Tra le 1000 chiese di Roma ce n’è una che rappresenta al meglio l’eleganza e lo stile del Barocco
Contare le chiese di Roma è praticamente impossibile, soprattutto se si parla delle numerosissime opere barocche disseminate in ogni angolo della città. Ma ce n’è una, un po’ nascosta e non proprio nota a tutti, che rappresenta la quint’essenza del capolavoro barocco: oggi vi racconto Sant’Ivo alla Sapienza, un’opera realizzata da Francesco Borromini, architetto grandioso e uno dei principali esponenti della corrente barocca, di origini svizzere ma che ha principalmente operato a Roma. L’unico difetto di Borromini? Essere vissuto nella stessa epoca (il XVII secolo) di Gian Lorenzo Bernini…ma questo ve lo racconto più tardi.
Indice dei contenuti
Come realizzare un un’opera eccellente: manuale
Il portico di Giacomo Della Porta
Correva l’A.D. 1632 quando Francesco Borromini, appena trentatreenne, venne nominato architetto del palazzo della Sapienza, sede storica della rinomata università romana situato nel rione Sant’Eustachio, a due passi dal Panteon per intenderci. La prestigiosa istituzione commissionò subito a Borromini la realizzazione della chiesa del complesso accademico, che doveva sorgere a ridosso del porticato realizzato qualche decennio prima da Giacomo Della Porta, un vero big nel manierismo italiano. Il cantiere si prolungò per poco meno di 20 anni, dal 1642 al 1660, e il risultato fu decisamente all’altezza delle aspettative. Era nato un capolavoro del barocco, di Roma e di tutta la storia dell’arte.
Un capolavoro del barocco “stellare”
La forma stellare è ben visibile dalla pianta
Eh già, un gioco di parole degno delle barzellette impresse sul noto biscotto gelato per introdurvi la geniale soluzione di Borromini per la pianta di Sant’Ivo alla Sapienza: una pianta centrale raffigurante una stella a sei punte. Se il barocco è sinonimo di dinamismo e movimento della materia, in Sant’Ivo questa peculiarità viene portata al massimo della propria espressione. In questo edificio sacro, infatti, ogni elemento, ogni dettaglio è puro movimento e tutti insieme si fondono in una sinfonia armonica di marmi e stucchi che lascia lo spettatore a bocca aperta.
Un continuo turbinio di candida materia
Il ritmico dinamismo della facciata
Obiettivamente non riesco a trovare un modo più efficace per iniziare a descrivervi gli alzati di questo strepitoso edificio. La facciata, seppur in qualche modo costretta fra i due lati del lungo portico, riesce comunque a trasmettere un dinamismo pazzesco, grazie soprattutto all’audace forma concava donatagli dall’artista, che farà scuola nel mondo del barocco e oltre; i due registri sovrapposti rendono estremamente armonico l’alternarsi ritmico delle finestre, interrotto nella sezione inferiore dalla porta di accesso e nel registro superiore da un ampio finestrone. La scelta dei materiali di colore bianco candido e di tonalità molto chiare esalta la purezza dell’architettura che resta la forma d’arte predominante in tutto il complesso. L’edificio si sviluppa in altezza grazie al massiccio timpano e alla lanterna, che si sviluppa in un movimento perpetuo a spirale, costantemente protesa verso il cielo.
La pala di Pietro da Cortona domina lo spazio del celebrante
L’interno è un tripudio di bianco con pregevoli finiture in oro. Le nicchie vuote lasciano intendere la volontà di creare spazi per altre opere (probabilmente scultoree) mai realizzate. La grande pala d’altare di Pietro da Cortona, dedicata a sant’Ivo protettore degli avvocati, domina l’area destinata alla celebrazione dell’eucarestia. Tutto il resto del grande ambiente unico è un fulgore di elementi architettonici, in cui i numerosi richiami al classico si uniscono con le seducenti curve barocche in un matrimonio di pura estasi artistica. Mettendovi al centro e alzando il capo potrete ammirare la sezione della cupola che riprende in tutto e per tutto la pianta di questo indiscusso capolavoro del barocco; la leggerezza delle architetture dona all’edificio una consistenza quasi eterea, espressione massima della connessione dell’uomo con Dio.
Storia di una convivenza difficile
In questi pochi metri le anime dei due geni vivranno insieme per sempre
Francesco Borromini è stato un grande architetto e oggi gli vengono tributati tutti gli onori riservati solo a chi ha veramente lasciato il segno nella storia dell’arte. Tuttavia, strano ma vero, nel Seicento a Roma lui non è mai stato (o meglio, quasi mai) la prima scelta; sì perché, dovete sapere, che proprio in quello stesso periodo e nella stessa città, sede del Vicario di Cristo in Terra e centro nevralgico del mondo di quel tempo, operava un altro grande: Gian Lorenzo Bernini, passato alla storia per la fabbrica di San Pietro e per aver passato numerosi decenni sulla banconota da 50.000 Lire.
Immaginate ora due geni di pari valore, di cui uno con una formazione accademica importante ma di carattere schivo e introverso (Borromini) e l’altro, invece, architetto de facto (senza titolo universitario, al tempo non necessario) ma con un carattere esuberante ed esplosivo (Bernini). Chi, tra i due, riuscirà ad avere le commesse migliori e più prestigiose? Neanche a dirlo, la storia dell’arte parla da sé. Ed ecco quindi che se, da un lato, Bernini mutava il volto della Roma dei papi grazie alla lunghissima serie di edifici da lui progettati, a Borromini venivano principalmente assegnati cantieri di restauro e ammodernamento; intendiamoci, non roba da quattro soldi eh…restauri come quello di San Giovanni in Laterano, ma pur sempre e solo restauri. Tuttavia, quelle poche volte che riuscì a farsi assegnare un lavoro proprio i risultati furono capolavori assoluti e completamente fuori concorso come Sant’Ivo alla Sapienza.
Il finale è decisamente da dramma shakespeariano
L’incoronazione al soglio di Pietro di papa Alessandro VII Chigi (1655) rappresentò il principio della fine professionale di Borromini che, ostracizzato dal mondo artistico romano, cadde in una profonda depressione che, il primo agosto 1667, lo condusse a compiere l’estremo gesto che lo condurrà alla morte. Fu una fine dolorosa e orrenda, specchio di una vita altrettanto frustrante e grama: egli, infatti, si trafisse con la propria spada, senza però trovare subito il conforto della morte. Ebbe infatti il tempo, durante le lunghe ore di agonia (morì il 2 agosto), di raccontare di aver compiuto tale gesto “perché affranto da mali morali e fisici”. Così si spegneva la triste di vita del più grande architetto che abbia mai calpestato l’italico suolo.