Bologna è sempre la grassa?

Turisti Per Caso.it, 14 Nov 2005
Ascolta i podcast
 
Cari Patrizio e Syusy, A Bologna si mangia meglio che in qualsiasi altra città d’Italia. Nelle case bolognesi si santificano le feste con le lasagne precedute da un piatto di tortellini in brodo di cappone e seguite dal lesso, dagli arrosti, dalla torta di riso e dal nocino. Ma sarà ancora tutto vero? Noi tre che in parte o del tutto bolognesi lo siamo, dovremmo essere in grado di confermare la reputazione gastronomica di questa città o ammettere che ormai è un cumulo di luoghi comuni vendibile solo ai non bolognesi. Noi lo sappiamo bene che Bologna non è più com’era più di trent’anni fa quando ci siamo arrivati. Io dalla Sicilia, tu, Patrizio, da Mantova e tu, Syusy, con un brevissimo viaggio, da Casalecchio di Reno alle porte della città. Eppure, almeno per me è difficile dire che si è perso tutto. I pranzi della signora Mafalda, la mamma della Syusy, sono ancora quelli che ci si aspetta in una casa bolognese. Ma la signora Mafalda ha i capelli bianco-azzurrini, si ricorda della guerra e dei partigiani. Sarà ancora così nelle case delle signore che di anni ne hanno solo quaranta? E com’è oggi la ristorazione? È ancora quella casalinga delle trattorie che frequentavamo o quelle trattorie sono semplicemente sparite? E come si mangia in quei ristoranti dove non mettevamo piede se non in caso di fortunosi inviti? Gloriosamente “alla bolognese” come una volta o secondo gli appiattiti standard nazionali? Non so se voi avete una risposta precisa. Io non riesco a dire né si né no. È come se Bologna fosse alla metà del guado, indecisa se ripudiare definitivamente un passato troppo antisalutistico e grasso, oppure ritrovare sicurezza e radici nella sua cucina ridondante e tanto lontana dall’imperativo del light. Il colesterolo fa male, non ne dubita nessuno. Ma fa male alla salute anche perdere l’identità, smarrire completamente la memoria dei sapori di casa, vedere le antiche salumerie del centro trasformate in piccoli empori per studenti dove non puoi più chiedere di essere rassicurato dalla vista di una mortadella da un quintale, ma solo di essere sfamato con piatti pronti surgelati. Bologna prova a fare la dieta senza possibilità di successo. Oggi mi sembra nervosa, frustrata, ostinatamente golosa e immalinconita dalle rinunce. Le diete, è vero, sono tristi e difficili per tutti, ma per i bolognesi lo sono di più. Per loro non si tratta solo di rinunciare a un etto di ciccioli croccanti di grasso di maiale, ma di correre il pericolo di sentirsi qualcosa di diverso da “un bolognese”. Tanto la buona cucina, saporita e raramente magra, è stampata nel loro dna. I bolognesi tentano le diete, ma quando la nostalgia diventa insopportabile setacciano i colli in cerca di tagliatelle con il ragù cotto quattro ore e di crescentine fritte nello strutto.Vanno a caccia di lasagne al “Diana” se hanno soldi da spendere o di cotolette alla bolognese da “Boni” se vogliono mangiare grasso spendendo poco. Oppure vanno a ritemprare lo spirito ancora più che il corpo da Tamburini, da Atti, da Bruno e Franco. Sono questi gli ultimi e anacronistici luoghi della sicurezza rimasti. “Velieri di legno in un mare solcato da navi supermoderne.” li definisce il re dei salumieri bolognesi Giovanni Tamburini, “Difficili da governare, ma incredibilmente inaffondabili”.

Per restare a galla, i pochi velieri della gastronomia bolognese lottano contro cento insidie: le norme igieniche che impongono di sostituire il legno dei vecchi arredi con l’acciaio, il prezzo della mano d’opera necessaria a fare i tortellini a mano, gli alti affitti degli immobili, la concorrenza di super e ipermercati, la demonizzazione ingiustificata del maiale, le mode alimentari filoorientali che ci fanno rinunciare a una fetta di prosciutto a favore di una bistecca di soia transgenica, gli allarmi lanciati da nutrizionisti che ci vogliono digiuni e felici, e tante scemenze salutiste predicate dalla stessa tv che istiga i bambini a divorare merendine e patatine, i giovani a sbronzarsi e i vecchi a convertirsi alla matriciana congelata. Come se nessuno fosse più in grado di amministrarsi da solo i giusti momenti della rinuncia con quelli altrettanto salutari della trasgressione. Vorrei dire a Tamburini,Atti, Bruno, Franco, Boni, Diana e compagni: “Resistete! Mantenete in acqua i velieri e vivo il vostro esempio che forse qualcuno seguirà. Non lasciatevi sostituire dall’ennesimo negozio di mutande in franchising.Voi non vendete solo pane, prosciutto e tortellini. Ai vostri concittadini regalate identità e sicurezza. Ai forestieri, la Bologna che vogliono trovare“.

Vostro Martino Post Scriptum

Da Tamburini si trova il meglio dei formaggi e dei salumi artigianali italiani. Per quanto riguarda la tradizione bolognese è un vero paese di Bengodi: Mortadella fatta dalla casa con un’antica ricetta dell’ottocento, ciccioli croccanti, coppa di testa, coppa estiva, tortellini e 140 prodotti da cucina già pronti. L’indirizzo è: “A.F. TAMBURINI” – ANTICA SALSAMENTERIA BOLOGNESE via Caprarie, 1 40124 Bologna Tel. +39 (0)51 234726 Fax +39 (0)51 232226 Internet: http://www.Tamburini.Com

Il Panificio Atti è il fornaio dei bolognesi dal 1880. Il pane di tipo bolognese, Pavullo, ferrarese e al latte è fatto lievitare naturalmente senza l’aggiunta di additivi chimici. Fra le specialità dolciarie, la torta di riso, la colomba pasquale e il certosino di Natale.

Nel negozio di via Caprarie potete trovare già pronte tutte le specialità della cucina bolognese preparate grazie a un prezioso ricettario di famiglia pubblicato dalla ditta e acquistabile in negozio. L’indirizzo è: Panificio Paolo Atti via Caprarie 7 via Drapperie 6 40100 Bologna Tel. 051 220425 – 051 233349 Mi sento un po’ di parte a citare la salumeria di Bruno e Franco perché sono cliente di questo negozio da vent’anni. Voi che conoscete la mia ossessione per la ricerca della qualità capite che qui ho trovato la risposta a tutte le mie esigenze, spesso spinte fino al capriccio.

Bruno e Franco, eredi spirituali degli antichi “lardaroli” bolognesi non mi hanno mai deluso, non hanno tradito le intenzioni iniziali e continuano a proporre salumi di prima qualità e i tortellini fatti a mano dalle donne di famiglia. L’indirizzo è: Bruno e Franco la Salumeria Via Oberdan n. 16 40100 Bologna http://www.La-salumeria.It Al Diana si mangiano tortellini, tortelloni, lasagne, tagliatelle. Tutta la pasta fresca è fatta a mano. I secondi tradizionali sono gli arrosti, i bolliti, il fritto misto alla bolognese. Fra gli “sfizi”, la spuma di mortadella e le insalate di ovoli. Altro classico è il semifreddo “Diana” con cioccolato caldo-gelato alla crema. L’indirizzo è: Ristorante Diana Via Indipendenza, 24 40100 Bologna Tel. 051 231302 Da Boni sono serviti tortellini, lasagne, tagliatelle, bollito, arrosti e le famose (e per niente light) cotolette alla bolognese. La bonomia degli osti è roba bolognese genuina come quella che si mangia. L’indirizzo è: Trattoria Boni (zona Funivia) Via Don Luigi Sturzo, 22/c-d 40135 Bologna, Italia.

Tel. (+039) 051 6154337 Fax (+039) 051 6150195 E- mail Info@trattoriaboni.It Internet: http://www.Trattoriaboni.It


Sydney

Caro Martino, Non possiamo che unirci al tuo appello. Anche perché viviamo nel centro di Bologna e vogliamo continuare a fare la spesa senza dovere andare in periferia per comprare due etti di tortellini. A proposito, vuoi sapere quali sono stati i tortellini più buoni della nostra vita? Forse sono stati quelli che abbiamo mangiato su Adriatica, ancorata nel porto di Sydney, in Australia.

In qualità di Consolato Galleggiante e Semovente della Regione Emilia- Romagna, avevamo preso contatto col signor Corradini, il rappresentante della comunità emiliano-romagnola nella zona di Sydney. E lui ci è venuto a trovare, con sua moglie Ileana e due dei suoi figli, Silvio e Tony. Assieme a loro è venuto anche un altro signore italiano, Giuseppe Fin. Giuseppe era veneto, ed era il maggior responsabile delle iniziative culturali italiane a Sydney. Ebbene, l’accordo era che la nostra Irene (la skipper di Adriatica) avrebbe pensato al brodo, e la signora Ileana avrebbe portato i tortellini, fatti in Australia secondo la ricetta di Reggio Emilia.

“Io veramente sono di Sassuolo, e a casa mia i tortellini erano piccoli piccoli, a forma di ombelico…” ha cominciato subito a brontolare il signor Corradini, che disprezza un po’ i tortellini della moglie reggiana perché assomigliano un po’ troppo ai cappelletti. Umberto (Corradini) e Giuseppe (Fin) erano due omoni in perfetta forma, pieni di energia, nonostante fossero sulla settantina inoltrata. Con loro abbiamo subito cominciato a parlare della loro storia di emigranti.

Umberto arrivò in Australia, a fare l’operaio, da solo. Quando le cose cominciarono ad andare appena appena un po’ meglio ha chiamato la moglie, coi primi bambini che erano già nati in Italia. Solo che per un disguido la moglie è arrivata e lui non era ad attenderla, e lei è rimasta da sola in una stazione sperduta nel bush australiano, pentendosi amaramente di avere intrapreso questo viaggio: tale quale la scena del film di Alberto Sordi con la Cardinale! Giuseppe invece ci ha raccontato di quando lavorava come garzone da un fornaio.Arriva uno e gli bofonchia qualche cosa in inglese. Lui, che era appena arrivato in Australia, non capisce. Allora l’altro si arrabbia, e si capisce dal tono che lo sta offendendo. I due vengono alle mani, e a quell’altro gli scappa una parolaccia in italiano. “Ma sei italiano?” “Sì, anche tu?” “Sì, sono appena arrivato e non parlo bene inglese, per questo non capivo…” “Oh, ma se è per questo anche io non parlo bene inglese…” E son diventati amici.

All’inizio, qui in Australia, tra le varie comunità erano risse e accoltellamenti. La prima generazione di emigranti italiani, quella precedente a Umberto e Giuseppe, dovette superare infinite barriere linguistiche e razziali. Ci ha raccontato Stefano Mari, un professore bolognese che in Australia coordinava i Corsi di Italiano, che il Parlamento Australiano nei primi anni del secolo scorso aveva deliberato che un italiano del nord poteva essere considerato bianco, mentre un italiano del sud era “di colore”. Poi le cose sono cambiate, però la seconda generazione di italiani in Australia ha dovuto affrontare una integrazione talmente dura che molti hanno cambiato cognome per sentirsi anglosassoni. C’è stata addirittura una sorta di competizione demografica, come succede ora tra Palestinesi e Israeliani: gli italiani si sono imposti anche grazie al numero. I Corradini, per esempio, hanno avuto 7 figli, Fin ne ha avuti 8, con 14 nipoti, mentre gli anglosassoni in genere non hanno più di due figli. Adesso tutto è diverso: la terza generazione, quella che ha l’età di Silvio e Tony, i figli di Umberto e di Ileana, è assolutamente fiera di essere italiana. Sono in moltissimi quelli che chiedono oggi la doppia cittadinanza. Ma anche a questo proposito ci sono delle contraddizioni: i padri che a suo tempo per integrarsi hanno dovuto scegliere tra l’Italia e l’Australia ora non possono più tornare indietro e chiedere il doppio passaporto, mentre i figli sì. Di questo Umberto, Ileana e Giuseppe erano molto amareggiati. Ma questa integrazione non è avvenuta a caso: come già ti abbiamo accennato in un’altra lettera, ci spiegava Stefano Mari che il processo si è lentamente avviato quando l’insegnamento dell’italiano è entrato nelle scuole australiane, per tutti. Facendo leva sul numero dei nostri connazionali (la seconda comunità dopo quella anglosassone) l’italiano è diventato materia di studio anche per gli altri bambini australiani, che hanno cominciato ad apprezzarci per la nostra lingua, la nostra letteratura, la storia e le nostre radici culturali. Ma, caro Martino, sai quale è stato il primo veicolo di riscatto per gli italiani in Australia? La cucina! Attraverso la gastronomia, attraverso le proprie ricette tradizionali gli italiani si sono fatti conoscere e stimare: “Hanno capito che non eravamo degli incivili. Hanno cominciato ad apprezzare poi i nostri prodotti, che nel frattempo cominciavano ad arrivare dall’Italia. Hanno capito che avevamo alle spalle una grande tradizione.” Ancora oggi gli italiani all’estero rappresentano – per i prodotti italiani in generale e per quelli enogastronomici in particolare – un veicolo straordinario, sono i nostri primi “venditori”di italianità. E l’Emilia-Romagna (con il Prosciutto, l’aceto balsamico, il Parmigiano a poi la Ferrari, Giuseppe Verdi, la lirica, Pavarotti ecc.) è una delle regioni che gode di una immagine più forte.

Per festeggiare abbiamo tirato fuori dalla cambusa di Adriatica una bottiglia di lambrusco, e si era creata una speciale armonia. Almeno fin al momento in cui io – Patrizio – ho messo come al solito un mezzo bicchiere di vino rosso nel brodo di tortellini. Allora i Corradini (emiliani) sono insorti, dicendo che rovinavo tutto, mentre Fin (veneto) era perplesso ma un po’ mi difendeva e io (lombardo di origine) peroravo appassionatamente la causa del bevrinvin mantovano: una Babele! Italiani sì, ma ognuno col suo campanile gastronomico nel cuore.

Patrizio e Syusy



    Commenti

    Lascia un commento

    Leggi anche