‘La Historia de Cacì’, una storia vera
(una storia vera)
Cacì era appena un ragazzino, ma già da piccolissimo aveva qualcosa di strano di diverso, sarà stato il lampo dei suoi occhi o quel fisichetto esile e robusto al tempo stesso, quel portamento reale ed una camminata che pareva danzare sui marciapiedi che lo distinguevano dai compagni della sua età.
Alle primarie già la camicetta rossa e i saltafosso gli stavano un po stretti, come le scarpe, che puntualmente alle 4 l’ora di uscita dimenticava insieme alla divisa.
Lo vedevi uscire di casa allora come una saetta, scalzo ed in canottiera, brandendo un bastone, la sua mazza da baseball, per arrivare all’angolo della 19 e la 21, lo slargo dove i principali giovani capitani componevano le squadre e davano inizio ai tornei che si prolungavano anche fino a notte inoltrata. A volte, quando radio bemba (radio labbra) dava la notizia, perché sia chiaro anche tra i ragazzini funziona bene l’informazione di radio bemba (il passaparola), che nei giardini dell’università c’era Ulito con il suo pallone da football vero, si rinunciava al torneo e si andava tutti là, a sei isolati di distanza risalendo la rampa per saltare la balconata dell’università e vedere quello spettacolo di palla. A lui, poi , dava in infinito piacere sentire a piedi scalzi la dolce ruvidezza del cuoio usato, ed anche quando lo percuoteva con il suo potente destro, dava piacere il piccolo dolore del colpo.
Passava il tempo nella sonnacchiosa Avana e venne anche il tempo di cambiar divisa e di mettere quotidianamente il fazzoletto al collo. La cosa non lo turbò più di tanto, aspettava sempre l’ora di andare a cambiarsi e mettersi in libertà, per così dire. Sembrava accettare passivamente i campi di istruzione in campagna, le gite a vedere le fabbriche di zucchero, le marcette stile pionieri elle armi, sapeva che non poteva ancora farci niente e che doveva restar in divisa almeno fino al preuniversitario quando poteva anche decidere di lasciare quella inutile scuola.
Gli anni scorrevano lenti come l’Almandres scorre tra il Vedado e Miramar, lento quasi immobile, ma inesorabile.
Arrivarono gli anni 90 con tutte gli sconvolgimenti che si possono immaginare, ma che in quella terra cambiarono le abitudini di tutti, senza eccezione alcuna.
In quel periodo gli successe che suo zio Pacco un primo pomeriggio di un sabato qualsiasi lo andò a prendere dicendogli di vestirsi come per una festa. Alla hall del bar del hotel Colina era di turno Froi un suo amico d’infanzia e gli permetteva di restare li a guardare la tv satellitare. Con la scusa di una birra per lui e di una malta per Cacì si sedettero ad osservare lo spettacolo più bello del mondo, a detta del giovane Cacì, la finale della coppa delle coppe dal vivo in diretta dalla Germania.
La Germania, è dove sarà mai la Germania. La sua fulgida intelligenza subito escluse gli stati uniti, troppi pochi gli uomini di colore sia in campo che sugli spalti, dedusse che si doveva per forza trattare dell’Europa, patria incontrastata del calcio.
Fu un pomeriggio indimenticabile, l’unica birra e l’unica malta finirono insieme al secondo tempo.
Ma gli rimase per sempre quella sensazione di gran festa e di gente esultante e rumorosa.
In quegli anni accadevano fatti strani, la mattina non si faceva più colazione con il latte, ed anche le frittate erano più rare, per non parlare del maiale o del suo amatissimo pollo alla criolla. Erano, come diceva il nonno ‘desaparesidos como tio Andrè’, spariti come lo zia Andrè, che per lui rimaneva sempre un mistero la sua sparizione ma non andava tanto a chiedere in giro, abituato com’era a far poche domande ed in fondo anche forgiato dall’assenza di un padre che non aveva mai conosciuto.
Accadevano cose strane, come dicevo, come quella domenica che si stava sbracati sul malecon dalle parti del Mellia quando da lontano videro arrivare due lance a velocità folle. Arrivarono vicino agli scogli del frangiflutti e gridando a squarciagola invitavano che volesse a salire, in fretta e gratis a saltare dall’altra parte dell’universo…
E si vedevano giovani e meno giovani d’un tratto buttarsi in acqua e senza ripensarci due volte abbandonare una vita per un’altra, lasciare tutti gli affetti per un salto nel vuoto, vide due ragazzi baciarsi per un tempo infinito prima che lui si tuffasse salisse sulla lancia e sparisse per una strada senza ritorno, con la possibilità di non incontrarsi più per tutta la vita.
Ma erano cose strane.. Cose da ‘periodo especial’.
Ma lo fecero pensare, già così piccolo, all’idea della fuga. E’ come qualcosa di genetico, qualcosa che sai di avere e non trovi, una sensazione sotto pelle che finalmente capisci e realizzi, e grazie a quei tanti stimoli concludi: La fuga.
Erano giorni in cui dei pazzi ragazzi dirottarono la lancia che fa la spola da traghetto tra i due bracci del porto. La gente all’inizio del malecon che si accorse del furto quasi faceva il tifo per i quattro spregiudicati, sperando che la guardia costiera non li beccasse… Macché, a 4 miglia erano già belli che intrappolati e per loro furono guai seri, anzi fatali, gli ultimi giustiziati ufficiali in terra cubana.
Radio bemba continuava insistente su quelli che riuscivano nell’impresa e su quelli che finivano tra gli squali, anche di quelli traditi spudoratamente. C’erano in giro dei figuri che promettevano previo pagamento di molti pesos il passaggio in una grande barca per l’agognata Miami. Questi radunavano un certo numero di persone, 35 40, su una spiaggia all’estremità ovest della città, dove c’era una casa affittata per fare delle feste. Lì quelle persone si radunano ed aspettavano il segnale per tuffarsi in mare ed arrivare all’imbarcazione che li aspettava, ma il più delle volte, pagata la caparra quello che arrivava era la polizia, già pratica del luogo, che non dava scampo a nessuno.
Erano cose che succedevano e non turbavano più di tanto la popolazione, a meno che non c’era un parente o un amico di mezzo.
In Cacì stava prendendo forma un’idea di cui aveva prima solo i lineamenti esterni, ma che si stava concretizzando e caratterizzando in modo preciso.
Si stava stancando dei pomeriggi a giocare, era diventato sfiancante con quel poco di alimentazione giocare a basebol, e star senza far niente non era proprio quello che un ragazzo si aspetta dalla vita.
Doveva andare via.
La prima volta, con quattro compagni fidati costruì una balsa (zattera) tipica, fatta con sei camere d’aria di camion legate insieme e sopra un piano di un vecchio tavolino per sedersi a remare e per le povere scorte.
La realizzarono in uno stabile abbandonato in poco meno di un’ora la sera stessa della partenza. Di fronte c’era il malecon dalle parti dell’hotel Riviera, che non è proprio un ottimo posto per andare via indisturbati, tra l’altro l’insenatura che stà lì davanti è illuminata dall’1860, il locale notturno all’aperto proprio sulla baia.
Alle 4 di mattina come prestabilito si ritrovarono lì e con un balzo felino, tutti e quattro si incollarono l’imbarcazione la buttarono dal parapetto e si tuffarono. Presero a remare con gran foga per cercare di allontanarsi il più possibile dalla costa prima che arrivasse l’alba.
La cosa andò per il verso giusto, si ritrovarono in alto mare, pagaiando verso una direzione che al loro naso pareva buona, ma l’inesperienza di solito si paga e qui non fù diverso. Non si informarono minimamente delle condizione meteo, tantè che all’ingresso del golfo del messico, a poche miglia dalla costa furono sorpresi da una tempesta che scendeva da nord e che rapidamente e senza altra possibilità li ricondusse verso le coste cubane. Approdarono tra l’Avana e Pinar del rio e fu difficile e pericoloso il ritorno in città dopo appena tre giorni di fuga.
Ma al pensiero ‘la prossima volta andrà meglio’ rientrarono nelle loro case distrutti tra il dispiacere per la mancata riuscita e la felicità di rivederli in vita dei parenti: La seconda volta era progettata per la settimana successiva al casino del Mariel, quando dopo scontri in città il capo di stato decise di aprire un porta al mare a chi voleva andarsene con la promessa di non rincorrerli o ostacolarli. Lui fù furbo in questo caso esportando con questo sistema gran parte della popolazione carceraria e manicomiale, ma qualche sano riuscì ad approfittarne e radio bemba sembrava impazzita a comunicare tutte le novita sulle fughe, quelle riuscite e quelle no.
Arrivò di nuovo il loro giorno. Il mezzo era lo stesso con qualche miglioria, un briciolo di esperienza in più e l’accortezza di salpare da un posto più nascosto, la fine di Miramar, dove i grandi alberghi coprivano la visuale al mare e c’erano tende di pescatori dove si poteva assemblare l’imbarcazione.
Questa volta partirono con meno foga e più ritmo, dovettero remare molto prima dell’arrivo del sole e la sera dopo all’imbrunire approdarono in una terra sconosciuta festeggiando con un po’ di anticipo di troppo. Quello non potevano essere gli stati uniti, non c’era niente, neanche l’ombra di un uomo, un porto una casa. Avevano sbagliato di nuovo. Ripartirono indecisi sulla rotta da seguire ed a caso scelsero ed il caso, appunto gli fece un brutto scherzo. Sbagliarono direzione, tornarono indietro verso le coste lasciate il giorno prima, che roba, che guaio, ed ormai con le prime colline di Pinar in vista sulla propria dritta e così stremati che cosa potevano più fare se non rientrare quatti quatti ancora una volta nelle loro case. Ma quello che videro gli rimase nella memoria. Teste di uomini galleggiavano come palloni dondolando, senza il corpo sotto che gli poteva fare da contrappeso, divorato dai pescicane. Gruppi di teste di uomini e di donne sciamavano nell’acqua calma come in processione, spinte dalla leggera corrente del golfo. Di loro era rimasta una storia precedente e quella testa galleggiante. Che spettacolo.
Un pò si acquietarono. Per qualche anno non se ne parlo più, c’era da smaltire quella paura ed aspettare magari qualche occasione inaspettata che tardava a venire. Intanto si sentiva da radio bemba le ultime prtenze, gli ultimi arresti, le nuove proposte.
Un giorno, per caso, Cacì incontro un suo vecchio zio, fratellastro del suo sconosciuto padre che gli confessò che lui era un calafatore e sapeva costruire barche di legno, anche grandi, gli bastava un luogo sicuro e il materiale che necessitava. Proponeva una grande barca a remi, piuttosto bassa per non dare nell’occhio ma molto affusolata per essere abbastanza veloce, e se fossero riusciti a trovare un motore aveva anche l’opzione di fargli un aggancio in poppa ad hoc.
Non fece in tempo a finire il ragionamento che Cacì già era partito alla ricerca degli amici e del materiale.
Due settimane dopo, lavorando quasi sotto casa, il lavoro era compiuto, il motore trovato, i ragazzi pronti. Mancava un ultimo dettaglio, come trasportare l’imbarcazione fino ad un punto tranquillo per salpare, e adesso con una barca vera non si poteva più giocherellare tra malecon e marina Heminguey, ci voleva un posto lontano e possibilmente senza tanto controllo. Scelsero la spiaggia prima di Guanabo e il trasporto lo faceva Felipe in cambio di 1000 pesos, bella cifra ma si rischiava la galera, il rischio c’era.
Andò tutto alla perfezione, incrociarono per strada la ronda dei guarda costa, cosa che gli regalava almeno una mezzoretta di tranquillità, il tempo giusto. Il camion arrivò quasi fino al mare anche se la strada era a due passi. Dovevano fare in fretta, in queste condizioni anche un vecchietto o un ragazzino diventano militanti del partito e non esitano a far suonare le trombe.
Andò tutto bene anche meglio del previsto, il motore revisionato si accese quasi subito e si allontanarono, stavolta muniti di bussola e ben addestrati dal vecchio marinaio che gli aveva costruito la barca e suggerito il giorno preciso, quando avrebbero trovato un buon mare e la corrente favorevole.
Era il lontano 1995.
Cacì gode di ottima salute, ha una famiglia in Florida, lavora e guadagna bene, vive anche qualche lusso di tipo americano, ma tutte le sere immancabilmente si siede sul dondolo stile cubano che ha sulla veranda e guarda in lontananza, verso il mare, in direzione della sua patria perduta.
Oggi giorno, grazie ad una modifica della legge può tornare a casa sua a Cuba, solo da turista però e solo per due mesi, e senza che, finalmente, nessuno più oserà dirgli ‘gusano’.