Giglio bella e possibile
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un orto botanico a picco sul mare
Il nome Giglio deriva da un termine greco, aigilion, diventato aegilium in latino, che significa capra, e quindi dovrebbe far riferimento all’isola delle capre. Eppure di capre non se ne trovano più tante oggi, percorrendo i sentieri che attraversano l’isola e si spingono verso l’interno per condurre a torrenti e cascate, luoghi incantati carichi d’acqua soprattutto in primavera e sul finire dell’autunno. Passeggiando per i prati, la macchia e i boschi, si possono distinguere ben settecento specie di piante: un autentico orto botanico imprevisto se si considerano gli appena ventuno chilometri quadrati di spazio circoscritto dall’acqua. Camminando nel verde, è facile imbattersi in conigli selvatici e avvistare splendidi esemplari di rondoni, gabbiani e corvi imperiali. In mezzo alla natura, a testimoniare la presenza dell’uomo ci sono i capannelli, tipiche costruzioni che ricordano vagamente i dammusi di Lampedusa, eretti per riparare i pastori e i loro piccoli greggi.
dal porto in salita fino al castello
Ancora oggi, selvaggia e solitaria, l’isola non ha smarrito il senso del suo passato, anzi ne ha fatto il simbolo della propria fierezza ed esclusività. E lo si avverte anche quando da Porto, nel periodo estivo spesso affollato di personaggi noti, si percorre l’unica strada che taglia l’isola – diciotto chilometri in tutto – e s’inerpica fino a Giglio Castello. Nella quiete del borgo trecentesco ancora ben conservato, si aprono infatti stretti vicoli ombreggiati dalla fitta trama di case in pietra punteggiate dai “balzuoli”, le scalette costruite all’esterno per raggiungere i piani superiori. E lo si percepisce entrando nella rocca pisana o varcando il portale di San Pietro e Paolo Apostoli, chiesa romanica con elementi barocchi del XVIII secolo. Al suo interno, la Cappella del Crocifisso custodisce il Crocifisso in avorio attribuito al Gianbologna e il reliquiario d’argento contenente l’urna del braccio destro di San Mamiliano, santo protettore dell’isola.
il tempo? un lontano ricordo
Ma ancora di più si avverte la suggestione e l’atmosfera di un luogo senza tempo scendendo verso la costa nord-occidentale fino alla spiaggia a forma di mezzaluna di Giglio Campese. È il vivace centro turistico e balneare dell’isola, che però non scalfisce la purezza del paesaggio ancor più suggestivo al tramonto, quando il faraglione che chiude l’insenatura assume le sembianze di un ciclope. Su tutto domina, imponente, la Torre del Campese, costruita su disegno dell’architetto militare Alessandro Pieroni e attiva tra il ‘500 e il ‘600 al servizio del granduca di Toscana Ferdinando I de’ Medici. Eppure l’isola vera, quella più autentica, è altrove. Si sviluppa lungo i venticinque chilometri di costa, dove si arriva solo a piedi o per mare. E ci si perde in questo fazzoletto di paradiso tra il mare che sfuma dalle smeraldo al viola, le falesie scoscese del litorale, le lingue di sabbia chiara e sottile. Si scoprono insenature, anfratti nascosti, grotte, calette riparate tra pareti che si stagliano anche per decine di metri, fondali disegnati da gorgonie e posidonie, anemoni e coralli. Qui lo scorso anno è stato avvistato un esemplare di foca monaca. Avvistamento che la dice lunga sul Giglio e le isole toscane: coste protette e mare spettacolare, come testimoniano le 5 Vele della Guida Blu di Legambiente e Touring. Dal mare si raggiungono le calette di Arenella e Cannelle. Alle Caldane si arriva invece da Giglio Porto attraverso un sentiero che taglia la macchia e si spinge fino a Punta Torricella: da qui la vista sull’Argentario e sull’intera costa è insuperabile. Dalla punta di Capel Rosso si avvista l’isola di Giannutri. La meraviglia continua se ci si sposta verso la selvaggia costa ovest: è qui che si aprono alla vista cala del Corvo e quella dell’Allume, dove vale la pena sedersi per ammirare il fascino misterioso dell’isola di Montecristo, selvaggia e al momento disabitata. Il viaggio prosegue fino a doppiare la splendida punta di Mezzo Franco e la punta Faraglione che apre la baia di Campese. Poi si oltrepassa la punta delle Secche e finalmente il Fenaio, più a nord, e la punta del Morto, dove il mare si tinge di molteplici sfumature: un mondo sottomarino ricco e variegato che costituisce la memoria vivente di una natura protetta dal Parco nazionale dell’Arcipelago Toscano.