I palazzoni della periferia di Fiume non hanno certo un bell’aspetto. Verso l’una siamo finalmente al confine, dove non troviamo le temute file (gli italiani sono soggetti ad un trattamento di favore visto che i doganieri sloveni non controllano loro neppure i documenti). Un’oretta nel Carso sloveno e siamo in Italia. E’ la domenica dopo ferragosto, giornata di temuti rientri ma, nonostante il maltempo, il traffico non è tremendo. Unica eccezione la lunga fila al casello di Venezia. Alle dieci arriviamo finalmente a Roma, dopo oltre 900 chilometri di viaggio.