Israele 2000

Domenica 21 maggio: Roma – Tel Aviv Quando il nostro aereo inizia la manovra d’atterraggio sulla pista dell’aeroporto di Tel Aviv la prima impressione è quella di essere arrivati in un paese in guerra. Per diversi minuti l’unica cosa che riesco a vedere ai lati della pista sono aerei militari. Poco a poco però gli apparecchi verdi...
Scritto da: Monica Ricci 1
israele 2000
Partenza il: 21/05/2000
Ritorno il: 28/05/2000
Viaggiatori: in gruppo
Spesa: 1000 €
Domenica 21 maggio: Roma – Tel Aviv Quando il nostro aereo inizia la manovra d’atterraggio sulla pista dell’aeroporto di Tel Aviv la prima impressione è quella di essere arrivati in un paese in guerra. Per diversi minuti l’unica cosa che riesco a vedere ai lati della pista sono aerei militari. Poco a poco però gli apparecchi verdi iniziano a lasciare il posto a quelli civili ed in lontananza si cominciano ad intravedere delle meravigliose “oasi”, che presto avremo modo di conoscere come i “giardini d’Israele”.

A terra il caldo inizia presto a farsi sentire, soprattutto durante l’attesa necessaria alla guida (Leah) per riunire il gruppo del quale facciamo parte; ma appena saliti sul pullman l’aria condizionata ci fa rimpiangere la felpa che abbiamo lasciato in valigia.

Dall’aeroporto Ben Gurion al nostro hotel il viaggio è breve e senza spunti di particolare interesse. La Tel Aviv che riusciamo a vedere dai finestrini ha tutta l’aria di una città da poco uscita da una guerra: case lasciate a metà, edifici fatiscenti, strade dissestate, marciapiedi sporchi.

Anche l’albergo che ci ospiterà per la notte è sicuramente in linea con l’ambiente circostante.

Il tempo a nostra disposizione a Tel Aviv è appena sufficiente per una passeggiata sul lungomare, dove un susseguirsi di bar e ristoranti – dai quali provengono odori non proprio invitanti – porta fino a Jaffa.

Dal momento che la città sembra non offrire niente di particolare, pensiamo di risparmiare un po’ di forze per domani ed andiamo a letto presto.

Lunedì 22 maggio: Tel Aviv – Galilea La sveglia è all’alba e, dopo un’abbondante colazione, alle ore 8.00 in punto siamo pronti per intraprendere il lungo viaggio che da Tel Aviv ci porterà lungo la costa mediterranea fino all’estremo nord, al confine con il Libano.

La prima tappa è Jaffa, dove visitiamo la città vecchia ricostruita fedelmente; proseguiamo quindi per Cesarea – città romana e crociata – dove, nonostante il sole cocente, ci regaliamo una piacevole passeggiata tra le rovine (di particolare interesse è l’anfiteatro).

Pausa pranzo nei pressi del Monte Carmelo dove sorgono alcuni villaggi abitati dai Drusi, riconoscibili dai loro tipici costumi colorati.

Al termine del pranzo proseguiamo verso Haifa e dopo un giro panoramico della città ci fermiamo per una visita alla baia ed al porto di Akko, considerato fino al XIX secolo il più importante porto del paese.

Akko (Acri) ha un carattere prettamente orientale, con le sue strade strette ed i bazar. In un cortile interno al Khan el-Umdan (un caravanserraglio delle colonne costruito nel 1785), accanto alla fontana di marmo, un uomo con un carretto vende squisite spremute d’arancia, che riscuotono grande successo per via del caldo soffocante.

Dopo esserci lasciati alle spalle la baia di Haifa e la costa mediterranea, ci dirigiamo verso l’interno del paese. Il nostro viaggio ci conduce attraverso la Galilea, la vastissima regione che si estende dalla capitale Tel Aviv fino al confine settentrionale con il Libano.

I diversi paesaggi che si susseguono durante questo lungo percorso sono i più svariati.

Dalle tipiche spiagge delle coste mediterranee alle distese di dune sabbiose, fino alle pianure ed ai boschi di cedri. Bisogna riconoscere il giusto merito ai coloni ebrei che hanno reso così belli questi luoghi, fino al secolo scorso ricoperti da paludi malariche.

Eppure, nonostante la bellezza dei luoghi, la nostra attenzione viene continuamente distratta dall’enorme spiegamento di mezzi militari che incontriamo lungo la strada. Mano a mano che ci spingiamo più a nord aumentano le auto militari e si fanno sempre più numerosi i posti di blocco; incrociamo perfino alcuni carri armati che, come ci spiega la guida, appartengono all’ultima generazione; in lontananza sentiamo i rumori degli elicotteri.

Verso le sei di pomeriggio arriviamo al kibbutz di Kfar Giladi: prati ben tenuti, fiori stupendi (in particolare le bouganvilles), aiuole curate nel tipico stile israeliano… sembra di essere approdati in un piccolo paradiso terrestre! Purtroppo però il miraggio di essere finalmente giunti a destinazione, dopo un viaggio faticoso, dura poco.

Dopo circa venti minuti di attesa in un meraviglioso giardino – dove il silenzio è rotto solo dagli elicotteri militari che numerosi sorvolano la zona – la nostra guida ci invita a risalire tutti in pullman. Stupiti, ma silenziosi e composti, le ubbidiamo, ansiosi di ricevere da lei tutte le spiegazioni del caso.

In breve: proprio in questi giorni l’esercito israeliano ha iniziato a ritirarsi dalle zone occupate del Libano meridionale e, pur trattandosi di un’azione totalmente pacifica, si teme che i gruppi terroristici libanesi (i famigerati Esbollah) possano strumentalizzare l’operazione ed operare delle ritorsioni nelle zone attigue al confine. Per questo motivo l’esercito ha dato l’ordine alla popolazione civile di trascorrere la notte nei rifugi antiaerei e, di conseguenza, dirottare i turisti in zone più sicure.

L’attesa nel kibbutz è servita a trovare per noi una sistemazione alternativa ed è stato individuato un altro albergo-kibbutz situato in una zona più interna e più sicura della Galilea.

Lasciamo quindi l’Alta Galilea (la regione conosciuta anche come la Svizzera d’Israele) dove le colline si trasformano in formazioni calcaree e basaltiche più ripide, delimitate a nord dal Libano e ad est dal territorio vulcanico e montagnoso delle alture del Golan (zona fertile ed agricola) e ci spostiamo verso la Bassa Galilea.

La Bassa Galilea comprende tre regioni distinte: le valli di Jezreel e del Giordano, che attraversano la parte meridionale della regione dal Monte Carmelo, ad ovest, fino al confine giordano, ad est; Nazareth e il territorio collinare a nord della valle di Jezreel e ad ovest il Mar di Galilea; il Mar di Galilea stesso.

Dopo un viaggio piuttosto lungo arriviamo assonnati ad Ein Gev, dove prendiamo possesso delle nostre stanze nel kibbutz situato sulla sponda orientale del Lago di Tiberiade.

Dopo cena abbiamo appena il tempo di fare un giro intorno al nostro alloggio (una casetta molto accogliente con tanto di angolo cottura e giardinetto) ma il sonno ci impedisce di prendere qualsiasi tipo di iniziativa! Martedì 23 maggio: Lago di Tiberiade La giornata inizia molto presto perché ci aspetta un lungo e, ci auguriamo, piacevole percorso “a tappe” che ci porterà a visitare i luoghi sacri della religione cristiana.

Prima fermata a Cafarnao, citata nel Nuovo Testamento come residenza di Gesù, luogo in cui condusse la sua vita pubblica e compì miracoli, un tempo fiorente città di mercanti, agricoltori e pescatori.

Oggi la città vanta un interessante sito archeologico dove sono visibili i resti dell’antica sinagoga con il pavimento ottagonale a mosaico, probabilmente appartenuto ad una chiesa costruita in età bizantina.

Proseguiamo poi per Tabgha, luogo in cui secondo il Nuovo Testamento, Gesù compì il miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci.

Qui sorge la Chiesa della Moltiplicazione, che contiene i mosaici bizantini di una precedente costruzione del V sec.; singolare è il pavimento che rappresenta un paesaggio lacustre con uccelli e piante acquatiche.

A pochi chilometri di distanza si trova il Monte delle Beatitudini, il luogo in cui Gesù avrebbe tenuto il discorso della montagna e dove oggi sorge la Chiesa Cattolica Romana, circondata da un magnifico parco dal quale si può godere uno splendido panorama sul Mare di Galilea.

Da qui proseguiamo verso Ginosar ed in barca “via lago” arriviamo a Tiberiade dove ci fermiamo per il pranzo.

Tiberiade – una delle quattro città sante del giudaismo – è situata a 208 m. Sotto il livello del mare, in una striscia di terra che si estende dal lago fino alle pendici delle vicine colline che raggiungono i 400 metri d’altezza. Nelle sue vicinanze si trovano numerosi luoghi sacri agli ebrei, ai cristiani, ai musulmani e ai drusi.

Nel pomeriggio, prima del rientro ad Ein Gev visitiamo Safed, una pittoresca cittadina sulle montagne della Galilea, patria del misticismo ebraico della Cabala. Le sue strade hanno da sempre attirato molti artisti israeliani, che si sono insediati nell’ex quartiere arabo, trasformando la città in un famoso centro culturale.

Torniamo in albergo che è ancora giorno ed essendo più riposati rispetto a ieri, riusciamo ad apprezzare appieno la bellezza del luogo, con i giardini dai colori stupendi ed il verde intenso del prato che scende fino al lago.

Il tramonto è particolarmente suggestivo e dopo cena ci fermiamo a godere il fresco sotto il cielo stellato. (Vedo una stella cadente ed esprimo un desiderio!).

Mercoledì 24 maggio: Nazareth Partiamo da Ein Gev molto presto. E’ il nostro quarto giorno di viaggio e finalmente questa sera arriveremo a Gerusalemme, la meta per me più attesa.

Poiché la nostra prima fermata è a Nazareth ci dirigiamo verso l’interno del paese, nel cuore della Galilea.

La città, che sorge sulle pendici occidentali del monte Tabor, è il luogo in cui secondo la tradizione cristiana avvenne l’annunciazione a Maria e dove Gesù visse per circa trent’anni.

Il nostro tour prevede una visita alla Basilica dell’Annunciazione, costruita alla fine degli anni ’60 da un architetto italiano (A. Barluzzi) sulla grotta dove presumibilmente l’Arcangelo Gabriele apparve a Maria. La Chiesa è moderna e senza caratteristiche di rilievo.

Lasciamo Nazareth e, dirigendoci nuovamente verso il confine Giordano, giungiamo a Bet Shean (ovvero la casa di Shean, divinità delle popolazioni mesopotamiche).

La cittadina, totalmente ricostruita alla fine della seconda guerra mondiale, non offre nulla di particolarmente interessante, tranne forse le rovine della fortezza crociata di Belvoir ed i resti del monastero bizantino, dedicato alla Vergine Maria, con i pavimenti a mosaico.

A questo punto, prima di arrivare a Gerusalemme, il nostro tour prevede una tappa a Gerico. La città, oggi enclave palestinese – è considerata la più antica città al mondo, anche se purtroppo deve la sua fama soprattutto a causa delle cronache che la segnalano spesso al centro di scontri tra gli arabi e la polizia israeliana (Intifada). Infatti, sfortunatamente, non possiamo visitarla perché a causa dei disordini è stata chiusa ai turisti.

Ed è così che, per farci superare la delusione della visita mancata (devo dire che ero piuttosto curiosa di entrare nella “famigerata” Gerico) Leah dice di avere in serbo per noi una sorpresa.

Dopo qualche minuto, quando ci troviamo più o meno alle porte di Gerico, lasciamo l’autostrada e prendiamo una via laterale.

I cartelli indicano Hallenby Bridge ed ormai siamo davvero a pochi metri dal Giordano, il fiume che delimita il confine tra Giordania e Israele.

Ad un certo punto ci fermiamo in una piazzola, dove ad attenderci ci sono un altro pullman turistico e due camionette militari. Solo allora Leah ci dice che la nostra meta è proprio il fiume Giordano ed esattamente il punto in cui Gesù venne battezzato.

A quanto pare siamo i primi turisti a visitare questo luogo – fino ad oggi non incluso nei tour.

La strada che ci porta fino alla fonte battesimale è stata infatti aperta ed asfaltata solo in occasione della visita del Santo Padre. Sembra in effetti che la visita del Papa abbia reso possibile l’attuazione di molte migliorie da tempo attese dalla popolazione locale (tutto il mondo è paese!).

Prima di intraprendere questo breve viaggio, un militare israeliano sale sul nostro pullman, uno sull’altro e le camionette si mettono alla testa ed alla coda del piccolo “convoglio”.

Da entrambi i lati della strada il filo spinato delimita l’area percorribile ed i cartelli in arabo ed ebraico segnalano la presenza di mine nell’area circostante.

Con un po’ di tensione, ma senza paura, arriviamo finalmente a destinazione: chi si aspettava di vedere un fiume di imponenti dimensioni resta deluso. In questo punto il letto del Giordano assomiglia ad un ruscello e la guida ci spiega che, anche lungo il resto del suo corso, l’ampiezza è più o meno la stessa.

Quando ci avviciniamo all’acqua ci accorgiamo che sull’altro lato, tra i cespugli, a pochissimi metri da noi, un miliare giordano ci osserva e controlla. Ma quella presenza è solo apparentemente minacciosa; l’uomo infatti si dimostra presto ansioso di “familiarizzare” (del resto chi non lo sarebbe se destinato a passare giorni interi solo in pieno deserto?) posa addirittura per chi vuole fotografarlo.

Alla fine, soddisfatti più per la scorta e per il viaggio avventuroso che per la visita stessa, ripercorriamo a ritroso la strada per riprendere il nostro viaggio lungo l’autostrada.

In pullman, tra un sonnellino e l’altro, ho giusto il tempo di accorgermi che siamo vicini a Gerusalemme quando la guida ci invita ad osservare dai finestrini i beduini che, a pochi chilometri dalla capitale, vivono in modo apparentemente così primitivo.

Il nostro hotel si trova nella città nuova e pur essendo bello e confortevole non possiede il fascino, l’atmosfera e gli odori degli alberghi orientali che noi occidentali amiamo tanto.

Forse consapevole di questo, Leah ci suggerisce di andare a visitare l’American Colony, un hotel che si trova a pochi passi dal nostro e che pare sia famoso per aver ospitato (e continuare ad ospitare) tanti personaggi di rilievo, in particolare i corrispondenti delle più importanti testate giornalistiche di tutto il mondo. Raccogliamo il consiglio della nostra guida e, dopo cena, sfidando il freddo al quale nei giorni scorsi ci eravamo disabituati, ci incamminiamo a piedi verso l’American Colony.

Il caso vuole che, proprio pochi minuti prima del nostro arrivo, nella zona viene a mancare la luce e lo “spettacolo” che appare davanti ai nostri occhi entrando nell’albergo è davvero molto suggestivo. Infatti, ad illuminare l’ambiente circostante, arredato nello stile tipicamente orientale, c’è solo la luce delle candele ed ho quasi la sensazione di essere stata catapultata in un film tipo Casablanca… Alle pareti delle diverse sale che si aprono una dentro l’altra, ritagli di giornale ricordano le origini di quel luogo ed i nomi degli ospiti famosi che vi si sono succeduti nel corso degli anni.

Il cortile interno, dove alcune persone sono ancora a cena, è un trionfo di piante e fiori. Purtroppo non possiamo visitare le pochissime stanze a disposizione dei pochi fortunati ospiti, ma tornando nel nostro albergo mi diverto a fantasticare sulla tappezzeria ed i mobili di quelle camere, che immagino occhi silenziosi di chissà quante storie intriganti.

Se un giorno potessi tornare a Gerusalemme vorrei alloggiare qui! Giovedì 25 maggio: Gerusalemme-Betlemme E’ il nostro primo giorno nella Città santa e mi sento particolarmente eccitata all’idea.

Iniziamo la visita salendo sul Monte degli Ulivi – dal quale si gode una stupenda panoramica della città – separato dalla città vecchia dalla valle del Cedron (dove si trovano i grandi sepolcri: Tomba di Zaccaria, Tomba di Giosafat, ecc.).

Visitiamo la Tomba di Maria dove si erge una chiesa di epoca crociata che appartiene ai greci ed agli armeni. A pochi passi da lì si trova l’Orto dei Getsemani con i suoi antichissimi olivi, dove Gesù pregò e fu arrestato prima della passione e morte.

Nell’orto si trova la Basilica dell’Agonia – anche conosciuta come Chiesa di Tutte le Nazioni perché contiene i ritratti della Vergine Maria donati da artisti di tutto il mondo, ciascuno dei quali ritrae la Madre di Gesù secondo le caratteristiche tipiche del paese di provenienza. La Chiesa è stata costruita dall’architetto italiano Antonio Barluzzi sulle rovine di una basilica bizantina della quale è sopravvissuta la caratteristica pavimentazione a mosaico.

Il nostro tour nella parte nuova di Gerusalemme prevede la visita del Museo d’Israele, costituito da diversi padiglioni, tra i quali il Tempio del Libro dove sono raccolti i famosi rotoli del Mar Morto.

I manoscritti furono trovati da un pastore nelle grotte di Qumran sul Mar Morto, nella primavera del 1947; redatti per lo più dal I secolo a.C. Al I sec. D. C. Contengono testi biblici (ad esempio il Libro d’Isaia) ed apocrifi, libri sulle concezioni e le regole della comunità di Qumran e commenti biblici. Nelle vicinanze del Museo si trova la Knesset, un moderno edificio sede del governo israeliano, alla cui realizzazione hanno collaborato artisti famosi come Chagall.

Davanti alla Knesset è situata la Menorah, il grande candelabro a sette bracci simbolo d’Israele: realizzata in bronzo dallo scultore Benno Elkan nel 1949, è scolpita con motivi tratti dalla storia ebraica.

La tappa seguente è allo Yad Shaem, il memoriale costruito in onore degli oltre sei milioni di vittime dell’Olocausto (tra cui circa due milioni e mezzo di bambini) costruito grazie al contributo degli ebrei di tutto il mondo.

I diversi padiglioni sono circondati da un bellissimo parco attraverso il quale si snoda il Viale dei Giusti, delimitato dagli olivi piantati in onore di tutte le persone che, in un modo o nell’altro, hanno aiutato gli ebrei durante le persecuzioni naziste.

Vicino a ciascun albero una targa ricorda il nome della persona alla quale è dedicato e mi commuove leggere il nome di Arthur Schindler che ho avuto modo di conoscere vedendo e rivedendo il meraviglioso film “Schindler’s List”.

La visita al museo è decisamente interessante, soprattutto per chi, come me, è molto interessato ad un periodo così doloroso della storia, magnificamente rievocato dalle foto e dai documenti qui raccolti.

Inutile dire che è l’area dedicata ai bambini quella che mi commuove di più; quegli occhi dolci ed insieme disperati sono la testimonianza più alta dell’enorme ingiustizia perpetrata contro un popolo colpevole solo di appartenere ad una razza anziché ad un’altra. E le lacrime scendono copiose, e non solo sul mio viso, quando arriva il momento di visitare il memoriale a loro dedicato, opera di un artista israeliano.

Al centro di una stanza è stata posizionata una candela accesa che, grazie ad un geniale gioco di specchi, ripete all’infinito la sua luce a simbolizzare i milioni di bambini morti nei campi di concentramento. In sottofondo, una musica straziante sembra rievocare le grida di dolore di quelle tenere anime.

Questa sensazione di pena mi accompagna lungo il percorso che ci porta fuori dallo Yad Shaem e credo che mi rimarrà dentro per sempre, insieme alle note della dolce melodia che Leah ci canta durante il viaggio di ritorno verso l’albergo (la stessa che gli ebrei cantavano nei campi di sterminio, mentre venivano condotti alle camere a gas).

Nel pomeriggio visitiamo Betlemme che proprio oggi, fortunatamente, è stata riaperta ai turisti. Secondo la tradizione cristiana è la città dove nacque Gesù e dove Samuele unse Davide re d’Israele. Ma la Betlemme di oggi conserva, a mio parere, assai poco del fascino che ci si aspetta da un luogo che ha la sua storia.

La presenza militare è massiccia – anche Betlemme è una enclave palestinese – e raggiungiamo la Basilica della Natività scortati da una camionetta.

Si tratta di una costruzione imponente e piuttosto recente, eretta sopra la grotta in cui venne alla luce il Redentore; purtroppo anche qui, come negli altri luoghi sacri per la religione cristiana che abbiamo visitato in questi giorni, manca l’atmosfera sacra che ci si aspetterebbe di trovare.

Percorriamo i pochi chilometri che separano Betlemme da Gerusalemme assaporando già la visita della città vecchia, programmata per questa sera.

La guida ci ricorda che oggi è giovedì ed al tramonto inizia lo Shabbat, la festività ebraica che dura appunto dal tramonto del giovedì al tramonto del sabato. In questo periodo, come recita il Talmud, gli ebrei praticanti devono astenersi da tutte le attività creative intese come attività fisiche trasformative.

Gli effetti della festività si fanno sentire anche in albergo, ed infatti al ristorante ci servono solo piatti freddi (probabilmente preparati prima dell’inizio dello Shabbat) e soprattutto – cosa più curiosa – finalmente riusciamo a capire il significato di quell’ascensore sul quale è scritto appunto “Shabbat Elevator”.

Si tratta di un ascensore che si ferma automaticamente ad ogni piano proprio per consentirne l’utilizzo anche agli ebrei praticanti che, durante lo Shabbat, non possono premere il tasto che induce l’impulso meccanico necessario affinché l’ascensore si muova (un’attività considerata trasformativa).

Per fortuna il nostro autista non è praticante e può accompagnarci in pullman per il giro notturno di Gerusalemme. Dopo aver superato i rigidi controlli di sicurezza del servizio d’ordine (compreso il controllo delle borse ed il metal detector) attraversiamo l’ingresso principale (rigorosamente separato per uomini e donne) ed arriviamo alla piazza antistante il Muro del Pianto.

Lo spettacolo che si presenta davanti ai nostri occhi è particolarmente suggestivo: uomini e donne pregano davanti al muro facendo ondeggiare i corpi in una specie di danza e ripetendo dei versi a noi incomprensibili che diffondono nell’aria una dolce melodia.

Al centro della piazza dei giovani militari cantano davanti ad un Rabbino. Si tratta di un giuramento militare che di consuetudine i militari prestano nei vari luoghi significativi di Israele, a seconda del corpo di appartenenza.

Facendomi spazio tra la gente riesco ad avvicinarmi al Muro anch’esso diviso in due parti, una destinata agli uomini ed una alle donne, e ad inserire in una fessura la preghiera destinata al “mio Dio”.

Ci fermiamo qualche minuto per assaporare ancora quest’atmosfera mistica ed insieme magica.

Il nostro giro prosegue in pullman, con a destra le mura della città ed a sinistra la valle del Cedron, con i suoi sepolcri ed il cimitero – luogo del Giudizio Universale – tutti mirabilmente illuminati.

Buona notte Gerusalemme! Venerdì 26 maggio: Mar Morto Oggi è il nostro penultimo giorno di viaggio e ci porterà attraverso il deserto della Giudea fino alla sponda del Mar Morto.

Appena fuori Gerusalemme inizia il deserto, con gli accampamenti dei beduini che – ci spiega la guida – vivono in maniera primitiva solo apparentemente. A quanto pare, all’interno delle loro tende – pulite a dispetto dell’aspetto esteriore – si possono trovare TV a colori, tappeti e scaldabagni elettrici.

Ci inoltriamo nel deserto della Giudea e facciamo la prima tappa a Qumran.

E’ qui che vennero ritrovati i famosi manoscritti (rotoli) del Mar Morto; qui si stabilirono nel 150 a.C. I membri della setta ebraica degli Esseni e vi posero la sede della loro vita comunitaria (visitiamo magazzini, sale di riunione e di scrittura, una fabbrica di vasellame, ecc.).

Lasciata Qumran proseguiamo per Massada. Una funivia molto ripida ci porta su un altopiano che si trova a 440 metri sopra il Mar Morto e dal quale si gode una vista meravigliosa.

Ma è la storia di questo luogo ciò che più incanta.

Sulla montagna si ergeva la fortezza eretta dal sommo sacerdote Gionata, uno dei fratelli Maccabei, poi trasformata da Erode nel Grande Palazzo e che secondo lo storico Giuseppe Flavio ebbe un ruolo determinante nella guerra giudaica.

Nel 66 d.C. Vi si stabilirono infatti gli Zeloti, i membri del partito nazionalista ebraico, ponendovi l’estrema resistenza agli oppressori. I Romani riuscirono a conquistare Massada nel 73 d.C. Con un lungo assedio e solo dopo che i difensori avevano dato tutto alle fiamme e si erano uccisi insieme alle loro famiglie.

La visita alle rovine è molto interessante: la fortezza meridionale, una grande piscina, un bagno rituale, il palazzo occidentale (residenza ufficiale di Erode), un edificio erodiano trasformato dagli Zeloti in Sinagoga, alcuni edifici amministrativi, i bagni e soprattutto il palazzo privato di Erode, costruito sull’estremità settentrionale della spianata su tre terrazze degradanti sul dirupo.

Dopo una lunga e faticosa passeggiata sotto il sole vediamo come un miraggio l’arrivo ad Ein Gedi, dove ci fermiamo per bagnarci (finalmente!) nelle acque del Mar Morto.

Il Mar Morto (in ebraico Yam HaMelach = mare salato), è situato a quasi 400 metri sotto il livello del mare ed è la più profonda depressione della superficie terrestre. Il confine di stato tra Israele e Giordano lo attraversa.

La percentuale di sale nell’acqua è altissima (oltre il 27% rispetto a poco più del 2% del Mar Mediterraneo) ed è infatti un mare privo di ogni forma di vita.

Proprio per questo motivo la guida non la smette di raccomandarsi con noi ed insiste affinché tutti stiano molto attenti una volta in acqua. E’ strano come si riesca a rimanere a galla senza fare alcun movimento, ma allo stesso tempo il nostro è un bagno molto faticoso perché la pesantezza dell’acqua – oltre alla paura che anche una sola goccia possa entrarci negli occhi, nel naso o nella bocca – ci rende molto impacciati.

Usciti dal recinto all’interno del quale ci è consentito immergerci (chi tenta di uscirne viene bruscamente richiamato da una sorta di bagnino urlante), restiamo appena il tempo necessario per raggiungere le docce che restituiscono alla nostra pelle una morbidezza piuttosto insolita.

Sul pullman che ci riporta a Gerusalemme è difficile trovare qualcuno sveglio perché il bagno ci ha sfiniti! Siamo stanchi a tal punto che il nostro tentativo di passeggiata dopo cena dura il tempo di un giro attorno al palazzo (e fa anche freddo!).

Sabato 27 maggio: Gerusalemme Gerusalemme, in ebraico Yerushalayim, significa “città della pace”, anche se purtroppo nei suoi 4000 anni di storia questa città la pace l’ha conosciuta solo raramente.

Questa giornata è interamente dedicata alla visita della città che tutti conoscono perché oltre ad essere una delle città più antiche che siano state abitate ininterrottamente, è soprattutto il luogo più sacro nel mondo per ebrei, cristiani e musulmani.

La città vecchia è circondata dalle mura erette da Solimano il Magnifico che si aprono in otto porte: la porta di Damasco, di Erode, di Santo Stefano, la Porta d’Oro (antico accesso alla spianata del Tempio, oggi murata), la Porta del Letame (attraverso la quale si giunge al Muro del Pianto e alla Cupola della Roccia), quella di Sion, di Giaffa (che collega la città nuova con quella vecchia) ed infine la Porta Nuova.

Passando attraverso la Porta di Santo Stefano percorriamo la Via Dolorosa lungo la quale si trovano la Chiesa di Sant’Anna, il Convento della Flagellazione, l’Arco dell’Ecce Homo.

Lungo la Via Dolorosa troviamo le indicazioni delle varie stazioni della Via Crucis che ci dovrebbero ricordare il percorso che portò Gesù alla crocifissione, ma quella di oggi è una via soprattutto commerciale, dove nelle vetrine è esposta ogni sorta di mercanzia “religiosa”! Quando arriviamo al Santo Sepolcro la folla intorno ad esso è immensa. Oggi non resta più nulla della pianta articolata armonicamente della basilica costantiniana; la costruzione attuale si è trasformata, con il passare dei secoli, in un agglomerato di vani grandi e piccoli, disposti in parte su vari piani ed appartenenti a ben sei diverse confessioni, che se li sono spartiti secondo un piano esatto “al centimetro” (greci ortodossi, latini romano-cattolici, armeni ortodossi, copti, abissini e giacobiti).

La massa di gente che visita il Santo Sepolcro rende l’atmosfera priva del misticismo che ci si aspetterebbe di ritrovare in un luogo sacro e, soprattutto, è abbastanza spiacevole rendersi conto che, a differenza di quanto accade nelle sinagoghe e nelle moschee, non c’è nessun tipo di regola che i fedeli devono rispettare quando visitano le chiese.

Tutto è consentito: fotografare, mangiare, bere, parlare ad alta voce e quant’altro! Totalmente diversa è l’atmosfera quando arriviamo alla Spianata del Tempio (chiamata dai musulmani Haram esh-Sharif = nobile santuario).

All’entrata, alcuni guardiani controllano che le persone (in particolare le donne) siano vestite con abiti adeguati ad un luogo sacro ed invitano a coprirsi chi ha gambe o braccia scoperte. Si assicurano inoltre che tra uomini e donne non ci sia alcun contatto fisico (come ad esempio camminare per mano o sottobraccio) e chi vuole visitare le moschee è obbligato a togliersi le scarpe.

Visitiamo la Cupola della Roccia (o Moschea di Omar) costruita sulla roccia nella quale si suppone che Abramo dovesse sacrificare il figlio Isacco, dove Salomone fece erigere il primo tempio e dove, secondo la tradizione islamica, Maometto iniziò il suo viaggio in cielo. E’ una costruzione ottagonale meravigliosamente rivestita all’esterno di marmi e maiolica azzurra; la cupola, dorata all’esterno, è interamente decorata con mosaici. A terra, stupendi tappeti proteggono i piedi dal marmo gelato.

All’estremità meridionale della navata si trova la Moschea di Aqsa – restaurata dopo che nel 1969 un fanatico cristiano l’aveva incendiata – con la sua caratteristica cupola argentata. La nostra passeggiata prosegue fino al Muro del Pianto – che avevamo già avuto modo di vedere durante la nostra visita notturna – e che rimane il nostro punto di riferimento nel corso della nostra passeggiata pomeridiana quando ormai la guida ci ha lasciati.

Dopo pranzo iniziamo il nostro giro ripassando attraverso la Porta di Damasco per arrivare alla via del Suk Khan ez-Zeit, dove veniamo improvvisamente catapultati in un’atmosfera dai colori e dai profumi orientali ed i negozi si susseguono offrendo ai nostri occhi ogni genere di mercanzia. Passando dal quartiere musulmano a quello ebraico il passaggio è molto forte: è soprattutto l’atmosfera che cambia totalmente… Il resto del pomeriggio lo trascorriamo girovagando per le strade di Gerusalemme, cercando di imprimere nei nostri occhi quanto più possiamo di questa città dove non sappiamo se un giorno potremo tornare.

Domenica 28 maggio: rientro a Roma E’ arrivato il momento di tornare a casa, anche se l’imponente macchina della sicurezza israeliana sembra voler dissuadere il visitatore dal lasciare il territorio. Invece che con il solito anticipo di due ore, ci accompagnano in aeroporto ben quattro ore prima dell’orario previsto per la partenza.

I nostri bagagli vengono sottoposti a controlli molto accurati e ad ogni passeggero viene consegnato un questionario da compilare per essere certi che tutte le regole di sicurezza siano rispettate.

Dal finestrino dell’aereo ci concediamo un ultimo sguardo a questa città che più d’ogni altra ci rimarrà per sempre nel cuore, insieme ai suoi abitanti, ai suoi monumenti, alla sua atmosfera ed al suo dolore.

APPENDICE (Luglio 2001) Più di un anno è passato e sappiamo per certo che questo stesso viaggio oggi non lo avremmo potuto fare.

Israele è da sempre abituato alla tensione, quella stessa tensione che abbiamo imparato a respirare nei giorni della nostra visita. Eppure, ciò che sta succedendo in questi giorni è ancora più grave del solito, tanto da impedire a chi lo desideri di andare a scoprire questo Paese, le sue città, la sua storia, i suoi abitanti.

Nessuno è in grado di prevedere se e quando in Israele tornerà la pace, ma è certo che questo spicchio di mondo ha tanto bisogno di pace per continuare ad esistere.

Perché vorremmo che tanti altri visitatori possano scoprirne le bellezze come abbiamo potuto fare noi e che finalmente ebrei e palestinesi tornino a vivere senza il rumore della guerra.



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