Dalle Isole Lofoten al Conero: da 500 anni lo stoccafisso è l’ingrediente che unisce Italia e Norvegia in tavola
Quando si parla di cucina, si parla di contaminazioni che sono diventate, poi, tradizioni: è il caso dello stoccafisso, un pesce nordico che l’Italia ha fatto suo. Era il 1431 quando Pietro Querini, un nobile veneziano che che si occupava di commercio, si apprestava a trasportare un carico di malvasia da Creta alle Fiandre. Il viaggio era piuttosto lungo e il prezioso carico di vino era nelle mani dell’equipaggio costituito da quarantanove uomini. Una volta completata la navigazione, si rimisero sulla strada di casa, ma incontrarono cattivo tempo e a causa di una burrasca l’imbarcazione ebbe dei problemi nel Golfo di Biscaglia, tanto che andò alla deriva arrivando addirittura alle Isole Lofoten. Era ormai inverno pieno, esattamente i primi di gennaio del 1432 e l’equipaggio si trovò in difficoltà a causa del clima estremamente rigido: le scorte di viveri cominciarono a scarseggiare e questo costrinse i naufraghi alla ricerca di cibo. Caso volle che si imbatterono in un pesce arenato che era di grandi dimensioni e pensarono bene di cucinarlo accendendo un falò: il fumo attirò l’attenzione dei residenti dell’isola che si trovava di fronte; essi accorsero per vedere cosa stesse succedendo e decisero di ospitare i naufraghi nelle loro abitazioni.
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Dalle Isole Lofoten all’Italia
Con l’arrivo della primavera, l’equipaggio riuscì a riparare l’imbarcazione e tornò finalmente a Venezia, questa volta portando un carico di assoluta novità: lo stoccafisso. Il legame con questa terra era stato stretto e oggi questo pesce continua ad essere importato in maniera massiccia dall’Italia, che ne ha fatto un importante ingrediente per molte preparazioni gastronomiche.
Il merluzzo dal quale si ottiene lo stoccafisso è di grandi dimensioni, raggiunge anche 1 metro e mezzo, con un peso di cinquanta kg: nei mari del Nord viene pescato il Gadus morhua, impiegato proprio per la lavorazione del nostro ingrediente. Quando parliamo di merluzzo stiamo parlando di un pesce magro, con un basso contenuto di grassi: la lavorazione per ottenere lo stoccafisso prevede una semplice essiccazione all’aria che dura tre mesi. Una volta eviscerato e privato della testa, il merluzzo viene sistemato su dei tralicci in modo che sia esposto all’azione dei venti freddi che asciugano il pesce. Dopo questa esposizione delle carni all’aperto, il pesce viene portato al chiuso in modo che possa riposare, sempre in ambiente secco e ventilato: la perdita di acqua è notevole, si parla infatti di un 70%. Quando si parla di stabilità degli alimenti si fa riferimento all’activity water che va a misurare la frazione di acqua libera, responsabile dello sviluppo dei microbi: lo stoccafisso ha un AW molto basso e questo permette la sua conservazione a temperatura ambiente.
Dai vichinghi fino alla gastronomia italiana
Un’autentica prelibatezza, ma anche una risorsa preziosa quando, in momenti di difficoltà, si poteva contare su un alimento la cui shelf life è piuttosto lunga: la facilità del trasporto, unita alla sua leggerezza, ha decretato il successo dello stoccafisso nella commercializzazione.
La lavorazione completamente naturale fa di questo ingrediente qualcosa di incontaminato, in più partiamo da un pesce di altissima qualità: lo skrei è il miglior merluzzo artico che viene impiegato per lo stoccafisso, è magro e saporito con un ottimo apporto non solo di proteine, ma anche di vitamine e omega-3.
Tra febbraio e maggio, il merluzzo viene appeso in prossimità del mare con temperature che sfiorano lo zero, in una condizione ambientale di perfetto equilibrio tra sole, vento e pioggia. È tutto in mano alla natura che trasforma il pesce fresco in un prezioso ingrediente dal sapore speciale.
Lasciato asciugare nel freddo inverno delle Lofoten, il merluzzo “diventa” stoccafisso e si conserva per lungo tempo
Una tradizione che va avanti da secoli
La carne dello stoccafisso deve essere lavorata prima del consumo, va infatti battuta e poi bisogna reditratarla: è necessario l’ammollo per alcuni giorni, avendo cura di cambiare l’acqua. Ottima la cottura in umido, spesso accompagnando lo stoccafisso con della polenta come si fa in diverse regioni del nord. Il Bacalà alla vicentina è uno stoccafisso condito con un soffritto di cipolla e sarde, olio e latte, viene poi messo sul fuoco oppure in forno: ci vorranno più di quattro ore per ottenere il giusto risultato, con bei pezzi dal colore bianco che indica la corretta procedura. Ogni tanto il recipiente va mosso in senso rotatorio, ma non bisogna mescolare: per questa fase si usa il termine “pipare”.
La Confraternita del Bacalà alla Vicentina è nata per salvaguardare e diffondere la cultura legata a questo piatto, perché la ricetta vanta oltre quattrocento anni di vita.
I vini della tradizione da abbinare a questa ricetta sono il Tai rosso e il Vespaiolo: quest’ultimo è un vino binaco autoctono, si beve d’annata per apprezzarne tutta la freschezza, ha una spiccata acidità e questo ben si sposa con il Bacalà che si presenta con le sue note dolci e la sua grassezza.
Anche il Tai Rosso è un autoctono, si presenta come un vino morbido con un tannino facile, perfetto per accompagnare il Bacalà.
Un dettaglio sul bacalà alla Vicentina, altra ricetta tipica con il merluzzo insieme allo stoccafisso all’Anconitana
Dal Veneto alle Marche
Lo stoccafisso è arrivato con successo ad Ancona perché era il prodotto ideale per le cambuse delle navi e presto diventò un cibo presente nelle coste del mediterraneo. La lavorazione dello stoccafisso all’Anconitana ha come prima fase l’ammollo perchè il pesce deve essere reidratato, va poi deliscato e tagliato in piccoli pezzi; la ricetta prevede patate pelate e tagliate in grossi spicchi. Va fatto un trito di cipolla, aglio, prezzemolo e rosmarino: dobbiamo quindi procedere alla preparazione della salsa aggiungendo i capperi e le acciughe dissalate e spinate. In una pentola capiente vanno disposte le patate, la salsa e lo stoccafisso in strati, il tutto va ricoperto con la salsa rimanente, aggiungendo infine le olive denocciolate e i pomodorini, per finire sfumiamo con vino bianco. Copriamo la pentola e avviamo una cottura lenta, che duri anche più di un paio di ore, evitando di toccare la preparazione per preservarne la compattezza. L’Accademia dello stoccafisso all’Anconitana nasce nel 1997 per tutelare la tradizione gastronomica e promuovere la cultura che questa ricetta incarna. Ottimo l’abbinamento con Colli Maceratesi Ribona DOC, vitigno autoctono: al palato secco, sapido e armonico. In alternativa un Rosso Conero DOC, da uve Montepulciano in misura non inferiore all’85% e per il restante Sangiovese