Due ragazze a Cuba, di Syusy e Zoe

Madre e figlia scoprono un modo di vivere differente. Se ne innamorano e ci spiegano perché andare a vederlo... Prima che scompaia
Syusy Blady, 26 Feb 2009
due ragazze a cuba, di syusy e zoe
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Syusy: Sono andata a Cuba due volte, la prima ero incinta di Zoe di 6 mesi, la seconda sono tornata con lei quando abbiamo fatto il giro del mondo con Adriatica, la barca dei Velistipercaso, 7 anni dopo. Sarà perché distesa nella vasca da bagno cantavo al pancione la canzone dedicata a Che Guevara «…Tua querida presenzia comandante Che Guevara…» che mi era rimasta nell’orecchio, o perché Zoe è molto perspicace, ma quel secondo viaggio che abbiamo fatto assieme le è rimasto nel cuore, lei ha capito subito che Cuba è un posto diverso. Adesso è il momento giusto per riparlarne assieme, lei è grande, ha 14 anni, ragiona, pensa dice la sua: cosa ci ricordiamo di quel viaggio? Qui di seguito abbiamo buttato giù prima il suo, poi il mio taccuino di “impressioni da Cuba”.

Zoe: Sono andata a Cuba per la prima volta che non ero ancora nata, e la mia casa era la pancia di mia madre. La seconda volta, avevo sette anni, ed era il mio primo viaggio. E Cuba mi ha segnato, nel profondo. In tutti i viaggi che sono venuti dopo, mai mi sono trovata meglio, a dire il vero. In seguito siamo andati alle Fiji, a Tonga, alle Maldive, in Egitto, al Cairo, in Libia, nel deserto nel Sahara (dove mia madre mi ha trascinato a forza in una tenda che quasi volava via per la tempesta di sabbia). Insomma, tutti posti meravigliosi. Ma niente, in confronto a Cuba. E magari voi mi chiedete: «Perché, fra tutti i posti più ricchi e belli che ci sono al mondo, proprio Cuba è quella che ti ha colpito?» Dovendo rispondere a forza, penso che la (grande) differenza la facciano le persone.

I cubani, accidenti a loro, sono unici! E quindi Cuba è un altro mondo. Logico. Il fatto è che noi occidentali siamo troppo abituati alla diffidenza, alla paura e all’arroganza. Se incontriamo una persona in un vicolo buio, subito pensiamo al pericolo, alla violenza, in modo quasi automatico. E non ditemi di no. Quando per strada guardiamo le persone, spesso ci preoccupiamo del loro giudizio. Quando in autobus siamo accanto a una di quelle vecchiette che guardano con uno sguardo che uccide te e il tuo zainetto da studente o, al contrario, quando ci soffermiamo noi a guardare con sguardo truce lo studente svogliato che ascolta la musica a tutto volume e non si accorge se ti sta pestando un piede, ci viene automatico il fatto di mandare a quel paese il mondo, la vecchietta e lo studente svogliato. A Cuba, invece, le persone ti fermavano per far conversazione, perché volevano conoscerti, perché erano curiosi – non per violentarti o farti la multa! La differenza è sostanziale, l’animo completamente disponibile. Non c’era sospetto, solo fin troppi sorrisi, ma tutti sorrisi veri! Le persone suonavano per strada, tenevano la finestra aperta per condividere con gli altri il loro amore per la musica. Ben strano, in effetti, considerando che da noi, se si suona una sola nota senza il permesso del condominio, ci ritroviamo lapidati! Anche se è stato il mio primo viaggio, Cuba è il viaggio che riesco a ricordare meglio, rispetto agli altri. Per tutto il periodo della vacanza mia madre ed io non ci siamo fermate un minuto, tanto era entusiasmante e bellissimo il luogo. Alcune case erano grigie, ancora da ristrutturare, ma molte erano ritornate al loro vecchio splendore, conservando tuttavia quelle finestre e quelle caratteristiche che fino a quel momento potevo solo immaginare dai racconti di mia nonna o vedere nei film anni ’50 o in quelli dei telefilm sui gialli di Agata Christie anni ’30. Mi ricordo che per strada, un giorno, abbiamo conosciuto dei cubani che stavano ridipingendo di bianco la loro auto. Di solito i colori delle automobili passavano dal blu al rosso, con sprazzi bianchi, ma erano sempre colorate, e mai di uno stesso colore e mai tutte uguali, come invece sono le nostre moderne. Con l’embargo, a Cuba si cerca di riutilizzare il più possibile, e di non sprecare nulla. Cosa che, nonostante tutti i gravi disagi, all’isola fa anche bene, a mio parere, perché almeno mantiene i centri storici, l’ambiente e altro, a differenza di quello che facciamo noi. Quando siamo arrivati sull’Isola della Gioventù abbiamo abbandonato per un paio di giorni la Barca Adriatica e io e mia madre siamo andate a stare in una casa cubana, che faceva da pensione (le chiamano case particular). E alla sera, in strada, le bambine della mia età mi hanno subito fatto giocare con loro. Ho giocato per la prima volta a “campana”, un gioco che fino ad allora i miei compagni di scuola italiani non avevano mai avuto la pazienza d’ insegnarmi. Ci capivamo benissimo, anche se non parlavamo la stessa lingua. Lì ho giurato però che avrei imparato lo spagnolo, per tornare un giorno a Cuba. Forse per questo adesso sto facendo un liceo Linguistico… Tra le esperienze più belle credo ci sia stata quella di poter visitare una piantagione di canna da zucchero, per vedere davvero come si taglia la canna, per chiedere alle persone che ci stavano lavorando come si produce. Oppure ricordo di quando siamo andati da una vecchietta che produceva sigari. Tutt’ora odio l’odore del fumo, ma vado in fibrillazione a quello del tabacco: il veder arrotolare una foglia, e tutto ciò che c’è dietro, e il suo odore, la definirei una delle cose che più mi sono piaciute. Infine, dopo un paio di giorni ci siamo uniti a un gruppo di teatranti italiani, che recitavano Pinocchio in giro per Cuba, con la marionetta che parlava in toscano (ride), e che ho adorato! A parte quando mi hanno costretto la prima volta a recitare Pinocchio bambino (io, con tanto di genitori saltimbanchi, sono timida). In pulmino, mentre viaggiavamo per l’isola, era tutto un recitare, un giocare, un fare la marionetta, e alla fine anch’io mi sono appassionata. Penso che se li potessi rivedere farei di tutto per fuggire con la compagnia! Vorrei poter scrivere di ogni incontro, ogni meraviglia di Cuba, ma credo di aver finito le pagine a mia disposizione, e il tempo che mi ha fornito mia madre. Ah Cuba, che linda es Cuba!!

Tra le vie dell’Avana Vecchia

Syusy: Il 27 ottobre 1492 a Cuba sbarcò Cristoforo Colombo, dichiarando di avere scoperto un’isola che era già abbondantemente e lungamente abitata dagli Indios Taino che la chiamavano già così: Cuba. La birra cubana a tutt’oggi è dedicata ad Hatuei, cioè all’indio che per primo non cedette alla colonizzazione e lottò per l’indipendenza dell’isola, perché questo è lo spirito del luogo, uno spirito ribelle e indipendente, fiero di qualche cosa che in passato è stato grande, come se questa isola e le isole Bahamas che stanno poco sopra fossero veramente il luogo della misteriosa Atlantide. Mentre suo figlio Ernesto e Zoe guardavano assieme il film a cartoni della Disney Atlantide, ho chiesto a Debora Andollo, cubana, primatista mondiale di immersione in apnea, se aveva mai visto qualche reperto atlantideo sul fondo marino e lei mi ha detto che effettivamente Cuba è Cuba perché qui c’è qualche cosa di speciale, che genera un orgoglio irriducibile. Gente così ha voglia di primeggiare e di distinguersi. I cubani sono i medici più bravi dell’America Latina, hanno un’assistenza pubblica gratuita invidiabile (come ha ampiamente dimostrato nel suo ultimo documentario Michael Moore). L’ho constatato anch’io: appena arrivata Zoe si sente male, ha mal di pancia, io penso alla Deng, una specie di influenza che si prende con la puntura di una zanzara e che può essere grave, ma arriva subito il medico e dice che non è niente, solo diarrea del turista, ma intanto per la città affumicano macchine e quartieri per debellare la zanzara, ci sono squadre di giovani che girano allegramente per le strade con una specie di lanciafiamme tipo ghostbuster che produce fumo e disinfetta. Io e Zoe percorriamo il centro della città vecchia. Lei si è messa in testa di tenere un diario in diretta, ogni cosa che vede l’annota subito, tanto che se cambiamo idea o itinerario all’improvviso, lei si trova a dover cambiare quello che ha scritto. Scrive dappertutto, anche per terra, e prende nota di tutte le cose del Che che vede in giro. Mi dà appunto anche una sua interpretazione del personaggio: «è come un loro santo perché ha salvato l’isola dal cattivo che voleva tenere tutto per sé e non dare niente agli altri». Aveva 7 anni e aveva un’amica con la mamma particolarmente politicizzata, credo sia stata lei a raccontarle la storia di Che Guevara… Comunque siamo qui nel centro dell’Avana che è da visitare assolutamente, per vedere anche come procede l’operazione che ha un’importanza internazionale: la ristrutturazione del centro storico. Rimasto fermo, miracolosamente, al periodo pre-rivoluzione, quindi agli anni ’50, il centro dell’Avana è un esempio splendido di architettura decò. Il governo cubano ha iniziato un’operazione di recupero e di restauro, ma senza dimenticare l’identità del quartiere: non ha permesso speculazioni di banche o di nuovi ricchi ma viceversa, dopo la ristrutturazione, ha restituito le case agli abitanti che ci sono sempre stati. Giravamo per il centro con una sensazione positiva di luogo ancora vero,abitato da bambini che fanno rumore, da gente che si gode un luogo bello che era dei ricchi cubani all’epoca di Batista, e che da ora in poi sarà loro. Che differenza dai nostri centri storici “riqualificati”, cioè spogliati dai loro abitanti e diventati centri commerciali con boutique chic e banche fredde e antipatiche ovunque!

Gli dei della santeria

Syusy: All’Avana bisogna farsi portare a vedere anche i quartieri più periferici, magari fermandosi in qualche edicola di qualche madonna o santo, immagini sincretizzate della Santeria. La Santeria è un fenomeno molto importante, dal punto di vista culturale e religioso, che ha una grande influenza sulla vita dei cubani. Io, tra un cortile dove si pratica la box, un gruppo di musicanti che prova sulla strada e un gruppo di ragazzi che si esercita nei giardinetti pubblici a judo, sono arrivata alla chiesa di S. Maria del Carmen, tutta vestita di bianco come O’Batalà, una delle figure sacre appunto della Santeria. Un’amica mi ha portata a conoscere due santeri. L’amica, ex ballerina della rivista, si fece male alla schiena e chiese chi poteva aiutarla. Le rispondono: Jemangià (la dea delle acque) e così diventò una sua devota, organizzando anche incontri e feste in onore di tutti gli dei della Santeria, che poi non sono altro che gli idoli dei neri africani della tradizione Jouruba, arrivati con gli schiavi dal Togo e dal Benin e poi mimetizzati (sincretizzati) sotto l’aspetto dei santi cristiani. Ma quegli dei (come ho visto poi nella cerimonia Woodo che ho seguito a Lomè in Togo) sono a loro volta molto simili agli dei egizi e sumeri. E “chiamarli” ogni tanto, attraverso il trance per farli partecipare alla vita degli esseri umani, è un modo per tenerli buoni e farli essere il tramite tra noi e il grande capo che sta lassù in cielo. In questo, appunto, consiste il Woodo. La dea che rappresenta più di altri Cuba comunque è Ochun. Il suo colore è il giallo, è la più cocotte tra le divinità, ama le belle cose, i profumi e bisogna chiamarla con un campanellino dal suono flebile e dolce. Se ci si chiede chi è il suo uomo, tra i vari dei, si deve dire… Tutti! E quindi, in un certo senso, questo la fa assomigliare alla Histar dei Sumeri. Ma ama soprattutto Xangoo, il dio guerriero, e questo l’accomuna a Venere… Lei però non è solo leggera: certo mostra sempre un volto allegro alla vita, ma è l’uni-ca tra gli Dei che è volata così in alto da poter vedere il vero volto di Dio.

In viaggio verso Santiago con il pulmino in panne

Syusy: Durante il giro del mondo che abbiamo fatto dal 2002 al 2004, la barca con a bordo Patrizio, dopo la traversata atlantica, stava arrivando a Cuba da Santo Domingo. Dovevamo incontrarci a Santiago de Cuba e quindi noi – io e Zoe che arrivavamo da Avana – dovevamo attraversare tutta l’isola da ovest a est. I chilometri non sono tanti, ma a Cuba quando si tratta di trasporti, niente è facile e scontato. Ricordate il fi lm Guantanamera di Tomas Gutierrez Alea, in cui si raccontava un avventuroso e ironico viaggio per l’isola a bordo di un carro funebre? Noi per fortuna facciamo il viaggio con la cooperativa teatrale delle Briciole di Parma, che porta in giro uno spettacolo su Pinocchio. Mi ricordo la lunga strada quasi deserta che taglia in due l’isola e che passa tra i campi coltivati, la fi la della gente che aspetta un passaggio e che purtroppo noi come turisti non possiamo caricare. La mancanza cronica di carburante dovuta all’embargo e ai pochi soldi che chi lavora normalmente (e non per il turismo) guadagna, costringe la gente a spostarsi riempiendo le poche automobili e i trasporti pubblici (forse un anticipo di quello che ci aspetterà quando anche da noi di petrolio proprio non ce ne sarà più). E vedere dal vivo l’anticipazione di un futuro più o meno apocalittico (a seconda dei punti di vista) è una cosa in ogni caso molto istruttiva. Una cosa che colpisce è che non ci sono pubblicità per strada, penso per esempio agli enormi cartelli pubblicitari che ho visto sulla strada di Lima in Perù, pieni di gente che fa la bella vita, che fanno contrasto con le favelas che stanno ai bordi della stessa strada. A Cuba la pubblicità è governativa e si potrebbe chiamare, in un certo senso, pubblicità progresso. Già la prima volta che ci sono stata c’erano cartelli che incitavano al riciclo, al risparmio energetico, ecc. Anche noi comunque proviamo il brivido di ritrovarci ai bordi della strada con il pulmino in panne. Abbiamo trovato rifugio da un contadino lì vicino, che non aveva proprio niente! Era rimasto in campagna, solo con la moglie, dopo che i figli si erano trasferiti in città per trovare lavoro. La canna da zucchero è in crisi e non rende più niente e un singolo contadino non ce la può fare a sbarcare il lunario. Per fortuna abbiamo trovato un passaggio su una macchina anni ’50 americana che ora serve ai contadini per spostarsi e trasportare gli animali. Quelle macchine, fotografate e pubblicizzate più delle belle ragazze, sono diventate un simbolo della Cuba turistica, ed è proibito esportarle all’estero. Il pulmino poi è stato aggiustato e tutti assieme, con Pinocchio, siamo arrivati alla Cooperativa agricola teatrale.

Nella cooperativa agricola teatrale

Syusy: È interessante visitare una cooperativa agricola: tutto qui ha il sapore del fai da te collettivo. Spesso, per necessità, al posto del camion si deve usare il carretto col cavallo. Ogni decisione all’interno del collettivo è ponderata da tutti partendo, perché no, da considerazioni anche etiche oltre che economiche. Una cosa impensabile da noi, dove regna il profitto innanzi tutto. La mensa è collettiva: è inutile cucinare individualmente. Perché avere 100 frigoriferi quando ne serve solo uno grande? Perché andare tutti alla spesa quando si può pianificare assieme? Ne soffre l’individualismo, ma sai che comodità?! Ma la cooperativa era appunto teatrale, anzi credo che tutto il resto sia nato allo scopo di far essere autonomi tutti gli attori e tecnici del gruppo che produce spettacoli che non sono lo Zelig televisivo di turno, ma il frutto di analisi sociali di ciò che sta avvenendo a Cuba. In quel momento avevano in scena uno spettacolo sull’identità cubana. Il tema era come non perderla. Perché anche a Cuba rischia di succedere quello che succede ovunque, che è già successo: cioè che il turismo ha trasformato i luoghi e le persone in gente che si è abituata a vendersi, in tutti i modi, falsando anche le proprie caratteristiche e abbassando la soglia della propria dignità. Finiremo tutti col sorriso forzato come vuole la pubblicità del cubano allegro? Questo si chiedevano i membri della Cooperativa teatrale nel loro spettacolo. Sembra che questa eventualità facesse loro schifo. Per me quell’incontro è stato un ribadire anche la mia crisi nel vivere in una società pubblicitaria dove tutto si vende e tutto risponde a regole di mercato. Ma a ripensarci ora, è stato ancora più importante verificare come questa gente tentasse di organizzarsi economicamente in modo autosufficiente: nella comunità c’erano carretti al posto di trattori, c’erano mense comuni, c’erano orti biologici. Quindi adesso che rischiamo anche noi di rimanere senza benzina, adesso che siamo nel pieno della crisi economica, adesso che il capitalismo sembra essersi fatto fuori da solo e che la società dei consumi ha un arresto, adesso Cuba, quello che è stata Cuba per il mondo, è ancora più attuale. Perché non ci sono più tornata? Ah, Cuba, che linda es Cuba!