On the Road attraverso California, Utah, Arizona, Nevada e Texas!

Il racconto della nostra Luna di Miele attraverso la California, gli scenari fantastici della West Coast, la grandiosità dei Parchi Naturali di Utah, Arizona e Nevada, l'incanto di città dinamiche ed elettrizzanti e la magica atmosfera country...
Scritto da: Massimo Polimeni
on the road attraverso california, utah, arizona, nevada e texas!
Partenza il: 12/10/2009
Ritorno il: 04/11/2009
Viaggiatori: 2
Spesa: 3000 €
Premessa…

Visitare gli Stati Uniti era sempre stato il nostro sogno e farlo coincidere con la nostra Luna di Miele ci sembrava la scelta più ovvia e più vantaggiosa… La preparazione al viaggio è stata meticolosa, grazie ai preziosi consigli tratti dai racconti degli altri “Turisti per Caso” ) – sito che vi consigliamo senz’altro di consultare nella fase di organizzazione del viaggio – alle tante ore passate su internet per documentarci sui posti che avremmo visitato, ai tanti spunti raccolti qua e là da chi aveva scelto di recente di effettuare lo stesso nostro itinerario.

Pur volendoci ritagliare un viaggio su misura abbiamo tratto un gran beneficio dalle informazioni e dalle esperienze che altri prima di noi avevano fatto e speriamo di potere a nostra volta contribuire con questo racconto alla buona riuscita del viaggio che deciderete di organizzare.

Abbiamo prenotato il volo a/r tramite la Cts di Pisa (volo Delta, 1.500,00 euro per due) le prime notti in hotel a San Francisco (direttamente sul sito web dell’albergo) e verificato e confrontato le condizioni di noleggio auto delle varie compagnie. Tutto il resto l’abbiamo affidato – senza mai pentircene – al nostro spirito di avventura e di adattamento.

Di ogni luogo visitato abbiamo riportato un link che vi potrà servire per pianificare il vostro itinerario. Alla fine del nostro racconto abbiamo inserito alcuni suggerimenti che vi torneranno utili se la lettura di questo diario vi avrà fatto venire voglia di visitare gli States. Alcuni spunti sono stati tratti da altri racconti, e qui integrati ed ampliati. Se avrete necessità di maggiori riferimenti, informazioni di vario tipo, suggerimenti, etc, scriveteci a nobis8066@libero.it.

E ora mettetevi comodi, vi aspetta il lungo ed affascinante racconto della nostra Luna di Miele “On the Road” attraverso la California, gli scenari fantastici della West Coast, la grandiosità dei Parchi Naturali di Utah, Arizona e Nevada, l’incanto di città dinamiche ed elettrizzanti e la magica atmosfera country del Texas! Buon Viaggio! Massimo e Marina.

Da Roma a San Francisco..

12 Ottobre 2009 – Ci imbarchiamo alle 13,25 da Fiumicino, con alle spalle lo stress, l’emozione e la fatica del nostro “Giorno più Bello” e dopo una notte passata in autostrada alla guida della nostra Alfa, da Bari a Roma in compagnia di due amici ai quali affideremo l’auto durante la nostra lunga assenza dall’Italia.

Al gate della Delta i controlli sono modesti, niente a che vedere con quelli che ci aspettano una volta che avremo messo piede in America..

Imbarchiamo i bagagli (più tardi ci accorgeremo di avere commesso un clamoroso errore di valutazione portandoci dietro una quantità esagerata e inutile di vestiario che non uscirà mai dalla valigia e che lasceremo su territorio americano per far spazio ad acquisti e regali da riportare indietro…) e appena saliti a bordo ci si apre il cuore: poltrone spaziose e comodissime, corridoi larghi, hostess gentili e sorridenti e già pregustiamo le lunghe ore di volo sprofondati in questo salotto volante e coccolati dal personale di bordo… fino a quando scorrendo i numeri e le file ci ritroviamo ai posti giusti… e nella classe giusta! Se avete viaggiato in low cost con la Ryanair non avete bisogno di leggere il seguito di questa descrizione… i sedili sono angusti e i miei 184 cm di statura non trovano rimedio se non irrigidirsi in posizione semieretta e sperare in un lungo sonno anestetizzante… che delusione… ma che importa, siamo sposati da un giorno, siamo felici ed eccitati al pensiero di questo sogno che sta per concretizzarsi, staremmo seduti in terra nel corridoio pur di vederlo finalmente realizzato!

Ma ora si parte, rullaggio e decollo, America arriviamo!

Il volo è tranquillo, dall’oblò dopo le Alpi, i campi ordinati di Francia e Inghilterra, poi solo nuvole e oceano, ascoltiamo musica in cuffia (country per me, tanto per cominciare ad ambientarmi) e vediamo un discreto numero di film (alcuni in inglese) nei piccoli schermi inseriti nei sedili, e dopo 10 ore di sonnellini, risvegli, spuntini, lettura e compilazione dei bizzarri (ma obbligatori) questionari del Dipartimento per l’Immigrazione (nei quali tra l’altro ci viene chiesto di dichiarare se siamo terroristi, se siamo spie, se siamo stati mai condannati per genocidio o se siamo depravati morali…) sotto di noi si materializza il primo lembo di terra Americana che ci affrettiamo a fotografare… che emozione!!

Atterriamo finalmente al JF Kennedy di New York, impressionante per dimensioni (rulliamo sulla pista per almeno venti minuti fino al terminal…) e ci troviamo subito intruppati in doppia fila (una per i residenti, l’altra per gli stranieri) per i severi controlli preliminari all’ingresso su territorio americano.

E’ la prima, realistica visione di cosa siano gli States… mai ci era capitato di vedere tutta insieme così tanta gente diversa per provenienza, lingua, colore e cultura… è la prima straordinaria sensazione che ci si stampa in mente di questo grande Paese.

Finalmente è il nostro turno. Un simpatico e corpulento addetto alla sicurezza controlla i nostri passaporti nuovi di zecca e si informa sul motivo del viaggio. Rispondiamo con il più accattivante dei sorrisi che è il primo giorno della nostra “honey moon” e visto che sorride compiaciuto gli snoccioliamo alcune delle località che intendiamo visitare. Si stupisce della scelta della nostra ultima tappa e domanda incredulo “Texas? Why Texas?, poi scrolla le spalle, passa allo scanner le nostre pupille, ci prende le impronte, ci fa una bella foto segnaletica e ci augura buon viaggio e…. Ssiamo in America!

Ci affrettiamo verso il successivo terminal, ci aspettano in realtà altre 5 ore di volo per la nostra prima vera destinazione – San Francisco – dove sbarchiamo distrutti ma felici alle 23:00 di quella sera.

San Francisco

E ci godiamo il primo assaggio di questa avventura, storditi ma felici recuperiamo le valigie e prendiamo un enorme taxi giallo verso l’hotel che avevamo prenotato dall’Italia.

Piove, ma le luci e l’incanto di questa bellissima città ci stregano e ce ne stiamo attaccati ai finestrini come due bambini girando la testa di qua e di là ed esclamando una serie interminabile di “guarda!”

L’albergo (Heritage Marina Hotel) non è esattamente come ce lo aspettavamo, anzi non lo è affatto… già la reception ci mette un po’ in allarme e un’amara sorpresa ci attende appena entrati in camera, mobili fatiscenti, atmosfera da albergo di infima categoria, copriletto sdrucito… abbastanza da farci decidere di andar via immediatamente e annullare la prenotazione per i giorni successivi. Ma siamo in piena notte e non possiamo far altro che sdraiarci (vestiti) sul letto e provare a riposare un po’. Stemperiamo la delusione nella stanchezza e alle 6 del mattino (complice il fuso orario favorevole e l’insonnia da delusione abbiamo già provveduto a prenotare all’Holiday Inn Civic Center (http://www.hiccsf.com) telefonando praticamente in piena notte) siamo in taxi verso quello che si rivelerà uno straordinario albergo, comodo, elegante e accogliente e a due passi a piedi dal centro della città. Scegliamo di pagare un po’ di più del previsto (170 $ a notte) ma è la nostra Luna di Miele e qualche trasgressione ce la concediamo volentieri.

Aspettiamo un paio d’ore che la nostra camera sia libera, nel frattempo ci concediamo la nostra prima “prima colazione” americana (caffè, latte e cornetti io, un piatto di patate al forno, uova, bacon, succo d’arancia e non so che altro Marina che evidentemente non risente più dei postumi della digestione della cena nuziale), facciamo un giretto nei dintorni dell’albergo quindi prendiamo possesso della camera che è luminosa e accogliente, un enorme letto a due piazze pieno di cuscini morbidissimi, tv, connessione internet (ci siamo portati dietro un piccolo notebook che si rivelerà indispensabile per collegarsi e comunicare con l’Italia nonché per archiviare le centinaia di foto e filmati che andiamo via via realizzando), un bellissimo bagno, una macchinetta per fare il caffè (americano, non illudetevi) che troveremo in ogni stanza di ogni hotel o motel che ci ospiterà durante il viaggio.

Ci sistemiamo, doccia ristoratrice e subito fuori – ignorando la stanchezza della notte in bianco – nella città che dalla finestra abbiamo visto animarsi progressivamente.

San Francisco è bellissima e non potevamo desiderare un approccio migliore agli States!

Molti la definiscono “europea” e in effetti assomiglia molto ad una delle grandi metropoli del vecchio continente, un gradevole mix di tradizione e modernità che ci incanta.

Dimentichiamo i programmi dettagliati che avevamo preparato (utilissimo l’elenco dei luoghi da vedere che avevamo tratto dai racconti dei Turisti per Caso, ma ci rendiamo conto che vedere tutto secondo l’ordine che ci eravamo dati è impossibile e che il programma va strutturato al momento in base al tempo a disposizione e alla stanchezza) e ci concediamo una lunga passeggiata sotto la pioggia fermandoci ad assaporare il primo di una infinita serie dei caffè (vabbè..) nella arcinota catena “Starbucks” dove ragazzi simpaticissimi prendono l’ordine e poi ti chiamano per nome quando arriva il tuo turno… una cosa banale, osserverete, ma è il primo segnale della familiarità e della gentilezza che riscontreremo dovunque da parte degli americani e che ci regalerà numerosi momenti da ricordare…

Bighelloniamo senza meta per la grande città, assorbendo avidamente ogni piccolo dettaglio e sforzandoci di memorizzarlo, varchiamo la monumentale porta verde giada ed entriamo in Chinatown con le sue centinaia di negozietti di chincaglierie e macchine fotografiche e dopo poco decidiamo di trovare rifugio dalla pioggia all’interno della “Old St.Mary’s Church” (http://www.oldsaintmarys.org/), la prima cattedrale di San Francisco dove in un silenzio suggestivo si stanno facendo le prove per un concerto di archi. La chiesa, in stile gotico, perse la sua qualifica di prima chiesa della città quando il quartiere cinese si riempì di case di tolleranza e si ritenne più opportuno trasferire la cattedrale in una nuova sede. Intanto fuori ha smesso di piovere a dirotto, ancora umidi lasciamo la chiesa con la sua atmosfera mistica e ci rituffiamo nel cuore della city.

San Francisco è ordinata, tranquilla, elegante con un che di retrò che la rende probabilmente unica tra le grandi città della West Coast, caratteristica per le sue strade a strapiombo e per i “cable car” (http://www.sfcablecar.com/) che instancabilmente le percorrono sferragliando in su e in giù. Ci fermiamo ad osservare queste affascinanti vetture d’altri tempi che procedono con la gente seduta sulle panche esterne o semplicemente attaccata ai sostegni con il sedere che sporge in fuori, fotografiamo uno dei capolinea dove la vettura vien fatta ruotare – a mano – su una piattaforma girevole e rimessa in direzione di marcia.

Più tardi – dopo esserci dotati dell’utilissimo “Muni Passport” (pass per bus, tram, cable car al prezzo di 18 dollari) – scorazzeremo per la città su molte di queste meraviglie, riprendendo tutto e fotografando tutto, incluso il conducente intento ad azionare il complicato meccanismo a cremagliera.

Sorridendo, consideriamo quante volte abbiamo ridacchiato vedendo i turisti cinesi fare migliaia di scatti nelle nostre città, ma ora siamo noi a voler fissare ogni dettaglio, ogni particolare, l’enorme camion della Coca Cola (quello della pubblicità di Natale..), le vetrine già addobbate per Halloween, l’auto bianca e nera della polizia, il poliziotto nero con uniforme nera (che sorride compiaciuto accanto a Marina), i tanti scorci che si aprono sul mare, i grattacieli, la gente,le insegne luminose, i futuristici stores della Apple dove si acquista di tutto a metà del prezzo che in Italia, le strade con i nomi familiari di North Beach (il quartiere italiano), i banchi dei supermarket cinesi pieni di cibi improponibili e quelli invitanti delle pasticcerie e qualunque altro oggetto o soggetto catturi il nostro interesse… praticamente tutti!

Un’altra caratteristica della città, per quel che riguarda i mezzi di trasporto, sono i vecchi tram che l’attraversano incessantemente in tutta la sua lunghezza. Si tratta di vecchie vetture che il municipio di San Francisco ha acquistato o ha avuto in dono da altre città americane (e non solo) e che conservano i cartelli con gli originari itinerari delle città d’origine. Ogni tram è pertanto diverso dall’altro per forma, colore e allestimenti e fa un certo effetto – unica eccezione europea – salire sui familiari tram milanesi con lo stemma municipale sulle fiancate e le targhette in italiano attaccate dappertutto!

Siamo a metà della nostra prima giornata americana e lottiamo contro il nostro orologio biologico che reclama una pausa e un po’ di nanna, continua a piovere ma ce ne accorgiamo appena, decidiamo di pranzare in un locale al centro del Financial District, la “Soup Company” ) che serve zuppe calde di ogni tipo e la scelta è azzeccatissima perché serve a scaldarci e ristorarci qual tanto che basta per raggiungere l’albergo e concederci un paio di ore di meritato riposo.

Nel pomeriggio, asciugati e attrezzati a dovere, eccoci pronti per il secondo round!

Visitiamo Union Square, il cuore della città pieno di negozi e con al centro un enorme spazio espositivo e Marina adocchia subito quello che sarà il mio peggiore incubo per tutta la durata del viaggio, il primo mega store di Macy’s (www.macys.com), una catena di grandi magazzini di abbigliamento e oggettistica famosissima in tutti gli Stati Uniti dove in verità faremo più volte acquisti convenientissimi e di ogni tipo e dove una commessa gentile ci offre una tessera sconto che useremo durante le successive visite ai vari negozi della catena sparsi in ogni città. Visitiamo quindi questo immenso magazzino che si sviluppa su più piani (una decina) ognuno dedicato ad una categoria commerciale, ci incantiamo davanti alle straordinarie decorazioni natalizie che già riempiono gli scaffali e prendiamo nota dei primi prezzi… Gli ascensori ci portano su e giù per l’edificio, decidiamo di salire in cima dove scopriamo un intero piano occupato da un raffinato ritrovo con piano bar e ristorante e con una vista mozzafiato sulla sottostante piazza nella quale scorgiamo un frenetico movimento e decine di luci lampeggianti… appena il tempo di renderci conto di quel che succede e curiosi come gatti ci precipitiamo giù in strada finendo dritti in quello che sembra il set di una delle tante serie poliziesche (che adoriamo) viste in tv, dovunque macchine della polizia, mezzi dei pompieri, e un gran numero di persone che si avvicinano per dare un’occhiata. Ci avviciniamo il più possibile per scoprire che un incendio è scoppiato nella esclusiva gioielleria di Tiffany (da qui il grande spiegamento di forze), vediamo squadre di pompieri con i tipici elmetti affaccendarsi con tubi e manichette, altri semi-intossicati seduti in terra e soccorsi dagli efficientissimi paramedici che somministrano loro ossigeno (è impressionante il livello di professionalità di queste squadre), entriamo nell’inquadratura dell’immancabile troupe televisiva che riprende l’accaduto con la solita truccatissima giornalista biondo platino che commenta l’avvenimento per il notiziario della sera e dopo aver fotografato e ripreso ogni cosa ci decidiamo finalmente a proseguire il nostro giro…

Decidiamo di dare una prima occhiata al famoso “Pier39” (www.pier39.com) il caratteristico molo trasformato ad uso e consumo dei turisti in un gradevole, coloratissimo e suggestivo spazio commerciale, negozietti si aprono sui due lati della passeggiata, tutto è realizzato in legno colorato e in stile marinaro, decine di stores e di ristorantini e di chioschetti che servono il famoso panino con il granchio (che non poteva mancare nella nostra dieta). E’ un po’ tardi e molti negozi sono chiusi, decidiamo di cenare al famosissimo “Bubba’s Gump” (http://www.bubbagump.com/locations/san_francisco.html) il locale dedicato al film con Tom Hanks “Forrest Gump” e che espone in grandi vetrine sulle pareti abiti e accessori utilizzati dagli attori durante le riprese e ci tuffiamo nel primo dei grandiosi menù di pesce e crostacei ($ 66,00) che non ci faremo mai più mancare durante la nostra permanenza in California! Dopo cena ci affacciamo alle ringhiere di legno per osservare nella penombra le centinaia di leoni marini che sonnecchiano su piattaforme galleggianti emettendo un caratteristico suono gutturale, poi finalmente in tram verso l’albergo e il morbidissimo letto “king size” che ci aspetta caldo e accogliente…

La mattina dopo ci svegliamo prestissimo (sarà così per tutta la durata del viaggio, vogliamo sfruttare la massimo il tempo che abbiamo a disposizione) e dopo una gratificante colazione in albergo e uno sguardo veloce al quotidiano che ogni mattina ci vien fatto trovare fuori dalla porta, eccoci di nuovo al “Fishermans Warf” (http://www.fishermanswharf.org/) che ci accoglie con il suo enorme granchio al centro dell’insegna.

Non piove più, c’è un bel sole e tutto ha un’aria pulita e scintillante, sulla sinistra una serie di pescherie con in bella mostra fumanti banchetti di aragoste e granchi, poco più in là un gruppetto di turisti è intento a farsi fotografare a cavalcioni di un’enorme Harley della Polizia accanto ad un altrettanto enorme policeman e mi appresto a fare altrettanto, con la rassicurante manona dello “sceriffo” sulla spalla..! Sul molo di fronte a noi è ormeggiato un sommergibile della seconda guerra mondiale trasformato in museo galleggiante, l’USS Pampanito (www.maritime.org) , e non posso esimermi – per antica passione – dal salire a bordo e scattare qualche foto sul ponte d’acciaio.

Il Pier 39 è questa volta animatissimo, le vetrine traboccano di gadgets di ogni tipo, nell’aria un profumo di cibo, di fritto, di granchio e di dolci che ci stordisce ma gradevolmente, facciamo un giro in OGNI negozietto cominciando a riempire lo zainetto che mi si cucirà addosso per tutto il viaggio, Marina scopre e si perde dentro un immenso negozio di cioccolato, la seguo preoccupato ma ormai è troppo tardi e mi domando se non sia il caso di acquistare uno zaino più grande… Il fragoroso latrato dei leoni marini si avverte anche al di sopra della musica di sottofondo e decidiamo di dedicare loro una decina di minuti… uno spettacolo incredibile, centinaia e centinaia di corpi lucidi e viscidi ammucchiati su decine di piattaforme, un rumore incredibile, uno spettacolo davvero unico!

Foto da ogni angolazione e poi a pranzo in uno dei tanti ristorantini del Pier (ancora tripudio di crostacei in pastella più hamburger di granchio), quindi ci avviamo verso il Pier 33, l’approdo del traghetto per l’emozionante e interessante visita al tetro penitenziario di Alcatraz che si staglia in lontananza sull’omonima isoletta.

Un breve tragitto sul ferry della Alcatraz Cruises (26 $ a testa) carico di turisti e un quarto d’ora dopo sbarchiamo sul piccolo molo dell’isola che già dal mare non ha per niente un aspetto rassicurante… Sullo sfondo, rosso, gigantesco e immerso nella foschia il Golden Gate Bridge – che visiteremo domani – chiude idealmente l’ingresso della Baia.

“The Rock” fu un’ antica fortezza nordista durante la Guerra di Secessione poi trasformata in prigione militare e quindi nel 1933 in penitenziario di massima sicurezza per gangster e criminali di un certo calibro (tra i quali Al Capone) e resa nota da film famosi tra i quali “Fuga da Alcatraz” con Clint Eastwood che racconta dell’unico, rocambolesco tentativo di evasione messo in atto nel 1962 da Frank Morris e dai fratelli Anglin, unico apparentemente riuscito (i detenuti o i loro corpi non vennero mai ritrovati) da questa isola circondata dalle gelide acqua della baia.

Assistiamo ad una breve preliminare presentazione della struttura ad opera di una improbabile “secondina” in là con l’età e con un enorme cappello da ranger in testa quindi indossiamo le cuffie dell’audiotour, selezioniamo la lingua ed entriamo… Le condizioni di reclusione dovevano essere veramente terribili, le celle sono grandi appena per contenere una branda, un minuscolo lavandino e un piccolo vaso per i bisogni corporali, un piccolo scrittoio ribaltabile, sono tutte affiancate in lunghi corridoi sovrapposti, uno spettacolo davvero angosciante!

Decine di turisti si aggirano in silenzio, assorti nel racconto registrato seguendo l’itinerario indicato dall’audiotour e scoprendo passo passo i misteri di questo incredibile penitenziario, i personaggi che lo hanno abitato, gli avvenimenti più eclatanti (tentativi di fuga, rivolte, uccisioni) e lo svolgersi di una giornata tipo all’interno di queste mura inaccessibili. In alcune celle sono posizionate le teste di carta pressata che vennero utilizzate per imbrogliare le guardie e guadagnare tempo prezioso durante il clamoroso tentativo di fuga, sono le stesse utilizzate nel film di Eastwood! Le docce, la sala vestizione, la biblioteca, la sala mensa, le celle di rigore, gli uffici del Direttore, tutto è ricostruito come era prima della chiusura della struttura… è un’esperienza che ci sentiamo senz’altro di raccomandarvi!

Nel tardo pomeriggio riprendiamo il traghetto e ci godiamo lo skyline di Frisco che ingrandisce via via che ci avviciniamo alla riva; sbarcati gironzoliamo ancora un po’ per il centro poi cena in un fast-food e via in albergo a riposare.

La mattina dopo siamo pronti ad affrontare il Golden Gate, uno dei ponti più famosi d’America e simbolo stesso di San Francisco. Sulla strada ci fermiamo per una tappa obbligata, saltare la quale avrebbe significato divorzio sicuro: Ghirardelli Square! (www.ghirardelli.com )

Il Signor Domingo Ghirardelli, italianissimo figlio di un cioccolataio di Rapallo, emigrò a metà ‘800 in America scoprendo presto che gli americani adoravano il cioccolato non meno dei suoi concittadini liguri ed ebbe la felice l’intuizione di metter su una piccola fabbrica di questo allettante prodotto che in poco tempo si affermò ed ebbe uno straordinario successo. Oggi il cioccolato di Ghirardelli, declinato in ogni possibile variante, è famoso in tutti gli Stati Uniti e sinceramente merita appieno la sua fama!

Gli eredi di Ghirardelli hanno trasformato il sito industriale in un accogliente “chocolate village” dove è possibile degustare ogni tipo di cioccolato in enormi coppe scenografiche e ipercaloriche mentre si assiste (da dietro ai vetri) alla lavorazione delle paste di cacao che riempiono l’aria di un aroma inebriante, acquistare ogni tipo di tavoletta, pasta, crema, gadget rigorosamente al cacao e apprendere la storia di questa fortunata e sagace famiglia di nostri compatrioti!

Due enormi coppe di gelato pluri-stratificato e annegato nella crema e nella panna riescono momentaneamente ad appagare Marina che – dopo una incursione allo shop, una “trasfusione” del controvalore di 82,09 dollari e una foto con il simpatico cameriere che ama l’Italia – decide finalmente che il programma della giornata può continuare.

Zainetto (più pesante) in spalla e prendiamo un bus che in poche decine di minuti ci deposita alla base di uno dei piloni del ponte… una cosa da togliere il fiato!!

Il Golden Gate Bridge, inaugurato il 27 Maggio del 1937 e interamente dipinto di arancio rossastro, giganteggia su di noi, immerso per metà nella nebbia. Non riusciamo a scorgerne la fine e anche quando saremo a metà tragitto l’altra parte rimarrà un mistero. Lo spettacolo del ponte immerso nella nebbia è uno dei più caratteristici e suggestivi di questa meravigliosa città e ce lo godiamo insieme alle centinaia di turisti che lo percorrono a piedi o in bici. Lo scenario è mozzafiato, la struttura è grandiosa, faraonica, eppure vibra sensibilmente al passaggio delle auto e dei grossi camion che l’attraversano nelle due direzioni. Una sirena lancia ritmicamente il suo segnale per evitare che navi e imbarcazioni accecate dalla foschia vadano a schiantarsi sui piloni.

La nebbia ci inzuppa di minuscole goccioline ma procediamo coraggiosi fino a metà ponte scattando decine di foto. Ci fermiamo a leggere le targhe di bronzo che ricordano i costruttori e coloro che persero la vita durante l’edificazione di questo mostro di acciaio e facciamo una foto alla statua di Joseph B. Strauss che ideò e costruì il ponte. Lasciamo il Golden Gate ancora immerso nella nebbia e in bus raggiungiamo l’immenso “Golden Gate Park East” – che Marina ha scovato sul web – lungo ben 5 km al cui interno è la famosissima “Conservatory of Flowers”, la più antica serra dell’emisfero occidentale con oltre 1500 specie di piante provenienti da tutto il mondo. Al centro del parco è ricostruito un suggestivo “Japanese Tea Garden” con pagode, templi e piante originarie di quella lontana isola, una enorme statua in bronzo del Buddha del 1790 nonché una sala da tè tradizionale all’aperto dove si viene serviti da vere cameriere giapponesi con i loro colorati kimono. Qui facciamo amicizia con un paio di scoiattoli per nulla intimoriti dalla nostra presenza che si fanno avvicinare, fotografare e alimentare, quindi riprendiamo il bus la cui fermata è ai piedi dello scenografico “Spreckels Temple of Music” in stile rinascimentale italiano, verso la nostra prossima meta, il caratteristico quartiere di Castro.

Castro è il quartiere gay della città, le strade sono affollate, vivaci e coloratissime, in giro dozzine di coppie di ogni genere che vivono in totale tranquillità e naturalezza, senza alcuna particolare ostentazione, dappertutto edifici dai colori sgargianti e negozietti ammiccanti. Ne visitiamo un paio poi ci fermiamo a mangiare in un caratteristico ristorantino messicano con i tavoli direttamente sulla strada. Qui veniamo “agganciati” da una ragazza che ci chiede un contributo per non so quale associazione gay americana e che mi fa compilare una scheda per un’intervista. Marina un po’ divertita e un po’ preoccupata mi osserva chiacchierare con la tipa (Italians? Oooohh, nice!!) e contrattare il prezzo dell’offerta (richiesta minima 5 dollari, ma da buon italiano gliene do solo 3), poi riconsegno la scheda compilata con dati di fantasia (non si sa mai..) e finalmente ci godiamo una rassegna di tortillas condite con salse piccanti e al cetriolo che digeriremo solo dopo alcuni giorni…

Prendiamo un paio di souvenir in un negozietto del quartiere, poi in tram fino al nostro albergo per un paio di ore di riposo, quindi di nuovo in marcia alla volta di Lombard Street, una famosa strada che deve la sua notorietà al fatto di essere stata disegnata con una serie di tornanti (otto) che la rendono particolarmente tortuosa e dalla quale si gode una bellissima vista della baia. Carina da visitare ma niente di epocale.

Il nostro ultimo giorno a San Francisco si conclude con un paio di ore di shopping (ancora Macy’s of course..), poi cena e quindi in albergo a fare i bagagli perché nelle primissime ore del mattino ci attende uno shuttle per l’aeroporto e la seconda parte del nostro viaggio.

Visitare San Francisco in così pochi giorni è impossibile e la città merita una permanenza prolungata, ci sono molte cose che non abbiamo fatto in tempo a vedere, l’università di Berkeley, Sausalito, alcuni interessanti edifici pubblici e musei ma lasciamo Frisco tutto sommato soddisfatti e con la promessa di ritornare…

Da San Francisco a Los Angeles (Palo Alto – Monterey – 17 Mile Drive – Santa Barbara)

Alle 7,00 del mattino siamo già nella hall, colazione velocissima e ci imbarchiamo su uno shuttle prenotato in reception il giorno prima che ci porta velocemente in aeroporto. Il SF International Airport è veramente immenso. Una velocissima e futuristica monorail panoramica (senza conducente) ci deposita di lì a poco nell’enorme padiglione dove decine di agenzie di noleggio si contendono centinaia di potenziali clienti. Anche qui vale la considerazione fatta per gli alberghi, non è affatto necessario prenotare dall’Italia perché la disponibilità di vetture delle varie categorie è veramente notevole e in più accade che se non è prontamente disponibile una macchina della categoria desiderata ve ne venga assegnata – allo stesso prezzo – una di categoria superiore! Tra le tante agenzie di noleggio vi consigliamo senz’altro la Alamo, i cui prezzi e il cui servizio sono impagabili. La Alamo è probabilmente la più diffusa sulla costa occidentale degli Usa e la diffusione delle agenzie è capillare. Stipuliamo la necessaria polizza assicurativa che ci da copertura per ogni tipo di incidente e noleggiamo quello che (moglie esclusa) rappresenterà per me nei prossimi venti giorni il compagno di viaggio più prezioso: il Navigatore! Fate attenzione perché la Alamo è una delle poche che lo fornisce con la versione in lingua italiana, accorgimento che ci salverà la vita quando ci troveremo ad affrontare lo spaventoso dedalo di svincoli, raccordi e circonvallazioni delle megalopoli di Los Angeles e Las Vegas!!

Facciamo la nostra scelta aiutati ed agevolati nella tariffa da un gentilissimo e simpaticissimo impiegato di origine indiana che prende in giro gli yankee per il loro modo di parlare, paghiamo complessivamente 1.121,00 Dollari per 11 giorni di noleggio tutto compreso (incluso il pieno di benzina che di regola dovremmo restituire al momento della consegna ma che il simpatico impiegato ci da in omaggio) e ci spostiamo in garage per prendere possesso della nostra Chevrolet Impala LT , color bordeaux e nuova fiammante! Fate attenzione alla scelta dell’auto, anche se viaggiate in due è buona norma prendere un modello comodo, con un bagagliaio spazioso, evitate le utilitarie specie se come noi avete in previsione di macinare migliaia e migliaia di kilometri! La macchina che prenderete sarà la vostra seconda casa e fungerà da deposito bagagli, letto e rifugio per tutta la durata del viaggio..

Ultimate le pratiche di noleggio (velocissime) uno sbrigativo addetto messicano ci elargisce meccanicamente qualche indicazione sul mezzo (quadro comandi, serbatoio benzina, cambio automatico) che cerco affannosamente di memorizzare, quindi carichiamo le valigie nell’enorme bagagliaio e via, siamo pronti a partire!!

Oddio, pronti siam pronti, solo che non avevo considerato che la mancanza della frizione e del relativo pedale mi avrebbe causato qualche perplessità… Così prudentemente e sperando nella pietosa assenza di telecamere puntate su di noi, trascorriamo i quindici minuti successivi a sobbalzare all’interno dell’immenso e per fortuna semi-deserto garage, cercando di domare la bestia! Poi finalmente è tutto chiaro, riesco ad avere la meglio sulla macchina e il navigatore (che il mio guru in elettronica ha velocemente impostato come se non si fosse occupata di altro nella vita) pazientemente ci indica l’uscita… un attimo di esitazione prima di immetterci nel traffico vorticoso della metropoli e cinque minuti più tardi stiamo guidando su una Highway affollatissima tra auto e camion enormi che ci sfrecciano accanto da tutte le parti!

Per guidare (e sopravvivere) in America sono necessarie fondamentalmente tre cose: una buona dose di prudenza, una buona dose di coraggio e una buona dose di fede in una benevola entità superiore! Per prima cosa i sorpassi; sappiate che in tutte le autostrade americane sono consentiti sia da sinistra che da destra quindi tenete gli occhi costantemente puntati sugli specchietti laterali onde evitare di finire sotto uno di quei mostruosi “truck” da film! Poi gli svincoli – micidiali – visto che è possibile confluire in entrata anche dal lato sinistro! Il navigatore si è rivelato indispensabile specie in queste occasioni, avvisandoci per tempo dell’uscita da prendere e lasciandoci il tempo per spostarsi nella corsia giusta (operazione non banale, credetemi, vista la quantità di corsie per ogni senso di marcia e un certo tipo di guida piuttosto “disinvolta” dei nostri amici a stelle e strisce..). Comunque, se riuscite a sopravvivere su un’highway per le prime due ore avete buone possibilità di ultimare il viaggio e portare a casa la pelle (lo so, parlo già come uno yankee..)!

Eccoci quindi sulla Hwy 101 in direzione Palo Alto, musica di sottofondo ed eccitazione al massimo per questo nuovo modo che ci sembra già così familiare. Andiamo a visitare la celebre Stanford University (http://www.stanford.edu) dove ci attende Alessandro, un caro amico ricercatore che, con reciproco dispiacere, non riusciremo a contattare ed incontrare, dovendoci arrendere infine alla crudele tabella di marcia che ci impone di proseguire verso la meta finale della giornata.

Stanford è in realtà una piccola città universitaria, con prestigiose facoltà, strutture sportive e ricreative, un ospedale, un village con negozi di ogni genere. Visitiamo l’immenso Campus, spazi verdi, puliti e ordinati dove gli studenti non hanno (e vorrei vedere!) quell’aria perennemente angosciata che si nota nei nostri Atenei, fotografiamo edifici storici e la Hoover Tower che sovrasta l’ingresso principale, ci mescoliamo ai ragazzi che stazionano dappertutto, poi entriamo in un grande market dove facciamo la nostra prima spesa americana, provvedendo al pranzo, e agli snack per il viaggio (incluso un vasetto di mitico burro d’arachidi). Quindi di nuovo in macchina, verso Monterey e gli scenari incantati del Pacifico!

Il clima è caldo, siamo a metà Ottobre e sembra Giugno, da qui in avanti solo polo e t-shirt.

Viaggiare in auto in America è una sensazione bellissima, trasmette un incredibile senso di libertà e di avventura e non c’è mai tempo per cogliere tutti i particolari e le situazioni (a volte buffe e divertenti) che ti si presentano davanti. Ti consente poi di organizzare il tempo secondo necessità, di fermarsi e ripartire, di modificare un programma, integrarlo, personalizzarlo…. nessun racconto di viaggio fatto da altri – incluso il nostro – vi darà la misura esatta di ciò che incontrerete, delle situazioni che vivrete, degli incontri casuali, dei luoghi sconosciuti alle mappe che diventeranno vostri esclusivi ricordi…

L’arancione è decisamente il colore dominante di questo periodo. In ogni paesino che attraversiamo incontriamo “rivenditori di zucche” e di ogni altro divertente accessorio per il tradizionale addobbo della festa d’Ognissanti. Zucche di ogni dimensione e prezzo, alcune gigantesche, vegetali e non. Interi magazzini grandi come hangar dove è possibile acquistare o noleggiare qualunque tipo di costume o accessorio per addobbare adeguatamente la casa e il giardino. Ci fermiamo a fotografare uno di questi “Pumpkin Store” e vorremmo davvero portarcene dietro qualcuna. Anche questo è un pezzetto tradizionale d’America che siamo felici di condividere.

Per pranzo ci fermiamo nel piazzale di un centro commerciale e divoriamo buona parte delle provviste fatte al market. Non siamo i soli. Poco più in là uno scintillante camion dei pompieri è posteggiato all’ombra di alcuni alberi con gli uomini intenti a consumare panini… Voi avreste resistito? Beh, noi no, quindi foto ricordo al camion, a noi vicino il camion e – per gentile concessione – a noi dentro il camion! Salutiamo i simpatici pompieri (che ho fatto ridere proponendogli di acquistare il mezzo o di scambiarlo con l’Impala e la moglie..) e proseguiamo il viaggio, ancora un paio d’ore ore e siamo in vista di Monterey.

La città (http://www.monterey.org) ha una storia importante, fondata nel 1770 col nome di El Presidio Reál de San Carlos de Monterey, fu la prima capitale dello Stato della California. Il 7 luglio 1846, durante la Guerra Messicano-Americana, fu teatro della Battaglia di Monterey e in quell’occasione venne annessa al territorio degli Stati Uniti. Il 13 ottobre 1849 vi fu firmata la prima Costituzione californiana.

Oggi Monterey è una rinomata località balneare e turistica visitata da milioni di persone, noi ci arriviamo in un pomeriggio soleggiato e tiepido, parcheggiamo vicino all’ingresso dell’Old Fisherman’s Warf e visitiamo il lungomare e il molo con i suoi soliti negozietti di souvenir e ristoranti tipici.

Percorriamo la Cannery Row con i suoi locali e le sue enoteche esclusive poi riprendiamo l’auto e bighelloniamo un po’ in giro ammirando le case bellissime e il paesaggio. Per caso capitiamo in una zona residenziale e ancora una volta la sensazione (avverrà dozzine di volte) è quella di trovarsi dentro un film, in una di quelle serie tv dove si vedono case perfette, giardini curatissimi, gente ben vestita e sorridente… beh, credetemi, quei posti esistono!! Salutiamo con la mano dal finestrino una simpatica famigliola seduta sui gradini di casa e tutti restituiscono il saluto allegramente facendoci venire voglia di fermare la macchina e socializzare poi il pudore prevale e decidiamo di dare finalmente retta al nostro disperato navigatore (avevamo abbassato il volume perché non ci disturbasse con le sue continue correzioni di percorso) e prendiamo la direzione indicata verso la nostra prossima tappa, Pebble Beach e la famosa “17 Mile Drive”. (http://www.pebblebeach.com/activities/explore-the-monterey-peninsula/17-mile-drive )

Superiamo l’ingresso presidiato, paghiamo il biglietto ed entriamo finalmente in questo circuito esclusivo caratterizzato da ville da sogno e scorci mozzafiato. Il percorso si snoda appunto per 17 miglia, toccando numerosi punti panoramici dove è possibile fermarsi e passeggiare in riva all’oceano. E’ difficile descrivere questi luoghi che sono un mix sapiente di natura incontaminata e lusso, molti attori hollywoodiani hanno una casa qui, ci sono circoli esclusivi di golf, resort immersi nel verde, scenari naturali incredibilmente suggestivi. E’ decisamente la natura a prevalere sul resto coi suoi colori brillanti, l’azzurro dell’oceano, il verde intenso dei boschi e quello acceso dei prati, il giallo e il rosa delle formazioni rocciose e delle spiagge. Visitiamo uno per uno i punti panoramici segnati sulla carta, Spanish Bay con i leoni marini che si rotolano sulla sabbia, Point Joe, Bird Rock, Lone Cypress, il secolare cipresso arroccato su uno spuntone roccioso a picco sull’oceano, simbolo stesso di Pebble Beach. In una spiaggia appartata assistiamo da lontano ad un matrimonio, una suggestiva cerimonia resa ancora più romantica dai raggi del sole che inizia a tramontare, con tanto di invitati, celebrante e musicisti tutti seduti in riva al mare e l’immancabile Limousine bianca super size posteggiata nei pressi….ah, questi americani! Siamo appagati da così tanta bellezza, appagati ma mai sazi. Spesso rimaniamo in silenzio ad osservare il paesaggio, in quei momenti per condividere basta uno sguardo…

Ancora scenari incantati, decine di foto di ville stupende, di gabbiani, di onde che si infrangono, ci intrufoliamo in un esclusivo golf club – il Poppy Hills Golf Course – (www.poppyhillsgolf.com) e fotografiamo elegantissimi giocatori fare evoluzioni su uno sterminato green, valutiamo seriamente la possibilità di non tornare più in Italia poi rimandiamo la decisione e ci rimettiamo in macchina, attraversiamo il gate e lasciamo felici e un po’ invidiosi questo posto incantato….

Appagato lo spirito è momento di pensare a soddisfare il corpo.. siamo stanchi e affamati ma la nostra ultima tappa della giornata è vicina e poco dopo facciamo il nostro ingresso a Carmel-by-the-sea (www.carmelcalifornia.com) una cittadina incantata che sembra uscita da una favola dei fratelli Grimm!

L’autunno è la stagione perfetta per viaggiare in California, il clima è caldo ma non afoso, i colori sono accesi, le vetrine e i giardini delle case sono tutti addobbati per l’imminente festa di Halloween. Gli americani “sentono” molto questa ricorrenza e ogni casa, negozio, giardino è addobbato con zucche di ogni foggia e buffe e macabre decorazioni che mettono allegria… una fantasia di lapidi, fantasmi, ragnatele, lumini, drappi neri e arancioni, lucine soffuse che rendono ogni angolo estremamente suggestivo. Carmel è la cittadina perfetta dove trascorrere Halloween, ci dispiace essere così in anticipo ma non abbiamo difficoltà ad immaginare file di bambini coi loro cestini e le loro maschere girare per le stradine di questo posto incredibile. Avremo comunque occasione di vederli in azione più tardi, a Forth Wort, in Texas. L’architettura della cittadina è volutamente fantastica: tetti arrotondati e spioventi, forme artistiche e stravaganti testimoniano del gusto di questa località abitata da poeti, scrittori e artisti di ogni tipo. Ovunque negozi di arte e di artigianato, ristorantini tradizionali dove cenare al lume di candela, luci soffuse che contribuiscono a ricreare un’atmosfera serena ed elegante… non sarà facile staccarsene e Carmel resterà uno dei luoghi più rimpianti del nostro viaggio.

Per la sua bellezza Carmel è stata scelta come residenza da molti artisti e attori del passato e di oggi, da Doris Day a Clint Eastwood (che ne fu sindaco), da Betty White ai più famosi Brad Pitt e Jennifer Aniston, ma a noi piace soprattutto per la sua bellezza e la sua atmosfera incantata.

Ci sistemiamo al Comfort Inn (www.comfortinn.com/hotel-carmel-california-CA845) in una deliziosa ed accogliete camera di questo motel in stile (143 dollari ottimamente spesi) e dopo una doccia ristoratrice usciamo alla ricerca di un posto dove cenare. Gironzoliamo per un po’ tra le stradine piene i negozietti e vetrine colorate, ci fermiamo ad ascoltare un cantante (sembra Paul Mc Cartney… la voce è perfetta, forse è davvero lui..) che esegue un vecchio successo dei Beatles quindi decidiamo per un ristorante “etnico”, vivace ed affollato – il Cantinetta Luca – dove dopo una breve attesa ci mettono a sedere e finalmente diamo fondo al nostro appetito!

Chiacchieriamo un po’ col cameriere domandando notizie del titolare (italiano), attorno a noi comitive di giovani che ridono e divorano in carne l’equivalente di una mandria!

Poi la stanchezza comincia a farsi sentire, è stata una giornata molto intensa e decidiamo di tornare in Hotel a riposare, paghiamo per la cena in due 46 onestissimi dollari, riattraversiamo le strade piene di verde, di luci e di atmosfera e dieci minuti dopo sprofondiamo nei soliti trenta cm di soffice materasso..

La mattina dopo, prima colazione nella hall del motel, atmosfera gradevole e familiare, un grande caminetto, il solito caffè-per-modo-di-dire, poi via di corsa a visitare Carmel.

Una bomboniera!! Se di notte ci aveva incantato con la sua magica atmosfera di giorno sembra la scenografia di un parco giochi per bambini! Casette con curiosi tetti di ogni forma, negozi d’arte, gioiellerie, vetrine decoratissime, invitanti pasticcerie e panifici che ti stregano con loro profumi, negozi d’antiquariato e di arredi per la casa e, seminascosto in una galleria fitta di negozietti il “Kris Kringle” un esplosione di decorazioni e addobbi natalizi di ogni genere, in puro stile old america, una visita obbligata (così dice Marina) e una spesa doverosa (dice sempre lei)! Restiamo dentro quei 40 minuti necessari a scegliere e valutare cosa buttar via dei nostri abiti per far posto nella valigia, a fare due chiacchiere con la simpatica vecchietta titolare del negozio, poi cediamo entrambi al fascino del Natale incombente (ma son cose davvero belle e originali) e la nostra visita finisce con due enormi buste di plastica piene di regali e decori per la casa!!

Passeggiamo ancora in su e in giù per le strade tranquille di Carmel, godendoci il caldo sole autunnale, fotografiamo un centinaio di case e di negozi poi decidiamo a malincuore che è tempo di proseguire e ci rimettiamo in macchina verso la Missione di San Carlos Borromeo, testimonianza della lunghissima dominazione spagnola di queste terre e centro spirituale famosissimo in tutta l’area.

La Missione (www.carmelmission.org) ci catapulta indietro nel tempo di centinaia di anni, al centro un grande giardino e l’immancabile chiostro dove sfrecciano coloratissimi e velocissimi colibrì che Marina mi costringe a riprendere con la videocamera (un colibrì, capite, il volatile più veloce del pianeta! Avete mai provato a riprendere un colibrì in volo? E’ come tentare di riprendere una pallottola che rimbalza impazzita, ma per Marina sembra essere questione di vita o di morte quindi mi ingegno per cercare di accontentarla..), un piccolo museo dedicato ai fondatori, la tomba del francescano Padre Junipero Serra che fondò la missione nel 1770, il piccolo cimitero dei frati, la splendida chiesa con il tetto in legno preclusa alla visita perché vi si sta svolgendo un matrimonio (il secondo che vediamo in un giorno). Con ancora viva dentro l’emozione per il nostro, decidiamo di sbirciare da lontano e riprendere un po’ con lo zoom, aspettare l’uscita della sposa e gridarle i nostri auguri, cosa che lei sorridendo sembra apprezzare molto e sorridiamo anche noi mentre ci lasciamo Carmel e le sue meraviglie alle spalle…

Il nostro navigatore si riattiva speranzoso (non avrà vita facile con noi, attratti da mille particolari facciamo continue deviazioni incuranti delle sue lamentose proteste..) e impostiamo la prossima tappa: il Big Sur!

Premessa: Del Big Sur avrete letto in altri racconti e quindi non ci dilungheremo più del necessario. E’ doveroso però avvertirvi che il percorso è, come dire, a senso unico ovvero una volta iniziato ci sono solo due possibilità: percorrere questi 150 km della “California Highway 1” dalle scenografie mozzafiato e selvagge a picco sull’oceano o tornare indietro. Non ci sono deviazioni possibili (a meno che non guidiate un veicolo anfibio o un elicottero..) ma vale la pena affrontare centinaia di tornanti per scoprire paesaggi maestosi e unici al mondo!

Una raccomandazione: non è affatto consigliabile – per chi è al volante – distarsi ad ammirare il panorama… quando dicevo che la strada è a strapiombo sull’oceano non stavo affatto scherzando e c’è solo (e non sempre) un semplice guardrail fra voi e il Pacifico! Ci sono però dozzine di piazzole di sosta appositamente pensate allo scopo, più diversi bar, ristoranti e distributori di carburante lungo l’itinerario. Circa a metà percorso una grande area ricreativa comprende impianti sportivi, un hotel esclusivo (e costoso) affacciato direttamente sull’Oceano, un ristorante e fast-food e una delle tante e americanissime ”wedding area” all’aperto con l’incomparabile sfondo del Pacifico..!

Facciamo diverse soste, per goderci, riprendere e fotografare questi scenari maestosi e spettacolari, sonnecchiamo un po’ all’ombra di alcuni alberi, poi proseguiamo mentre il paesaggio comincia piano piano a cambiare, la strada si allarga, si stacca dalla scogliera e scende lentamente di quota fino al mare, attraversiamo vaste aree agricole con i confini delimitati dai caratteristici steccati bianchi e il verde selvaggio del Big Sur sfuma lentamente in un paesaggio sempre meno lussureggiante e via via più… californiano.

Questo bellissimo Stato è flagellato ogni anno da spaventosi incendi estivi a causa del clima estremamente secco, dei venti impetuosi e dell’incredibile imbecillità di alcuni criminali ma per fortuna sulla strada non vediamo tracce del passaggio del fuoco e cominciamo ad assaporare uno scenario pre-desertico con i caratteristici ciuffi di vegetazione che ci faranno compagnia nei futuri spostamenti da città a città.

Superiamo Morro Bay immettendoci sulla 101, attraversiamo la città di Santa Maria, quindi torniamo in quota percorrendo la 154 e finalmente cominciamo a scendere verso la costa lasciandoci sulla sinistra il Lake Cachuma al quale lanciamo un frettoloso sguardo e arriviamo all’imbrunire in vista di Santa Barbara.

Rimandiamo senz’altro al giorno dopo la visita della città, al momento la priorità è mangiare e dormire, entrambi a sazietà. Alloggiamo al Motel6 al 3505 di State Str. (113 $ senza colazione..) e ceniamo a “El Pollo Loco” una arcinota catena messicana che serve pollo declinato in tutte le salse! E’ piuttosto tardi (per gli standard americani) e siamo gli unici clienti del fast-food, eccettuati un paio di poliziotti con la caratteristica uniforme nera che sgranocchiano polletti fritti. Dopo cena subito a letto, un po’ di tv per rilassarci (vediamo e continueremo a vedere nei giorni seguenti la serie Csi e Scrubs in lingua originale, più alcuni tg nazionali che ci danno notizie del mondo.), quindi piombiamo in un sonno profondo!

La mattina sul presto esco famelico in solitaria per fare colazione mentre Marina finisce di prepararsi, trovo nei pressi del Motel una caffetteria gestita da messicani con un banco pasticceria da svenimento e croissant grandi come mucche, ne ordino uno con la granella di zucchero e mentre mi verso un barile di caffè aromatizzato con abbastanza latte da confonderne il saporaccio (ma perché un grande Paese come l’America si ostina a produrre questa brodaglia?) la cameriera messicana che da un po’ mi fissava mi chiede “conosci Maria?” Valutando attentamente l’eventuale significato recondito della domanda scuoto la testa, sorrido e spiego che non sono di lì (ma non è che ci volesse tanto a capirlo..) e quella arrossisce confusa, traduce il tutto ad una corpulenta signora con grembiule che immagino essere la madre e si scusa dicendo che le ricordavo una persona….mah, sarà. Finisco di mangiare il secondo (!) croissant-mucca e torno in camera a raccontare a Marina il divertente episodio…. Non mi permetterà mai più di uscire da solo a far colazione!

Subito pronti e di nuovo in macchina! Santa Barbara (www.santabarbaraca.com/) è molto carina e risente sensibilmente delle sue origini spagnole, percorriamo diverse strade in auto dirigendoci verso il mare, casette curate, viali lunghissimi con le immancabili file di palme, il Palazzo Civico e una chiesa bellissima che attira la nostra attenzione. E’ la “Trinity Episcopal Church” al 1500 di State Str. (www.trinitysb.org), sul sagrato c’è una piccola folla, è domenica mattina e pur non essendo particolarmente “osservanti” decidiamo di condividere anche questa esperienza… Ci avviciniamo e chiediamo il permesso di entrare, due gentilissime signore ci aprono la porta e ci troviamo in mezzo della messa domenicale!! Prendiamo posto su uno dei banchi di legno, una donnina ci nota e ci passa due foglietti liturgici, simili a quelli che si trovano nelle nostre chiese, e proviamo a seguire le parole del celebrante. E’ strano, ma il solo fatto di essere seduti là ci fa sentire per un attimo parte di quella comunità, la gente vicino a noi capisce che siamo stranieri e ci sorride, passa il cestino per le offerte e contribuiamo con dieci dollari (crepi l’avarizia!), seguiamo le “evoluzioni” dei fedeli che si alzano, si siedono, cantano tutti in coro….chissà perché le funzioni qui sono allegre, la gente ride, c’è un irresistibile coro gospel con i coristi vestiti di giallo che anima la scena, ma in nessun momento si avverte un calo dell’attenzione o del pathos mistico, semplicemente la gente prega in un clima disteso, familiare, divertente…. perchè da noi invece i fedeli sembra che siano sempre sull’orlo di un esorcismo??? Mah..

Restiamo ancora un po’ seduti, stringiamo le mani dei vicini nel segno della pace e poi lasciamo la chiesa con dentro una bella sensazione di affinità con questa piccola comunità che in pochi minuti è riuscita a non farci sentire estranei, sensazione che quasi senza eccezioni proveremo durante tutti i nostri spostamenti negli States. Un viaggio è anche questo, sensazioni, condivisioni, incontri….

Riprendiamo la macchina e percorriamo tutta State Street, l’arteria principale di questa soleggiata cittadina, posteggiamo nei pressi di Cabrillo Boulevard e scattiamo qualche foto al pontile e alla spiaggia (larghissima, immensa, con i “Baywatch” di pattuglia sul fuoristrada…che figata!), poi decidiamo di proseguire verso la seconda importante tappa del viaggio e impostiamo il navigatore su Los Angeles..!!

Dopo San Francisco avevamo attraversato solo cittadine tranquille e goduto di incomparabili bellezze naturali, adesso via via che ci allontaniamo da santa Barbara si comincia ad avvertire un crescente volume di traffico sulle strade, il paesaggio cambia, la strada scorre larga e veloce a quattro corsie per senso di marcia, preludio di quello che troveremo una volta entrati in città.

Alla nostra destra l’Oceano, con gruppi di surfisti (ce ne sono dappertutto in California!) che se la spassano fra le onde, a sinistra colline brulle, treni enormi che emettono il caratteristico fischio, qualche ranch con le palizzate bianche e i cavalli al pascolo e poi la highway che diventa sempre più frenetica e di pari passo sale la nostra eccitazione… Los Angeles stiamo arrivando!

E’ Domenica pomeriggio, saranno le sei, sole a picco e un milione di persone che torna a casa dopo il weekend… e a quanto pare fanno tutti la nostra stessa strada! Ecco, la coda kilometrica del rientro in città davvero ci mancava, solo che qui assume dimensioni colossali… Ma è comunque anche questa un’esperienza che ci da peraltro modo di osservare la gente (con alcuni facciamo praticamente un’oretta di viaggio insieme), i volti, le espressioni, e poi le auto enormi, i giganteschi truck, i primi poliziotti in moto (i mitici “Chips”, che più tardi grazie a Marina ritroverò..), tutti diretti verso il mare che finalmente cominciamo a scorgere il lontananza..

Abbiamo deciso di cercare un Motel a Santa Monica (www.santamonica.com), vicino al mare, evitando volutamente il centro della città (che dista comunque 15 minuti di auto), percorriamo quindi per intero St. Monica Boulevard e svoltiamo sul mitico e immortalatissimo tratto di spiaggia di fronte al molo sulla Pacific Coast Highway, un immenso lungomare pieno di hotel di lusso, limousine, locali esclusivi e turisti di ogni parte del mondo!! Uno spettacolo! Posteggiamo immediatamente e ci concediamo la prima passeggiata in mezzo a tanto splendore.

Qui è tutto grande, tutto bello, tutto curatissimo e sorvegliatissimo. Sulla spiaggia le solite pattuglie dei Baywatch, in strada auto della polizia (con un fantascientifico sistema computerizzato di controllo) che danno un senso di sicurezza a questa porzione eterogenea e colorata di pianeta. Sta tramontando e decidiamo – per la terza volta – di trovare un motel carino che ci ospiti per i prossimi tre giorni.

Su St. Monica Blv. abbiamo visto passando l’Holiday Inn, il Best Western e il Comfort Inn e optiamo per quest’ultimo. Ottima scelta, il Motel (www.comfortinn.com/hotel-santa_monica-california-CA430) è davvero carino, su due livelli, posto auto, piscina e sala colazione, la camera è grande e comodissima, il letto come al solito supersize!

Paghiamo con carta di credito (352 dollari per tre notti), ci sistemiamo un po’ poi decidiamo di tornare indietro sul mare a piedi (un comodo servizio di bus collega ogni due minuti il Motel al mare) per godere dal vivo l’emozione di essere lì…

Al mare ci arriveremo però un paio di ore più tardi, catturati dalla bellezza della Third Street Promenade, una grande strada interamente pedonale piena di luci, musica, fontane artistiche, locali, fast-food e negozi di ogni tipo. Ci sono musicisti di strada che si esibiscono, ballerini messicani che coinvolgono la gente in danze sfrenate, ci sono le vetrine addobbate per Halloween e il profumo incrociato di cibi diversi che ci ricorda che non mangiamo da ore! C’è anche un mega-store (si, lo so, uso spesso “mega” ma qui è tutto di questa dimensione, dagli hamburger alle auto e i negozi non fanno eccezione, anzi..) di “Victoria Secret“ che naturalmente alla quasi totalità dei maschietti che si troverà a leggere queste righe non dirà molto ma che alle vostre dolci metà, vi assicuro, dice moltissimo… In un attimo mi trovo circondato e sommerso da lingerie e pizzi di ogni foggia, colore e tessuto, reggiseni che alzano, stringono, allungano, schiacciano, evidenziano, mortificano, promettono, a seconda delle più svariate esigenze, slip e pigiami multicolori, perizomi arditi e molti altri articoli che dopo quaranta minuti di attento studio mi regalano una conoscenza pressoché perfetta della materia… Marina intanto svolazza di qua e di là dentro il negozio, a suo agio tra gli scaffali come se lavorasse in quel posto da anni…. Finalmente, acquistato l’acquistabile, arriviamo alla cassa e usciamo dal negozio strapieni di buste e pacchetti!!! Diviso equamente il carico ricominciamo a girare per la città, ancora negozi, ancora strade piene di luci, poi ci rifugiamo sul Santa Monica Pier (www.santamonicapier.org), il caratteristico molo affollato di turisti che rappresenta l’estremità occidentale della mitica “Route 66”, la più antica Highway americana inaugurata nel 1926 e che collega Chicago a Los Angeles con un percorso di circa 3.755 km e che incroceremo altre volte nei giorni seguenti durante il tragitto verso il Grand Canyon.

Sulla sinistra del grande pontile in legno un grande parco giochi con la ruota panoramica, sulla destra – direttamente sulla spiaggia – un enorme circo con i tendoni a strisce bianche e gialle.

Decidiamo di cenare ancora una volta al Bubba’s Gump, ($ 40,00) anche qui come a San Francisco un carinissimo locale affacciato direttamente sull’oceano e consumiamo la nostra ultima cena a base di crostacei… da qui in avanti il nostro menù sarà decisamente più “continentale”.

Dopo cena rientriamo in bus in albergo, la stanchezza è tanta e vogliamo fare un programma per le tante (troppe) cose che abbiamo deciso di vedere a Los Angeles… ma le buone intenzioni finiscono appena messa la testa sul cuscino… e rimandiamo a domani!

Nei tre giorni successivi abbiamo girato come matti cercando di fare e vedere il maggior numero di cose possibili. L’elenco tratto dai racconti degli altri Turisti per Caso e dalle guide che avevamo metabolizzato in precedenza era preoccupantemente lungo e articolato ma non teneva conto del nostro entusiasmo e delle ore notturne che avremmo impiegato – si anche quelle – per visitare i posti!

Inutile sottolineare che pranzi e cene sono stati quanto di più veloce frugale possibile ma ne valeva la pena!

Il primo appuntamento è con l’esclusivo quartiere (praticamente una cittadina) di Beverly Hills! Film, serie tv, guide turistiche… niente può davvero prepararvi al lusso e alla bellezza di quelle strade, di quelle case, di quell’ambiente. Non esiste casa che non abbia un giardino verdissimo e curato davanti, edifici dall’architettura elegante e signorile, uno stile esclusivo che riflette pienamente lo stile di vita dei suoi abitanti. In BH non troverete niente fuori posto, una carta, un lattina, un barbone… immaginiamo che tutto questo ordine abbia un costo e immaginiamo appena le cifre dei conti bancari di questi fortunati terrestri…

Ogni strada, ogni via, è un susseguirsi di splendide ville, i giardini sono aperti sulla strada, niente muri, niente barriere, enormi vetrate con i telai di legno restituiscono ed amplificano tutta questa bellezza a chi ha la fortuna di osservarla dai salotti eleganti che sbirciamo all’interno, affascinati. E’ il numero sterminato di queste ville a stupirci, non si tratta di poche decine di ville esclusive, quelle che ti immagini abitate dai Vip, ma di centinaia, migliaia di case e casette tutte “uguali” per condizione e impostazione. Scattiamo una quantità incontrollabile di foto, ci prendiamo un po’ in giro facendo qualche autoscatto di fronte alla “nostra” villa e non ci stanchiamo di percorrere i viali di questo meraviglioso angolo di mondo…

Ma non è ancora il massimo… Se Beverly Hills è esclusivo c’è una zona, un quartiere nel quartiere, dove il lusso e la bellezza (e la riservatezza) è portata all’estremo: Bel Air.

L’ingresso di questo “pianeta” si trova sulla Sunset Boulevard, un’importante arteria che attraversa i luoghi più esclusivi di Los Angeles. Monumentale l’ingresso, monumentali le ville miliardarie al suo interno. A Bel Air risiedono praticamente tutti i maggiori attori Hollywoodiani e una simpatica guida che Marina ha scaricato dal web ci consente di organizzarci in proprio per un tour a caccia di queste Stars… Non cedete alla tentazione di partecipare ad uno dei tanti tour organizzati poiché il giro si risolve mestamente nella visione di una serie di cancelli sbarrati al di là dei quali non si vede un accidente, quindi tanto vale fare da soli e fermarsi qualche minuto ad osservarli in religioso silenzio immaginando Nicholas Cage o Harrison Ford fare colazione in giardino…

E’ una strana sensazione, eccitante, appena distratta dallo stordimento indotto da tanta bellezza e da tanto lusso e c’è sempre un particolare, una costruzione, un giardino che ti strappa in crescendo esclamazioni di stupore. Il tutto poi è immerso in un verde da cartolina e in un’aria frizzante che contribuisce a inebriarti… vorremmo piangere!

Giriamo Bel Air in lungo e in largo (in realtà la strada tortuosa ci costringe ad un ben preciso itinerario), poi riscendiamo verso Beverly Hills a farci fotografare di fronte alle famose insegne e impostiamo il navigatore verso la seconda tappa della giornata: Hollywood Boulevard!

Naturalmente molto del fascino di questa città deriva da questo incredibile contenitore di artisti che in ogni epoca hanno contribuito a consolidarne la fama e il mito. Buona parte dell’economia di Los Angeles è basata sul mercato cinematografico e sul mostruoso indotto che annualmente genera. I più famosi “studios” d’America hanno sede qui, da qui partono la maggior parte delle produzioni che si risolvono in Oscar e notorietà… e fiumi di danaro!

Sulla strada ci fermiamo a visitare l’Hollywood Forever (www.hollywoodforever.com) un suggestivo cimitero degli artisti adiacente gli studios della Paramount al quale è consentito accedere in auto e nel quale una cartina ci consente di visitare l’ultima dimora di molte celebrità. Non è tuttavia il cimitero “giusto”, quello che pensavamo di visitare, con le tombe degli artisti recentemente scomparsi, ma visitarlo ci regala uno spaccato di come l’americano medio si rapporta alla morte e al culto del caro estinto. Il cimitero è strutturato come un immenso giardino, pieno di verde e di luce, lapidi in pietra al posto dei nostri orrendi “colombai”, strutture gradevoli e monumenti che celebrano persone famose e non. Il cimitero è per questi americani un luogo di occasionale ritrovo, dove riunirsi per celebrare la memoria del parente o dell’amico. Una concezione a noi completamente estranea, meno privata, più scenografica. Abbiamo visto famiglie fare picnic sul prato, tombe addobbate per halloween o per il “compleanno” di un bambino, abbiamo visto un palco all’aperto in allestimento per un evento musicale (in quest’area si svolgono numerosi eventi culturali)… parametri diversi, troppo diversi dai nostri per poterli commentare in poche righe. Proseguiamo la visita del cimitero soffermandoci sulle tombe di Rodolfo Valentino e Tyrone Power e non trovando quella di Charles Chaplin, poi riprendiamo l’auto verso una mèta decisamente più allegra: l’Hollywood Boulevard.

Avvicinandoci a Hollywood Boulevard scorgiamo in lontananza la celeberrima insegna bianca sulla collina che fotograferemo più tardi e più da vicino. Posteggiamo all’estremità nord della strada scoprendo immediatamente un elemento che le guide non specificano. Tutti conoscono la “Walk of Fame” per averla vista chissà quante volte in tv ma forse a molti sfugge la sua estensione. La Passeggiata delle Stelle, il mitico “marciapiede” con le stelle e i nomi delle più grandi celebrità del mondo dello spettacolo si sviluppa in realtà per qualche kilometro sui due lati della strada e contiene più di 2300 stelle in rapido aumento!!! Leggere tutti i nomi è un’impresa ma non farlo è impossibile. Così trascorriamo almeno un’ora a fermarci, commentare, esclamare e fotografare, riconoscendo nomi famosi e sorvolando su quelli a noi sconosciuti. Troviamo davvero di tutto, da Marilyn a Disney, da Marlon Brando a Henry Winkler (Fonzie), da Gary Coper a Anthony Queen, e poi Grace Kelly, Lauence Oliver, John Belushi, Walter Matthau, Dean Martin, Charles Chaplin, e mille altri nomi di attori e cantanti famosi di ieri e di oggi. Ci sono le stelle dedicate agli astronauti dell’Apollo 11 che sbarcarono con successo sulla Luna e che di stelle se ne intendono davvero e quelle di Topolino e Paperino, anche loro vere “stars” di questo mondo fantastico…

Ma la “walk” è anche (e soprattutto) palcoscenico di mondanità. E’ qui, nel famoso “Chinese Theater” che attori e attrici famosi hanno lasciato nel cemento fresco del piazzale l’impronta delle loro mani (e dei loro piedi), qui che torme di aspiranti artisti sperano di lasciarcele… Su Hollywood Boulevard affaccia pure il “Kodak Theatre” la prestigiosa cornice dove da molti anni vengono assegnati i Premi Oscar (Academy Awards) con il suo monumentale ingresso e le lettere d’oro sulla facciata, inserito nello scenografico complesso dell’Hollywood&Highland, un insieme di decine di negozi, ristoranti, hotel, cinema ed esclusivi club con tanto di piazza interna – la “Babylon Court” – dove un arco monumentale in stile incornicia da lontano “la scritta” sulla collina e il caratteristico elefante (o mammuth) rampante osserva i turisti dalla cima di una colonna.

Molto bello e suggestivo, il complesso risponde perfettamente alle esigenze dei turisti perché permette di “staccare” un po’ dall’affollata strada sottostante e godersi qualche momento di tranquillità in uno dei tanti locali all’aperto di cui dispone. Le lunghe scale mobili ti consentono di vedere la “walk” da una prospettiva diversa, noi le utilizziamo per raggiungere i piani superiori, farci cacciare via garbatamente da un’area riservata ad un’esclusiva Spa (Marina che mi aveva avvertito mugugna) e sedere a riprender fiato ai tavolini di una creperie dove a Marina viene servita una crépe grande come un campo di calcetto, con fiumi di cioccolato fuso, panna e granelle varie…

Dopo esserci riposati torniamo in strada, compriamo una discreta quantità di souvenir in uno dei mille negozi gestiti da cinesi e riprendiamo a curiosare seguendo la mappa che ci siamo procurati, passando davanti a teatri, cinema e negozi che amplificano nel commercio l’essenza stessa di questo luogo. Davanti al Chinese Thater decidiamo di sfidare la sorte e fotografare e riprendere (con manovra accerchiante in modo che ad uno dei due riesca..) le tante comparse che mascherate da Wonder Woman, Spider Man, Sponge Bob, etc. cercano di acchiappare i turisti per 5 dollari a foto… l’impresa riesce parzialmente, i dispettosi attori si voltano di spalle se ripresi, l’antipatica spugna gialla mi mostra addirittura il dito medio di entrambe le mani… Sullo stesso marciapiede una piccola troupe sta girando la scena di uno spot e ci fermiamo a curiosare… decine di volte la stessa scena della durata di 5 secondi con la biondissima attrice vestita da principessa (mi pare..), poi gettiamo un’occhiata all’ Hollywood Guiness Museum e soddisfatti risaliamo il boulevard verso il posteggio a pagamento dove abbiamo lasciato l’auto.

Decidiamo di rientrare in motel e riposare un paio d’ore, quindi eccoci di nuovo in macchina per la seconda parte del programma… Per prima cosa diamo sfogo a quella parte di feticismo che alberga in ognuno di noi e cartina alla mano (frutto di una certosina ricerca realizzata da Marina) impostiamo sul navigatore gli indirizzi delle case di attori famosi o di quelle che sono servite come set di famose serie televisive. Confesso che una volta sul posto il mio iniziale scetticismo scompare ed è emozionante ritrovarsi fisicamente sui luoghi per tanti anni avevamo visto in tv. Cominciamo da un “fuori lista”, il 12305 di Helena Drive, la casa dove fu trovata morta Marilyn Monroe, poi “casa Haliwell” al 1329 di Carrol Ave (serie tv “Streghe”), il 220 W. Carson Str. (la West Beverly High della serie Beverly Hills 90210), il 565 di Cahuenga Boulevard (la casa della famiglia Cunningham di Happy Days), il 360 N. Martel Ave. (casa di Drew Barrymore), il 363 Copa de Oro Road (casa di Nicholas Cage), il 8817 Lookout Mountain Ave. (casa di George Clooney), il 846 di Stradella Road (casa di Clint Eastwood), il 1420 di Braeridge Drive (casa di Harrison Ford), il 317 N. Barrington Ave. (casa di Dustin Hoffman) e il 321 S. Anita Ave. (casa di Tom Hanks)… e così va via la seconda metà della giornata e ci ritroviamo a girare ancora in tarda serata per le vie tranquille e profumate di Beverly Hills, guardando famiglie tranquille svolgere la loro vita “normale” dietro le vetrate (il concetto di privacy è veramente molto diverso che da noi) di queste spettacolari abitazioni. In tarda serata l’ultima tappa, un regalo fattomi da Marina, la visita alla mitica centrale della California Highway Patrol che fu set della famosa serie “CHiPs”, quella con Baker e Poncharello, un appuntamento che non potevo mancare! Che emozione, mi sembra di tornare bambino, la facciata dell’edificio, il piazzale, la soprelevata sulla quale vedevo sfrecciare le due grosse moto cromate… scatto alcune foto nel piazzale deserto e Marina mi immortala davanti all’insegna quindi sul più bello si materializza un’auto dei Chp con al volante un incuriosito poliziotto che mi guarda con aria interrogativa… mi avvicino sorridente e con le mani sui fianchi (fatelo sempre se vi capiterà di averne a che fare, mai mani protese e mai mani dietro la schiena, come racconterò più avanti c’è una procedura esatta da tenere se si viene fermati) e spiego perché siamo lì, racconto dei miei eroi infantili, e tutta la storia, lui sorride evidentemente abituato a decine di turisti italiani scemi come me, ci saluta e va via. Andiamo via anche noi, spinti dalla stanchezza e da una fame straordinaria. Ceniamo non ricordo più dove, quindi ripercorriamo strade ormai familiari e arriviamo facilmente in Motel, doccia e subito a letto, domani ci aspetta un’altra giornata campale!

Appena svegli andiamo a far colazione nella saletta al pian terreno, colazione a buffet (come dappertutto) e selfservice, mangiamo croissant a sazietà con burro e marmellata, caffè, latte e succo d’arancia e proviamo a fare dei “waffles” con una simpatica piastra rotante messa lì a disposizione. All’ingresso dei locali pubblici troveremo quasi sempre un dispenser di detergente per le mani che troviamo molto utile. Compriamo anche noi una boccettina del prodotto che si rivela utilissima. Non ci facciamo prendere dalla psicosi dell’influenza “A” ma un po’ di igiene in più in viaggio non guasta. Dopo colazione ci rimettiamo in macchina, destinazione gli “Universal Studios”!

Prima di arrivare deviamo verso la scritta sulla collina, cerchiamo di arrivare proprio a ridosso ma il nostro navigatore stamattina non collabora e dopo un po’ desistiamo. Troviamo quindi una strada dove decine di altri turisti si fermano a scattare le foto e dopo decine di tentativi di autoscatto un gentile signore si offre di immortalarci! Non saremmo comunque venuti via di lì senza questo fondamentale “trofeo”!

Gli “Universal Studios Hollywood” (www.universalstudios.com) sono abbastanza vicini alla città, li raggiungiamo in circa 20 minuti e posteggiamo nell’immenso parcheggio numerato nei pressi dell’ingresso principale (20 dollari per tutto il giorno). All’entrata ci viene offerta la possibilità di acquistare la “Front of Line Pass” una specie di priority card che ci consente di usufruire di percorsi riservati per l’accesso alle varie attrazioni e ci riserva un posto a sedere in ognuna di esse (poco meno di 100 dollari al posto dei 56 del biglietto ordinario). Memori dell’esperienza fatta a Eurodisney (code chilometriche) decidiamo di prenderla ma se visitate gli Studios come abbiamo fatto noi fra Ottobre e Novembre non acquistatelo, abbiamo verificato che è del tutto inutile, che i tempi di attesa sono minimi, che i posti a sedere abbondano e che avremmo potuto tranquillamente risparmiarci quei soldi… vabbè.

Gli Studios sono veramente immensi e occupano un’intera valle. Il complesso è diviso in un parco tematico che ospita le maggiori attrazioni e – in fondo alla valle – da una serie incredibile di padiglioni e capannoni giganteschi all’interno dei quali sono ricostruiti i vari set.

Il parco tematico è molto bello, ricorda molto nell’impostazione Gardaland o Eurodisney ma è tutto incentrato sui successi cinematografici della Universal.

L’ambientazione è chiaramente fantastica e il parco è diviso in settori in ognuno dei quali è ricostruita una diversa ambientazione, con edifici d’epoca o futuristici, dall’antica Parigi al villaggio dei cowboy. Su questo livello ci sono la maggior parte delle attrazioni, noi le abbiamo girate praticamente tutte, scattato un numero impressionante di foto divertendoci come matti. Il vero spirito con cui affrontare questo luogo è quello della totale spensieratezza, in una parola si devono dimenticare inibizioni ed età e ritornare bambini!

Ed eccoci quindi abbracciati a Shrek e a ridere e scherzare con Ciuchino (Donkey), fare il solletico a Frankenstein e perderci urlando di divertimento nella bocca di Maggie Simpson (che di lì a un attimo ci risputerà fuori), a salutare una “autentica” Marylin che transita sulla sua macchina rosa, a farci riprendere con la testa infilata nelle fauci di un enorme squalo appeso… E poi gli allestimenti che preludono alla grande festa di Halloween che si terrà fra pochi giorni, una vera e propria invasione di zombie, gli stage dove scoprire come nascono gli effetti speciali (divertentissimi), quindi a pranzo in un allegro fast-food all’aperto e poi a vivere la sconvolgente esperienza di Jurassik Park e del suo “84-foot vertical drop waterfall” (ma se siete deboli di stomaco, per l’amor di dio, invertite i due momenti… dateci retta!).

Quindi delle bellissime scale mobili panoramiche ci portano al livello inferiore da dove parte il tour in trenino che attraversa buona parte dell’area di lavorazione. Il trenino ha una guida a bordo (simpaticissima) che ti spiega passo passo gli scenari che si stanno per attraversare. Così riviviamo le ambientazioni del film Lo Squalo (con l’enorme pescione che esce dall’acqua a bocca spalancata sfiorando le carrozze), La Guerra dei Mondi (con la scena dell’aereo squarciato, le auto carbonizzate e corpi disidratati dappertutto, Psyco (con il protagonista che al passaggio del trenino abbandona il corpo che sta caricando in auto e ti si rivolge contro minaccioso col pugnale), il set di Desperate Housewives, il set di Terremoto (con il trenino che rimane schiacciato dentro la stazione della metropolitana e una valanga d’acqua che gli si riversa contro), e poi set con le più diverse ambientazioni, l’antica Roma, citta western, un villaggio messicano sommerso da un’alluvione… insomma un viaggio interattivo e terribilmente realistico (non fosse altro che per gli schizzi d’acqua che ti bersagliano di continuo… occhio alle videocamere!). Nel pomeriggio torniamo verso l’ingresso e iniziamo al visita della CityWalk, all’inizio della quale giganteggia il globo dorato e rotante della Universal!

La CityWalk è una “promenade” del parco, piena di negozi, locali, ristoranti e un numero incredibile di attrazioni (tra queste un cilindro trasparente all’interno del quale, rivestiti di una tuta protettiva, si viene sparati verso l’alto e mantenuti in stato di galleggiamento da potentissimi getti d’aria..). Ci fermiamo subito a mangiare una buonissima crepe poi è tutto un entrare nei negozi ed uscirne con buste e bustine di ogni tipo… Si respira un’aria festosa ma tranquilla, visitare questo posto in Ottobre è stata un’ottima scelta (così come il resto dei posti che abbiamo visitato) sia per il clima delizioso, sia per aver evitato l’affollamento e il caos estivo… se ancora siete indecisi sulle vostre ferie seguite senz’altro questo consiglio!

Restiamo ancora un po’ a godere di questa atmosfera fantastica poi ci rimettiamo in auto e dirigiamo verso la città. E’ la nostra ultima notte a Los Angeles e cerchiamo di diluire al massimo il tempo. Percorriamo la lussuosissima “Rodeo Drive” con dozzine di vetrine piene delle marche di abbigliamento e accessori più famose al mondo (un terzo delle quali italiane), gironzoliamo in auto senza una mèta precisa semplicemente assorbendo tutto ciò che incontriamo. Ci fermiamo in cerca di cibo in quella che sembra una zona universitaria, locali e tavolini pieni di ragazzi, si sta svolgendo la presentazione del film “Transformer” con un gigantesco robot giallo illuminato da fari e decine di bambini eccitati e vocianti intenti ad acquistare il relativo videogame. Ci addentriamo fra gli edifici e mi stupisco di trovare aperto (è tarda sera) uno dei tanti punti di arruolamento dei Marines che si trovano disseminati un po’ dappertutto. Domando al simpatico sergente di colore se posso arruolarmi, sorride e mi chiede quanti anni ho, ne dichiaro la metà e scoppiamo a ridere entrambi. Rotto il ghiaccio gli faccio qualche domanda “tecnica”, mi qualifico mostrandogli il mio tesserino Unuci (ooohh, you are an Officier!) e scatto un paio di foto ricordo insieme a lui.

Ci mettiamo ancora in caccia di un locale, un ristorante, qualcosa che possa sfamarci, attraversiamo una via molto movimentata e con tanti localini e decidiamo di posteggiare. Scesi dalla macchina è tutto un susseguirsi di locali affollati di ragazzi e ragazze, musica, gente che si diverte… ma qualcosa non quadra e subito dopo realizziamo che la quasi totalità delle coppie che incrociamo appartiene allo stesso sesso… insomma siamo in uno dei ritrovi gay di Los Angeles!

La cosa non ci turba minimamente e non ci toglie certo l’appetito, anzi! Entriamo in un locale dove un ragazzo gentilissimo ci consiglia cosa prendere. Il menu è a base di carne più le onnipresenti patate, mangiamo benissimo e paghiamo veramente poco, andiamo via contenti e con reciproca soddisfazione e finalmente ci decidiamo a rientrare alla base.

E’ tempo di organizzarsi un po’ e riposare il più possibile… domani ci aspettano 300 miglia di deserto e scenari completamente diversi!!

Da Los Angeles a Las Vegas…

La mattina ci svegliamo di buon’ora, bagagli chiusi, colazione e pronti per partire. Come già per San Francisco e Carmel ci dispiace di non aver potuto dedicare molto più tempo alla visita di questi splendidi posti ma sappiamo che il resto del viaggio non sarà meno interessante e Las Vegas ci calamita irresistibilmente…

Il nostro navigatore si comporta bene e riesce a districarsi facilmente tra le infinite highway e poco dopo ci immettiamo sulla Interstate 15 in direzione Barstow.

Lo scenario cambia rapidamente una volta superati i sobborghi di Los Angeles e in men che non si dica ci ritroviamo a correre (sempre entro i limiti, fate molta attenzione perché tutte le autostrade sono presidiatissime da pattuglie della polizia nascoste sopra o sotto i cavalcavia o nelle aree di sosta e usufruiscono di un sistema di rilevamento aereo che per noi è fantascienza… fate conto di avere un autovelox che vi sorvola dall’alto!) in mezzo a scenari desertici mozzafiato.

Percorrere queste immense arterie che congiungono gli Stati americani è di per sé un’esperienza bellissima. Quello che colpisce è la grandiosità del paesaggio, la vista che spazia a perdita d’occhio verso montagne lontanissime. La “strada” è parte stessa del viaggio, non un semplice collegamento fra diverse località, cercate di godervela come abbiamo fatto noi, catturando ogni particolare, ogni dettaglio, ogni cambiamento…

Il viaggio è piacevole, guidare su queste immense autostrade regala un senso di libertà e tranquillità ineguagliabile, la musica di sottofondo accresce queste emozioni ed è bello rimanere un po’ in silenzio ad assaporare queste sensazioni…

Chiaramente non aspettatevi diligenze e coyote, non certo su una autostrada di queste dimensioni, però con un po’ di fantasia (e un opportuno sottofondo musicale) si riesce ad immaginare cosa dovesse essere attraversare questi luoghi 100 o 200 anni fa…

Il deserto scorre veloce interrotto ogni tanto da un villaggio o una cittadina e nonostante il condizionatore al massimo il caldo si fa sentire. Non oso immaginare cosa sia la stagione calda da queste parti.

I colori dominanti vanno dal giallo arancio al rosa, dal beige al marrone bruciato, montagne si stagliano in lontananza, distese immense di sabbia ai lati della carreggiata, sole a picco e un’atmosfera da viaggio degli antichi pionieri appena smorzata dagli onnipresenti cartelloni del Mc Donald e di decine di altre catene simili.

Siamo diretti verso Calico (www.calicotown.com), la città fantasma che ogni viaggiatore consiglia nei propri racconti di viaggio. Percorriamo la Moyane Freeway e svoltiamo a sinistra sulla Calico Road. Qui Marina decide che arrivato il momento di provare l’ebbrezza della guida americana e le lascio volentieri il volante della nostra Impala.

Un gigantesco cowboy di metallo (sarà stato 5 metri) e una grande scritta bianca sulla collina ci danno il benvenuto nel territorio degli Indiani Moyane e in questa suggestiva cittadina. Si tratta di un insediamento realizzato durante la “corsa all’argento” del 1880 e che con il crollo – quindici anni più tardi – del valore di questo metallo, venne progressivamente ed inesorabilmente abbandonato diventando una autentica “ghost town”. All’ingresso un simpatico Sceriffo baffuto con tanto di stella e pistole ci dà il benvenuto e preleva due biglietti da cinque dollari dalle nostre tasche, quindi varchiamo il portale in legno ed entriamo. Come ogni città western che si rispetti Calico ha la sua Main Street sulla quale si affacciano Saloon, Stores di ogni tipo, la Scuola, l’ufficio dello Sceriffo, il carcere, l’impresa di pompe funebri, la caserma dei pompieri con i vecchi carri a vapore, la grande fontana per abbeverare i cavalli, e le locande… Tutto perfettamente conservato (un terzo degli edifici di Calico sono quelli originali di fine ‘800) o ricostruito.

Che fascino questo posto! La strada sterrata, la vecchia stazione della ferrovia a scartamento ridotto, i vagoncini usati per entrare in miniera, le antiche case trasformate in musei e piene di reperti di ogni tipo e di ricostruzioni di vita domestica… Riprendiamo e fotografiamo ogni cosa e visitiamo ogni singolo shop acquistando gli immancabili oggetti ricordo.

Anche qui Halloween imminente si risolve in un tripudio di scheletri, bare scoperchiate, ragnatele e altre gustose amenità (tra le quali uno scheletro vestito da becchino che guida un carro funebre) che contribuiscono ad accrescere l’atmosfera ectoplasmatica della città… Bella Calico, molto suggestiva, merita una visita davvero!

Ci rimettiamo in macchina e riprendiamo dopo poco la US 15, lambendo la Moyane National Reserve in direzione Las Vegas e a Primm abbandoniamo con tanta nostalgia la bellissima California ed entriamo nello Stato del Nevada!

Mancano solo 40 miglia a Las Vegas e cominciamo ad essere veramente eccitati. Stiamo per sbarcare in un mondo parallelo dove tutto è pensato e realizzato in funzione del gioco e del divertimento… e del denaro! Percorriamo le ultime decine miglia incontrando i primi Casinò e alberghi costruiti praticamente in mezzo al nulla, prova del fatto che chi viene qui ha poco interesse per tutto ciò che accade o che esiste là fuori, pensa solo ai tavoli verdi e alle “slot machine”!

Superimo il sobborgo di Sloan e subito dopo scorgiamo in lontananza l’accattivante skyline di Vegas… siamo arrivati! Già da lontano si intuisce che questa è una città che non ha eguali sul pianeta, il sole che comincia ad abbassarsi fa risaltare le luci che – scopriremo – sono accese 24 ore al giorno e che riempiono a milioni ogni singolo spazio di ogni singolo edificio!

Raccontare Las Vegas non è facile e l’impatto visivo è da stordimento! Siamo ancora sulla US15 e la città scorre alla nostra destra. Indoviniamo le forme degli straordinari Hotel che abbiamo imparato a riconoscere dalle guide e dal web e puntiamo quello che sarà la nostra casa per le prossime due notti, il Luxor (www.luxor.com), una imponente piramide di vetro nero delle cui dimensioni ancora non ci rendiamo pienamente conto.

Svoltiamo a destra sulla W. Tropicana Avenue e mettiamo finalmente piede nel mondo delle favole! Alla nostra destra la Statua della Libertà si impone di fronte al “New York New York”, alla nostra sinistra l’enorme castello bianco dell’Excalibur, di fronte a noi il monumentale “Tropicana”, ma facciamo appena in tempo a vederli e dobbiamo svoltare subito sulla Las Vegas Boulevard, l’arteria principale della città, meglio nota come “Strip”, sulla quale si affacciano praticamente tutti i grandi Hotel a tema di Vegas.

Una gigantesca Sfinge accoccolata di fronte alla Piramide ci annuncia che siamo arrivati a destinazione! Non si può raccontare l’architettura di Vegas senza fare continuamente ricorso ad aggettivi quali “grandioso, spettacolare, monumentale, stupefacente, gigantesco, ciclopico” E tutti questi termini ci si affollano nella mente mentre varchiamo un po’ intimiditi l’ingresso del Luxor.

Dio mio! E’ la prima espressione che lo straordinario scenario cui stiamo assistendo ci strappa! La hall dell’albergo è semplicemente grandiosa, immaginate l’interno di una piramide alta 30 piani che si presenta come un immenso alveare obliquo con 30 ordini di corridoi illuminati per lato, centinaia di camere per corridoio e 4 coppie di velocissimi “elevator” che la percorrono seguendone il profilo (salendo velocemente la forza di gravità ti sposta leggermente non in basso, come nei comuni ascensori, ma di lato). Ma non è tutto. Lo spazio interno della piramide è interamente occupato dalla ricostruzione di una antica città egiziana, con tanto di abitazioni, templi, obelisco, strade, colonne, etc. all’interno della quale trovano posto decine di ristoranti, boutiques, negozi di oggettistica, centri benessere, teatri, bar, fast-food, e non sappiamo più cosa altro! Tentiamo di scattare qualche foto ma veniamo subito bloccati da un addetto alla sicurezza che con molto garbo ci spiega che non è consentito (le foto e le riprese le faremo comunque segretamente più tardi da ogni angolazione).

La descrizione del Luxor vale per tutti gli altri alberghi che visiteremo a Vegas i quali, diversi per ambientazione e architettura, hanno praticamente tutti la stessa impostazione: al piano terra la hall con la ricostruzione a tema, al piano interrato immense, sconfinate sale gioco con centinaia di slot, tavoli della roulette, tavoli da gioco (ogni tipo di gioco di carte), sale scommesse e ancora locali di intrattenimento e di ristoro. Anche il prezzo assolutamente accessibile delle camere (per alberghi di questa categoria in Europa pagheremmo 6 volte tanto..) è tenuto volutamente basso per incentivare il cliente ad una lunga permanenza, ben sapendo che l’introito principale deriverà dal denaro che quello stesso cliente spenderà ai tavoli da gioco, ai bar,ai ristoranti dell’albergo… Ogni struttura è pensata per far si che il cliente ci passi dentro più tempo possibile, giocando, mangiando, dormendo o facendo shopping nelle dozzine di negozi al suo interno, consumando la più grande quantità di denaro possibile! Il demone del gioco prende davvero tutti. Abbiamo visto centinaia di persone (moltissime persone anziane, moltissime donne..) attaccate alle slot a ogni ora del giorno e della notte, in un continuo inserire e raccogliere monetine, tutti nella speranza di fare il colpaccio e portarsi via il montepremi o una delle splendide auto (premi veri!) poste lì in bella vista ad accrescere l’appetito.

Molte slot hanno un perverso sistema di “alimentazione” che superato il concetto di monetina permettono l’accesso direttamente con la carta di credito inserita nell’apposita fessura… riuscite ad immaginare con quale irresponsabile velocità una carta possa azzerarsi e la fantasmagorica quantità di denaro che gira in una sola ora in una sola di queste sale? Beh, considerate che di sale così, dentro e fuori dagli alberghi, ce ne sono centinaia, alcune grandi, altre estese come campi da football, e ognuna contiene migliaia di macchinette che funzionano incessantemente, h24… una cosa difficile da raccontare, bisogna assolutamente vederla!

Ma torniamo al Luxor dove, una volta effettuato il check-in e ottenuto la nostra key-card (spenderemo in tutto 325 dollari, tasse incluse, per due notti), recuperiamo le valigie lasciate in auto nell’immenso posteggio coperto e ci perdiamo nello scenografico e panoramico corridoio al 14° piano, fino alla nostra camera…

Anche in questo caso (ricordate, è la nostra luna di miele) abbiamo puntato al top e la camera che ci viene assegnata (una Pyramid Spa Suite) è grande quanto un intero appartamento! Di fronte a noi un enorme letto, mobili in stile e l’immancabile tv incastonata, eleganti lampade sui comodini, una grande finestra a giorno, obliqua, che ci regala un fantastico panorama della città illuminata, e a ridosso della finestra panoramica una vasca ad idromassaggio che useremo solo per fare qualche foto scema… questa è la zona notte della camera; nella zona giorno è situato un salotto (divano, poltrone, tavolo, tv) all’interno di un locale curiosamente tagliato a spigolo (della piramide) con una seconda scenografica finestra. Il bagno chiaramente non è da meno, piani in marmo, enorme doccia familiare, decine di asciugamani di ogni dimensione, ben tre (mah..) porta rotoli di carta igienica e cestini pieni di boccette di sapone, salviette, shampoo, balsami vari, accessori per il trucco di cui Marina sembra avere iniziato una perversa, inarrestabile collezione che si protrarrà per tutto il resto del viaggio.

Dimentichiamo istantaneamente la stanchezza del viaggio, la “cottura” del deserto e le gambe che implorano riposo e finita l’esplorazione della suite e dopo esserci sistemati a dovere siamo pronti per la nostra prima serata a Las Vegas!

Il primo sguardo sulla città delle luci è ipnotizzante… lo è anche il secondo e il terzo, lo sono stati tutti gli altri che gli abbiamo rivolto durante quei giorni. La prima vera difficoltà da affrontare e concentrarsi su una cosa da guardare. Usciti dall’albergo si viene letteralmente bombardati da luci, suoni e il rumore provocato da centinaia di migliaia di persone che ridono e si divertono! Le scenografie sono bellissime, un trionfo di luci che non puoi fare altro che stare a guardare, senza stancarti, la scoperta di una meraviglia dopo l’altra che si svolge mano a mano che procedi lungo la Strip. Musica di sottofondo dappertutto, quella dei locali e dei casinò che ti invitano ad entrare ma anche quella diffusa da altoparlanti abilmente dissimulati lungo la strada. Il lampeggiare di milioni di lampadine colorate, di insegne, di mega-schermi ti stordisce, diventa esilarante.

La Strip è in realtà una grossa arteria stradale, il traffico è intenso nei due sensi ma pedoni e auto si incontrano assai raramente per via dei numerosissimi cavalcavia panoramici (quasi tutti con comode scale mobili) che consentono di passare da una parte all’altra della strada in tutta tranquillità e sicurezza.

La Strip è palcoscenico di numerosi spettacoli che si svolgono di fronte ai più famosi alberghi, ad intervalli di 15 minuti è possibile assistere alla spettacolare eruzione di un vulcano hawayano (al Mirage) ad una battaglia tra pirati con tanto di galeone che affonda nell’acqua (al Treasure Island), ammirare i leoni nel loro habitat (all’Mgm Grand) , assistere ad un torneo medievale (all’Excalibur), visitare le stradine di una straordinaria Parigi dell’800 e salire in cima alla Tour Eiffel (al Paris) o girare in gondola e per le calli fino a Piazza San Marco (al Venetian) ad ogni spettacolo assistono migliaia di persone di ogni età e provenienza.

Da vedere assolutamente (in diurna ma soprattutto in notturna) lo straordinario e suggestivo spettacolo dei giochi d’acqua del Bellagio, una danza incantata di getti che si muovono ritmicamente e sinuosamente in accordo a famose sinfonie, qualcosa di veramente straordinario che si svolge di fronte ad uno degli Hotel più esclusivi ed eleganti della città, che si erge imponente sulle rive del lago.

Molti di questi grandi alberghi sono collegati fra loro anche internamente, è cioè possibile passare da un Hotel all’altro senza mai uscire in strada, su itinerari guidati, attraversando sale e gallerie piene di negozi, fontane, opere d’arte e locali, passando da un’ambientazione all’altra, da un’atmosfera all’altra e soprattutto da un casinò all’altro.

E’ incredibile lo sforzo organizzativo e logistico che viene speso per mantenere attivo 24 ore al giorno questo immenso contenitore di attrazioni, io credo che i ¾ della popolazione locale lavorino direttamente o indirettamente nel settore alberghiero e dell’intrattenimento.

Un altro mezzo di trasporto molto efficace è la Monorail, una futuristica monorotaia che viaggia su un percorso parallelo alla strip, con numerose fermate alcune delle quali all’interno degli alberghi. E’ consigliabile acquistare un ticket giornaliero (14 dollari) che consente di andare su e giù per Las Vegas Blvd. e visitare posti diversi ottimizzando i tempi. Per acquistare i biglietti dalla macchinetta abbiamo utilizzato una banale carta PostePay che ci eravamo portati dietro.

Visitare Las Vegas è come perdersi in un immenso parco giochi fatto a misura di adulti. Colpisce la grandiosità delle ricostruzioni, un po’ troppo artificiosa per noi europei abituati a vedere certe cose dal vero, ma certamente d’impatto. Visitiamo il “Venetian” una immensa struttura alberghiera che riproduce le fattezze della città lagunare, con tanto di campanile, piazza San Marco, canali, calle, ponte di Rialto, gondole e gondolieri che cantano un improbabile “ò sole mio” (sic!) con un orrendo accento americano, la cosa sconcertante è il modo in cui siano riusciti a riprodurre il cielo diurno che dopo un po’ da l’impressione di passeggiare nelle prime ore del pomeriggio e che ti lascia un attimo stordito quando uscendo all’aperto ritrovi il buio della notte. Qui come altrove locali e negozi a tema, prodotti tipici italiani, musica di sottofondo, uno spicchio di tricolore patrio in mezzo al deserto del Nevada!

Stesso tipo di ambientazione troviamo al “Paris”, la città è ricostruita con il gusto e la suggestione di fine ‘800, deliziose stradine lastricate, boutiques, creperie, cafè, caratteristici edifici coi tetti spioventi, un’atmosfera magica e un profumo di dolci che ti strega… Imperdibile la salita sulla torre, un veloce ascensore ti porta in cima ad ammirare il fantastico panorama di Las Vegas by night, uno sconfinato tappeto di luci che si perdono all’orizzonte che ci da la misura esatta dell’estensione della città al fuori del “ristretto” ambito della strip.

E poi ancora il “Mgm Grand”, con la sua gabbia di cristallo dove una mezza dozzina di leoni si fanno fotografare a distanza zero, il “Caesar” grandiosa riproduzione di una porzione dell’antica Roma, un trionfo di marmi bianchi, statue, colonne, archi e fontane (c’è pure la fontana di Trevi ma avranno detto loro che l’ha commissionata Cesare…), un atrio immenso, corridoi giganteschi, negozi di ogni genere e una fontana con un gruppo “marmoreo” (in realtà è di resina) che per la gioia di grandi e piccini ogni quindici minuti cambia posizione.

Una curiosità. In ogni albergo (così come a centinaia in tutta la città) sono presenti almeno una mezza dozzina di “Wedding Chapels”, curatissime sale già pronte e allestite dove con un breve preavviso è possibile convolare a giuste e bizzarre nozze nella città più stravagante del pianeta!

Incontriamo infatti moltissime coppie di neo o futuri sposi in giro per le hall degli alberghi, seguite da un codazzo di invitati o testimoni, persone di ogni età e colore, vestiti di bianco di nero, di rosso, con pantaloni lunghi o con gli shorts… insomma tutta quella stravaganza tipicamente californiana che generalmente si vede nei film qui c’è davvero!

Poi i ristoranti… a Las Vegas in ciascun albergo e fuori in città è possibile mangiare praticamente ogni cosa a qualunque ora del giorno e della notte. Fast-food di ogni genere si affiancano in attrezzate piazzette a tema così che ognuno può scegliere il tipo di cibo preferito e consumarlo indifferentemente ad uno dei tavoli dei diversi locali.

Non perdetevi le mitiche e morbidissime ciambelle dolci americane – i Donuts – che qui realizzano in tutti i modi possibili e immaginabili, bianche, al cioccolato, con ogni tipo di glassa e granella: le più buone le abbiamo trovate all’interno dell’Excalibur e potrete portarvele via nelle caratteristiche scatole di cartone… inutile dire che ne abbiamo fatto un’autentica scorpacciata, sono buonissime!

Poi ci sono gli “All you can eat”, enormi self-service dove pagando una quota fissa è possibile mangiare ogni ben di dio fino a scoppiare, lunghissimi banconi offrono ogni tipo di primi piatti, carne, pesce, crostacei, insalate, zuppe, arrosti, ortaggi, e decine di piatti tipici dei quali è possibile servirsi un numero infinito di volte… Se riuscite a superare questa fase vi aspettano altri banconi con ogni varietà di dolce, frutta e dessert, dopodiché se non siete stramazzati al suolo non avete che da arrancare fino alla vostra stanza d’albergo e (sperare di) smaltire il tutto! Un consiglio: se siete buone forchette andateci senz’altro (ce n’è almeno uno in ogni albergo), se mangiate come passerotti… lasciate perdere!

Impensabile non dedicare un po’ di tempo alle slot-machine, tanto per provare l’ebbrezza dl gioco… fatelo con parsimonia, è incredibile come anche un totale profano (come me) possa essere rapito dal meccanismo del rilancio… e ricordate che dovete ancora pagare l’albergo!

Sacrifichiamo quindi una dozzina di dollari, facciamo un paio di foto da fare vedere agli amici, poi ci riteniamo soddisfatti (di dollari ne abbiamo vinti una trentina, poi ripersi tutti) e dedichiamo il resto del tempo allo shopping nelle centinaia di negozi di souvenir a tema.

La prima parte della nostra visita di Vegas si conclude dopo due giorni di giri frenetici, abbiamo deciso di spezzare la permanenza per fare un lungo giro per i Parchi Nazionali della zona e rientrare quindi in città per toglierci di dosso la polvere del deserto nell’hotel a nostro avviso più lussuoso e suggestivo…il Bellagio.

Invertendo l’ordine del racconto (dei parchi diremo subito dopo) dedichiamo quindi subito qualche riga alla descrizione di questo straordinario albergo…

Raccontare il Bellagio (www.bellagio.com) non è facile… si deve essere pronti ad immaginare lusso, grandiosità e atmosfera e si è ancora lontani dalla realtà… Sicuramente tra i più begli alberghi di Vegas è quello di gran lunga più scenografico per via dei suoi straordinari giochi d’acqua che rappresentano un’attrazione irrinunciabile per tutti i turisti che ogni anno visitano – a milioni – questa città.

La hall dell’albergo è enorme, luminosissima con una composizione di foglie e fiori di vetro colorato sul soffitto che è di per sé un’opera d’arte. Alle spalle dell’immenso bancone della reception è riprodotto l’enorme chiostro di un palazzo italiano del ‘700, ricco di colori e di decori autunnali (noi ci siamo stati a fine Ottobre), alla sua destra un immenso giardino ricco di piante, giochi d’acqua, profumi e avvolto in una atmosfera magica e inebriante…

Al centro del giardino due simpatici alberi parlanti calamitano la curiosità dei turisti e sono tra i soggetti più fotografati di questo piccolo angolo di paradiso.

Ma per prima cosa abbiamo necessità e voglia di prendere possesso della stanza, un veloce check-in e abbiamo la magica chiave (scheda magnetica) in mano!

Seguiamo le indicazioni e arriviamo ad una fila di ascensori presidiati da serissimi stuard che ci chiedono di mostrare la scheda. Questo controllo si ripeterà ogni volta che ci avvicineremo ad un ascensore e tutto sommato la cosa non ci dispiace.

Arriviamo al piano e ci accoglie un elegante corridoio e subito dopo siamo di fronte alla stanza n. 23034, esitiamo un attimo e quindi strisciamo la chiave nella serratura elettronica e……restiamo senza parole!

La stanza è bellissima, enorme, elegantissima, arredata con stile e illuminata in modo tale da renderla subito calda e accogliente, ma la nostra attenzione si fissa subito sulla tenda che copre la finestra e al di là della quale si intravede ciò che osiamo solo sperare… l’apriamo e la sorpresa ci fa restare incantati ad osservare questo spettacolare panorama, tra i più belli che si possano godere a Las Vegas!

La nostra camera è infatti dotata di una intera parete a vetri e si affaccia direttamente sul sottostante lago artificiale nel quale si svolgono fantastici e suggestivi giochi d’acqua al ritmo di famosi brani d’opera italiani… siamo storditi da tanta bellezza, dallo scenario fantastico che ci si offre davanti, dalle mille luci di questa incredibile città, dalla mole della Torre Eiffel che scintilla proprio di fronte a noi… e passiamo parecchio tempo su due poltrone che abbiamo trascinato a ridosso della vetrata a contemplare questo straordinario spettacolo… Las Vegas, che incanto!

Naturalmente tutto questo lusso e splendore ha un prezzo, ne siamo vagamente coscienti ma non abbastanza da rovinare questo momento magico. Più tardi, al momento di pagare il conto, scopriremo con infinita sorpresa e riconoscenza che i 730 dollari necessari per soggiornare tre notti in questo paradiso ci sono stati offerti dai nostri amici newyorkesi Charlie e Donna quale gradito ed inaspettato secondo regalo di nozze…

Ma ora l’attenzione è tutta presa dallo spettacolo che si offre ai nostri occhi, quello che si svolge giù nel lago e quello indescrivibile delle luci di Las Vegas attorno a noi…

Facciamo una doccia veloce nello strepitoso bagno e ci stacchiamo a malincuore dalla “nostra” finestra per precipitarci a visitare quanto più è possibile in questa notte piena di atmosfera e prima che la stanchezza abbia la meglio su di noi…

Il Bellagio è un susseguirsi di corridoi maestosi, sale da gioco, negozi esclusivi e una incredibile e affollata pasticceria in stile italiano su un lato della quale si materializza improvvisamente il più grande e segreto sogno di Marina e di ogni altra donna golosa del pianeta: Una Fontana di Cioccolato, un tris di cascate di vero cioccolato al latte, bianco e fondente protetto da un cristallo a prova di aggressione davanti al quale corro il serio rischio di perdere mia moglie per sempre… Più tardi, ammansita con una mezza dozzina di pasticcini al cioccolato confezionati in una scatoletta di cartone decorato, riuscirò finalmente a schiodarla da lì e continuare la visita, andando ad assistere dal vivo ai suggestivi giochi d’acqua e di luci che si susseguono – ogni 15 minuti e con coreografie sempre diverse – nella cornice incredibile di questo albergo nel quale lasceremo, partendo, un pezzetto di cuore…

Ma riprendiamo il filo del racconto e prepariamoci a lasciare l’altrettanto straordinario Luxor per immergerci nella natura più vera e maestosa di questa grande Nazione, la visita ai Grandi Parchi del South West, il Grand Canyon, la Monument Valley e lo Zion Park.

Da Las Vegas al Grand Canyon… dalla Monument Valley allo Zion Park!

Sveglia sempre prestissimo, colazione ad uno dei tanti bar dell’albergo, checkout e quindi caricati i bagagli sulla nostra fedele Impala impostiamo il navigatore e ci apprestiamo a lasciare Las Vegas.

Ci immettiamo sulla Highway 93 lasciandoci alle spalle le luci e lo scintillio di Vegas e poco dopo una deviazione ci porta a percorrere la tortuosa “172” Hoover Dam Access Rd. che scende diritta fino in fondo al canyon e all’omonima Diga (ancora in costruzione) sul corso d’acqua che dal Lake Mohave scende fino al Lake Mead e che costituisce il confine di stato tra Nevada e Arizona.

Fotografiamo la diga e il ponte sospeso da tutte le direzioni e cominciamo a risalire i ripidi tornanti del canyon fino a ricongiungerci alla HW 93 che percorriamo in perfetto rettilineo attraverso il deserto per altre 70 miglia (passando per la località di Santa Claus) fino alla città di Kingman. Qui facciamo una breve sosta per sgranchirci le gambe e scattare alcune foto, visto che questa cittadina è attraversata (come ricordano numerosi cartelli) dalla famosissima Historic Rout 66 (www.historic66.com) la storica strada che in 2.347 miglia congiungeva Chicago a Los Angeles attraversando ben otto stati e che è meta obbligata di tutti coloro che decidono di intraprendere l’affascinante itinerario coast-to-coast. Ci fermiamo a visitare una enorme locomotiva a carbone posta in mezzo ad una piazza, poi ci rimettiamo in macchina e mentre invito Marina a fotografare un pittoresco edificio tutto affrescato noto fermarsi sull’angolo dello stesso un furgone bianco e una porticina – fino ad allora invisibile – aprirsi immediatamente sulla parete dell’edificio. Faccio appena in tempo a realizzare ed ecco che dal furgone scendono prima uno, poi altri due uomini con una curiosa tuta a strisce bianche ed arancioni… Addetti alla manutenzione stradale, mi viene da pensare, poi subito dopo noto che i tre uomini sono incatenati mani e piedi e capisco! Urlo a Marina di riprenderli e lei, con consumata freddezza degna del premio Pulitzer, spara una raffica di scatti che immortalano la scena e – come scopriremo una volta ingrandita l’immagine – lo sguardo di odio di uno dei tre, evidentemente non felicissimo di far parte del nostro reportage… Visto che la manovra non è sfuggita nemmeno ai poliziotti di scorta, riteniamo più salutare allontanarci in fretta e ci immettiamo sulla Interstate 40 per altre 75 miglia fino a Seligman dove ci fermiamo a mangiare la pizza nell’immenso parcheggio di un centro commerciale, cercando di spiegare alla simpatica signorina che ce la serve che in italiano i “pepperoni” sono gli equivalenti ortaggi e non il salamino a fette onnipresente sulle loro pizze… Quindi una telefonata in Italia ai genitori, due zuccheratissimi donuts e di nuovo in viaggio per altre 45 miglia di paesaggio desertico dalle bellissime sfumature, distese di sabbia e di roccia a perdita d’occhio, colori accesi e paesaggi suggestivi che non stancano e non annoiano e arriviamo a Williams, l’ultimo centro abitato che toccheremo su questa importante arteria stradale prima di risalire verso il Grand Canyon.

Facciamo una breve sosta in questa cittadina dal sapore tipicamente country, ci sgranchiamo un po’ le gambe, prendiamo un paio di cartine della zona e curiosiamo nei tanti negozietti per turisti quindi nel tiepido sole del pomeriggio ci rimettiamo in macchina e svoltiamo sulla Hwy 64 in direzione di Tusayan.

La strada adesso comincia a salire dolcemente e il paesaggio si modifica sempre di più, la vegetazione tipicamente desertica lascia il posto a pinete dapprima rade poi sempre più fitte e più volte ci fermiamo ad osservare e a filmare gruppi di cervi che pascolano indisturbati sotto gli alberi. Percorriamo speranzosi (la stanchezza comincia a farsi sentire) le ultime 55 miglia e finalmente all’imbrunire arriviamo a Tusayan, un agglomerato di Motel e ristoranti nati ad uso e consumo del Parco che dista ormai poche miglia.

Prendiamo nota delle ormai familiari catene di Motel lungo la strada ed eroicamente decidiamo di proseguire per gustarci (prima che sia troppo tardi) la vista del Canyon al tramonto.

All’ingresso sud del Grand Canyon National Park un gentile ranger dell’U.S. National Park Service si informa della nostra nazionalità quindi ci fornisce la guida del Parco e il giornalino stampati nella nostra lingua (questa non ce l’aspettavamo davvero!), paghiamo il biglietto e percorriamo il breve tratto che ci separa dal primo punto panoramico – Yaky Point – dove lasciata in tutta fretta la macchina ci affacciamo a guardare questo straordinario spettacolo della Natura!

In realtà vediamo ben poco perché nel frattempo è calato il buio e i dettagli si intravedono appena, inoltre lo sbalzo di temperatura è sensibile, siamo saliti a 2213 metri e dobbiamo correre a coprirci in tutta fretta. Decidiamo di rimandare al giorno dopo l’esplorazione del Canyon e di concentraci su due priorità impellenti: cibo e riposo. Torniamo quindi verso Tusayan e valutiamo in quale Motel alloggiare. Scegliamo il familiarissimo e consigliatissimo Best Western (105 $ a notte) e una volta sistemati attraversiamo a piedi la strada e ci infiliamo in un caratteristico e affollato locale in stile vecchio west – il Grand Canyon Steak House – dove ci viene servita una cena a base di carne, insalate e patate arrosto in quantità tale da stroncare un bufalo ma dalla quale non ci facciamo impressionare, rendendole completa giustizia!

Quindi paghiamo il conto e “rotoliamo” al di là della strada verso il meritato riposo.

La mattina dopo siamo pronti a rimetterci in marcia! Armati di zainetto, pile, giubbino, videocamera e ben due macchine fotografiche (a noi i giapponesi ci fanno un baffo!) riattraversiamo (con il biglietto della sera prima) il Gate e dopo una sbirciatina veloce al Grand Canyon Village iniziamo il percorso consigliato all’interno del Parco.

Sulla cartina che ci è stata consegnata sono indicati ben sei punti di osservazione, posti sulla Desert View Dr. ognuno dei quali offre uno scorcio diverso del Canyon.

Osservare il Grand Canyon è uno spettacolo impressionante, la “fessura” nella crosta terrestre è immensa, indescrivibile e coloratissima di rossi, di gialli e di arancioni. Ricordiamo che i racconti di viaggio letti in precedenza raccomandavano di assistere allo spettacolo del sorgere del sole con i suoi giochi di luce stupendi e un po’ ci dispiace di non averlo fatto, ma abbiamo dovuto fare i contri con la stanchezza e con le tante ore di strada macinate il giorno prima… Lo spettacolo è comunque fantastico ad ogni ora del giorno e le ore successive sono spese tutte a filmare, fotografare e incantarsi davanti a tanta grandezza.

In fondo al Canyon, dal Grandview Point, riusciamo a vedere (grazie al fedele binocolo che mi son portato dietro da casa) il fiume Colorado, il “Grande Fiume” preistorico che da questa altezza sembra un rigagnolo di azzurro intenso.

Ancora foto singole e in coppia (una delle quali da me chiesta in perfetto californiano ad una coppia di turisti sentendomi inevitabilmente rispondere “si, certo, ma siamo italiani”..) poi su e giù dalla macchina percorrendo sempre la Hwy 64 fino all’ultimo punto di osservazione – il “Desert View” con la sua torre di osservazione in pietra – dove ci fermiamo a prendere un po’ di cartoline e soddisfare alcune fisiologiche necessità nel fornitissimo visitor center.

Lasciamo il Grand Canyon inebriati da tanta bellezza (e un po’ intorpiditi dal vento freddo che tira – ma siamo quasi a Novembre – da queste parti) e imbocchiamo la “64” in direzione Cameron.

Durante il percorso all’interno del Parco abbiamo visto decine di Indiani con i loro caratteristici tratti somatici, rigorosamente a bordo di grossi fuoristrada. Fa un certo effetto pensare che siano i discendenti delle tribù di nativi che un tempo abitavano in esclusiva queste zone. Ora i “nativi” rappresentano una minoranza esigua benché tutelata e beneficiaria di alcuni privilegi. La loro organizzazione sociale non deve però essere molto cambiata, almeno da queste parti, e lungo la strada al di fuori del parco osserveremo diversi villaggi organizzati in maniera tradizionale ma molto meno caratteristici di come ci si possa aspettare, essendo ormai costituiti da agglomerati di baracche, roulotte e case mobili che restituiscono immediatamente un’idea di povertà e di condizioni di vita molto modeste.

Cameron ci riserva però una piccola sorpresa e facciamo immediatamente tappa al Cameron Trading Post (www.camerontradingpost.com), un’antica e caratteristica costruzione a ridosso della strada che serviva come posto tappa per le diligenze che qui si rifornivano di acqua e di cavalli “freschi” per poi proseguire il loro viaggio avventuroso nel deserto.

Oggi la costruzione accoglie un coloratissimo store dove è possibile acquistare oggetti e manufatti di arte indiana e souvenir di ogni tipo. Ottimo anche il ristorante realizzato ed arredato in stile, così come le camere del Lodge in cui ci sarebbe piaciuto riposare… Facciamo qualche acquisto, resistiamo alla tentazione di arredare casa come un “tepee” e ci rimettiamo in macchina verso la tappa successiva distante 26 miglia, Tuba City.

In prossimità dell’aeroporto di Tuba City lasciamo la Hwy 89 e ci immettiamo sulla Hwy 160 la cosidetta “Navajo Trail” che in settantasei miglia ci condurrà fino a Kayenta, la cittadina dove trascorreremo la notte.

Ma è ancora pomeriggio e un altro meraviglioso scenario ci aspetta…

Svoltiamo sulla Hwy 163 e lasciata l’Arizona entriamo nello Utah, percorrendo le ultime decine di miglia di deserto fino a che vediamo stagliarsi in lontananza, nella magica atmosfera del tramonto, le imponenti formazioni della Monument Valley viste decine di volte in altrettanti film in tv, che ci regalano un’altra intensa emozione. Ci fermiamo diverse volte lungo la strada a scattare foto su foto ma la voglia di arrivare nei pressi dei “monuments” è irrefrenabile e proseguiamo veloci sulla strada panoramica che si snoda nel deserto ai piedi di questi giganti di roccia. Raggiungiamo al tramonto il principale punto di osservazione del parco e abbiamo solo il tempo di fare qualche foto e assistere all’esibizione di un pellerossa che balla nel suo costume tradizionale a beneficio di una coppia di turisti paganti… poi la stanchezza ha la meglio e decidiamo di tornare a Kayenta e trovare una sistemazione per la notte. Alloggiamo all’Holiday Inn (105 $), e ceniamo nel ristorante dell’albergo ($ 35,00), poi in camera stanchi morti sprofondiamo nel mondo dei sogni (western)

La mattina dopo di buon’ora siamo pronti a visitare la Valley, scegliamo di non noleggiare la guida indiana e facciamo un po’ a modo nostro realizzando un serie di scatti meravigliosi. Lo spettacolo è incredibile e per chi come noi adora il genere sembra di essere sul set di uno dei tantissimi film di cowboys e indiani… è emozionante vedere dal vivo posti così noti, così carichi di suggestione e adesso siamo qui a goderceli in tutto il loro splendore.

Ci saziamo senza fretta della vista di queste meraviglie e ci rimettiamo in viaggio. Riprendiamo la Hwy 160 rientrando in Arizona e grazie al nostro fidato navigatore svoltiamo senza problemi sulla Route 98 (Indn Route 22) che percorriamo fino ad incrociare la Hwy 89 che in breve tempo ci conduce a Page sul Lake Powell, una tranquilla cittadina che si affaccia sul lago. Qui, prima della visita al lago dall’acqua azzurrissima, decidiamo di condividere con gli indigeni la divertente (per noi) esperienza della lavanderia a gettoni e lavare un po’ della montagna di bucato che ci portiamo dietro da qualche giorno. Per tutta la durata del ciclo di lavaggio diventiamo la principale attrazione della lavanderia, (probabilmente siamo i primi europei che fanno il bucato in una lavanderia di soli indiani) ed è strano vedere attorno solo donne, uomini e bambini con gli inconfondibili tratti degli indiani d’America. Sono tentato fotografarli ma mi sembra in qualche modo irrispettoso e alla fine la digitale resta nella tasca dei pantaloni. Ritiriamo alla fine i panni lavati e asciugati e sgranocchiamo qualcosa che avevamo nel frattempo acquistato nel market lì vicino. Subito dopo, attraversando Page, superiamo un ponte sospeso e ci affacciamo sulla sponda del Lake Powell ammirando l’imponente diga “Glen Canyon Dam” e gli straordinari colori delle rocce che si tuffano nel lago, conferendogli una trasparenza straordinaria.

Decidiamo quindi di modificare ulteriormente il nostro programma di viaggio e – anziché pernottare a Page – proseguire fino alla tappa successiva, lo Zion National Park che dista “solo” altre 120 miglia…

Imbocchiamo la Hwy 89 ed entriamo nello Stato dello Utah fino a raggiungere Kanab, una caratteristica cittadina in stile vecchio west ad una quarantina di miglia dal Parco, con edifici in legno, carri, cavalli e totem indiani disseminati dappertutto. Facciamo una breve sosta, gironzoliamo nei negozietti di souvenir, scattiamo qualche foto accanto agli enormi totem in legno e quindi riprendiamo a macinare miglia sulla Road 9 fino all’ingresso del Parco che ci stupiamo di trovare non presidiato…

Procediamo in un paesaggio incantato lungo la tortuosa Zion Park Blvd., alte pareti rocciose ci sovrastano aprendosi improvvisamente e regalandoci scorci di una bellezza selvaggia, attraversiamo la montagna in una lunghissima galleria per risbucare in mezzo a pareti di roccia infuocate, poi il sole tramonta del tutto e percorriamo l’ultimo tratto in notturna fino a Springdale, un delizioso paesino in stile montano-country pieno di ristorantini tipici e negozi di souvenir e di una pasticceria che produce cioccolato artigianale dove Marina si rifà delle recenti privazioni patite durante il viaggio…

Alloggiamo al Pioneer Lodge (www.pioneerlodge.com) un motel in stile country dove ci riservano una grande camera con mobili in legno e un enorme letto con un materasso alto 30 cm e un bagno altrettanto enorme ($ 95,00). Ci sistemiamo e poi andiamo a scegliere un posto dove cenare. Scelta inevitabile il Bumbleberry Restaurant, Playhouse & Gifts, tipico locale americano con tavoli e divanetti in pelle rossa addossati alle finestre che danno sulla strada dove ancora una volta ceniamo ($ 50,00 in due) a base di carne, insalate e patate… alla faccia della dieta! Dopo cena ci rintaniamo infreddoliti nella nostra camera, accendiamo la tv e ci facciamo coccolare dal tepore di un piumone soffice, soffice, soffice.

La mattina dopo assaporiamo l’aria frizzante di questi 1.500 m circa di meravigliosa natura e subito dopo colazione acquistiamo il biglietto d’ingresso ($ 12,00) e iniziamo la visita del Parco (www.nps.gov/zion/index.htm).

Ripercorriamo la strada fatta la sera prima e svoltiamo a destra inoltrandoci tra le gole di roccia rossa e gialla che si aprono di continuo a scenari mozzafiato. Il Parco è per la sua bellezza e per la varietà degli itinerari frequentatissimo da escursionisti e da camperisti. Troviamo diverse aree di sosta dove le famiglie consumano un picnic e arriviamo finalmente in fondo alla gola, solcata dal torrente Coalpits. Ai due lati della strada che stiamo percorrendo boschi di pino e di abete e numerosi gruppi di cervi al pascolo che si fanno fotografare e riprendere senza alcuna paura, segno del gran rispetto che l’uomo ha per la Natura da queste parti. Ci godiamo il fresco e il sole di questi posti incantati, complementari agli scenari altrettanto suggestivi del deserto che abbiamo negli ultimi giorni attraversato per centinaia e centinaia di miglia. In tarda mattinata ci rimettiamo in cammino lasciandoci lentamente alle spalle il Parco e cominciamo una dolce discesa verso Hurricane.

Percorriamo la Hwy 9 attraversando le cittadine di Virgine, La Verkin e Washington fermandoci ad osservare un allevamento di struzzi (!) e a visitare alcuni rigattieri e negozietti di antiquariato che troviamo sulla strada.

Superata Hurricane imbocchiamo la Interstate 15 verso St. George dove un immenso Outlet calamita irresistibilmente la nostra attenzione (e la nostra carta di credito) e dove – dopo una preliminare ricognizione necessaria a stabilire la “strategia d’attacco” e dopo esserci rimessi in forze in uno dei tantissimi fast-food della zona- facciamo incetta di jeans Levi’s, maglioni, polo e camicie Ralph Lauren e Tommy Hilfiger che qui – grazie ad un cambio molto favorevole – costano veramente un’inezia. Scambiamo quattro chiacchiere con i commessi del negozio – incuriositi dal volume dei nostri acquisti – che apprendono con stupore dell’enorme differenza di prezzo dei medesimi articoli tra l’Italia e gli Usa, poi usciamo carichi di sacchetti di carta e riprendiamo il viaggio.

Percorriamo sulla Hwy 15 le ultime 120 miglia delle 165 complessive che separano lo Zion Park da Las Vegas, superiamo Mesquite e rientriamo nello Stato del Nevada.

A metà pomeriggio siamo di nuovo in vista di Las Vegas che ci attende scintillante di luci e ormai familiare, posteggiamo nell’immenso parking riservato del Bellagio e un po’ intimoriti -e letteralmente stracarichi valigie, borse, zainetti e buste di ogni tipo (per contenere le quali saremo prima della partenza costretti ad acquistare una nuova valigia dimensione baule) – ci avviciniamo allo straordinario e affollatissimo desk della reception.

La mattina dopo, di buon’ora ci apprestiamo ad una (per me) dolorosa cerimonia di commiato… vuotato l’enorme bagagliaio e fatti sparire oggetti, mappe e ammennicoli vari che ci hanno accompagnato durante queste settimane, raggiungiamo l’immenso aeroporto internazionale di Vegas e lasciamo la nostra Impala nel posteggio sotterraneo della Alamo dopo aver assistito ad un check-in elettronico effettuato da efficientissimi addetti che controllano che tutto sia in ordine e che nemmeno un graffio sia stato procurato alla vettura durante il periodo di noleggio. Un lungo sguardo nostalgico a quest’auto che mi resterà nel cuore e finalmente Marina mi tira via… Dopo dieci minuti un taxi ci deposita nel pieno centro di Las Vegas e la malinconia sparisce di colpo!

La sera prima di lasciare Vegas ci concediamo un’ultima passeggiata cercando di memorizzare più cose possibili, consumo famelicamente gli ultimi donuts, assistiamo a più spettacoli possibile e dedichiamo un po’ di tempo a riempire il baule-valigia che siamo stati costretti ad acquistare per contenere il risultato di tre settimane di vantaggiosissimo shopping americano… Io e Marina sapevamo che staccarsi da questa città non sarebbe stato facile, un po’ è successo per tutte le località che abbiamo visitato ma Vegas ti lascia sempre l’impressione (ma è poi la realtà) di non aver visto qualcosa e ci promettiamo reciprocamente di ritornare…

Texas : Da San Antonio a Dallas e Fort Worth

Al mattino, di buon’ora, il solerte addetto – servizio prenotato la sera prima – bussa alla nostra porta per ritirare i bagagli (e qui si impone una profonda riflessione sul concetto di mancia in America; la troverete alla fine di questo racconto insieme ad altre considerazioni sugli acquisti, sull’abbigliamento, sulla benzina, sulla prenotazione degli Hotel, etc.), gli consegniamo una quantità di bagagli vergognosa che lui carica pazientemente sul carrello quindi lo saluto dandogli appuntamento alla zona di sosta dei taxi… macchè, non si muove, fermo come un punto esclamativo e continua a ripetermi che “lui va”… un momento di imbarazzo… e io che sorridente gli ripeto che ci vediamo giù… niente, una statua! Alla fine Marina interviene in mio soccorso e il mistero è svelato: siamo al Bellagio, mica alla Pensione Miramare! L’omino è fermo lì perché attende la mancia e la vuole lì in quel preciso momento perché poi, come scopriremo, lui passerà il carrello ad un altro omino che coprirà il tragitto dall’ingresso dell’Hotel al taxi (circa 5 metri) assicurando sia sua volta un’altra generosa elargizione, ma siamo in uno degli Hotel più esclusivi di Vegas e ci dobbiamo adattare, quindi mi affretto ad elargire la mancia, saluto un po’ imbarazzato e perdiamo di vista il nostro uomo che sparisce in un ascensore di servizio… chissà se rivedremo i nostri bagagli!

Al desk un veloce check-out, la citata sorpresa del conto già saldato e quindi fuori a recuperare grazie ad uno – sperimentato sistema di cartellini – la nostra montagna di valigie.

Tutto caricato in auto e in pochi minuti ci scaricano all’aeroporto dove di lì a poco ci imbarchiamo su un volo interno, destinazione San Antonio, Texas!

Il volo è abbastanza tranquillo, qualche scossone (ma qui sono abituati a cavalcare) e osserviamo scorrere sotto di noi l’Arizona e il New Mexico. L’aereo effettua praticamente un servizio assimilabile ai nostri bus di linea, parte da un posto, atterra in varie tappe intermedie dove alcuni passeggeri si danno il cambio e quindi decolla di nuovo per la fermata successiva, e così via fino al capolinea.

Ancora qualche turbolenza e un tentativo di pennichella e dopo un paio d’ore (usufruendo di uno “sconto” sul fuso) atterriamo finalmente in Texas!!

Un caldo asfissiante ci colpisce come un pugno appena messo il naso fuori dal terminal, abituati alle gradevoli temperature del Nevada ci affrettiamo a liberarci di giubbini e pile e restiamo in t-shirt. Aspettiamo il bus-navetta della Alamo (ogni compagnia di noleggio ha un proprio servizio navetta gratuito che trasporta i clienti dal terminal agli uffici e viceversa) e dopo le solite formalità (il noleggio è più caro che in California e per soli 7 giorni paghiamo 850 dollari) carichiamo ancora una volta le valigie nell’incredibilmente ampio bagagliaio di una Impala – questa volta rosso fiammante – impostiamo il navigatore e ci dirigiamo sicuri ed impavidi (dopo tre settimane siamo praticamente pronti a chiedere la cittadinanza in America..) verso il centro di San Antonio.

Attraversiamo la città – che risente fortemente dell’influenza spagnola e della massiccia immigrazione dal vicino Messico – e decidiamo di fermarci al Motel 6 cosa che purtroppo si rivelerà una pessima scelta, al pari di quella di fare tappa in questa città preferendola ad Amarillo, e che resterà l’unico ricordo vagamente sgradevole di questo nostro lungo viaggio negli States. Il Motel è modesto, la stanza accanto alla nostra è teatro di una violenta lite fra una coppia di colore e da sotto la porta effonde uno sgradevole puzzo di fumo di sigaretta (camere comunicanti), elementi che mi conducono fiondato alla reception a richiedere una sostituzione di camera che, ad onor del vero, ci viene accordata immediatamente. La seconda camera è decisamente meglio ma la prima impressione avuta attraversando la città trova conferma nella passeggiata in auto che facciamo dopo un breve riposino. A San Antonio lo scenario è del tutto diverso, sembra di essere in una delle tante città messicane dove il degrado si avverte in tanti aspetti, uno di quei posti dove si avverte un lontano, inconscio e continuo sentore di pericolo… non ci piace e non ci sentiamo di consigliarne la visita.

Posteggiamo in centro e gironzoliamo in cerca di cibo e di un market, soddisfatte le due esigenze passeggiamo ancora un po’ lungo i canali del “River Walk” sui quali dei colorati battelli propongono tour della città e che probabilmente con altro stato d’animo avremmo maggiormente apprezzato e decidiamo quindi di rientrare in albergo e rimandare a domani il resto del programma.

La mattina le cose ci appaiono meno brutte della sera precedente, dopo colazione di nuovo in centro a visitare l’animata downtown e Fort Alamo (www.TheAlamo.org) il sito storico di interesse nazionale dove si svolse nel 1836 alla fine di 13 giorni di assedio un epico scontro tra i patrioti Texani e l’esercito messicano guidato dal Generale Santa Anna. Lo scontro – celebrato in moltissimi film – si risolse con la sconfitta degli assediati ma passò alla storia come l’eroica resistenza compita dai figli del Texas per conquistare la propria libertà. Oggi Fort Alamo è suolo consacrato, l’accesso dei visitatori è consentito secondo precise regole comportamentali e la missione conserva intatto tra le sue rovine tutto il fascino e la suggestione di quel lontano passato.

Finita la visita e scattate decine di foto – una delle quali obbligatoriamente con il caratteristico Ranger con cappello da cowboy – prendiamo la decisione di modificare la nostra tabella di marcia e di non trascorrere a San Antonio la seconda notte prevista.

Rientriamo quindi in Motel, e fatti in fretta i bagagli siamo di nuovo in macchina in direzione Dallas, ultima tappa di questo nostro lunghissimo viaggio. Ci aspettano circa 5 ore di macchina (che diventeranno di più grazie alle tante soste lungo il percorso) e 280 miglia da percorrere in territorio texano!

Ci immettiamo sulla Interstate 35 e cominciamo a macinare kilometri attraversando aree industriali e commerciali che danno la misura della ricchezza di questo Stato.

Ancora una volta proviamo l’ebbrezza e il senso di libertà che regala percorrere queste immense highway e mai sazi cerchiamo di stampare nella memoria ogni particolare, ogni scenario, ogni dettaglio inusuale.

Ma già la prima tappa intermedia incombe e accanto a noi scorrono gli immensi padiglioni di uno sconfinato outlet a San Marcos dove inevitabilmente decidiamo di fermarci alla ricerca degli ultimi affari e di un posto per mangiare.

Riprendiamo nel primo pomeriggio la strada e ci godiamo in velocità lo skyline di Austin e la fugace vista di Temple e di Waco, poi dopo alcune soste per fare benzina e bere un ettolitro di caffè cominciamo ad avvicinarci ai sobborghi di Dallas, immettendoci inesorabilmente nello spaventoso flusso di rientro che ogni grande città subisce nelle ore di punta.

Non oso nemmeno immaginare cosa sarebbe stato orientarsi in questo dedalo di iperstrade senza l’ausilio costante di un navigatore… probabilmente saremmo ancora lì, intenti a cercare una via d’uscita.

Ormai è buio e trovare un posto tranquillo per la notte diventa prioritario. Ammiriamo incantati lo skyline notturno di Dallas che tante altre volte ci fermeremo a fotografare, quindi seguendo docilmente l’ormai familiare voce della nostra compagna di viaggio, posteggiamo di fronte all’ingresso del Best Western al 2023 di Market Center Blvd., un Motel che vi consigliamo senz’altro se viaggiate in auto per l’ottima posizione in cui si trova – a pochi minuti di auto rispetto al centro della città – e per la qualità del servizio.

Il simpatico e dinoccolato receptionist – innamorato dell’Italia – ci racconta delle sue passioni artistiche e poi ci consegna la chiave della nostra stanza che come al solito ci lascia del tutto soddisfatti quanto a spazi, comodità e pulizia. Lasciamo i bagagli e ci precipitiamo di nuovo giù, famelici e seguendo il consiglio del nostro nuovo amico attraversiamo a piedi la strada per tuffarci nel caratteristico e accogliente Denny’s dove, nonostante l’ora, ci servono una buona zuppa e poi carne, patate, insalata e non so più cos’altro.

Quindi di nuovo in hotel, un po’ di tempo per salvare sul notebook le foto e i video della giornata, un po’ di telefilm serie “crime” e il giusto riposo dopo una giornata intera di viaggio.

La mattina dopo abbondante colazione al buffet e quindi in auto a visitare il centro di questa bella e moderna città americana. Ci piace decisamente tanto, nemmeno lontanamente paragonabile a San Antonio (che sembra più una città messicana), una downtown luminosa, pulita, ordinata, che visitiamo con molto piacere. Gironzoliamo un po’ senza meta, visitiamo uno store di gadget e souvenir texani – il Wild Wild West – dove facciamo incetta di oggettini per noi e per gli amici, quindi ci spostiamo verso uno dei luoghi simbolo di questa città, l’edificio dal quale il killer esplose i fatali colpi che uccisero il Presidente Kennedy.

Il Sixty Floor Museum è tra i luoghi più visitati d’America e la suggestione del luogo e delle strade circostanti è rimasta incredibilmente intatta. Ognuno di voi ha sicuramente in mente la terribile scena dell’auto presidenziale che avanza lungo la strada e la sequenza di colpi che raggiungono il Presidente. Pochi fotogrammi che adesso noi riviviamo nella loro tragicità e sacralità, in un’atmosfera surreale dove gli unici rumori sono quelli delle auto che transitano.

La strada, il prato verde, la collinetta, tutto è rimasto perfettamente uguale a quel lontano 22 Novembre del 1963 e questa è la cosa che maggiormente colpisce il visitatore. Un paio di segni sull’asfalto segnano i punti esatti in cui Kennedy fu raggiunto dal primo proiettile alla schiena e dal secondo che gli squarciò il cranio. Attorno a noi decine di persone che filmano e fotografano in silenzio, questo è per loro quasi un luogo di culto. Una grande impressione, una sensazione che in verità non pensavamo di provare e che ci da la sensazione di trovarci spostati nel tempo di tutti questi anni, quasi che dalla curva in cima alla strada possa comparire all’improvviso la Lincoln del Presidente. Veramente un potere evocativo incredibile questo posto, che vi suggeriamo di visitare assolutamente se fate tappa a Dallas. Accediamo quindi all’ingresso del Museo ($ 13,50) all’interno del quale un percorso guidato ricostruisce la storia del Presidente assassinato, i tragici momenti dell’omicidio e le indagini fumose che lo seguirono. Foto, filmati, testimonianze, abiti, oggetti, contribuiscono a riportare il visitatore a quei tragici attimi. La finestra dalla quale furono sparati i colpi è recintata e la ricostruzione dei materiali all’epoca presenti è fedelissima, inclusi gli scatoloni ai quali il killer si poggiò per prendere la mira… la visita al Museo si protrae nel più assoluto silenzio, nonostante il gran numero di visitatori e non si può non uscire pensierosi e scossi quando alla fine la visita finisce. Spendiamo ancora qualche decina di minuti per visitare lo shop allestito al pian terreno ed acquistare gli irrinunciabili ricordini, poi fuori a goderci il sole e l’aria pulita di questa bella città e a scattare ancora decine di foto. Ci fermiamo a pranzare al Mc Donald’s poi torniamo in albergo a riposare un’oretta e nel primo pomeriggio impostiamo il navigatore sulla località di Forth Worth, dove ci aspetta la visita del caratteristico Stockyards (www.fortworthstockyards.org) e dei negozi, locali e saloon caratteristici che si aprono su questa affascinante e suggestiva main street d’altri tempi.

Arriviamo a Fort Worth a metà pomeriggio e ci tuffiamo immediatamente nella più pura atmosfera country che potessimo desiderare! Dappertutto uomini e donne con jeans, stivali, camicia l’immancabile cappello da cowboy, negozi di abbigliamento e di souvenir a tema, locali caratteristici, saloon, steccati con buoi, bykers con le loro caratteristiche e bizzarre moto cromate, marciapiedi di legno, cowboys a cavallo che transitano lungo la strada… è davvero troppo e non possiamo resistere oltre! Ci infiliamo in un negozio di abbigliamento a tema e acquistiamo i nostri due autentici cappelli da cowboy, elementi senza i quali non si può fare a meno di sentirsi “nudi” ed estranei a tutto il contesto! Usciamo dal negozio e ci sentiamo decisamente meglio, più a nostro agio… E’ troppo bello gironzolare per questa cittadina che pur ammiccando sagacemente al turista è riuscita a conservare il proprio spirito senza snaturarsi. Purtroppo non assisteremo al tradizionale passaggio delle mandrie ma ci consoliamo prenotando subito i biglietti ($ 20,00) per il Rodeo della sera all’ Historic Cowtown Coliseum (www.cowtowncoliseum.com) e per la cena e lo spettacolo di musica country ($12,00) al famosissimo Billy Bob’s Texas.

Aspettiamo che arrivino le 08:00 della sera osservando gruppetti di bambini in maschera (è la sera di Halloween) con i loro caratteristici cestini per i dolcetti e quindi ci presentiamo all’ingresso dell’arena che via via comincia ad affollarsi di gente e dall’abbigliamento e dall’atteggiamento delle persone attorno a noi abbiamo l’impressione di essere gli unici due stranieri… Prendiamo posto in prima fila per goderci al massimo l’emozione del rodeo e ci dotiamo – come tutti – di un autentico “secchio” di popcorn che sgranocchiamo avidamente. Incrociamo diversi cowboy che di lì a poco si esibiranno e ci facciamo prendere dalla crescente eccitazione che aumenta esponenzialmente mentre gli spalti si riempiono. Lo spettacolo si annuncia bellissimo e non deluderà le nostre aspettative. All’inizio, come accade tradizionalmente in ogni avvenimento sportivo in America, viene suonato l’inno nazionale… tutti in piedi a cantare in coro con la massima partecipazione, lo facciamo anche noi, anche noi col cappello sul cuore, come tutti… è un aspetto, quello del patriottismo e dell’attaccamento alle tradizioni della bandiera e dell’inno, che abbiamo verificato in ogni località visitata. Gli americani “sentono” fortissimo il loro senso di appartenenza a questa Nazione e il loro orgoglio nazionale è palpabile e contagioso… non esiste casa, ufficio, officina, centro commerciale, banca, negozio che non abbia esposta una bandiera a stelle e strisce… è una cosa che fa riflettere e che ci da la misura della coesione di un popolo che avrebbe tutti gli elementi e le ragioni per non esserlo…una bella lezione di civiltà.

Finito l’inno tutti a sedere e comincia lo spettacolo. La prima parte è dedicata alle evoluzioni a cavallo di bravissime amazzoni che compiono “figure” velocissime e pericolose con una incredibile naturalezza. I texani hanno una naturale affezione per questo animale e la simbiosi uomo-cavallo ha radici lontane. Le giovanissime cowgirls strappano applausi entusiastici in un tripudio di costumi e di bandiere, poi lasciano il posto allo spettacolo “vero”, le gare di abilità che consistono nel catturare col “lazo” vitelli velocissimi o cavalcare tori scalcianti e furibondi che mandano più d’un cowboy a gambe all’aria, disarcionandoli senza pietà. Decisamente pericoloso come sport, verifichiamo che la frattura di ossa varie è l’epilogo più comune di questo tipo di esibizione ma fa parte del gioco e i nostri amici texani sembrano godersela un mondo. Decisamente non potremmo essere di più al centro della scena, un toro viene a schiantarsi praticamente addosso allo steccato dietro cui siamo seduti facendo volare il suo cavaliere che subito soccorso si allontana zoppicando fieramente… ah, questi cowboys! Alla fine dello spettacolo saremo coperti di polvere dal cappello (rigorosamente indossato da tutti) ai piedi!

Seguiamo il fiume di persone che si incanala verso le uscite e cerchiamo di orientarci per raggiungere a piedi la nostra prossima meta, il famosissimo locale country di cui abbiamo letto in tanti diari di viaggio e che adesso siamo curiosi di visitare.

Il Billy Bob’s Texas (www.billybobstexas.com) è un immenso e conosciutissimo locale da ballo al centro del quale si apre una pista affollatissima di ragazzi e ragazze di varia età impegnati in balli tradizionali. Sembra di vivere un film, tutto, TUTTO qui è esattamente come appare nei tanti film ambientati in America, l’atmosfera non è artificiosa, quei la gente balla e si diverte da matti secondo tradizione. Tutto attorno alla pista ci sono locali aperti dove si consumano incredibili quantità di carne (buonissima) e di patate, un immenso bancone da saloon con gli immancabili alti sgabelli e in fondo un’altra area dove si sta svolgendo uno spettacolo di musica country con il famoso cantante Jake Owen! Non riesco purtroppo a convincere Marina ad abbandonarsi ad uno sfrenato ballo e non mi resta che consolarmi con una bistecca arrosto grande come la Corsica! Inutile dire che TUTTI sono vestiti rigorosamente con stivali, jeans, camicia texana e cappello, credo che se ci fossimo presentati in shorts o in giacca e cravatta ci avrebbero buttati fuori a pedate! Mangiamo come bufali, ci godiamo la musica, la baldoria assordante e lo spettacolo e osserviamo i ragazzi divertirsi da matti coi loro balli (ah, che invidia), poi a tarda sera usciamo semistorditi a respirare un po’ di aria fresca e dare finalmente sollievo alle nostre orecchie. Abbiamo ancora la forza di scattare qualche foto con i cavalli in un recinto, poi decidiamo di abbandonare a malincuore questo posto bellissimo che vi suggeriamo di visitare se capitate da queste parti e ci rimettiamo in macchina verso Dallas.

Ma la serata deve ancora riservarci un originale diversivo che di lì a poco si materializzerà nelle tenebre sotto forma di tante lucine colorate…e prendo spunto da questo episodio per darvi un suggerimento veramente molto utile nel caso capiti anche a voi, come accaduto a noi, di essere fermati in piena notte da una pattuglia della polizia. Intanto una precisazione: I poliziotti americani sono molto, molto efficienti e molto, molto presenti sulle strade di ogni ordine e grado. Presidiatissime – come ricordavo in precedenza – le grandi strade di comunicazione che attraversano gli Stati, altrettanto vigilate le highway e le freeway e le strade minori, così come quelle che attraversano i piccoli centri. Per noi italiani il rispetto dei limiti di velocità è un impegno niente male, considerato che negli Usa tali limiti sono ben al di sotto dei nostri standard e che la quasi totalità delle auto ha il cambio automatico, il che rende più difficile mantenersi ad una velocità costante. Detto questo torniamo a noi che stiamo procedendo tranquilli e beati in direzione Dallas, appagati e sazi della bella serata appena trascorsa. All’improvviso nella totale oscurità dietro di noi si materializza una macchina della polizia che improvvisamente riempie lo specchietto di luci lampeggianti rosse e blu.

Sorpreso guardo indietro e constato senza possibilità di dubbio che l’oggetto dell’interesse del policeman siamo proprio noi! Preoccupato, penserete voi… macchè, eccitatissimo! E quanti possono raccontarla questa esperienza da film? Metto quindi immediatamente in atto le preziose istruzioni ricevute dal buon Charlie, seguendo alla lettera la procedura che con tanta pazienza mi aveva indicato. Freccia a destra e appena possibile mi accosto e mi fermo, aprendo nel frattempo il finestrino. A questo punto ognuno di noi in Italia agisce in maniera diversa, chi comincia a frugare nella borsa o nel cassettino per recuperare i documenti, chi scende dalla macchina e si prepara ad esibire la patente….fatelo, e sarà l’ultima cosa che farete da vivi negli Usa! Mentre il poliziotto scende dalla macchina lo vedo avvicinarsi dallo specchietto, accendo le luci interne e resto perfettamente immobile con le mani bene in vista sul volante. Marina fa altrettanto, tenendo anche lei le mani bene in vista sulle gambe. Il poliziotto si avvicina con studiata tecnica tenendosi sempre schermato dall’auto. Una mano sulla pistola e l’altra sulla torcia elettrica – potentissima – che comincia ad esplorare il contenuto dell’auto e poi noi due. Saluto e spiego subito che siamo turisti italiani, senza mai staccare le mani dal volante. Il policeman accenna un sorriso ma non smette di guardare attorno e cambia posizione mettendosi alle mie spalle mentre mi contorco per prendere la patente dalla tasca dei pantaloni. In nessun momento si è posizionato in modo tale da poter costituire bersaglio ad un eventuale attacco con un’arma da fuoco e anche qui verifichiamo che il livello di addestramento e di efficienza delle forze dell’ordine è veramente altissimo. Consegno quindi la patente – sagacemente contenuta all’interno del tesserino Unuci – e alla sua domanda rispondo (forzando un po’..) di essere un “officier in the italian army”, dichiarazione che sembra rasserenarlo. Quindi ci spiega con molta chiarezza, chiedendoci più volte se abbiamo compreso il significato delle sue parole, che stavamo procedendo oltre il limite di velocità e stante la nostra reazione di accentuata mortificazione (ah, che consumati attori!) decide di non applicare alcuna sanzione e dopo un’ultima raccomandazione ci lascia andare. Tempo di riavviare il motore e mettere la freccia e auto e sceriffo sono già spariti nella notte…WOW! Eccitatissimi ci mettiamo di nuovo in strada raccontandoci a vicenda e a raffica ogni dettaglio di questa emozionante esperienza… due scemi! Quindi arriviamo in albergo e cadiamo giù come pere cotte…

La mattina dopo – ultimo giorno in America – facciamo colazione sul presto e siamo già pronti ad uscire. Abbiamo deciso di non fare programmi e di andarcene in giro a bighellonare senza meta. La strada in cui sorge l’albergo si trova al centro di una ricca zona commerciale, piena di negozi di antiquariato, depositi di rigattieri, capannoni di “antiques” di vario genere, insomma, per quanto mi riguarda, esattamente come immagino sia fatto il Paradiso! Essendo Domenica abbiamo la fortuna (qui Marina definirebbe la cosa con altro termine) di imbatterci in un affollato e vario mercatino dell’usato all’aperto, uno dei tanti mercati delle pulci che gli americani amano organizzare e nei quali si può trovare veramente di tutto! Nessuna forza al mondo avrebbe potuto impedirmi di visitarlo e quindi, mentre Marina mi attende paziente in macchina calcolando il tempo che impiego e traducendolo mentalmente in futuri scontrini di Macy’s, faccio un bel giro tra i tantissimi banchetti, maledicendo il fatto di non avere più spazio in valigia e di non poter trasportare nessuno dei tantissimi oggetti che mi sarebbe piaciuto acquistare. Un aspetto inusuale è che ogni titolare di banchetto ha ritagliato uno spazio dedicato ad un mini-buffet, con dolcetti e bibite di cui ogni visitatore può liberamente usufruire… non farlo mi sarebbe sembrato scortese, quindi usufruisco anch’io! I prezzi qui sono veramente irrisori, parlo di oggetti di arredo, di mobili d’epoca, di oggetti di collezionismo… il sogno di ogni “anticofilo” del mondo. Mi stacco infine a malincuore e raggiungo una raggiante Marina che ha calcolato nel frattempo un controvalore di circa 120 dollari, quindi dirigiamo verso il centro della città.

Passeggiamo per le vie luminose e semideserte e ci infiliamo curiosi come gatti in un edificio con una grande galleria piena di uffici, scendiamo rampe di scale, percorriamo corridoi deserti per poi sbucare alla base di un altro grattacielo dall’altra parte della strada. Scattiamo altre foto poi decidiamo di visitare un enorme centro commerciale che Marina ha magicamente scovato sul web (ma quando? Credevo non si fosse mossa dal letto la scorsa notte… mah!) e posteggiamo nello sterminato parcheggio. Il Centro commerciale è su 4 piani collegati da un intreccio ardito di scale mobili e al centro è presente una grande pista per il pattinaggio sul ghiaccio, gremita di persone. Prendiamo la mappa per cercare di orientarci e puntiamo decisi su Macy’s, dove mi attende la meritata punizione ma prima facciamo amicizia con due simpatiche ragazze israeliane che vendono cosmetici, una chiacchierata reciprocamente conoscitiva, una foto ricordo, due confezioni di trucchi al prezzo di una e ci rituffiamo nelle illuminatissime e coloratissime gallerie di negozi per fare gli ultimi acquisti (alla fine me la caverò con soli 130 dollari).

Pranziamo in uno delle decine di fast-food presenti ad ogni piano e gironzoliamo ancora un po’ tra i corridoi pieni di vetrine e negozi di ogni genere, acquistando tra l’altro bellissime decorazioni natalizie di cui i settori dedicati letteralmente traboccano, poi all’imbrunire decidiamo che ne abbiamo abbastanza e in macchina facciamo un altro tour per la downtown a guardare i grattacieli con naso all’insù fino a quando la fame si fa risentire e decidiamo di non poter per nessuna ragione lasciare il suolo texano senza aver onorato la tradizione gastronomica di questo caratteristico Stato!

Il nostro navigatore ci porta dritto al Texas Roadhouse (www.texasroadhouse.com) un ristorante di cucina tradizionale texana presente in tutti gli Stati Uniti che vi consigliamo assolutamente di inserire nei vostri programmi di viaggio! All’ingresso un enorme bancone frigo contiene tagli di carne di diverso genere, prime fra tutte le enormi bistecche (buone e tenerissime) che sono il cavallo di battaglia della cucina texana e che non perdiamo tempo ad ordinare. Gli allestimenti e l’arredamento è in stile country, irresistibile per chi come noi ama il genere. Ci portano infine la bistecca accompagnata da una montagna di patate bollite, farcite, condite con formaggi e salse strane (buonissime) e come ogni volta il timore di non riuscire a consumare che un terzo di tutto quel ben di dio sparisce via via che avidamente cominciamo a masticare… mai mangiata prima carne così gustosa e tenera, una vera delizia! La ragazza che serve al nostro tavolo ci gironzola intorno, curiosa e contenta di poter servire due italians (ci siamo dichiarati al momento dell’ordine) e la ripaghiamo con una serie di sorrisi e con una generosissima mancia a fine serata, cosa che peraltro abbiamo sempre fatto quando a servirci sono stati dei ragazzi, andando sempre ben oltre la percentuale prevista dalla regola.

Usciamo dal locale soddisfatti e la stanchezza alla fine prende il sopravvento su tutto… siamo in viaggio ininterrottamente da ben 24 giorni e cominciamo a risentire del continuo spostarsi di città in città, fare e disfare valigie, macinare migliaia di miglia in auto, fare levatacce e visitare luoghi e città e puntiamo decisi verso l’albergo a rifugiarci – per la nostra ultima notte in America – nel nostro comodissimo lettone… Good night America!

La mattina dopo, colazione e trasferimento in Aeroporto, lasciamo ancora una volta nostalgicamente la nostra Impala e ci avviamo al gate.

Epilogo…

Decolliamo alle 10,55 con lo sguardo fuori dal finestrino a fissare le ultime immagini di questo che è stato per noi un viaggio straordinario e indimenticabile…

Facciamo scalo ad Atlanta poi il gran salto sull’oceano e atterriamo a Parigi alle 06,15 del giorno dopo. Quattro ore di attesa e quindi ci imbarchiamo su un Er 4, un aeroplanino che non sarà stato più grande di una Multipla e che nell’ultimo tratto in fase di atterraggio ci riserva una serie impressionante di sobbalzi e sbandamenti da raccomandarsi l’anima a Dio… quindi finalmente mettiamo i piedi sulla pista e rivediamo Pisa alle ore 12.00 di Mercoledi 4 Novembre. La nostra meravigliosa Luna di Miele si conclude nell’abbraccio e nella festosa accoglienza che ci riservano parenti ed amici venuti a prenderci in aeroporto e nel progetto a cui stiamo già pensando per l’anno prossimo…see you soon, America!!

Massimo & Marina

Note

Inseriamo qui alcuni suggerimenti e spunti che potranno – ci auguriamo – tornarvi utili se la lettura di questo diario vi avrà fatto venire voglia di visitare gli States. Alcuni spunti sono stati presi da altri racconti, li troverete qui integrati ed ampliati. Se avete necessità di maggiori riferimenti sul nostro itinerario, informazioni di vario tipo, suggerimenti, etc, scriveteci a nobis8066@libero.it (Massimo e Marina)

Shopping e Carte di Credito

Negli Stati Uniti è possibile pagare praticamente tutto con la carta di credito, dai jeans al gelato, dalla benzina agli hamburger, dall’hotel ai biglietti del museo. Noi abbiamo utilizzato dappertutto una comune carta prepagata del circuito MasterCard, sempre accompagnata da un documento di identità con la foto (Passaporto o Carta di Identità) e nonostante le prepagate non riportino gli estremi del titolare non abbiamo avuto alcun problema. Per il noleggio delle auto e in alcuni hotel è invece richiesta la Carta di Credito tradizionale, per intenderci quella con numeri e nome del titolare in rilievo, diversamente potreste avere delle difficoltà. Consigliamo quindi di portarvi dietro almeno due carte e di tenerle ovviamente separate. La vostra banca vi indicherà il numero da comporre dagli States in caso di smarrimento o furto per bloccarla immediatamente. Naturalmente dovrete avere dietro anche un po’ di contante, per le piccole spese o nel caso in cui la card non venga accettata da qualche dispettosa macchinetta.

Distributori di Carburante

La benzina in America costa veramente pochissimo e questa è una delle ragioni per le quali vi consigliamo di noleggiare l’auto e andarvene in giro senza risparmio. Ci sono innumerevoli catene di distributori e la loro diffusione è capillare. Ne troverete anche nel bel mezzo del deserto! A noi è successo spesso che i distributori automatici di benzina non accettassero la nostra carta di credito, pertanto in più occasioni abbiamo pagato in contanti alla cassa. Fate quindi in modo di lasciare sempre un piccolo fondo in contanti per questa evenienza. Per quanto riguarda il “fai da te” ricordate che negli States si fa esattamente al contrario che da noi, ovvero prima si paga e poi si fa rifornimento. Stimerete quindi la quantità di benzina che volete mettere (ma visto il costo irrisorio è consigliabile fare sempre il pieno) pagandola in eccesso quindi a fine rifornimento il gestore vi restituirà la differenza.

Mance

Nei ristoranti, bar, fast-food, etc, vi chiederanno sempre di indicare quando desiderate lasciare di mancia (tip), procedura che mentre da noi è facoltativa è praticamente obbligatoria in ogni ristorante americano. Sia che paghiate in contanti che con carta di credito troverete nel foglietto del conto una voce da riempire con l’importo desiderato. In genere si lascia il 15-20% dell’importo ma noi spesso abbiamo largheggiato specie se a servirci erano ragazzi giovani e simpatici (quasi sempre!). Negli States infatti gli stipendi di questi lavoratori non sono affatto alti e le mance costituiscono la voce principale di introito. Camerieri, facchini, tassisti, parcheggiatori resteranno sempre in attesa di un vostro gesto e non esiteranno a domandare se, autenticamente distratti o meno, state andando via senza lasciar loro un contributo. Occhio alle mance nei grandi alberghi di Las Vegas… Per intenderci, se decidete di alloggiare al Bellagio siate pronti a commisurare il “tip” alla qualità del servizio e se decidete di riservare un carrellino per portar giù i numerosi bagagli, ricordate che vi toccherà dare la mancia all’addetto al bagaglio (che trasporta il tutto dalla vostra camera fino all’esterno della hall) e all’altro omino che le sistema sul taxi…

Internet e connessioni wi-fi

La diffusione è capillare, tutti gli alberghi e la quasi totalità dei centri di maggiore aggregazione (stazioni, caffè, food-court, biblioteche, fast-food, aeroporti, etc.) sono dotati di un servizio di connessione wifi veloce, molto spesso gratuito, altre volte a pagamento. Noi ci siamo portati dietro un notebook per tenerci collegati al mondo e abbiamo potuto utilizzarlo praticamente dappertutto, eccettuato forse le scogliere del Big Sur e il deserto dell’Arizona. Negli alberghi chiedete se il servizio è compreso nel prezzo, diversamente avete la possibilità di usufruire della postazione gratuita che ogniI albergo o motel mette a disposizione dei clienti

Alberghi e Motel

La nostra esperienza ci suggerisce che – a meno di scegliere catene di lusso che offrono evidenti garanzie commisurate al prezzo – non è affatto necessario prenotare in anticipo dall’Italia ogni soggiorno. Ogni città e cittadina americana è letteralmente piena di alberghi e motel di ogni tipo, la scelta è vastissima e il rapporto qualità/prezzo è vantaggiosissimo. Noi ci limitavamo ad impostare il nome dell’albergo o della catena di Motel sul navigatore e scegliere quello più vicino o più comodo per gli spostamenti. Inoltre, viaggiando in macchina, si ha la possibilità di andare a vedere dal vivo i posti e poi scegliere con calma. Le catene di Motel della Best Western. Holiday Inn, Comfort Inn, sono diffusissime ed economiche benché equivalenti almeno ad un nostro Hotel a 3 stelle, un po’ più spartane Motel6 e Days Inn, tutte hanno comunque parcheggi gratuiti, connessione internet e offrono tutti la colazione compresa nel prezzo. Molte delle catene maggiori offrono poi dei vantaggiosi coupon da utilizzare per il soggiorno in altre loro strutture di altre città. Esistono poi una miriade di altre catene di Motel minori ma sempre molto curati e tranquilli. Naturalmente se desiderate alloggiare in uno specifico albergo che vi è stato consigliato o che vi attira particolarmente (specie nelle grandi città), prenotate via internet e con grande anticipo, per poter usufruire delle tariffe scontate che ogni Hotel propone per questo tipo di booking.

Navigatore e Mappe

Se vi spostate in macchina il noleggio o comunque l’utilizzo del navigatore Gps è indispensabile. Non pensiate di potervi affidare ad una buona carta stradale e ad un po’ di fortuna perché tutto ciò potrebbe tradursi in pericolose perdite di tempo e nel serio rischio di rovinare il vostro viaggio. Il navigatore vi aiuterà ad orientarvi nelle immense e intricatissime highway e vi fornirà utili informazioni su alberghi e altri punti di interesse.

Usate invece le mappe per muovervi agevolmente nelle città, ne troverete gratuitamente in ogni albergo e in molti esercizi commerciali. E se avete in programma di scrivere un racconto del vostro viaggio non dimenticate di mettere in borsa bigliettini da visita e depliant di ogni luogo che visiterete..

Abbigliamento

Gli Americani vestono in maniera molto informale quindi dimenticate i nostri canoni estetici europei e non preoccupatevi minimamente di cosa indosserete, anche all’interno degli hotel più esclusivi. Da tipici italiani ci siamo portati dietro tutto il guardaroba, per una cena al ristorante, per passeggiare, per un’occasione speciale… nella pratica abbiamo sempre indossato jeans o pantaloni equivalenti, shorts e magliettine varie, in qualunque posto siamo andati. Lo “stile” europeo non passa tuttavia inosservato e più volte ci è capitato di sentirci chiedere “italians?” ancor prima di aver detto qualcosa e sentirci rispondere che “si capisce dal modo di vestire” alla nostra stupita richiesta di spiegazioni. Oggettivamente anche il concetto di “casual” cambia molto di qua e di là dell’Oceano, ad ogni modo – se organizzate un viaggio molto “free” e non avete appuntamenti istituzionali – lasciate pure a casa l’abito lungo, giacche e cravatte perché davvero non le userete.

Documenti

Naturalmente per viaggiare in America è necessario il passaporto in corso di validità (rinnovo annuale). I passaporti di nuova generazione hanno all’interno un microchip con tutte le informazioni personali necessarie per passare i severi controlli agli aeroporti.

Per guidare in America è sufficiente la normale patente di guida di categoria B, meglio avere l’ultima versione tipo scheda magnetica, se ancora possedete il vecchio documento in tela rosa fate in modo di farvi rilasciare per tempo un duplicato di ultima generazione, per non rischiare di vedervi rifiutata la richiesta di noleggio auto o di avere problemi con qualche solerte poliziotto della stradale…

La Carta di Identità è invece molto utile perché (dando per scontato che lasciate il passaporto in un luogo sicuro sia per l’ingombro, sia per non rischiare di perderlo) vi verrà spesso richiesto di esibirla quando effettuate un pagamento con la vostra carta di credito. A noi è capitato quasi sempre quando si trattava di grossi importi ed è comunque a discrezione del negoziante. In ogni caso è sempre molto utile avere con sé un documento che attesti la vostra identità e nazionalità. Altrettanto utili si sono rivelati altri tipi di documenti “non ufficiali” che ci hanno spesso consentito di usufruire di sconti presso Musei, luoghi di interesse storico, etc. La tessera del Cts, la tessera universitaria, il tesserino Unuci e così via.

Noleggio auto

Noleggiare l’auto in America è operazione estremamente facile. In tutti gli aeroporti ci sono diversi banchi delle varie compagnie di noleggio (tutti assieme nella stessa sala) che propongono tariffe più o meno convenienti. Sconsigliamo di effettuare la prenotazione dall’Italia poiché può capitare che, non essendo disponibile la classe di auto desiderata, ve ne venga assegnata una di categoria superiore allo steso prezzo. Includete sempre nel prezzo l’assicurazione contro furti e infortuni di vario genere (si spende poco di più ma niente in confronto alle spaventose penali che sareste costretti a pagare in caso di incidente), l’opzione carburante (alcune compagnie richiedono che al momento della consegna il serbatoio dell’auto sia pieno, diversamente addebitano la relativa spesa con tariffa maggiorata) e naturalmente il noleggio del navigatore. Noi abbiamo sempre optato per la Alamo (www.alamo.com) che ha una diffusione capillare in tutti gli Stati e ci siamo sempre trovati benissimo. La Alamo è peraltro una delle poche a fornire il navigatore con l’impostazione della lingua in Italiano particolare che, anche se siete perfetti anglofoni, vi tornerà incredibilmente utile.



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