CAMEROUN? Pas de problème!

Primo viaggio nell’Africa Sub-Sahariana, forte dell’ospitalità e del supporto indispensabile di Edmond, un ragazzo camerunese che studia e lavora in Italia, ed estremamente desideroso di immergermi in questo mondo per me nuovo e che ho sempre sognato. Già solo l’arrivo all’aeroporto di Douala, la capitale economica del paese,è un vero e...
Scritto da: Raoul_Resta
cameroun? pas de problème!
Partenza il: 25/12/2008
Ritorno il: 13/01/2009
Viaggiatori: in gruppo
Spesa: 1000 €
Primo viaggio nell’Africa Sub-Sahariana, forte dell’ospitalità e del supporto indispensabile di Edmond, un ragazzo camerunese che studia e lavora in Italia, ed estremamente desideroso di immergermi in questo mondo per me nuovo e che ho sempre sognato.

Già solo l’arrivo all’aeroporto di Douala, la capitale economica del paese,è un vero e proprio shock. Ma andiamo con ordine. Io, Jacopo e Valentina partiamo dall’aeroporto di Malpensa la mattina di Natale e facendo scalo a Bruxelles arriviamo a Douala alle 18 circa con un volo assai caro, più di 1.000 euro. L’aeroporto di Douala è piccolo, fatiscente, poco illuminato, con dei feticci tradizionali che ci spiano dalle travi del soffitto. Ci troviamo catapultati dall’inverno europeo alla stagione secca africana; il caldo è a dir poco soffocante e di fronte all’aeroporto intravediamo centinaia di persone accalcate, venute ad assistere all’atterraggio.

Il recupero bagagli, nella sala d’ingresso dell’aeroporto è un vero e proprio delirio. Le valigie di tutti i voli della giornata arrivano su soli tre nastri trasportatori, senza nessuna distinzione e la gente si accalca e litiga per prenderli. Lo zaino di Valentina non si trova ed allora andiamo a compilare il modulo per la denuncia di smarrimento con l’aiuto (non richiesto) di due tizi che poi ovviamente ci chiederanno una mancia. Potremo dar loro solo un paio di euro, dato che l’ufficio di cambio dell’aeroporto è chiuso per il giorno di Natale.

Nel caos generale riusciamo ad incontrare Edmond e con lui ed il suo amico Tomas prendiamo un taxi che ci condurrà a Mangrove, il quartiere di Douala dove vive la famiglia di Edmond. Sul taxi siamo in 6, cosa normalissima da queste parti e facciamo conoscenza con uno degli aspetti più peculiari di questo paese: lo stile di guida. Il nostro tassista, che non guida meno peggio di nessun altro, si tuffa nel traffico ignorando assolutamente le precedenze e schivando le migliaia di motorini che spuntano da tutti i lati. Ripeto, tutto normalissimo.

Arriviamo a casa di Edmond dove la mamma ci offre del taro, il piatto tipico delle feste costituito da puré di un particolare tubero che si serve con una salsa gialla speziata e che accompagna carne o pesce, come in questo caso.

Appena finito di mangiare, di corsa a casa di Tomas, attenti a non farci vedere da nessuno, l’arrivo di 3 “blancs” farebbe gola a molti ladri. Dormiamo quindi nel piccolo ma accogliente appartamento di Tomas e nella notte ci faranno compagnia un gigantesco scarafaggio (ribattezzato Gina) ed un topastro che scorrazza allegro sulle travi che sostengono il tetto di lamiera della casa.

Occhio, stiamo parlando di Douala, un posto che deve considerarsi solo come un punto di arrivo e di partenza, niente a che vedere con quello che amo definire “il vero Camerun”.

Il giorno seguente partiamo alla volta di Yaounde, la capitale amministrativa del paese, dove alloggeremo presso la famiglia di una zia di Edmond.

Ci sono pullman a tutte le ore che collegano i due principali centri del Camerun, quindi lo spostamento non è affatto difficoltoso e anzi il viaggio è piacevole. Arrivati a Yaounde, ci accorgiamo che tira già un’altra aria, nel vero senso della parola…La città, che si estende su 7 colli (vi ricorda qualcosa?) gode di un clima decisamente migliore rispetto a quello di Douala, molto più ventilato e fresco. La famiglia ci accoglie a braccia aperte e cominciamo a capire come funzionano i legami famigliari. In Camerun ci si scambia i figli. Mi spiego meglio; è usanza trascorrere parte della propria vita presso zii, parenti o persone a cui la propria famiglia è legata per fortificare i legami tra la comunità e permettere ai giovani di ampliare il proprio bagaglio di esperienze. Infatti la famiglia presso cui siamo ospitati a Yaounde è così composta: Padre, lo zio farmacista, Madre, la zia, i figli di 13, 6 e 1 anno (il più piccolo è terribilmente spaventato dai noi “blancs”). In più ci sono il fratello naturale di Ed e un altro bimbo di 10 anni, figlio di un fratello dello zio. Completa la famiglia la “grand-mere”, un’anziana signora, elegantissima nei suoi abiti tradizionali che parla poco francese ed è sempre accompagnata da un’altra “tante” (zia) non meglio identificata. Dimenticavo, il quadretto si completa con Billi, fratello dello zio, forse.

La casa in cui abita questa numerosa famiglia è molto grande, composta da un piano inferiore dove abitano i padroni di casa e che gode di un ampio cortile dove si svolgono tutte le attività principali (cucinare, lavare o semplicemente trascorrere il tempo insieme). Al piano superiore si trovano due appartamenti, uno in cui vive una ragazza con la sua famiglia e l’altro sfitto e senza mobili che verrà dato a noi.

La giornata si conclude con una lauta cena, che ci introduce alla magnifica varietà della cucina del sud del Camerun. Si possono infatti assaporare banane cucinate in ogni modo (sto parlando dei “plantain”, non delle “banane” che sono dolci), baton di manioca (odorosissimi bastoncini di manioca avvolti in foglia di banano), koki (una torta di fagioli piccante), n’dole (una salsa di verdure amarognole con arachidi che accompagna carne e pesce), legumes (le stesse verdure di prima fatte saltare con aglio e spezie), patate dolci (con cui si fa un impasto che comprende anche i fagioli), igname e manioca, ecc…Per non parlare della meravigliosa frutta tropicale: papaia, mango, ananas, banane, mandarini e pompelmi profumatissimi, carasol, frutto della passione, ecc… A differenza di molti altri paese africani in Camerun il cibo non manca; la terra è fertile (soprattutto all’ovest), il mare è pescoso e al nord si allevano zebu, capre, maiali, asini e polli.

Il giorno seguente andiamo a visitare la città, il quartiere in cui ci troviamo (Mendon) dista qualche kilometro dal centro. Circola qualche pullman (veramente pochi a dir la verità) ma pare che non li utilizzi quasi nessuno, considerando il numero di taxi che si aggirano a Yaounde.

La città è caotica e confusionaria, ma ha un suo fascino. Infatti l’architettura post-moderna tipica degli anni ‘70d egli edifici governativi del centro è comunque piacevole e i grandi viali danno un senso di maestosità. E’ comunque bene ricordare che il tasso di inquinamento è altissimo e l’aria è spesso irrespirabile, per non parlare del traffico e della confusione che regnano sovrani, ma è possibile trovare ristoro in un giardino pubblico posto su una collinetta che sovrasta la fermata principale dei taxi nel centro.

La giornata scorre tranquilla ed al nostro ritorno ci accoglie tutta la famiglia e dopo innumerevoli foto ci si siede a tavola per la ricca cena. Ad un certo punto la nonna si alza e comincia ad improvvisare un ballo cantando una sorta di litania. Veniamo incoraggiati ad accompagnarla battendo le mani e ripetendo le parole incomprensibili del canto. Poi si alza Edmond e mette una banconota da 1000 franchi sulla fronte della nonna. Tutto si conclude con una applauso generale ed una risata. Ma cosa è successo? Ci chiediamo noi tre.

Ci viene spiegato che in questo periodo la nonna ha dei problemi con l’altra moglie del suo defunto marito (la poligamia esiste eccome allora!!) ma è contenta che noi siamo lì e non ci sta pensando (allora canta e balla) e una persona della famiglia a cui è indirizzato il canto di ringraziamento deve ricambiarle il favore, facendole un dono che tutti possano vedere (i soldi sulla fronte).

Questo paese dove le tradizioni contano più delle istituzioni che sono arrivate con gli europei comincia a svelarsi.

Trascorriamo un paio di giorni a Yaoundè e poi lo zio porta noi tre, Edmond e la sua fidanzata Euphrasie a Kribi, una delle località marittime più in voga del Camerun, che dista circa 300 km da Yaounde a cui è collegata da una strada ben asfaltata terminata di recente.

Vi sono moltissimi minibus che collegano le due città in caso non si disponesse di mezzi propri.

Dopo diverse ore di viaggio e diversi caselli per il pagamento del pedaggio dove i bambini circondano l’auto cercando di venderci ogni tipo di frutta raggiungiamo Kribi.

Alla nostra vista si aprono lunghissime spiagge di sabbia bianca con palme altissime. Qui si svolge l’andirivieni incessante dei pescatori che ritornano dal mare con le loro canoe cariche di pesce che venderanno immediatamente a chiassose signore che a loro volta rivenderanno sul ciglio della strada che costeggia la spiaggia. E’ infatti possibile comprare il pesce e farselo poi cucinare alla brace in una delle baracchette lungo la spiaggia, come faremo noi e devo ammettere che mangiare con le mani un grosso pesce gustoso all’ombra di un grande albero mentre si guarda il male è proprio piacevole.

Dopo pranzo ci spostiamo in un’altra spiaggia dove io e Vale ci concediamo un bagno mentre tutti i locali se la ridono di gusto – fare il bagno è una cosa da turisti non certo da camerunesi.

Si ritorna a casa la sera con molto pesce nel bagagliaio, “gustandosi” la guida non proprio prudente dello zio. A quanto pare qui è la consuetudine, tanto che le strade sono costellate di sagome di omini che ricordano quante persone siano morte in quel tratto di strada.

Il giorno dopo ci informiamo per partire verso Nord, le opzioni sono due: prendere un volo per Maroua (la maggiore città dell’ “Extreme Nord”) impiegandoci circa due ore ma al costo di circa 85.000 CFA (Franchi Camerunesi) oppure prendere il treno (15.00 CFA) fino a Ngaoundéré e poi in autobus (7.000 CFA) fino a Maroua. Ovviamente opteremo per la seconda ipotesi ma purtroppo dovremmo rinunciare alle cuccette, tutte prenotate.

Dopo un viaggio in treno non proprio comodo ma comunque piacevole tra venditori di improbabili unguenti cinesi che risolvono ogni problema e cartellette porta documenti arriviamo finalmente a Ngaoundéré verso mezzogiorno e prendiamo subito l’autobus. La cosa non è poi così semplice (come prendere qualsiasi mezzo pubblico da queste parti, d’altronde) ma grazie all’aiuto del nostro nuovo amico, Jean-Yves, un topografo che si sta recando al nord per lavoro, tutto si fa più semplice.

Siamo quindi stipati in un minibus, abbastanza confortevole dopo tutto, e partiamo per Maroua, il viaggiò è lunghissimo ma non privo di emozioni: il paesaggio è completamente diverso ora, fatto di rocce, erbe alte e villaggetti di case di fango sparsi qua e là, siamo nel Sahel, la savana ai limiti del deserto.

Arriviamo in serata a Maroua che si rivela essere un’antica e affascinante città, abitata da diverse etnie che piano piano riusciremo a riconoscere, tra cui i Peul o Fulani (alti e nilotici) e i Bororo (dai tratti più negroidi). La città è bagnata da un fiume che in realtà è asciutto per sei mesi l’anno e gode di una costante brezza che porta con sé il profumo degli alberi di neem che costeggiano i viali, all’ombra dei quali si accovacciano le persone, cordiali e sorridenti. Dato che Edmond non ha assolutamente voluto lasciarci a noi stessi ha contatto un prete di sua conoscenza che ci ospiterà nella sua missione e ci farà da cicerone. Lo conosciamo appena giunti a Maroua, Padre Victor, che ci viene a prendere alla stazione degli autobus e ci porta immediatamente alla festa di compleanno di un farmacista che offre vino e birra in quantità e che ha fatto uccidere ed arrostire una capra per l’occasione (per la gioia di Valentina e Jacopo che non mangiano carne…). Noi siamo distrutti e vorremmo solo riposarci ma il padre ci mette un po’ per accompagnarci alla missione in cui saremo alloggiati.

Il giorno dopo ci viene promesso un giro per la città ma in realtà veniamo accompagnati in tutte le missioni gestite da italiani che si trovano nell’arco di trenta kilometri. Noi abbiamo pochi giorni da trascorrere al Nord e vorremmo assolutamente passarne almeno due al parco di Waza, il più bel parco dell’Africa Occidentale, dove si possono avvistare leoni, elefanti, giraffe e molte altre specie di animali.

Quindi, capendo che il padre sta un po’ tergiversando chiediamo di poterci informare ad una agenzia turistica ma questo non ci viene permesso; siamo prigionieri di Mon Pere che ci vuole evangelizzare! A seguito di una giornata sconvolgente riusciamo a strappare al padre la promessa di un viaggio nel parco il giorno dopo con partenza alle 5 del mattino perché è all’alba che si vedono gli animali. Ma l’indomani nulla: la macchina che dovrebbe portarci non arriva, noi vorremmo organizzarci per i fatti nostri ma ecco che arriva a prenderci il padre e ci porta nella canonica da cui non ci permette di uscire. Seguono liti furiose finché non arriva Dominique, un parrocchiano alla guida di un pick-up che ci accompagnerà al parco. Sono ormai le 14 del pomeriggio.

Lungo la strada che separa Morua e Waza l’ambiente si fa sempre più aspro e scorgiamo molti uomini che procedono in bicicletta carichi di taniche. Ci verrà spiegato che queste persone vanno a prendere la benzina in Nigeria (il confine è vicinissimo) e poi la rivendono in Camerun. Pensate di attraversare la savana lungo una strada a dir poco dissestata, carichi di taniche piene di benzina sotto un sole che non risparmia… Branchi di scimmie attraversano la strada mentre le garzette sorvolano il pick up, ci stiamo avvicinando a Waza. Una volta arrivati a destinazione ci informiamo per trascorrere una notte nell’accogliente campement che si trova alle porte del parco per poi trovare qualcuno che ci riaccompagni l’indomani nel parco con una jeep, per poi tornare a Maroua e ripartire per Yaounde. Peccato che il nostro programma non sia realizzabile, si deve per forza avere un mezzo proprio dato che non ci sono autobus che collegano Maroua a Waza, né jeep a noleggio nei pressi del parco.

Un po’ demoralizzati ci avventuriamo nel parco pagando l’ingesso giornaliero per noi, per il padre e per l’autista (5000 franchi a persona), il passaggio della vettura (2000 franchi) la guida obbligatoria (3000 CFA) e una quota per l’uso della macchina fotografica (CFA 2000), però lo spettacolo è impagabile, soprattutto per uno che come me è cresciuto a pane e quark. Non avvistiamo elefanti o leoni ma le giraffe si fermano a guardarci curiose e poi corrono via come se procedessero al rallentatore. Possiamo scorgere struzzi, facoceri, tantissime gazzelle e antilopi e molti, moltissimi uccelli (gru coronate, cicogne, pellicani e piccoli uccelli colorati che si abbeverano nelle pozze). La terra è arsa con grandi spaccature e lo sguardo si perde tra le acacie rosse e un orizzonte sconfinato. Facciamo ritorno un paio di ore dopo. Peccato, sarebbe stato bello passarci un po’ più di tempo. Poi, colpo di scena, sulla strada del ritorno il padre ci chiede scusa per averci frainteso ma credeva che fossimo studenti squattrinati e invece disponiamo di mezzi, tant’è che appena arrivati alla casa parrocchiale ripartiremo subito con lo stesso autista e con un ragazzo che ci farà da guida per Roumsiki, l’altra tappa turistica obbligatoria nella zona.

Ci mettiamo in viaggio per Roumsiki di notte dopo aver salutato i nostri nuovi amici della parrocchia e ci accorgiamo subito che dopo il paese di Moloko, che si trova a metà del cammino, la strada è veramente terribile e il nostro autista ha il suo bel daffare a cercare di schivare le buche con il solo aiuto della luna piena.

Arrivati a tarda notte riusciamo, con l’aiuto degli amici della nostra guida Vindigt (originario di Roumsiki) a trovare un albergo che peraltro consiglio, essendosi dimostrato molto confortevole e fondamentalmente economico (Tour D’Argent telefono 986.19.80). Il giorno dopo Roumsiki si rivela in tutta la sua bellezza: il villaggio si trova in una valle circondata da picchi di roccia che sembrano veri e propri giganti di pietra.

E’ domenica, quindi giorno di mercato e Vindigt ci accompagna per il tour classico, seguiti a poca distanza da un gruppo di bambini che ci sorridono e aspettano un piccolo regalo. Ma veniamo al giro turistico classico di Roumsiki: la prima tappa consiste in una visita al Sorcier de Crab, lo sciamano del villaggio, vecchissimo e regale che legge il futuro del nostro viaggio tramite alcune pietre posate in un secchio e un granchio di fiume. Ovviamente ci viene predetto che il nostro andrà sicuramente benissimo. Dopodichè alcuni ragazzi ci spiegano minuziosamente come si fabbricano monili e ciotole di argilla e qui partono gli acquisti pazzi. Si prosegue poi per l’arbe de palabre (l’albero della parola) dove si riunisce gli abitanti del villaggio si radunano per discutere e infine ci rilassiamo nel fresco delle grotte dove si svolgono i riti comunitari.

A conclusione della giornata un bel giro al mercato, coloratissimo e caotico come tutti i mercati africani e dove una cugina di Vindigt ci offre il vino di fagiolo, torbido e molto alcolico.

Si torna poi verso Maroua contenti per la bella giornata e pagando 15.000 CFA l’autista e 15.000 la guida (devo dire obbligatoria per visitare Roumsiki). Arrivati a Maroua decidiamo di pernottare in un confortevole albergo (Le Sahel, tel 229.29.60) che si trova a fianco alla stazione degli autobus da cui partiremo alle 6 del giorno dopo.

Dopo una cena di gala in nostro onore presso la casa parrocchiale con tutte le personalità cittadine presentateci da Padre Victor quest’ultimo ci riporta in albergo e ci promette che ci accompagnerà a prendere l’autobus l’indomani, noi gli diciamo di non disturbarsi ma lui il giorno dopo è davanti al nostro albergo, inesorabile.

Prendere l’autobus è una lotta…Strano! Come se non bastasse poi, una volta saliti il padre dice alla gente di spostare le borse con cui hanno occupato i posti perché “i bianchi si devono sedere”. Rischiamo il linciaggio, ma dopo un po’ la gente dell’autobus capisce che anche noi siamo vittime involontarie di quel bizzarro personaggio e alcuni ragazzi ci lasciano il posto in cui ci siederemo a turno fino a Morua. Quando il padre scende dall’autobus già in moto viene salutato dall’applauso di tutti i presenti.

Padre Victor…Magari con il suo fare invadente voleva difenderci e proteggerci, chi lo sa? Ne conservo un ricordo contraddittorio, un misto di risentimento e compassione.

Il ritorno è piacevole anche perché godiamo della compagnia di Jean.Yves che torna a Yaounde per cambiare uno strumento che si è rotto. Rimaniamo un paio di giorni nella capitale, giusto il tempo per salutare Edmond ed Euphrasie (la sua fidanzata e futura sposa) che stanno per partire per Douala e poi per l’Italia, e per imparare i balli più in voga grazie all’insegnamento dei piccoli di casa. Quindi, si riparte. Questa volta verso l’ovest, terra d’origine della famiglia di Edmond e parte anglofona del paese, la terra dei Bamileke.

Le tappe saranno Foumban, Bamenda e infine Limbè, sul mare.

Dopo una giornata di viaggio tra le colline verdeggianti della zona che è la più fertile del Camerun raggiungiamo Foumban capitale del regno di Bamoun. Il palazzo in cui soggiorna il re (in realtà un sultano-lamido dopo la conversione all’Islam) è in parte visitabile e ospita un museo in cui viene presentata la storia dei sovrani e delle sovrane del regno tramite la collezione di oggetti a loro appartenuti. Il biglietto d’ingresso costa 2000 CFA e si è accompagnati da una guida preparatissima.Al termine della visita si assiste ad una esibizione musicale e poi ci si reca alla vicina moschea dal cui minareto si gode un paesaggio stupendo della valle circostante. Per darvi un’idea della leggerezza con cui viene interpretata la legge coranica, noi entriamo tranquillamente nella moschea in pantaloncini corti (anche Vale!) e ci arrampichiamo sul minareto come niente fosse. Come dicevo, contano più le antiche tradizioni che l’impianto religioso arrivato con gli europei (il cristianesimo) o con i cavalieri mussulmani a nord del sahara (l’islam). Dopo aver comprato un paio di souvenir in un negozietto di artigianato locale (le stesse identiche cose le troveremo all’aeroporto) cerchiamo una sistemazione per la notte mentre Jacopo è febbricitante. Troviamo un albergo a ore nel centro della vicina Bafoussam, definirlo squallido è dir poco… Il giorno dopo partiamo diretti a Bamenda, il capoluogo della regione, attraversando un paesaggio collinare tra cui si intravedono le guglie delle chefferie, residenze del capo villaggio e “tribunali” in cui si risolvono le dispute locali. Dopo un paio d’ore avvistiamo la città completamente coperta dalla nebbia mattutina, lo spettacolo toglie il fiato.

Dopo un bel giro nel grande mercato di Bamenda dove compriamo stoffe a non finire con cui realizzeremo camicie, pantaloni e abiti vari, decidiamo di dirigerci direttamente a Limbè, la strada però è ancora molta.

Ora che ci avviciniamo sempre più al mare le colline lasciano il posto a grandi piantagioni di ananas e caffé e attraversare i piccoli villaggetti che sorgono ai loro margini dove la vita prosegue placida e sempre uguale crea un senso di pace e di rilassatezza… Ahimé l’idillio dura poco infatti l’auto si rompe, problemi con la coppa dell’olio.

Ci fermiamo da un meccanico lungo la strada ma non c’è molto da fare, dovremo procedere ancora un po’ e poi il giorno dopo nei pressi di Douala lo zio farà venire un suo meccanico di fiducia, indovinate chi pagherà? Insomma passiamo la notte in un albergo che si propone di essere lussuoso ma in realtà non lo è affatto, se non per il prezzo, e il giorno dopo pronti via! Eccoci allora alla periferia di Douala, che tanto avevamo provato ad evitare, dove consumiamo la nostra colazione a base di pane e caffé in un chiosco-macelleria dove i nostri vicini di tavolo mangiano vacca bollita e dove le zampe tagliate delle bestie penzolano sulle nostre teste. Uno a ripensarci quasi non ci crede ma erano gli ultimi giorni di vacanza, ormai siamo abituati a questo tipo di contrasti dove noi blancs ricerchiamo disperatamente il nostro angolo di mondo quando tutto attorno è lontanissimo dal nostro stile di vita.

Dopo un po’ arriva il meccanico e dopo essersi prodigato nella riparazione che richiede svariate ore ci rimettiamo in viaggio e dopo un paio d’ore siamo a Limbè.

Il clima umido di Douala si fa sentire anche qui e la città è molto più organizzata di quanto non fosse Kribi, le cui spiagge però sono più belle. Crediamo di trascorrere un paio di giorni da soli in albergo per poi prendere l’autobus da Limbè che ci riaccompagnerà all’aeroporto per tornare a casa, ma lo zio ha altri programmi per noi, infatti occupa la camera a fianco alla nostra in un piccolo alberghetto accogliente ed economico (Victoria Guest House 333.24.46).

Dopo una doccia rinfrescante eccoci pronti a scoprire Limbè e subito ci imbattiamo in una festa dove uomini e donne che indossano le sgargianti vesti tipiche dei Bamileke si lanciano in danze sfrenate in un grande prato. Sarà un qualche tipo di festival dico io, e invece no, trattasi di un funerale. Pero! Passeggiamo lungo la spiaggia fino a raggiungere il villaggio dei pescatori da dove dovremmo attraversare un tratto di mare per raggiungere il luogo dove viene affumicato il pesce ma le contrattazioni con il nostro traghettatore non vanno a buon fine. Rimediamo con una birra bevuta in un bar i cui tavolini si trovano a ridosso della spiaggia. Osservare il tramonto in questa baia baciata da una vegetazione lussureggiante è un vero spettacolo. Mangiamo pesce cotto alla brace e torniamo in albergo, i grandi alberi che si trovano al centro delle rotonde della città sono illuminati con delle lucine rosse e arancio che creano un effetto pittoresco.

Il giorno dopo cerchiamo di passare una giornata in spiaggia ma il caldo umido ci costringe ad una ritirata strategica, non dopo aver saltellato sulle rocce che la secca mattutina ha fatto emergere. Trascorriamo la giornata a sonnecchiare in albergo e la sera mangiamo nel migliore ristorante del nostro viaggio (dopo la baracchetta di Kribi) per servizio e qualità del cibo(purtroppo non saprei dire il nome, ma si trova proprio di fronte all’hotel in cui alloggiavamo) e consumiamo un paio degli immancabili birrozzi (a dire il vero birroni) nel bar di fronte ascoltando la onnipresente bakossa, una commistione di ritmi tribali e funky,connubio quanto mai riuscito.

L’indomani ci spingiamo alle pendici del monte Camerun che si trova nelle vicinanze, per osservare questo vulcano gigantesco, alto più di 3.000 metri. Ahimé le nuvole che quasi sempre lo circondano lo nascondono alla nostra vista, anche se ci troviamo ai suoi piedi. Il tasso di umidità in questa zona del paese deve essere del 200%! Dopo questa tappa ci dirigiamo a Douala e attraversiamo il completo caos del centro città per ritornare dal luogo in cui siamo partiti: la casa dei genitori di Edmond. Noi vorremmo arrivare all’aeroporto con largo anticipo ma trascorriamo a casa tutta la giornata in attesa dell’arrivo del padre di Edmond che ci porta in regalo graziose collane di legno e consuma con noi la nostra ultima cena camerunese: pesce alla brace con le immancabili plantain e batou. Partiamo alla volta dell’aeroporto all’ultimo minuto e l’auto con sei persone a bordo più i nostri zaini perde la marmitta in una delle gigantesche buche di Mangrove (il quartiere dove vive la famiglia di Edmond). Panico! Come faremo ad arrivare in tempo per il check-in? Pas de probleme, il papà di Edmond si carica la marmitta in moto e ci segue mentre noi, scoppiettando, arriviamo a destinazione.

Il delirio è totale e nella calca si intrufola anche una ragazza completamente nuda che i poliziotti accompagnano fuori diverse volte, dato che riapparirà spesso nascondensi dietro i passeggeri che intanto litigano con le hostess e gli stewart di terra che li costringono ad abbandonare i mastodontici bagagli che cercano di imbarcare. Espletate gli ultimi doveri doganali usciamo per salutare tutti, dare gli ultimi soldi rimasti allo zio (un po’ deluso per la misera cifra) e ci rituffiamo poi nel caos dell’aeroporto per raggiungere a l’imbarco. Ricordatevi di serbare 10.000 CFA per pagare la tassa di espatrio, noi l’abbiamo pagata in Euro e il cambio non è stato esattamente a nostro favore.

Così l’aereo che parte con 2 ore di ritardo e decolla lasciandosi alle spalle l’impenetrabile notte camerunese. Che dire di questo paese con enormi potenzialità turistiche ma ancora un po’ disorganizzato…Un miscuglio di sensazioni forti che prendono allo stomaco e fanno gioire o disperare ma che indubbiamente lasciano un traccia indelebile nel nostro animo. Non ci sono conflitti etnici, come nella vicina Nigeria, non si patisce la fame disperata che attanaglia altri paesi africani ma il lusso delle dimore dei ricchi e dei corrotti funzionari politici stride ancora troppo con la miseria in cui la maggior parte della popolazione è costretta a vivere. I posti di controllo dei militari sono infiniti e devo dire che noi non abbiamo avuto nessun problema mentre molti ci avevano messo in guardia.

Comunque sicuramente: VIVE LE CAMEROUN, un paese che riunisce i più diversi paesaggi africani: dalle foreste pluviali, alla savana, dalle alte montagne ai bianchi litorali. Dove la gente può presentarsi a volte scontrosa verso gli “intrusi” ma i sorrisi dei bambini e di tante, tante persone disponibili e gentili rincuorano e ci fanno amare questa terra a cui sempre tornerà il nostro pensiero.



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