Alla scoperta del selvaggio West
Due dati tecnici: in America è tutto grande, dalle distese infinite di terra che non si riesce nemmeno a capire l’orizzonte, ai gelati e hamburger, dalle strade ai palazzi, dalle bistecche alla colazione e ai bichcieroni di coca ghiacciata.
Ma ora inizia la storia..Preparatevi.
Siamo partiti il 2 agosto, all’alba, da Milano Malpensa con un volo di linea americano. Dopo circa otto ore di viaggio abbiamo fatto scalo a Philadelphia; avevamo solo un’oretta e mezza di tempo per raggiungere il gate d’imbarco ma a causa di un guasto all’aereo abbiamo aspettato per quasi 4 ore. Oh mamma, una ragazza mi ha spiegato che l’aereo non poteva “andare in alto”..Cosa significa? Ripartiamo più preoccupati di prima; ogni singolo rumore diventava sospetto..Per fortuna siamo atterrati a Los Angeles tutti interi e facendo un bel sospiro di sollievo, circa alle 21 di sera.
Nessun problema per il ritiro dei bagagli, oserei dire che gli americani sono efficentissimi! Usciti dall’aeroporto saliamo sul bus della compagnia del noleggio auto che ci avrebbe portato a ritirare la nostra futura macchina. Ero preoccupata perchè non sapevo come “funzionava”, ma è stato molto facile, quindi nessun problema.
Arrivati vediamo una coda lunghissima di persone in attesa di svolgere tutte le pratiche necessarie al ritiro dell’auto: due ore di attesa! Nel frattempo abbiamo acceso sia il nostro navigatore satellitare (programmato tutto dal mio maritino, via per via) ed i vari telefonini..Dobbiamo pur avvertire che siamo arrivati sani e salvi 🙂 Ci tengo a farvi una raccomandazione: se noleggiate un’auto dall’Italia fatevi dare una lettera o simile che spiega il modello di auto scelta, onde evitare poi di arrivare (come noi) al noleggio auto e vederci assegnare una macchina diversa da quella scelta (anche se avevamo già pagato il tutto). Ad esempio, noi avevamo pagato per un suv, in realtà ci hanno assegnato una specie di station wagon..Che gli vai a dire? Ormai è cosa fatta e abbiamo dovuto accettare, anche perchè l’auto non la vedi subito, te ne rendi conto a carte firmate.
Ah un’altra cosa: non fatevi “intrappolare” dalle loro assicurazioni. Se organizzate un viaggio come noi seduti dietro al pc della propria casa, il noleggio auto delle “marche” più famose il più delle volte è comprensivo anche dell’assicurazione.
Comunque, ritiriamo la nostra auto (che ti fanno scegliere tra una gamma disponibile in quel momento) e partiamo alla ricerca del nostro primo motel in Los Angeles.
Abbiamo dormito solo due ore quella notte e alle 2 del mattino ora locale ci alziamo e ci prepariamo per l’inizio del nostro tour: la Death Valley, tra California e Nevada. Tanto avevamo il fuso orario a nostro favore.
L’avevamo inserita tra le prime tappe in quanto facendo molto caldo volevamo per mezzogiorno esserne usciti..
Ci siamo resi conto di esser finalmente entrati quando abbiamo visto un mega cartello in mezzo al nulla con scritto “Death Valley National Park. Il paesaggio è mozzafiato: enormi avallamenti e colline di un colore ruggine/grigio…Ed in lontananza le dune di sabbia! A parole vi dico già che non riesco a descrivere la bellezza di quei posti.
Alle 8 del mattino c’erano già 40 gradi. Appena prima di arrivare alle famosissime dune ci siamo fermati nell’unico general store di Stovepipe, facendo scorta di cibo e soprattutto acqua.
Non conoscevamo l’auto, la marcia automatica ed abbiamo avuto i primi problemini: con il caldo eccessivo si sono surriscaldati i freni e la macchina andava a scatti. Comunque è bastato leggere il libretto delle istruzioni e tutto si è sistemato :).
Nella Death Valley non ci si può perdere se segui i cartelli e soprattutto usi la testa; non spegnere mai la macchina (così consigliano) ed usa sempre l’aria condizionata ed un cappello.
Abbiamo proseguito verso Scotty’s Castle: una residenza privata nel bel mezzo del deserto e non ci crederete mai: un’oasi di verde smeraldo! Non ci credevo! La strada ci ha portato, poi, sulla cima di un cratere causato da un meteorite milioni di anni fa; ricordo che son scesa dalla macchina ed a momenti mi sentivo male: mi ha investito una folata di vento bollente che mi ha cotto i polmoni. Lo credo, c’erano 50 gradi!Gli occhi continuavano a lacrimarmi e la pelle bruciava ma lo spettacolo era emozionante: noi in cima a questa terra bruciata e davanti a noi distese di nulla di vari colori. I colori che incontravamo dipendevano dalla composizione del terreno/roccia: giallo, verde perfino azzurro e rosa in alcuni punti.
Seguendo l’unica strada possibile che ti porta dall’inizio alla fine del parco, attraversi vari punti di interesse come Furnace Creek, una specie di fornace diroccata ed un treno merci abbandonato; Artist Drive, un loop di circa 10/15 minuti di strada (in base a quante volte ti fermi a fare foto) che ti porta all’interno delle gole delle montagne ed alla fine Zabrisky Point, un punto panoramico dove si vedono le dune di sabbia pietrificate, del colore dell’oro.
Nel pomeriggio arriviamo a Las Vegas e dopo mille peripezie riusciamo a raggiungere la nostra camera d’albergo. Non è come in Italia dove i nostri alberghi sono piccolini…Qua ci sono addirittura i cartelli per farti strada all’interno di questi centri pieni di slot machines, bar, negozi, statue, affreschi e chi più ne ha più ne metta.
Sarà ridicolo ma io e mio marito appena arrivati in camera ci siamo addormentati. Eravamo esausti. Non ho neanche visto tutti i vari flaconcini di bellezza posati sul marmo del bagno, patria di noi ragazze (o signore per chi è sposata, anche se giovanissima)..Più flaconcini ci sono e più siamo contente 🙂 Ci svegliamo alle 22 circa di sera maledicendoci perchè “come fai a dormire a Las Vegas”? Vestiti in fretta e furia ci catapultiamo fuori dall’albergo; io mi ero perfino messa il maglioncino, sai non si sa mai. Usciti mi ritrovo grondante di sudore, ma che caldo fa? Las Vegas è bellissima, mille luci, colori, suoni, limousine in coda ai semafori e poi questi alberghi favolosi: il caesar’s Palace, Paris, Venice, Treasure Island…Ognuno da lasciarti a bocca aperta. Abbiamo anche visitato prima di partire la mattina seguente, le famose Wedding’s Chapel..Mi sembrava di trovarmi nei film..Che emozione! Lasciata Las Vegas con qualche rimpianto, arriviamo nella famosissima Route 66, tra Kingman e Flagstaff. Purtroppo non è come mi aspettavo: speravo di trovare più postazioni o saloon di cowboy, come quelli che vedi nei film. Invece abbiamo trovato solo una ricostruzione di saloon, tra l’altro chiuso, in bella mostra sulla strada. Magari eravamo nella parte sbagliata.
Abbiamo proseguito verso la meta per me più affascinante: il ranch.
Tengo solo a precisare che siamo solo al terzo giorno ed ecco che ce ne capita una brutta: per arrivare al ranch, in Arizona, sapevamo solo che la strada non era asfaltata, ma battuta. Ad un certo punto il navigatore è impazzito, si è perso, e noi non sapevamo più dove andare finchè la nostra strada si è ristretta a tal punto che è diventata un sentierino sabbioso e la macchina si è insabbiata. E ora? Non c’era nessuno, solo un paio di baracche abbandonate in mezzo al deserto e il nulla. Abbiamo iniziato a scavare con le mani sotto le ruote anteriori, ma più scavavi e più si riempiva ancora di sabbia. Mio marito è partito in perlustrazione sotto il sole, erano le 14 circa del pomeriggio, lasciandomi il compito di chiamare soccorso. Ho fatto tre telefonate in tutto: una alla polizia, una al ranch e l’ultima dopo 2 ore sotto il sole cocente (40°) ancora alla polizia. Finalmente mi han fatto parlare con un poliziotto italiano e mentre stava cercando di individuarci tramite le coordinate satellitari, arriva il proprietario del ranch a tirarci fuori da questo incubo.
Devo dire che ha faticato anche lui perchè la macchina aveva tutta la pancia appoggiata alla sabbia e continuava a slittare. Eravamo tutti ricoperti di sabbia, dalla cima alla punta dei piedi. Io continuavo a piangere, di sollievo, tra un sorso d’acqua fesca portataci e un bacio a mio marito. Raccontarlo ora ci rido sopra, ma in quel momento avrei preso il primo aereo per tornare a casa. Ho visto anche un bel serpente, nero a strisce rosse o gialle, non ricordo bene, ma mi hanno assicurato che non era velenoso; sapete, lì ero nella patria di serpenti a sonagli e tarantole. E pensare che scavavo con le mani nude nella sabbia! Comunque, la disavventura è finita ed il ranch è servito proprio al rilassamento, tra cavalcate, buone mangiate americane e canzoni country sotto le stelle. Ne avrei anche qui da raccontare ma ho paura di dilungarmi troppo.
Anche qua il panorama era bellissimo: eravamo al centro di una mezzaluna, con alle spalle i monti e davanti il deserto…Non vi dico che tramonti c’erano! Partiamo dal ranch per raggiungere il Saguaro National Park, per noi da evitare! Evitare perchè prima di arrivarci ci siamo fatti 200 miglia circa di strada tutta dritta senza neanche un distributore, sotto il sole cocente, vedendo ogni tanto cactus a destra e a manca, finchè non si son fatti sempre più fitti lungo la strada. Siamo arrivati al parco che ne avevamo abbastanza di cactus. Li chiamano cactus giganti ma in realtà non è che sono poi così grandi. Anche questo era un loop chiuso, entravi ed uscivi da un’altra parte, ed i cactus erano tutti uguali, come in autostrada.
Ci siam fermati a dormire in un motel preso per strada ed il giorno dopo siamo partiti per raggiungere la Petrified Forest. Vestita molto all’americana con il classico cappello da cowboy che non può mancare, ci siamo imbattuti in questo parco di una bellezza eccezionale.
Noi lo consigliamo vivamente. La sua particolarità è che è disseminato di tronchi pietrificati, cristallizzati oserei dire: sembrano alberi secchi, ma vedendoli da vicino sono quasi lucidi come il marmo e con un diametro molto largo. Milioni di anni fa un’inondazione ha trasportato a valle questi tronchi che rompendosi e pian piano pietrificandosi hanno creato questo spettacolo.
Il parco non ha soltanto questa caratteristica: ci sono anche delle valli fatte tutte di micro colline una attaccata all’altra, di colori diversi. Hanno tutte degli “anelli” che le circondano di colori vari, in base alla composizione dell’acqua presente anni fa.
Un altro parco molto carino è il canyon De Chelly National Monument. Meno conosciuto ma altrettanto bello è diviso in due parti. E’ formato da una gola profondissima, rocciosa e alla base scorre un torrente; ha una particolarità che si chiama Spider Rock, due spuntoni di roccia molto sottili che partono dal basso e si proiettano nel cielo, in linea verticale con la parete rocciosa.
Durante tutto questo percorso, comunque, abbiamo visto reperti storici come vecchi forti abbandonati, carovane, carri, perfino una vecchia scuola stile “La casa nella prateria”.
Ne approfitto per dare un suggerimento per fare benzina: sono accettate le carte di credito e bancomat, ma per esperienza fatevi dare prima di partire dalla Vs banca il codice pin della carta di credito, che è diverso da quello che sappiamo noi. Mi spiego meglio: il primo pieno fatto abbiamo tentato di pagarlo con la carta di credito ma ci richiedeva un codice di 5 cifre che noi in Italia non usiamo e non è nè il codice pin nè quello sicurezza (in Itlia ne abbiamo uno da 4 cifre). Quindi ogni pieno benzina lo pagavamo o con il bancomat (funziona come in Italia) o con i contanti.
Vi dico inoltre che noi abbiamo acquistato un pass nel primo parco visitato (in questo caso il Saguaro N.P.) valido per tutti i parchi nazionali. Solo i monumenti, se non ricordo male, sono a pagamento.
Ed eccoci alla nuova meta: la Monument Valley, Arizona. Per chi avesse comprato dei giornali sull’America le foto sono esattamente così. Non sono ritoccate, tutto logicamente dipende da che macchina fotografica si ha. Mi ricordo che dopo una curva abbiamo visto in lontananza uesti pinnacoli rossi che si innalzavano nel cielo, un pò come i film western.
Per entrare abbiamo pagato 10 dollari e ci siamo addentrati in un circuito ben definito, fatto di strada sterrata arancione, come le carote, pareti rocciose che si innalzavano sopra le nostre teste a dismisura e cespugli di erba secca. Abbiamo anche trovato delle bancarelle gestite da indiani Navajo che vendevano oggetti fatti a mano, i più celebri sono collane fatte con le piume. Viste dall’alto di queste pareti, le rocce ai piedi delle montagne sembrano sassolini, ma al contrario, questi sassolini visti da vicino sembrano grandi come case.
E poi che dire del Grand Canyon? Ce lo immaginavamo bellissimo, maestoso, imponente…Invece per grande sfortuna quel giorno pioveva così tanto e c’era così tanto freddo (8°) che non riuscivamo a stare per più di 15 minuti ad ammirare il paesaggio (per negligenza o non so ci eravamo portati solo vestiti estivi). Ma anche con la pioggia ed il vento il Grand Canyon è sempre il Grand Canyon! Abbiamo scoperto al ritorno in Italia che nei giorni in cui lo abbiamo visitato noi è stato anche chiuso al pubblico, per inondazione. Noi per fortuna siamo riusciti ad ammirarne la bellezza impressionante, seppur nascosto sotto un velo di nuvole, tra lampi, tuoni, scrosci d’acqua e raggi di sole.. Sfogliando riviste locali ho scovato un canyon davvero particolare, che si doveva visitare olo in un certo orario per sfruttare appieno le sue bellezze. Così, armati di pazienza, ci siamo diretti verso questa tappa non programmata: l’Antelope canyon, Arizona. Mi sento di dire a tutti voi di andarlo a visitare perchè merita davvero! Si è formato nei secoli grazie alla forza dell’acqua che scorrendo in questa gola è entrata nella spaccatura della roccia ingrandendola sempre più e modellandola in base al corso.
Bisognerebbe visitarlo a mezzogiorno in punto, quando il sole è esattamente sopra la spaccatura della roccia e i turisti nella gola partecipano ad uno spettacolare fascio di luce che trasforma la roccia rosa in una esplosione di colori.
L’unica sorpresa negativa è che è costato un pochino: 50 dollari in due più il parcheggio di una decina di dollari.
Però siamo stati ripagati sia dalla bellezza del canyon (che è piccolino) sia dal mezzo di trasporto che ci ha accompagnato all’ingresso della gola: un 4×4 da turismo (tipo quelli dei safari) che sfrecciava a tutta velocità sulle dune di sabbia di questo canyon facendoci saltare come grilli.
Una particolarità dell’America dell’Ovest, per quanto riguarda la fauna, sono le mucche nere. Completamente nere!! Cosa che in Italia non mi è mai capitato di vedere.
Un parco che deve essere visto a tutti i costi è il Bryce Canyon, nello Utah.
E’ difficile da descrivere, ma tenterò di fare del mio meglio..
Immaginate una parete rocciosa a forma di mezza luna, in grande, una specie di abbraccio. Nel suo pendio, dolcemente, si trovano formazioni arancioni di pinnacoli e guglie appuntiti, uno vicino all’altro. Bisogna vederle! E’ uno spettacolo mozzafiato. E’ talmente bello che non riesco a trovare parole per descrivere questa meraviglia. Visto al tramonto, poi, quando si tinge il tutto di un colore ancora più acceso è particolare.
In ogni parco, volendo, ci sono tantissimi percorsi da fare, dai più facili ai più difficili.
Noi ne abbiamo fatto uno, seguendo la massa di gente che si dirigeva in fondo ad una gola. Partendo dall’alto, tra scoiattoli che ti saltellavano vicino, abbiamo iniziato a scendere, dapprima dolcemente e poi sempre più ripido verso la base della roccia per scoprire due alberi altissimi che si son fatti strada in questa gola per cercare la luce. La discesa è stata facile ma la salita un incubo! Per di più ha ricominciato a piovere (non so perchè ma dalle 17 in poi quasi ogni giorno, era caratterizzato da temporali grandissimi, molto belli se li guardavi in viaggio, sulle strade dritte dove non passa nessuno se non una macchina all’ora e all’orizzonte fronti compatti di nubi nere e minacciose solcate da saette verticali o a forma di ragnatele); quindi, svelti svelti, bagnati fradici a salire questa stradina. Sono arrivata in cima che potevano benissimo ricoverarmi, 27 anni ridotta così, mah! Salendo con l’auto il Bryce canyon siamo arrivati in cima, dove il paesaggio è cambiato nuovamente. Ora è tutta una distesa di verde, pini, cerbiatti e..Neve! Si, in pieno agosto a 3.000 mt circa abbiamo trovato la neve.
Scesi dal Bryce Canyon abbiamo trovato un centro molto folkloristico, dove potevi ammirare la ricostruzione dei Tepee, le abitazioni degli indiani, e comprare i souvenirs all’interno di vecchi saloon riadattati a negozi.
Per raggungere i vari parchi abbiamo attraversato anche la strada panoramica UT12/UT24, che parte da zone “lunari”(paesaggi completamente deserti e grigi) fino ad arrivare in mezzo alle montagne, con boschi e tanti cervi.
Un’altra meta che sconsiglio, di fronte ad Arches Park è il Dead Horse Point State Park.
Non c’è nulla di particolare se non uno strapiombo su un fiume fangoso, inoltre il parco in 10 minuti lo si gira tutto.
L’unica cosa che me lo fa ricordare è che appena arrivati siamo stati attirati da una melodia bellissima, rilassante ed affascinante. Un gruppo di ragazzine di origine asiatica, se non sbaglio, stavano ballando armoniose su rocce a picco sul precipizio, senza nessuna protezione; si facevano trasportare dalla musica come qualcuno si può far cullare dalle onde del mare, aggraziate e suadenti. Eravamo tutti talmente ipnotizzati da questa danza che ci sembrava perfino facile ballare su questi massi rotondi, come se lo avessimo potuto fare anche noi. Quando è finita la musica siamo stati parecchi secondi imbambolati, in attesa di un non so che. E’ stato molto emozionante, ma comunque un caso fortuito.
Sconsiglierei anche Arches National Park, Utah.
E’ particolare solo per queste sue formazioni rocciose fatte ad arco, tra l’altro ce ne sono solo poche visibili. La più famosa è il Delicated Arch, e per raggiungerla si possono scegliere due vie: la prima della durata di circa un’ora sotto il sole , che ti porta sotto l’arco più grande e l’altra più breve ma faticosa, che comunque te lo fa vedere da lontano.
Il paesaggio è come tutti gli altri parchi visitati finora: desertico, roccioso e di colore rossiccio/arancione.
Ogni sentiero comunque è preceduto da una piccola descrizione, cioè se è facile oppure no, cosa serve e cosa puoi vedere. Obbligatorio sempre è portare almeno una bottiglia d’acqua.
Lasciamoci alle spalle il deserto per proseguire verso le foreste del Montana, le Rocky Mountains. Boschi sterminati pieni di alci, cervi, scoiattoli e tanti altri animali descritti sulle mappe ma che non abbiamo visto. Logicamente più sali di quota e più fa freddo, tant’è vero che abbiamo trovato dei ghiacciai. Quindi copritevi bene! Ad un certo punto vediamo scolpito nella roccia un viso indiano: è Crazy Horse, Cavallo Pazzo, nelle BlacK Hills in South Dakota, il leggendario guerriero indiano della tribù dei Sioux.
Arriviamo poi al Monte Rushmore sempre nelle Black Hills, dove sono scolpiti nella roccia i volti dei 4 presidenti americani: George Washington, Thomas Jefferson, Theodore Roosevelt e Abraham Lincoln. Arrivando di primissima mattina siamo riusciti anche a partecipare all’alza bandiera, proprio come dei veri americani.
Lasciato il monte Rushmore ci dirigiamo verso Cody, Iowa, la città di Buffalo Bill, il più grande cacciatore di bisonti, E’ un paesino molto caratteristico e commerciale dove si svolgono in piazza rappresentazioni comiche di spezzoni di vita western, con tanto di spari (fasulli), cavalli e cawboys ubriachi. Molto divertenti! Ed ora la parte più bella di tutto il viaggio: l’arrivo allo Yellowstone National Park.
Come ogni mattina, anche questa volta siamo partiti all’alba, tant’è che siamo arrivati alle 8 del mattino in uno degli ingressi del parco: 0°. Faceva troppo freddo! Non poteva mancare la foto con il cartello che ne annunciava l’ingresso. Dopo poca strada vediamo in lontananza una “cosa” nera sul ciglio della strada che avanza. Noi che già andavamo piano per ammirare il paesaggio fatto di pini e laghi, ci siamo praticamente fermati..Ed ecco davanti a noi procedere molto lentamente un bisonte. Io entusiasta come non mai ero paralizzata dallo stupore per questa fortuna (in quel momento non sapevo che ne avrei incontrati a centinaia) e facevo una marea di foto ravvicinate a questo bestione enorme, incurante del freddo e dell’eventuale pericolo incorso se questo animale si fosse arrabbiato. Ricordo che è passato rasente il mio finestrino, aveva delle corna davvero paurose e pezzi di pelliccia che si staccavano dal dorso. Era maestoso, bastava una spintarella per rovesciare l’auto.
Ancora eccitati dalla visione non ci rendiamo conto che siamo entrati nella zona dei geyser, o per lo meno una piccola parte di piccoli geyser che uscivano dalle sponde del lago. Anche qua non sapevamo che poi ne avremmo incontrati di spettacolari.
Bhè, vi farò una panoramica generale di quello che vedavamo: un torrente che scorreva impetuoso formando delle piccole cascate, “fumava” proprio come si vede nei film all’alba con il vapore acqueo che saliva dall’acqua;mandrie di bisonti sulla strada che rallentavano il traffico e poi si perdevano in gruppi su distese infinite di praterie; bisonti che camminavano a ridosso dei geyser, nascondendosi a volte dalle folate di vapore; alci (presumo fossero quelle) sedute tranquille appena fuori il ciglio della strada, tra i pini, a riposare; cascate, valli, sorgenti calde..
Arriviamo dove ci sono formazioni particolari: le sorgenti calde del terreno ricche di minerali hanno formato dei terrazzi e dei coni, come il Mammoth Hot Springs dove si son formati dei depositi di materiale alti fino a 90 metri, create da millenni di depositi minerali.
Ci siamo fermati a visitare una di queste terrazze: all’interno ci sono dei crateri dove si vede benissimo l’acqua trasparente che bolle, o con del fango oppure altri talmente profondi che l’acqua prende il colore del turchese e del verde smeraldo.
Uno dei geyser più famosi al mondo è l’Old Faithful, perchè la sua particolarità è che erutta ogni ora circa arrivando anche ad un’altezza di 50 mt.
Purtroppo anche quel giorno pioveva e faceva molto freddo e quindi subito dopo l’eruzione siamo corsi in macchina a scaldarci e partire verso la nuova meta.
Uscendo dallo Yellowstone, che ci vuole un giorno intero a girarlo in macchina, abbiamo attraversato il Grand Teton, all’imbrunire e siamo partiti alla ricerca di un albergo.
In questo caso è stato molto complicato: non c’era nessun albergo disponibile sulla strada e siamo finiti in un motel di 4 stanze, tutto esaurito, a dormire in casa della padrona. Così siamo riusciti a vedere una tipica casa americana: tutta in legno con tappeti ovunque e stanze molto ampie..Avevamo libero accesso alla cucina, dove potevamo cucinarci qualcosa da mangiare, al loro bagno e dormivamo nella stanza della figlia che in quel momento non c’era.
Un pò di imbarazzo l’avevamo, in Italia non capitano queste cose; non capita di poter guardare la tv insieme ai due figli grandi nel salotto di casa, nè tanto meno una tipica partita di baseball, per non parlare che se fossi stata la padrona di casa non mi sarei sentita affatto sicura con due estranei in casa, ma forse loro sono abituati.
Siamo ripartiti al mattino presto, loro dormivano ancora, per dirigerci a San Francisco.
San Francisco è una città meravigliosa, ma purtroppo siamo stati un pò sfortunati perchè abbiamo trovato brutto tempo.
Appena arrivati ci siamo diretti subito al Golden Gate Bridge, il ponte più famoso della città, coperto quasi interamente dalle nuvole; anche qui faceva abbastanza freddo, c’erano 15°.
Un’altro punto che ci è piaciuto molto è stato il porto, il Fishermas Wharf; molto pittoresco, con tanti negozietti e ristorantini, ma soprattutto con un gruppo molto numeroso di leoni marini. Facevano un rumore tremendo, litigavano tra di loro per questioni di territorio sulle chiatte, ma erano molto belli e simpatici, con quei baffoni da gatto e suoni striduli.
Al porto c’è anche un sottomarino della guerra visitabile; noi ci siam capitati durante una manifestazione comprensiva del corpo della marina militare e inno nazionale americano.
Anche Alcatraz, la famosa prigione di massima sicurezza, era avvolta dalle nubi, come del resto tutta la città. Una particolarità del porto è la pesca dei granchi: verso le 10 del mattino il porto si riempiva di bancarelle con il pesce fresco, soprattutto granchi giganti che se volevi potevi mangiare con un panino (naturalmente cotti)! Alle 10 del matitno invece noi eravamo alla disperata ricerca di un posto dove berci un bel cappuccino, nei tipici bicchieroni americani con la cannuccia.
Un’altra particolarità di San Francisco è la strada; infatti la città è tutta un saliscendi di vie, molto ripide dove parcheggiare è molto difficile. La più strana è Lombard Street: un tempo dimora delle persone povere è poi diventata zona residenziale di lusso; tutta tortuosa a causa della forte pendenza è accompagnata da aiuole giganti sempre fiorite.
La city sarebbe da visitare in cable cars, tipici tram che percorrono solamente alcune vie.
Mozzafiato è il panorama che si vede dalla sommità della città, da non perdere soprattutto di notte.
Uscendo da San Francisco ci siamo diretti verso un altro parco, che però sconsiglio: Yosemite National Park. Sinceramente dopo aver visto le meraviglie dei parchi precedenti, questo non ha nulla di nuovo, quasi anonimo. In più la cartina che danno all’ingresso non è ben chiara e si può facilmente sbagliare strada. La caratteristica di questo parco è la roccia “El Capitan”, una parete rocciosa molto alta e poi un paio di cascate che però in agosto erano in secca.
Partendo da Yosemite ci spostiamo al Sequoia National Park. Uno spettacolo! Foreste immense di seguoia giganti, alcune cave dentro dove ti perdevi nel tronco. Si perdevano a vista d’occhio. Il più grande di tutti è il General Sherman, alto 85 mt e largo 12 mt alla base di diametro.
In un viaggio nel West dell’America non poteva certo mancare una visita ad una città fantasma: Calico.
Molto bella e caratteristica, ma mi aspettavo più “Ghost Town”, invece è molto commerciale, con i locali riadattati per i negozi e mostre della vita dl 1800 circa. C’è la casa dello sceriffo, la scuola, il saloon, la miniera, un hotel perfino, più vari locali diroccati.
Ricordatevi di portarvi assolutamente un cappello e acqua perchè siamo ritornati ad una temperatura di circa 40°. Anche qua, terra bruciata, il nulla attorno al paese, solo un caldo soffocante. La terra è formata da tante “onde”, come le onde del mare, frastagliate.
Un tempo era famosa per le miniere di argento, ma poi quando il metallo ha perso valore, pian piano gli abitanti se ne sono andati, abbandonandola.
Partendo da Calico ci dirigiamo verso Los Angeles.
La prima tappa è stata senza dubbio Hollywood ed immancabile la fermata alla Walk of Fame , selciato con le stelle di bronzo sulle quali sono incisi i nomi delle star più famose di tutto il mondo. Un altro segno distintivo è il Mann’s Chinese Theatre e non potevano di certo mancare i calchi delle mani e dei piedi degli attori di tutto il mondo. Coloratissima e vivacissima questa via è molto particolare, piena di persone appariscenti e clown.
Che dire poi di Beverly Hills? Ero letteralmente a bocca aperta mentre la strada scorreva di fronte a me: ville colossali di una bellezza inaudita si aprivano ai lati della strada, un palmeto unico ti portava ad ammirare queste residenze da non so quanti milioni di dollari. Mi sembrava di ritornare indietro nel tempo e vedere i posti di “Beverly Hills 90210” oppure “The O.C.”.
Un giro per Rodeo Drive è d’obbligo! Limousine, Ferrari e alcune delle più belle macchine al mondo attraversano questa chicchissima via..Diciamo che mi sentivo un pò anche io “Pretty Woman”. Il quartiere di Bel Air invece è racchiuso in un’ “alcova” di viali alberati e siepi enormi, con tanto di cancello con statue per l’ingresso e l’uscita. Naturalmente queste ville da mille e una notte non erano affatto visibili all’occhio indiscreto del turista, quindi a malincuore abbiamo proseguito verso Santa Monica. Ebbene si..È proprio come nei telefilm; spiagge lunghissime di sabbia fine piene di comitive riunite a cerchio a bere birra; torrette dei Lifeguard di vedetta sull’oceano, fatte interamente di legno con tanto di passerella..Una specie di “Baywatch”;auto della polizia di pattuglia nella sabbia per controllare i ragazzi e tante tante tante bandiere americane.
Santa Monica al tramonte è magica, si accende di bagliori nel mare e di luci sulla collina.
Il giorno seguente andiamo a svagarci un pò al Sea World (san Diego), uno zoo marino bellissimo! Abbiamo visto spettacoli con le orche, delfini, foche, tartyarughe giganti e fenicotteri, pinguini, balenotteri e l’orso polare bianco.
Sinceramente non ci aspettavamo un parco così bello, nè tantomeno gli Universal Studious (Los Angeles), dove ci siamo divertiti in modo assurdo. Oltre a farci vedere trucchi cinematografici molto d’effetto e vere “reliquie” di film (come ad esempio l’auto di Ritorno al Futuro), abbiamo visitato anche i luoghi dove hanno girato molti film (Jurassik Park, lo Squalo, il Grinch se non mi sbaglio)…E poi tante attrazioni, alcune anche dove ci si bagna o meglio “lava” completamente.
Eccoci arrivati alla fine. Purtroppo le tre settimane a disposizione sono volate, il viaggio di ritorno è stato tranquillo (anche se l’aereo aveva un guasto tecnico) e sinceramente il fuso orario non ha dato problemi.
Ora ci resta solo il ricordo di quei bellissimi momenti e tante foto, ridendoci sopra ogni volta che le guardiamo e rievocando tutte le esperienze.