L’ultimo viaggio di Fidel

Cuba tra il ricordo del Líder Máximo e lo sguardo verso il futuro
Patrizio Roversi, 01 Mar 2017
l’ultimo viaggio di fidel
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E così Fidel è partito per l’ultimo viaggio. E non è solo una metafora: le ceneri di Fidel Castro hanno viaggiato per tutta Cuba, prima di trovare pace, simbo­licamente, accanto alla tomba di Josè Martì, a Santiago de Cuba.

E non è un simbolo a caso: Martì – vissuto nella seconda metà dell’800 – nonostante fosse figlio di spagnoli, è stato l’eroe cubano per eccellenza, che ha subìto il carcere e poi ha dato la vita per l’indipendenza di Cuba dagli spagnoli, e si oppose fin da allora ad un protettorato degli Stati Uniti sull’isola caraibica. Assieme all’Indio Hatuey – sì, quello che sta sopra le lattine di birra locale, che fu a sua volta un eroe della lotta per l’indipendenza di Cuba dagli Spagnoli nel 1500 – Josè Martì è innanzitutto un eroe nazionalista, e per i cubani rappresenta l’identità e l’orgoglio nazionale. E Fidel Castro, a sua volta, è stato prima di tutto un nazionalista cubano, che ha fatto la Rivoluzione per liberare Cuba dal dominio coloniale nordamericano. Poi, tutta una serie di circostanze l’hanno fatto diventare socialista, soprattutto grazie alla lotta senza quartiere che gli USA gli hanno scatenato contro. Perché diciamo questo? Perché anche e soprattutto in occasione della sua morte i commenti dei media e anche di autorevoli commentatori sono stati oltremodo superficiali nei suoi confronti: l’hanno definito un dittatore, che ha regalato al suo popolo un’istruzione e un livello di sanità molto alti per essere in America Latina, ma in cambio ha condannato tutti alla miseria e soprattutto soffocato nel sangue qualunque dissenso, vanificando completamente i suoi ideali. Francamente, come analisi lascia molto a desiderare: Cuba e Fidel meritano molto di più, sia per capire i suoi (molti) errori che le sue motivazioni pratiche e ideologiche. Ma noi, guarda caso, siamo solo turisti (per caso) e ci limiteremo a ricordare i diversi viaggi che abbiamo fatto a Cuba. Durante i quali qualche cosa abbiamo visto, e forse intuito…

IL PERIODO SPECIALE

La prima volta che siamo andati a Cuba era il 1994. È stato uno dei nostri primissimi viaggi come Turistipercaso. Abbiamo fatto un primo filmato, girato da noi stessi e poi montato dal nostro amico Giuseppe Ghinami, che in futuro sarebbe stato il nostro principale complice. C’era anche Zoe, nostra figlia, ma era nella pancia della mamma, al quinto mese di gravidanza. La prima notte a Cuba, nel vecchio e maestoso, ma sgarrupato Hotel National non abbiamo dormito, a causa del canto di molti galli e lo sgrufolare di diversi maiali. Galli e maiali, in centro all’Avana?

Il giorno dopo abbiamo scoperto che su tutti i balconi e sulle terrazze delle case si allevavano animali, per combattere le ristrettezze del “periodo especial”. Erano i tempi in cui veniva meno l’aiuto dell’Unione Sovietica e soprattutto era devastante la morsa dell’embargo americano. A Cuba, per i cubani, non c’era niente. I generi di prima necessità venivano distribuiti con la libreta, la tessera, come quella che i nostri padri usavano in Italia durante la Guerra. Ma con la libreta si prendeva ben poco: lunghe file davanti ai negozi statali e le derrate alimentari finivano presto. A fronte di una classe di medici bravissimi e molto qualificati, non c’erano medicinali, nemmeno le anestesie per i dentisti. Ma nonostante questo, sinceramente, lo spirito prevalente della gente era positivo e ottimista, sorretto da un grande orgoglio e da un gran carattere. Per cui non c’era disperazione, ma moltissima dignità, e persino allegria. Sui muri, vicino ai ritratti del Che, grandi cartelli con slogan tipo todo sierve, todo se recupera, ed era tutto un aggiustare e un riciclare, a partire dalle vecchie e maestose automobili degli anni 40 e 50.

 

LE VOLONTARIE PARA EL TURISMO

Per i turisti, i primi che cominciavano ad affollare l’isola, c’era viceversa quasi tutto. C’erano negozi riservati appunto agli stranieri, dove si pagava in dollari. E c’era questa doppia economia, in pesos e in dollari. In teoria un peso valeva un dollaro, ma ovviamente era una pura convenzione, visto che chi aveva pesos non poteva cambiare in dollari e comunque non poteva spenderli apertamente nei negozi per stranieri. Eravamo stati da poco anche in Brasile, dove la prostituzione dilagava. A Cuba no, a Cuba sembrava che le ragazze socializzassero più o meno spontaneamente con lo straniero. E il Governo combatteva la prostituzione, tanto che il bar sulla terrazza del nostro albergo era stato chiuso, per traffici sospetti. In compenso, Fidel definiva le ginetere, cioè le donne libere che avevano rapporti col turista “volontarie para el turismo”, con la sua consueta ironia. Ironia che lo ha portato, a quel tempo, a inaugurare un grande albergo a Varadero, che già era una co-produzione cubano-spagnola, che aveva un cortile interno con tutte le camere che si affacciavano, dicendo che “gli ricordava il supercarcere dove era stato rinchiuso prima della Rivoluzio­ne. Tornando alla doppia economia (peso per i locali, dollaro per gli stra­nieri) ci faceva una certa impressione fare la coda per un gelato accanto ai cubani, per poi scoprire che loro avevano diritto a un solo gusto, e noi a tre diversi. Ed era impressionante vedere come un taxista, che prendeva mance in dollari, era immensamente più ricco di un chirurgo, che viceversa doveva accontentarsi di un magro stipendio in pesos.

IL VETERINARIO DELLE MOTO

In quel primo viaggio a Cuba abbiamo incontrato diversi amici. Prima di tutto Gianfranco Ginestri, amante di Cuba, autore di una serie di guide culturali e turistiche, che ci ha ac­compagnato in giro per l’isola, raccontandoci un sacco di cose. E poi Roberto Perini, disegnatore satirico di Tango e di Cuore, che allora viveva a Cuba. Innamorato anche lui di Cuba e dei cubani, ma naturalmente molto critico nei confronti della burocrazia locale: ci ha raccontato che quando si è fatto spedire la sua moto dall’Italia, l’hanno tenuta alla dogana per mesi. Tra l’altro, l’hanno sottoposta alla visita di un… veterinario, per controllare che non avesse i pidocchi o altri parassiti. Tra gli altri, abbiamo conosciuto anche Zoe Valdès, che allora era una giovane scrittrice che era già stata all’estero a studiare, ma poi era tornata. Era già una convinta dissidente: successivamente sarebbe espatriata in Francia, dove poi è diventata una scrittrice affermata e famosa. Ci diceva che a scuola, per i giovani, era insopportabile la pressione psicologica, perché aderissero a modelli di comportamento molto difficili: “non possiamo essere tutti come Che Guevara!” A proposito di Che Guevara, abbiamo incontrato – con molta emozione – anche sua figlia Hilda. È stato un incontro breve, molto tenero: nessuno di noi due ha avuto il coraggio di chiederle del padre, che peraltro lei si è goduta ben poco, soprattutto dopo aver incontrato Zoe Valdès: se il mito del Che era pesante per un qualsiasi giovane cubano, figurarsi per sua figlia. Purtroppo, abbiamo saputo successivamente che anche Hilda, come suo padre, morì giovane, alla stessa età di lui: 39 anni.

 

IL MALECÓN

Come tutti i turisti, ci siamo incantati davanti al Malecón, il lungomare dell’Avana, con i suoi palazzi colorati e le onde che s’infrangono e spruzzano la strada. Ma tutto il centro storico della città è uno spettacolo, da tutti i punti di vista: i palazzi, l’atmosfera post-coloniale e – ancora una volta – la gente. Era già iniziata allora un’opera di restauro del centro storico, a cura di organizzazioni straniere (anche italiane, in particolare la regione Emilia Romagna e la regione Lombardia). Ma il Governo cubano a quel tempo stava molto attento a non trasformare la composizione antropologica della città: in genere quando si ristruttura un vecchio quartiere, poi cambiano i suoi abitanti. I “vecchi” vengono espulsi e i palazzi rinnovati vengono occupati da altri, più ricchi. Nel caso del centro dell’Avana invece s’è cercato di lasciare gli stessi abitanti. Noi abbiamo esplorato con grande curiosità i vicoli dell’Avana vecchia, trovando sempre gente disponibile al dialogo. Siamo entrati in biblioteche e in alcune delle numerosissime palestre: in una si faceva pugilato e judo. L’atmosfera era molto decadente, ma estremamente affascinante. Io-Syusy, ho incontrato anche alcuni cultori della Santeria, la contaminazione locale fra cattolicesimo e divinità tradizionali. Poi naturalmente non ci siamo fatti mancare i luoghi cari a Hemingway, dove lui andava a bere il suo moijto, a cominciare dalla famosissima Bodeguita del Medio, che già allora era strapiena di turisti. Il primo viaggio a Cuba è stato per noi l’occasione per conoscere i Caraibi, ma soprattutto per toccare con mano la realizzazione di un sogno “rivoluzionario”, che per la nostra generazione è stato un mito pieno di significati ideologici. Le contraddizioni che abbiamo incontrato erano molte e profonde, ma il mito ha sostanzialmente retto: la dignità dei cubani, la qualità dei servizi e dell’istruzione nonostante la povertà e il perdurare, nonostante tutto, di uno spirito nazionale, ci hanno conquistato.

 

ADRIATICA A SANTIAGO DE CUBA

Nel 2002 siamo tornati a Cuba, in occasione del nostro Giro del Mondo in barca. Io-Patrizio, dopo aver attraversato l’Atlantico e aver toccato terra ad Antigua e poi ad Haiti, sono arrivato con Adriatica nel porto di Santiago. E a proposito di Antigua e Haiti: dopo aver toccato con mano da una parte lo sviluppo turistico che ha occidentalizzato parte dei Caraibi, e dall’altro la miseria haitiana, peggiore di qualunque Paese africano, non ho potuto fare a meno di apprezzare l’equilibrio la qualità dello sviluppo cubano, sia pure con tutte le su pecche. Il nostro skipper, Marco, con il suo itagnolo di vago sapore sardo, quando arriviamo chiede di avanzare nel canale, chiede se c’è pescaggio per la nostra chiglia di 3,80 e per radio rispondono “Adelante!”. Facciamo dieci metri e… crash! Ci areniamo sul fondale sabbioso. A quel punto ci vengono incontro quattro militari, rigidi e dignitosissimi, in… pedalò. Salgono a bordo e ci controllano tutto, da cima a fondo, per ore, sigillandoci i frigoriferi e la cambusa per evitare contaminazioni. Dopodiché ci avvertono che il nostro capitano deve andare in città, a Santiago, a fare tutta una serie di pratiche. Allora l’astuto Marco gioca le sue carte: prende il funzionario da parte e gli propone 100 dollari chiedendogli semplicemente un aiuto: con questi soldi magari lui trova un corriere che noleggia un taxi e ci risolve le pratiche… Una bella pensata, un’ottima giustificazione. Ma il funzionario, cortesemente, dice che lui i nostri dollari non li vuole. Alla faccia del luogo comune sulla corruttibilità dei Latinos. Poi in realtà abbiamo dovuto affrontare più volte la burocrazia cubana, che alla fine ci è sembrata asfissiante, ma sempre abbiamo apprezzato la gentilezza e l’integrità dei funzionari. In occasione di quel viaggio, con Adriatica, abbiamo navigato lungo tutta la costa a Sud di Cuba, fino all’isola della Gioventù, apprezzando moltissimo i tanti cayos, le isolette caraibiche da cartolina.

L’ISOLA DELLA GIOVENTÙ

In quel viaggio c’era anche nostra figlia Zoe, che allora aveva otto anni. Noi abbiamo avuto la fortuna di conoscere e intervistare Deborah Andollo, primatista mondiale di immersione in apnea, con la quale io-Patrizio mi sono immerso nei fondali corallini dell’isola (io con le bombole, lei in apnea, simile davvero a una Sirena). E Zoe ha avuto il privilegio di avere una maestra eccezionale, per la sua prima immersione con pinne e mascherina… Abbiamo poi visitato un ospedale per tartarughe marine, all’interno della zona protetta del parco. Ma l’esperienza più bella per lei è stata giocare coi bimbi cubani. Noi, lasciata Adriatica per qualche giorno, siamo scesi a terra. Era già epoca di particular, cioè di affittaca­mere privati, che erano di fatto tollerati. Abbiamo dormito presso una famiglia, e la sera i bambini giocavano per strada. Zoe – che era in realtà timidina e soprattutto non parlava una parola di spagnolo – venne talmente coinvolta, rassicurata, divertita dal carattere dei bimbi cubani, che alla fine decise che a scuola avrebbe studiato le lingue. Cosa che poi ha effettivamente fatto! Da allora le è nato un amore sincero per Cuba e soprattutto per i cubani. Abbiamo avuto anche la fortuna di partecipare a feste locali, piene di musica e di energia. Nonostante le condizioni di vita – sia pure migliori rispetto a otto anni prima, durante il Periodo Speciale – non fossero certo rosee. Una timida apertura al mercato aveva però iniziato a diffondere un mi­nimo di benessere, dovuto soprattutto al turismo.

 

LA COMUNE AGRICOLA

Io-Syusy, in occasione di quel viaggio, ho attraversato (sempre con Zoe) praticamente tutta l’isola, via terra, dall’Avana a Santiago. La Cuba agricola, la Cuba degli uomini in giallo che fermavano le macchine per dare dei passaggi alla gente che lungo le strade si spostava, in perenne ricerca di un mezzo di trasporto, con le strade in realtà piene più di carretti e di cavalli che di autobus o di camion adibiti a trasporto passeggeri. Ho seguito una compagnia teatrale di Parma, Il teatro delle Briciole, che faceva un tour per Cuba, portando in giro uno spettacolo su Pinocchio, tradotto in spagnolo. E sempre grazie alla regione Emilia Romagna, che organizzava il gemellaggio, siamo andati anche a fare una sorta di spettacolo sulla Lirica, in una delle tantissime scuole di musica di Santiago. Ma l’incontro più interessante è stato con i componenti di una Comune Teatrale-Agricola locale, che si son dimostrati molto critici con l’orientamento che aveva preso già allora lo sviluppo cubano, a loro dire troppo sbilanciato verso il turismo. Secondo loro, Cuba, contando troppo sul turismo, si sarebbe culturalmente snaturata: bisognava piuttosto sviluppare l’agricoltura e l’auto-sostentamento alimentare. Da un punto di vista agricolo, Cuba, dal 1994 al 2002, aveva già promosso un bel cambiamento. Infatti, negli anni 90 c’era ancora una situazione che risentiva del rapporto privilegiato con l’URSS: tutta la terra era dedicata a una monocultura, cioè alla canna da zucchero, che Cuba esportava in Unione Sovietica in cambio di petrolio. Questo aveva impoverito enormemente sia i contadini che la terra e una volta collassata l’URSS, aveva di fatto affamato i cubani. Otto anni dopo, l’agricoltura cubana si era finalmente diversificata.

L’ULTIMO VIAGGIO

Qualche tempo fa, io-Syusy e Zoe, ormai ventenne, siamo tornate a Cuba. E abbiamo trovato tracce di uno sviluppo prevedibile: alberghi e strutture turistiche, villaggi turistici accanto ai villaggi veri e propri. Ma anche segnali di uno sviluppo controllato e ben orientato: pannelli fotovoltaici, energie rinnovabili, ripristino di zone naturalistiche. Zoe ha incontrato all’università delle esperienze molto interessanti e avanzate. Abbiamo anche cercato di porre le basi per un ritorno di Adriatica a Cuba, come barca-turistica, ma poi ci abbiamo rinunciato, perché i problemi burocratici sono un po’ sempre gli stessi, e piuttosto scoraggianti. E la domanda era già quella che, adesso, è più che mai d’attualità: come sarà Cuba dopo Fidel? Adesso Fidel non c’è più, e nel frattempo a Cuba sono arrivati tre papi e un presidente USA. Ma quel presidente non c’è più neanche lui, e ne è arrivato un altro che da una parte minaccia di mandare a ramengo il timido processo di distensione che si era creato, e dall’altra – da bravo affarista – minaccia soprattutto di aprire a Cuba solo eventualmente in cambio del via libera a investimenti che rischiano di riportare alla situazione pre-Rivoluzione, pre 1959, cioè alla Cuba di Batista. Se non proprio il postribolo degli USA, certamente una sorta di Nuova Florida e di divertimentificio caraibico. E torniamo alle considerazioni iniziali: il nocciolo della questione cubana è l’orgoglio di questo piccolissimo Paese che ha voluto marcare, per 60 anni, la propria diversità. E tutto il dibattito (così superficiale) su Fidel eroe o dittatore sta lì: nel tentativo di sopravvivenza di un modello sociale del tutto diverso da quello dominante nelle Americhe e ormai in tutto il mondo, fatto di libero mercato e consumo. Riuscirà Cuba a restare se stessa, con lo stesso orgoglio dell’Indio Hatuey, di Josè Martì e di Fidel Castro? Ci vuole un altro viaggio per andare e vedere…

 

Syusy & Patrizio