In equilibrio tra natura e alchimia: il gusto intenso degli amari
Quello degli amari è un universo particolarmente affascinante perché si collega ad un passato molto antico, quando la gestione delle erbe prevedeva un approccio alchemico, quindi una lavorazione delle materie prime molto diversa da quella di oggi. Bisogna tuffarsi nei secoli scorsi, andando indietro al medioevo, periodo a cui dobbiamo moltissime cose del nostro patrimonio enogastronomico: andiamo alla scoperta del gusto intenso degli amari.
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Quando nasce l’alchimia
L’Alchimia è antichissima, già presente nella cultura cinese del IV-III secolo a.C., in riferimento ai principi Yin Yang, la cui complementarietà è un concetto che è stato ampiamente utilizzato anche nella nostra dimensione. I primi riferimenti di alchimia in occidente sono collegati a Ermete Trismegisto, una figura leggendaria della cultura egiziana, ritenuto il padre di questo complesso di conoscenze. Sul termine abbiamo una derivazione etimologica araba, anche se ‘’chimia’’ viene dal greco khymeia (χυμεία) che significa ‘’fondere’’, ‘’saldare’’.
Tutte le sfumature del mondo alchemico
Quando si capì che i prodotti naturali potevano essere lavorati per ricavarne di nuovi, fu l’inizio di un processo inarrestabile, che nel corso del tempo ha abbandonato la strada dell’alchimia per entrare in quello della scienza. Tuttavia l’universo alchemico ha il suo enorme fascino, probabilmente proprio per questa sua dimensione fuori dal rigore scientifico a cui siamo abituati oggi.
Padroneggiare i processi senza comprendere bene la logica, ha permesso all’uomo di fare moltissima strada e molti di questi risultati sono oggi sulle nostre tavole. Gli arabi si dedicarono alle tecniche di distillazione che, grazie agli alambicchi, estraevano lo spirito: qui rientra il concetto di ‘’legare’’, termine che si riferisce sempre alla radice khymeia, in una sorta di forza che teneva insieme tutti gli elementi della terra. C’è indubbiamente un’accezione magica che caratterizza fortemente questa dimensione, sicuramente affascinante e degna di essere approfondita. Per questo parlare di amari oggi, significa gettare lo sguardo verso questa pratica alla quale dobbiamo moltissimo.
La genesi degli amari
Le tecniche alchemiche aprirono la strada a moltissime preparazioni, sicuramente molte di esse avevano come scopo la realizzazione di elisir di lunga vita, ma quello che interessa è la lavorazione di materie prime che sono diventate prodotti di consumo. Tra queste annoveriamo gli amari, la cui origine è proprio da rintracciare nelle tecniche di gestione delle erbe. Nel Medioevo le specie vegetali venivano lavorate nei monasteri per le loro proprietà curative: è per questo che nascono anche gli amari, grazie anche alla coltivazione che si faceva negli orti e che arricchiva notevolmente la disponibilità e l’assortimento delle erbe. Tra unguenti e decotti della medicina monastica, si fa strada l’approccio alchemico sulla gestione delle piante, e con esse la distillazione e la realizzazione degli oli essenziali, oltre alle tecniche di lavorazione come la triturazione, la macerazione, la frantumazione e l’infusione. Possiamo dire quindi che gli amari hanno la loro origine nelle pratiche arabe e arrivano nel mondo occidentale portando in dote un bagaglio di tecnica e conoscenza delle piante. Anche nel mondo arabo questi prodotti erano utilizzati a scopo medicamentoso, ma ciò non toglie che la genesi dei nostri amari è concentrata tutta in questo periodo. Le bevande amare conobbero un ruolo diverso col passare del tempo, quando ufficialmente si arrivò ad una bevanda fatta per scopo ricreativo nel XVIII secolo.
Il gusto amaro
Amato o odiato, l’amaro è il gusto personale per eccellenza, ma quel che è certo è che lo ritroviamo in tutte le zone d’Italia: gli amari sono stati caratterizzati grazie alla miscelazione con i prodotti locali, dalle piante di montagna, agli agrumi di Sicilia, alle erbe salutari, alle radici medicinali.
L’amaro è percepito prevalentemente nella parte posteriore della lingua: scatta una sorta di sistema di allarme, qualcosa di ancestrale che ha difeso i nostri antenati da possibili elementi nocivi. Ma oggi, bevendo un digestivo, sappiamo perfettamente cosa abbiamo nel bicchiere e questo sapore diventa il protagonista indiscusso della degustazione.
Le ricette
Man mano che il mondo occidentale si arricchì di prodotti come le spezie e lo zucchero, gli amari guadagnarono prestigio e cominciarono ad essere apprezzati negli ambienti nobiliari.
Il titolo alcolometrico deve essere come minimo di 15°, con una componente zuccherina che non superi il 10%, nel caso contrario abbiamo un liquore. Tramite processi come l’infusione a freddo, la macerazione e la distillazione, otteniamo una vasta gamma di amari che utilizzano diverse materie prime come aromatizzazione, in modo da caratterizzare il prodotto finale. Oggi non si consuma l’amaro solo a fine pasto, come digestivo, ma sono utilizzati anche negli aperitivi, diventando un ingrediente nella preparazione di cocktail.
La nuova tendenza nel mondo della mixology
L’idea di utilizzare gli amari per cocktail e long drink, impone una scelta di fondo, visto che si spazia in un universo vastissimo del gusto: ci sono, ad esempio, quelli di abbazia, quelli alpini o quelli dal sapore mediterraneo che rimandano a note di rosmarino ed altre piante caratteristiche del sud Italia. Le piccole quantità da miscelare al resto del drink, vanno a caratterizzare fortemente la bevanda finale: gli aromi dell’amaro vengono sapientemente bilanciati per un risultato dalla grande personalità. L’anidride carbonica va ad esaltare la parte amaricante, e si riesce anche a stemperare la gradazione alcolica dell’amaro che può superare i 40°. Gli amari possono essere usati sia in piccole quantità che come uno degli ingredienti principali della miscelazione: nei long drink si diluiscono con acqua tonica o soda.
In un classico come il Negroni si può sostituire il Campari Bitter con un amaro che ha delle note molto più decise, per un risultato dal gusto spiccatamente intenso.