Viaggio nelle Filippine tra Nord Luzon e le isole di Bantayan e Malapascua
Atterriamo a Manila la sera del 25 gennaio, guarda caso proprio il giorno in cui si registra il primo ricoverato al di fuori della Cina (proprio a Manila) per la maledetta epidemia di coronavirus che ci accompagnerà (molto in sordina a dire il vero…) per tutto il viaggio.
Ci facciamo una bella dormita per riprenderci dal lungo viaggio all’One palm Tree Condotel, un residence nuovo, pulitissimo e molto tranquillo da cui è possibile andare a piedi in meno di 10 minuti al terminal 3 dell’aeroporto di Manila e la mattina successiva prendiamo un volo Cebu Pacific con destinazione Cauayan. Un’oretta di volo e atterriamo nel microscopico aeroporto, da cui in “sole” 4 ore di macchina si può raggiungere la meta della prima parte del nostro viaggio: la Cordigliera centrale con le sue meravigliose risaie terrazzate. Questa opzione è certamente più costosa di quella che usa la maggior parte dei viaggiatori, cioè bus notturno da Manila a Banaue con arrivo alle prime ore del mattino, però certamente meno faticosa. Il trasferimento lo abbiamo organizzato con la nostra guesthouse che ci ha mandato un van ad aspettarci, il volo atterra a Cauayan alle 8.30 quindi si ha tutto il tempo di arrivare a Banaue per ora di pranzo.
La Cordigliera di Luzon comprende ampie aree montuose che raggiungono quote addirittura di 2900 metri e che ospitano le più antiche risaie terrazzate del mondo, nominate Patrimonio dell’Umanità dall’UNESCO nel 1995. Create più di 2000 anni fa dalla popolazione degli Ifugao, cacciatori di teste ed esperti nella lavorazione del legno, queste risaie a terrazza sono uno dei più autentici esempi della genialità dell’uomo. Il nome Ifugao significa “abitanti delle colline”, non è chiaro da dove siano emigrati per stabilirsi qui (pare forse dall’Indonesia), ma sicuramente una volta giunti in queste zone furono costretti ad ingegnarsi per addomesticare gli aspri versanti in modo da poterli utilizzare per la coltivazione del riso. Oggi quello che rimane del loro immane lavoro è ancora visibile: un complesso sistema di terrazzamenti che si estende a perdita d’occhio, unico per complessità di costruzione e per estensione, dove un sistema idrico provvede all’irrigazione di ogni terrazzo, sostenuto da muretti in terra battuta o a secco. Il panorama è in alcuni casi così maestoso da togliere il fiato.
Il turismo, se da una parte ha fatto conoscere al mondo queste zone che solo fino a poco tempo fa erano addirittura dichiarate pericolose, può avere anche un impatto micidiale per il precario equilibrio di zone fragili come queste. Molti turisti arrivano da Manila con tour organizzati giusto per il tempo necessario per farsi un selfie da uno dei view point o magari seduti su una panchina accanto ad un anziano filippino tristemente vestito con i suoi abiti tradizionali in cambio di pochi pesos. Il lavoro nei terrazzamenti è certamente molto più duro di quello indotto dal turismo e si corre il rischio che il futuro di queste zone sia messo in pericolo da troppa fama, persino l’UNESCO nel 2001 ha collocato i terrazzamenti filippini tra i siti mondiali a rischio.
Una delle cittadine dove si può fare base per l’esplorazione della zona è BANAUE, una volta tranquillo villaggio della cordigliera e oggi trasformato in un dormitorio per turisti bruttino e rumoroso. Alloggiamo alla Banaue Homestay, una pensioncina gestita dalla signora Bea, camera molto semplice ma pulita, doccia con acqua calda (che in queste zone è molto gradita…) e un buon ristorantino con un menù abbastanza ridotto, ma tutto cucinato al momento (costo della camera 1500 pesos).
Trascorriamo la prima mezza giornata facendoci portare da un triciclo ai vari view point che consentono di ammirare i terrazzamenti nelle immediate vicinanze di Banaue, un piccolo antipasto a quello che avremmo visto nei giorni successivi.
Il secondo giorno sempre in triciclo ci facciamo portare alla fine della strada asfaltata da dove parte il sentiero che conduce a BATAD. Dall’alto si ammira uno spettacolo indimenticabile: un pugno di capanne dai tetti di paglia ai piedi di una ripida parete, alta centinaia di metri e terrazzata fino alla cima, nessun segno di strade o automobili perché qui non ce ne sono. A Batad si arriva e si riparte solo a piedi, dal punto panoramico si scende verso il villaggio e si cammina sul ciglio dei muretti a secco che sostengono i terrazzi e che ci appaiono perfettamente tenuti, probabilmente il turismo crescente ha portato anche aspetti positivi in queste che comunque rimangono zone dignitosamente povere. Le case sono fatte perlopiù in lamiera, alcune in mattoni, c’è la chiesetta e la immancabile scuola da cui esce il chiasso gioioso dei bimbi.
Ci fermiamo a guardare tre signore che stanno trapiantando il riso, non parlano inglese ma ci chiedono a gesti se vogliamo mangiare o bere qualcosa. Non ci sono negozi nei dintorni, ma come dal nulla spunta una ragazza che apre una finestra di una delle casette in legno e ci appare una specie di bancarella con Coca Cola e altre bibite e biscotti. Alla fine offriremo alle signore la merenda e ci fermiamo un po’ con loro che continuano a sorriderci.
Ripartiamo e dopo altri 40 minuti di discesa arriviamo alle Tappia waterfalls, una cascata di circa 20 m di altezza che si getta in un laghetto, l’acqua è gelida ma molta gente tenta di fare il bagno e noi ci uniamo a loro. Dopo il bagno iniziamo la salita che sarà davvero dura, ci sono tratti con gradini intagliati nella roccia molto ripidi e arriveremo al punto di ritrovo con il nostro triciclo stanchissimi, ma davvero soddisfatti della giornata che sta finendo.
Il giorno successivo ci facciamo portare a HAPAO e HUNGDUAN, dove si possono ammirare altri terrazzamenti che occupano una ampia valle tra alcuni fiumi. Il dislivello è minore, ma i terrazzi si estendono a perdita d’occhio. Ci viene chiesto se vogliamo una guida e accettiamo, una gentile signora ci accompagna a fare una lunga camminata descrivendoci quello che vediamo e parlandoci della dura vita tra i terrazzi, lei stessa oltre al lavoro con i turisti ha un pezzo di terra che coltiva piantandoci il riso. Ci conduce poi alle hot springs, una vasca circondata da rocce dove sgorga acqua calda poi miscelata con quella gelida del vicino fiume. Un bagnetto rilassante ci sta proprio bene prima di rientrare a Banaue per l’ultima cena alla nostra guesthouse.
Partiamo quindi il giorno successivo per SAGADA, il trasferimento dura circa 3 ore e viene fatto in van, purtroppo non c’è un’ora di partenza stabilita, quando il van è pieno si parte. Noi abbiamo dovuto aspettare un bel po’ di tempo…
Sagada è un tipico villaggio di montagna, circondato da boschi di pini e molto più tranquillo (e anche meno bruttino) di Banaue ed è famosa per le attività che vi si possono praticare, ad esempio la speleologia nelle moltissime grotte calcaree presenti nei dintorni, l’arrampicata e il trekking… Ma soprattutto è famosa per la sua attrazione più particolare: le bare sospese.
All’ufficio turistico di Sagada, dove bisogna registrarsi, conosciamo una guida che ci propone una escursione. Andiamo quindi a vedere le famose bare sospese, una pratica di tumulazione dei propri defunti utilizzata per moltissimo tempo dalla popolazione degli Igorot; le bare di legno venivano appese alle pareti rocciose ad una grande altezza da terra in modo da proteggerle dalle inondazioni e dagli animali e secondo le credenze Igorot di consentire un più facile passaggio verso l’aldilà. Uno spettacolo un po’ macabro e stranissimo, sulle bare ci sono scritti i nomi dei defunti e a volte vi sono legate delle sedie, che ci ha detto la guida sono l’ultimo oggetto toccato dal morente.
Proseguiamo nella nostra camminata lungo un fiume sotterraneo che scorre in grotta, una specie di underground river in miniatura… infine bagno nelle piccole cascate di Bokong, l’acqua è gelida anche qui.
Diciamo che, se si ha poco tempo per visitare queste zone, Sagada a mio parere potrebbe anche essere tralasciata, però è un buon punto di sosta se si vuole visitare altri terrazzamenti, ad esempio quelli vicini a Bontoc, un altro villaggio dove siamo passati con il van durante il trasferimento e che sinceramente mi ha fatto una brutta impressione, trafficatissimo, rumoroso e polveroso.
Noi siamo stati fortunati perché a Sagada nei giorni della nostra visita si teneva il festival Etag che si svolge ogni anno e dura ben 4 giorni e che raduna centinaia di persone – soprattutto bambini – dei barangay vicini. Il festival inizia con una interminabile sfilata dei partecipanti per le vie del paese, ogni scuola con la propria divisa in un tripudio di colori e suoni, ma anche majorettes, musicisti, vigili del fuoco, infermieri del piccolo ospedale locale, casalinghe e agricoltori, insomma tutte le realtà presenti nei dintorni.
Dopo la sfilata tutti si sono radunati al campo sportivo e ogni scuola presenta una esibizione suonando strumenti tradizionali o ballando sulle note del country filippino-americano… Non so perché ma in questa zona il country va per la maggiore! Durante questo festival il paese è invaso da centinaia di persone e ogni giorno vengono organizzate gare sportive, mercatini, concerti musicali, addirittura l’elezione di Miss Etag insomma tutto quello che si può fare in una festa di paese… Una bella esperienza essere stati lì durante quei giorni!
Per chi volesse visitare la zona dei terrazzamenti, ci hanno detto che il riso viene piantato verso fine febbraio-marzo e poi raccolto tra ottobre e novembre quindi il periodo migliore per vedere i terrazzi completamente verdi è durante la nostra tarda primavera-estate. Ovviamente in questo periodo è già iniziata la stagione delle piogge, quindi occorre essere preparati a cieli non sempre azzurri come li abbiamo ammirati noi.
Da Sagada abbiamo iniziato il ritorno verso sud per spostarci all’aeroporto di Clark da dove avremmo preso un volo per Cebu; il trasferimento è stato molto lungo e lo abbiamo diviso in due tappe.
Prima tratta Sagada – Baguio, 6 ore di bus della compagnia Lizardo. I bus partono ogni ora dalle 7, a Sagada non esiste un vero terminal dei bus ma solo un piazzale dopo il piccolo ospedale e la caserma dei pompieri. Ci si mette lì, il bus arriva e carica passeggeri e bagagli, il biglietto si paga a bordo.
Questa tratta è stata veramente molto panoramica, la strada rimane sempre in quota e corre sui crinali da cui si possono ammirare bellissimi paesaggi, versanti ricoperti di vegetazione alternati a versanti totalmente terrazzati. Qui i terrazzi non sono usati solo per il riso, ma anche per le verdure, chilometri di terrazzi coltivati a cavoli, lattuga e con qualsiasi altro ortaggio possa venire in mente. Sembra quasi che questa zona fornisca la verdura per l’intero paese…
Le ore passano senza annoiarci e nel pomeriggio siamo a BAGUIO, una grande città universitaria molto trafficata e piena di gente. Il bus Lizardo ferma al terminal della compagnia, chi vuole proseguire verso sud deve cambiare bus e salire su uno della Victoria Liner che ovviamente parte da un terminal differente, tra i due terminal occorre prendere un taxi.
Trascorriamo la notte a Baguio al Pine Cone b&b, un posto veramente confortevole in un quartiere residenziale fuori dal centro più rumoroso e trafficato della città (costo camera con colazione 2500 pesos), la mattina successiva andiamo a piedi al terminal dei bus in una ventina di minuti, ovviamente ci si può fare portare da un taxi per pochi pesos ma noi non avevamo fretta.
Prendiamo quindi il bus VL delle 9 diretto a Manila, il biglietto lo avevamo comprato il giorno prima negli uffici del terminal: tutti i bus diretti a Manila fermano al terminal Dau che si trova a 15 minuti circa dall’aeroporto di Clark, da dove Cebu Pacific ha un ottimo volo alle 19.30 per Cebu.
La tratta da Baguio a Dau non è così panoramica come quella del giorno precedente, finiscono i paesaggi montani e ci si trova sulle lowlands come le chiamano loro, distese infinite di campi di mais e di canna da zucchero alternati a cittadine sempre più grandi. Impieghiamo circa 5 ore per arrivare al terminal Dau, prendiamo subito la navetta e mezz’oretta dopo siamo all’aeroporto di Clark in grandissimo anticipo rispetto al nostro volo… L’attesa è stata infinita, il terminal è proprio piccolo e spoglio, neanche un baretto dove potere bere qualcosa. Alla fine delle due giornate la stanchezza si sente, però finalmente dopo poco più di un’ora di volo siamo a Cebu e possiamo andare a riposarci al mare.
Dopo una notte trascorsa a Mactan (hotel Cozy Inn, posto abbastanza spartano ma vicinissimo all’aeroporto, costo camera con colazione 1100 pesos), la mattina la proprietaria ci chiama un taxi Grab che per un prezzo pattuito e molto basso (circa 240 pesos) ci porta alla stazione dei bus Nord. Una piccola parentesi: avevamo letto che nelle Filippine il servizio Grab funziona molto bene e abbiamo tentato di usarlo, senza riuscirci. Occorre avere una sim filippina e scaricare la App, il costo è certamente molto più basso rispetto a quello che chiedono i taxi ufficiali che spesso, soprattutto nelle corse da e per i terminal degli aeroporti, fanno pagare cifre assurde (ad esempio ci hanno chiesto 500 pesos per portarci dal terminal dell’aeroporto di Mactan al nostro hotel che distava circa 2 km).
A Cebu City ci sono due stazioni, quella Nord ha i bus che appunto viaggiano in direzione nord, la stazione Sud ha tutti gli altri bus vanno nella direzione opposta. La stazione nord dista poco meno di 10 km da Mactan, ma con il traffico allucinante che c’è di solito considerate almeno un’ora di trasferimento (noi ci abbiamo impiegato meno, ma sarà stato un caso…).
Prendiamo quindi il bus Ceres (di colore giallo) per Hagnaya, che è il porto da cui ci si imbarca per l’isola di BANTAYAN (quando si arriva con il taxi al terminal ci sono addetti che chiedono dove dovete andare e vi fanno salire sul bus giusto). Sono circa 100 km che il bus percorre in almeno 4 ore, noi siamo partiti verso le 8 dal terminal e siamo riusciti ad imbarcarci sul ferry delle 12.30 che impiega un’ora per arrivare al molo dell’isola. Finalmente siamo al mare!
Con un triciclo ci facciamo portare al nostro resort, il Sunshine Bantayan Garden dove ci siamo trovati davvero benissimo. Non è direttamente sulla spiaggia, ma a 2 minuti dalla stessa, il posto è supertranquillo, immerso in un bellissimo giardino fiorito, bungalow molto comodo, insomma davvero consigliato (costo circa 1500 pesos a camera senza colazione).
Il ferry arriva al molo di Santa Fè, la principale cittadina dell’isola, dove si trovano i resort, ristoranti, negozi, bancomat e cambia valuta, farmacie ecc. L’isola è abbastanza grande, un giorno abbiamo noleggiato due biciclette per girare un po’ ma per arrivare a fare l’intero giro occorrerebbe uno scooter. Le spiagge più belle e fruibili sono tutte lungo la costa sud, la costa est ha lunghe spiagge ma quando ci siamo stati noi c’era la bassa marea ed il mare era lontanissimo da riva. La costa ovest ha in alcuni tratti vegetazione a mangrovie, belle lagune con uccelli palustri ma non c’è possibilità di fare il bagno.
Sicuramente la spiaggia più bella dell’isola è Sandira beach (anche chiamata Paradise beach), una mezzaluna delimitata alle spalle da una scarpata rocciosa nerastra che crea un bellissimo contrasto con il bianco abbacinante della sabbia e l’azzurro cristallino del mare. Ci si accede pagando 50 pesos a testa ma ne vale assolutamente la pena. Non so se per il timore del famigerato coronavirus che ci ha accompagnato per tutto il nostro viaggio o se per altri motivi, comunque nei giorni della nostra permanenza a Bantayan e Malapascua sulle spiagge c’era pochissima gente.
Trascorriamo quindi 4 giorni sull’isola, facendo giro in bici, cambiando spiaggia ogni tanto, andando a cena nei vari ristorantini di Santa Fè, massimo relax a prezzi assolutamente accessibili.
Purtroppo né Bantayan né Malapascua brillano come possibilità di praticare un po’ di snorkeling.
Ripartiamo quindi verso Cebu, tragitto inverso con il ferry, arrivati ad Hagnaya contrattiamo il costo di un van per il piccolo porto di Maya da cui ci si imbarca per MALAPASCUA. Abbiamo fatto conoscenza con una coppia di austriaci e le loro due bimbe, quindi dividiamo il costo del van (1500 pesos) e ci facciamo portare direttamente al molo. Tra i due porti ci sono circa 40 km, l’alternativa al van è prendere un bus giallo Ceres fino a Bogo, poi cambiare bus e prenderne uno per Maya (oppure prendere un triciclo). Ovviamente l’opzione van è molto più rapida, anche se più costosa.
Al molo ci fanno compilare dei documenti in cui dichiariamo che non siamo stati in Cina nei 30 giorni precedenti e ci misurano per l’ennesima volta la febbre con un termometro laser, quindi ci mettono su una banka con tutti i bagagli. La banka viaggia molto lentamente e arriviamo nei pressi di Bounty beach dopo una mezz’oretta (costo 100 pesos a testa). Ci dicono che non è possibile arrivare con la stessa barca fino alla spiaggia, quindi ci trasferiscono su un barchino ancora più piccolo che fa la spola avanti e indietro per fare scendere turisti e bagagli (20 pesos).
Poi a piedi raggiungiamo il nostro alloggio ubicato nella parte più orientale della spiaggia (AAbana beach resort), molto tranquillo anche se non lussuoso, gestito da Mike un signore di origine tedesca, davanti una spiaggetta privata immacolata (costo circa 1600 pesos a camera colazione inclusa).
Malapascua come noto è il paradiso in terra per chi ama fare immersioni, tutto è in funzione dei divers ma pur non essendolo ci siamo trovati benissimo e tra le due isole consiglierei per chi deve fare una scelta e può vederne solo una proprio Malapascua. L’isola è piccola e si può girare a piedi, da sud a nord ci vuole mezz’ora percorrendo sentierini immersi nella vegetazione, passando attraverso scalcagnati villaggi dove tutti salutano e sorridono. Ci sono diverse spiagge, a parte Bounty beach che è anche molto affollata di banka ormeggiate, a nord c’è la bellissima Langob beach, ancora una volta sabbia bianchissima e mare cristallino. C’è un bar dove potere bere o mangiare qualcosa, ma tutto è super rilassato e tranquillo, anche qui pochissima gente.
Sulla costa nord ovest, nei pressi del faro c’è una spiaggetta rocciosa dove si trova un piccolo bar chiamato Eco-Friendly bar, dove si viene verso l’imbrunire per assistere al tramonto sul mare magari sorseggiando una birra o un buonissimo succo fresco. Non ci sono indicazioni né cartelli per arrivarci, ma basta chiedere e tutti sanno indicare la strada. Nei pressi della spiaggetta a poca profondità ci sono i resti di una nave giapponese affondata durante la Seconda guerra mondiale.
Uno dei must per i divers è l’immersione con gli squali volpe, di cui tutti parlano con grande entusiasmo, anche se purtroppo ci hanno detto quanto sia evidente che la pesca intensiva fatta in passato abbia causato notevoli danni ai coralli ed alla fauna ittica che si è molto ridotta.
Un’altra cosa da segnalare è che ancora oggi sono evidenti i danni causati dal tifone che ha investito l’isola nella notte di Natale 2019. Molte barche sono state distrutte, lungo la spiaggia nel tratto successivo agli ultimi resort (dopo il nostro AAbana e l’Evolution per intenderci) ci sono diversi cantieri dove queste imbarcazioni vengono riparate, quindi in alcuni tratti è difficile passare attraverso la spiaggia. In giro ci sono ancora resti delle piccole abitazioni che sono state distrutte, si notano solo attraversando l’isola a piedi mentre su Bounty beach non ci sono grandi evidenze dei danni causati dal tifone.
Per mangiare, oltre ai ristorantini allineati lungo Bounty Beach che forse sono un po’ più pretenziosi, consiglio di spostarsi qualche minuto a piedi nell’interno dell’isola, in un piazzale si trovano diversi piccoli ristorantini affiancati uno all’altro che offrono sempre pesce fresco cotto al barbecue. Noi siamo stati all’Avrill’s e abbiamo sempre mangiato molto bene a prezzi bassissimi.
Alla fine dei giorni trascorsi a Malapascua, inizia il rientro verso Manila, dove dormiremo una notte prima di imbarcarci per l’Italia. Se vi serve un alloggio per una notte consiglio l’hotel Red Planet Manila Aseana, abbastanza vicino al terminal 1 dell’aeroporto e nelle cui vicinanze si trovano ristorantini e negozi (costo camera senza colazione 2000 pesos). Nell’atrio dell’hotel c’è un banchetto dove si possono acquistare i transfert per l’aeroporto, abbiamo avuto la piacevole sorpresa di pagare soli 300 pesos per andare con un van privato all’aeroporto, mentre il giorno prima ci hanno spellato ben 1300 pesos per fare il tragitto opposto!
Dopo ben tre settimane, anche il nostro terzo viaggio nelle Filippine volge al termine. Che dire: per chi vuole ammirare con i propri occhi una delle meraviglie del nostro pianeta, consiglio di andare a nord Luzon e trascorrere qualche giorno esplorando i terrazzamenti delle risaie. Sono panorami inconsueti e faticosi da raggiungere, ma assolutamente indimenticabili! Altro valore aggiunto di questo paese è la sua popolazione, sempre molto cordiale e sorridente. Buon viaggio a tutti!