Il silenzio del girovago

Un piccolo frammento di viaggio che riguarda la mente di colui che si muove. Gli altri racconti si possono trovare su http://travel-ontheroad.blogspot.com Diritti riservati Creative Commons.
stema3, 11 Mag 2010
il silenzio del girovago
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Si siede su una roccia scura. Un lampo mi fa intuire che la sua attenzione volteggia rapida nell’orizzonte aperto. Riscaldato da un sole distratto, faccio galleggiare i sensi sulle acque increspate che pare non terminino mai, per poi alzare lo sguardo verso lontane montagne boscose e scure. Sento che tira fuori dallo zaino verde la macchina e scatta lentamente qualche foto. Nel silenzio gonfio di qualche richiamo di uccelli, con una voce che pare non appartenga a lei, chiede “Cosa facciamo qui?”

Non capendo se è una domanda rivolta a me o a se stessa, muovo leggermente il capo verso Lena, ma non arrivo al suo volto. Dopo questo inutile gesto torno nella posizione primigenia, di fronte alle acque del lago Llanquihue.

Ci siamo conosciuti tre giorni fa nell’hostal Hellwig, in una giornata dove sole, grandine, pioggia e tonalità di luce passavano con uno stormo di volatili marini. Ero appena arrivato dalla costa est e, mentre il custode dell’hospedaje mi mostrava la stanza, l’ho vista seduta sul divano consumato del primo piano mentre leggeva una guida. Ha alzato gli occhi chiari e poi ha sorriso lievemente mentre con la mano stuzzicava le punte dei capelli lisci ancora umidi per la pioggia.

Dopo qualche minuto di vuoto carico, riempito dal fruscio leggero delle piccole foglie di coihue, mormoro “Ma lo chiedi…” “Non intendi cosa voglio dire?” Mi giro verso la sua magra figura, questa volta trovando i suoi occhi spaesanti “Sì, Lena, ma è difficile rispondere…” Lei mi guarda con iridi che sembrano appena fuoriuscite dal recondito più intimo del lago.

Perché questa domanda proprio adesso? Mi pone uno dei quesiti focali che incontra il viaggiatore durante la cavalcata libera dentro i mondi. Nell’esperienza del movimento che sviluppa autonomia, la possibilità di creare spazi personali e di riflessione aumenta, non solo perché il tempo slegato si dilata, ma anche perché la diversità di colui che girovaga impone considerazioni necessarie e immediate su se stessi e quello che lo circonda. Siamo qui vicini, in questa porzione di Mondo immenso, con il cielo il lago gli animali gli alberi, e le nostre vite piacevolmente affaticate dall’alterità. ‘L’argilla è immobile, ma il sangue è randagio. Il respiro è merce che non si conserva’, scrive Housman con una prosa che mi toglie il fiato; devo assolutamente raccontarla a Lena mentre ci tiriamo delle capsule di piante sconosciute sulla sabbia vulcanica. Lanciando questi circolari contenitori di vita ormai liberi dal seme, con i polmoni pieni di aromi e di vento, e i corpi abbagliati dal vulcano dominante, capisco che le parole sono inutili: il silenzio della consapevolezza ha risposto.

Degli uccelli bianchi si posano lontani sul lago il cui colore mutevole volta per volta viene forgiato da nuvole e sole, mentre la brezza ci porta l’odore del maestoso Osorno. Mangiamo bevendo birra sulla sabbia grigia del lago Llanquihue. Non c’è alcun turista nello sfiorito inverno australe della Región X; solo due stranieri che alternano silenzi a momenti giocosi, quasi mimando il tempo che li avvolge. Da un villaggio vicino percorriamo il sentiero nel mezzo del bosco che ci porta alle lagune, piccole pozze di acqua verde che confluiscono nel lago: gemme segrete celate da fitte essenze sempreverdi, dove il vento è alieno e gli animali svernano liberi. Proseguendo la strada sterrata, imbocchiamo il percorso che porta all’Osorno. Il paesaggio è costellato da bitorzolute rocce scure foderate di muschio, e da alberi con tronchi graffiati dall’umidità che aggrappano la loro vita all’impervio terreno. Dopo un’ora di cammino siamo quasi ai piedi della montagna che da tutti questi giorni ci ammalia: il vulcano Osorno. Esso cela parte della sua possanza dietro lesti conglomerati nuvolosi, mostrandosi ogni volta differente. Lena mi chiede di fermarci per poterlo catturare meglio. Rimaniamo in questa posizione a lungo, affascinati dall’impossibile disvelamento della montagna innevata, quando improvvisamente Lena mi tocca il braccio, indicando un punto in alto. È lontanissimo, eppure entrambi sappiamo che quell’apertura alare, il lungo collo, non possono che appartenere al gigante del cielo, il condor. Osserviamo il volatile penetrare strati di bianco leggero, per poi dileguarsi nei meandri infiniti dell’aria.

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