Transmongolica da Mosca a Pechino

In treno attraverso la taiga siberiana e la steppa mongola
Scritto da: Anna Caimi
transmongolica da mosca a pechino
Partenza il: 09/08/2015
Ritorno il: 31/08/2015
Viaggiatori: 2
Spesa: 3000 €
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Anna e Simone Transmongolica 9 – 31 agosto 2015

Riassunto del viaggio

09/08/2015 Milano – Mosca

10/08/2015 Mosca

11/08/2015 Mosca – Vladimir

12/08/2015 Vladimir – Ekaterinenbourg

13/08/2015 Ekaterinenbourg – Novosibirsk

14/08/2015 Novosibirsk – Irkutsk

15/08/2015 Irkutsk – Khuzir

16/08/2015 Khuzir 17/08/2015 Khuzir

18/08/2015 Khuzir – Irkutsk 19/08/2015 Irkutsk – Ulan Ude

20/08/2015 Ulan Ude

21/08/2015 Ulan Ude – Ulaanbatar

22/08/2015 Ulaanbatar

23/08/2015 Gher to Gher (Mongolia)

24/08/2015 Gher to Gher (Mongolia)

25/08/2015 Gher to Gher (Mongolia)

26/08/2015 Gher to Gher (Mongolia) – Ulaanbatar

27/08/2015 Ulaanbatar – Erlian

28/08/2015 Erlian – Pechino

29/08/2015 Pechino

30/08/2015 Pechino

31/08/2015 Pechino

01/09/2015 Pechino – Milano

COSTI DEI TRASPORTI (per due persone)

Milano – Mosca (aereo) – 260 euro

Mosca – Irkutsk (treno) – 360 euro

Irkutsk – Ulan-Ude (treno) – 34 euro

Ulan-Ude – Ulaanbatar (bus) – 40 euro

Tour Mongolia (bus, jeep, cavallo, cammello) – 500 euro

Ulaanbatar – Pechino (treno) – 400 euro

Pechino – Milano (aereo) – 960 euro

PREZZI ALBERGHI (prezzi per la camera doppia)

9-10 agosto Mosca – Happy Hostel – 60 euro complessivi colazione compresa

11-12-13-14 agosto – treno – gratis

15-16-17 agosto Isola di Olkhon -Baikalsky plyos – 166 euro complessivi compresa colazione

18 agosto – Irkuts – Albergo Baikal- 40 euro a notte compresa colazione

19 agosto – Ulan Ude – Albergo infimo – 20 euro a notte

20 agosto – Ulan Ude – Hotel Melkishinon – 30 euro a notte

21-22-26 agosto – Ulanbataar – Golden Gobi – 84 euro complessivi compresa colazione

23-24-25 agosto – accampamenti mongoli – compreso nel viaggio Gher to Gher

27 agosto – treno – gratis

28-29-30 agosto – Pechino – Double Happiness Cortyard Hotel- 313 euro complessivi compresa colazione

Consigli di viaggio

Non farsi impressionare dai lunghi tempi di percorrenza dei treni, il clima a bordo fa sì che il viaggio non sia per nulla noioso, nè stancante

Spendere un po’ di tempo al finestrino del proprio vagone sorseggiando un the e godendosi il panorama circostante

Cercare di adeguarsi il più possibile alle abitudini e agli stili di vita locale

Partire e basta

9 agosto 2015

Si parte da Milano Malpensa alle 15:40 con la compagnia di bandiera moldova, la Air Moldova e dopo un velocissimo scalo a Chisinau alle 21:55 (ora locale) siamo a Mosca all’aereoporto Domodedevo per la prima tappa del nostro viaggio di quest’anno. Dopo le formalità doganali, che da quello che avevamo letto prima della partenza, pensavamo fossero molto più puntigliose, prendiamo un rapido treno che ci porta fino alla stazione centrale, dove da qui proseguiamo con un taxi sino all’ostello prenotato da casa. Arrivati a destinazione ci accorgiamo però che il tassista è un po’ spaesato, essendo all’indirizzo giusto, ma non trovando l’ostello da noi indicato. Iniziamo quindi a rivolgerci a tutti i passanti della via, tra cui anche un gruppetto di ragazzi appena usciti da un ristorante che, incuriositi dal nostro viaggio, hanno voglia di fare quattro chiacchiere e ci offrono un po’ di vino e di sigarette. Dopo un’oretta e dopo aver intralciato il traffico di tutto l’isolato, scopriamo che i civici qui a Mosca vanno per isolati, e quindi che ogni numero identifica un intero gruppo di case e non solo una singola entrata come avviene da noi. Comunque grazie all’aiuto di un ragazzo che chiama direttamente l’ostello, riusciamo a raggiungere la nostra camera sita al quinto piano di un caldissimo palazzo a 500 mt dal Cremlino. Dopo una veloce doccia, ci buttiamo a letto, ma prendere sonno non è così facile, dato che nonostante sia ormai piena notte, gli operai in strada continuano a far andare i loro martelli pneumatici e le loro ruspe, nei cantieri aperti in tutta la via. Ci viene quindi in mente che non sia stata un scelta azzeccatissima quella di prendere camera in questa zona, ma scopriremo poi che un po’ tutta la città è interessata da un’opera di ristrutturazione.

10 agosto 2015

Ci alziamo abbastanza presto con l’intento di visitare, per quanto sia possibile farlo in soli due giorni, le principali attrattive turistiche della città. Per prima cosa pensiamo alla colazione e sedendoci nel primo bar che incontriamo sulla nostra via, restiamo basiti nel vedere un caffè al prezzo di 400 rubli, circa sei euro. Ci alziamo e andiamo via, anche perchè abbiamo solo 1000 rubli in due, che vengono da un cambio di ieri. Ci accontentiamo quindi di un caffè e di una brioche d’asporto prese al supermercato e consumate nel parco davanti al Cremlino, ad un prezzo dieci volte inferiore. Quindi andiamo a cercare una banca per cambiare un po’ di rubli e ci dirigiamo nella Piazza Rossa, imponente e mastodontica come l’aspettavamo, ma estremamente suggestiva e affascinante in modo del tutto inaspettato. Appena entrati nella piazza dalla porta principale si vedono, all’altra estremità le cupole bicolori di San Basilio, sulla destra il mausoleo di Lenin, che ahimè oggi è chiuso e a sinistra l’entrata dei magazzini GUM. Spendiamo tre/quattro ore per la visita del Cremlino, che anche senza giuda risulta molto ben organizzata, in quanto all’entrata di ogni monumento ci viene consegnato un foglio esplicativo, tradotto anche in italiano, che illustra l’architettura e la storia del sito. Rinunciamo per questioni di tempo al Museo delle Armi e a quello dei gioielli della corona e facendo una lunga passeggiata raggiungiamo il quartiere alla moda di Arbat, dove mangiamo in un ristorante tipico russo, pelmeni e vaichiri.

11 agosto 2015

Dopo aver sistemato gli zaini e aver fatto colazione nel solito supermercato ci dirigiamo alla stazione Yaroslava per lasciare i bagagli nel deposito e farci dare i biglietti per il treno che prenderemo questa notte. Nel piazzale ci sono ben tre stazioni ferroviarie, ognuna delle quali destinata a partenze verso specifiche direzioni, e anche se la cosa rende tutto abbastanza caotico, grazie alle indicazioni in inglese, ci si riesce comunque ad orientare. Ci tuffiamo di nuovo nella città, seguendo un itinerario consigliato dalla guida lungo le rive della Moscova. Usciti dalla metro, la prima tappa è l’imponente chiesa di Cristo Salvatore, dove vengo respinto all’entrata per via dei miei pantaloncini corti. Quindi attraversato il ponte pedonale di fronte alla chiesa si entra nella zona dell’Ottobre Rosso, una ex fabbrica di cioccolato, oggi adibita a luogo di lavoro, arte e svago, in uno stile del tutto alternativo. Nei vecchi capannoni ristrutturati, ci sono bar e ristoranti, uffici e laboratori, e dato che ci sembra molto interessante, indugiamo a lungo e ci concediamo anche una pausa pranzo in uno di questi ristorantini. Continuiamo lungo la sponda della Moscova dove incontriamo un parco in cui sono installate numerose sculture di artisti russi post-perestrojca e alla fine di questo spazio verde vi è l’ingresso del famoso Gorky Park, con alla sua destra, l’immensa statua di Ivan il Grande, in versione padrone dei mari. Il parco, come la maggior parte di quelli visti in Russia, è molto ben tenuto, con all’interno, specchi d’acqua, aiuole che formano disegni e addirittura una fontana che spruzza a tempo di musica classica. Quindi prendiamo un battello che ci fa fare un giro di un’ora avanti e indietro per il centro della città fino a lasciarci vicino ad un altro bellissimo parco, dove, ormai in orario di dopo lavoro, si sono riunite molte persone a prendere il sole, rilassarsi e fare quattro chiacchiere. Andiamo quindi a mangiare una zuppa Borsch, in una locanda indicata dalla nostra guida, come autentica, e dove addirittura pare che venisse a mangiare la nomenklatura comunista, negli anni 80. Il cibo non è male, ma lo trangugiamo velocemente perchè abbiamo fretta di andare in stazione e partire per il viaggio del quale siamo estremamente incuriositi. Siamo in Yaroslav Vozkal alle 21,30, facciamo una spesa a base di zuppe liofilizzate, thè, caffè, noodles e biscotti, e quindi andiamo nella zona delle partenze internazionali ad attendere il nostro treno, il n° 4 per Pechino delle 23,45. Alle 23 eccolo arrivare in tutta la sua maestosità, circa 20 vagoni, tutti cinesi, tranne l’ultimo, che poi scopriremo essere il nostro, che ha bandiera russa. La cordialissima (questo è ironico) addetta alla carrozza ci mostra i nostri posti. Ogni scompartimento ha 4 cuccette, due sotto (i sedili) e due sopra (due brande a scomparsa). Per ogni occupante è prevista una razione formata da cuscino, lenzuola, asciugamano, coperta e tazza in ferro. Purtroppo siamo in scompartimenti diversi ed essendo io da solo nel mio, proviamo a chiedere alla provodniza se sia possibile cambiare, ma un niet autoritario ci fa capire che ciò non conviene. Facciamo un po’ di chiacchiere con gli altri partenti, tra cui ci sono anche altri 4 italiani e una famiglia d siberiani al rientro dalle vacanze. Alle 23,45 in perfetto orario il treno inizia lentamente il suo lungo viaggio attraverso tutto il continente asiatico, dove arriverà solo tra 5 giorni. Verso le tre il treno fa la sua prima sosta nella città di Vladimir, dove vengo svegliato dal’ingresso di tre nuovi viaggiatori. Dato l’orario rimandiamo i convenevoli al giorno dopo e tutti si riprendere a dormire.

12 agosto 2015

Verso le 8 tutti i viaggiatori si alzano quasi contemporaneamnte senza sveglia o altro e il treno inizia ad animarsi dopo la silenziosa notte in cui si sentiva solo il treno scorrere sulle traversine di ferro. Ognuno ha il suo da farsi, chi va a prendere l’acqua calda per farsi un caffè o un thè, chi va in bagno a lavarsi, chi mette sotto carica, nell’unica presa del vagone il telefono o il tablet, chi si ferma davanti al finestrino a guardare il passaggio. Alle dieci circa il treno fa una fermata di mezz’ora circa, e i fumatori schizzano giù per farsi la prima sigaretta dopo dodici ore di astinenza. Sulla banchina ci sono venditrici di ogni bene, birre, pane, rape, cetrioli e persino datati giocattoli per eventuali regali. Tutti siamo un po’ incerti sull’allontanarsi troppo dal treno, seppur sappiamo benissimo il tempo di fermata e la puntualità del treno, e quindi rimaniamo in zona e appena la signorina urla e si sbraccia per farci capire che bisogna risalire, voliamo al nostro posto, per paura di rimanere nel nulla a 1000 km da Mosca. Il viaggio riprende in un’atmosfera di ozio, chi legge, chi scrive (a fatica dato il traballare continuo del treno), chi dormicchia etc etc… Non è facile abituarsi a questo “nulla da fare” che durerà 76 ore, soprattutto per chi arriva da città stressanti ed è sempre in continuo movimento. E allora si impara a gustarsi il caffè seduti e con calma e non in piedi ad un bancone, a guardare fuori dal finestrino per un’ora un paesaggio sempre identico, a perdere tempo cercando conversazioni improbabili con persone interessanti, ma che parlano lingue a noi sconosciute. Noi facciamo la conoscenza della famiglia che sta nel mio scompartimento e che è formata dal simpaticissimo Jurghen, un tedesco di Stoccarda, dalla moglie russa e dal piccolo Andrei, che faranno il viaggio con noi sino ad Irkutsk. Anna invece ha come compagni di viaggio una famiglia siberiana di Tyumen, che quindi farà “solo” un giorno e mezzo di viaggio. E così il viaggio procede lentamente ed è facile smarrire un po’ il senso del tempo, scandito dalle pause che di tanto in tanto il treno fa, dalle grosse città industriali che si incontrano lungo il tragitto e dalle birre baltika che si sorseggiano. L’unico orologio è quello solare e quindi dopo un po’ che il sole è calato, tutti si preparano per la notte, nonostante sul treno vigendo sempre l’orario di Mosca, a causa dei fusi orari siano ancora le 7 di sera.

13 agosto 2015

Jurghen mi sveglia all’1,30 perchè siamo nella stazione di Ekaterinenbourg, terza città russa per abitanti e porta dell’Asia, in quanto situata proprio all’inizio degli Urali. Ovviamente a quest’ora non c’è in giro nessuno, se non gli addetti al controllo vagone e quindi c’è solo il tempo di una sigaretta, di qualche foto di rito per poi riprendere il sonno fino al mattino, quando al risveglio c’è grande fermento fino alle 10 quando il treno si ferma a Iskim dove si acquitano i prodotti per la colazione. Il treno prosegue il suo percorso tra foreste di betulle, piccoli villaggi e mastodontiche fabbriche che spesso appaiono abbandonate, per entrate di tanto in tanto in città dall’architettura prettamente sovietica quali Omsk e Novosibirsk dove ci si ferma per qualche decina di minuti e in cui avviene il cambio del locomotore, il rifornimento di acqua, la verifica dei freni etc etc. Oggi con gli amici italiani proviamo il vagone ristorante, gestito da un cameriere a dir poco stravagante, che nelle ore di riposo vediamo gironzolare per il treno in pigiama e fumare di sfrodo nei bagni. La cena composta da zuppa, aringhe, cetrioli e vodka è comunque molto gustosa ed ad un prezzo assai conveniente. Chiudiamo la serata con un po’ di chiacchiere su come è stato organizzato il viaggio e su cosa ci si aspetta da questa avventura e quindi andiamo a dormire. Oggi cambio scompartimento, in quanto sono saliti in quello di Anna, due russi di una certa stazza che hanno tutta l’aria di essere due motoseghe notturne, e quindi, avendo io il sonno più pesante mi sacrifico.

14 agosto 2015

Ormai siamo tre ore avanti rispetto all’orario di Mosca, quindi quando vengo svegliato dai rumori delle persone che iniziano ad alzarsi e guardo fuori dal finestrino vedo il sole già alto in cielo, ma l’orologio segnala ancora le quattro di notte. Sento il treno fermarsi e quindi scendo a vedere almeno dove siamo, Marinsk, città di cui non avevo letto nulla, e con una temperatura di dieci gradi. Beviamo un caffè e mangiamo un pirotki, panini sia dolci che salati che vengono venduti ancora caldi direttamente sul treno da babutske salite a bordo e che faranno probabilmente una fermata e poi scenderanno. Quindi la mattinata prosegue con l’osservazione e il tentativo di fare foto ai punti più belli che si incontrano lungo il percorso, come il ponte sullo Yensey che è riprodotto anche sulle banconote da 10 rubli. Ormai mancano solo dodici ore alla fine di questo primo tratto di viaggio, e quindi per abituarsi al nuovo fuso, si decide di saltare il pranzo e di anticipare la cena alle quattro. Finiamo le nostre zuppe liofilizzate e le birre baltika 9 che abbiamo ancora con noi e che per la loro alta gradazione stendono Jurghen, nonostante sia un tedesco che si vanti di bere birra in grande quantità. Poi dopo l’ultima fermata per la sigaretta, c’è il rito dello scambio degli indirizzi e collegamenti ai social vari, e quindi tutti a dormire le ultime ore prima della sveglia per la fine del viaggio

15 agosto 2015

Sveglia all’una e trenta, orario moscovita, si preparano i bagagli e dopo i tre giorni di relax ferroviario, in fretta e furia si scende dal treno a Irkutsk, che è pur sempre una fermata e quindi non si può indugiare troppo. Dopo i saluti frettolosi con i compagni sulla banchina ognuno va per la sua strada, noi in direzione Kuzhir, unico centro sull’isola di Olkhon nel Lago Bajkal. Cerchiamo di capire come raggiungere il bus che ci possa portare sull’isola e ci viene in aiuto un tassista che ci porta dall’altra parte della città, dove c’è la stazione dei bus e da dove partono i pulmini per il viaggio di sei ore circa fino all’isola. L’autista del minivan su cui saliamo inizia a sfrecciare come un matto a suon di pnuk rock russo e dopo aver preso il breve traghetto che ci porta sull’isola, attraversa la lunga e dritta strada sterrata e dissestata dell’isola, a 90 km all’ora. Appena arrivati sull’isola ci si presenta un paesaggio completamente brullo e spoglio senza nessun segno di civiltà per una cinquantina di chilometri. Intorno al lago invece il clima è stranissimo, il sole è praticamente oscurato da una fitta fuligine che solo in seguito capiremo da cosa derivi. Kuzhir si presenta come un paese del far west, con un viale centrale polveroso (in tutta l’isola non c’è asfalto) in cui sono concentrati gli esercizi pubblici, bar, bazar e vari B&B. L’architettura è completamente sconnessa, nel senso che non c’è un ordine logico nella sistemazione delle varie casette di legno costruite con le forme e i colori più assurdi. Fatichiamo non poco a trovare l’indirizzo di Gala, la ragazza che ci ospiterà, ma poi siamo attratti un cane samoyedo, e sapendo che lei ne ha quattro, proviamo a seguirlo e riusciamo a raggiungere la destinazione. L’alloggio è costituito da un cortiletto in cui vi sono una serie di costruzioni in legno fatte tutte dal marito, che a differenza di Gala, di chiare origini russe, è autoctono. Una casetta a due piani per gli ospiti, una casa per i padroni, una cucina/sala da pranzo, una stalla per il cavallo, una banja e un recinto coperto dove vi sono 1 kusky, 4 samoyedo adulti e 8 bellissimi cuccioli di due mesi. Gala è gentilissima e ci accontenta in tutto e per tutto, ci lava i vestiti usati nel viaggio, ci propone delle gite e ci fa rientrare nel mondo tecnologico con il suo collegamento wi-fi. Dopo una lunghissima doccia (erano 4 giorni che ci si lavava solo a pezzi nel piccolo bagnetto del treno) facciamo un giro per il paesino, che conferma la nostra impressione iniziale, e cioè un paese del tutto “anarchico” in cui ognuno si organizza come può per offrire vitto e alloggio ad un’ondata di turismo del tutto inaspettata. Appena fuori dall’abitato però c’è una lunghissima spiaggia con retrostante pineta, zeppa di campeggiatori, da dove, facendo una breve arrampicata, si arriva alla roccia dello sciamano, uno dei punti più energetici al mondo per gli adepti della filosofia sciamanica e motivo principale dell’affollamento sull’isola. Il posto, al di là del movente filosofico/religioso, è, per la posizione in ci è collocato e per il panorama che offre, davvero suggestivo e anche noi, che siamo al di fuori da tutto il discorso sciamanico, avvertiamo delle sensazioni particolari. Rientriamo al nostro cortile e dopo un’abbondante cena chiacchieriamo o meglio cerchiamo di farlo, con gli altri ospiti, una famiglia russa in vacanza composta da nonno Alexander Mihailovic, che per prestanza fisica e capacità di adattamento, inquadriamo subito nei nostri viaggi mentali, come un ex 007 del KGB in pensione, oltre a moglie, figlia e nipotina. Pur usando i pochi vocaboli inglesi a disposizione da una parte e dall’altra si riesce comunque ad intendersi e a passare una piacevole serata davanti al fuoco.

16 agosto 2015

Dopo un’abbondantissima colazione russa si parte per il tour organizzato verso il nord dell’isola. Fortunatamente insieme a noi ci sono anche Alexander e family, che cerca di tradurci in inglese le informazioni che il driver/guida dà esclusivamente in russo. Il tour prevede una serie di tappe nei vari punti panoramici dell’isola, dove si possono ammirare bellissime vedute del lago dall’alto di scogliere, che danno a strapiombo sull’acqua. Ognuna di queste scogliere ha un nome diverso collegato ad una leggenda (scogliera dei tre fratelli, scogliera dell’amore etc etc). Ci fermiamo inoltre in un luogo dove, in un tempo non così remoto, e se ne vedono ancora d’altronde i resti, c’era un gulag che fungeva da fabbrica di iscatolante del pesce. Il punto clou del tour è Capo Koboy, luogo sacro allo sciamanesimo e da cui si vede, nelle giornate limpide anche un’isolotto poco distante su cui vivono le foche nerpa. Purtroppo questo non è un buon periodo per la visuale, in quanto, ci dicono, che una serie di incendi che hanno colpito a fine luglio una regione lì vicino, la Buriazia, ha portato su tutto il lago, i suoi fumi e qui, a causa dei venti, vi sono rimasti. La guida, molto competente, ci prepara anche un’ottima zuppa, fatta con il pesce endemico tipico del lago, l’Omul. Quindi rientriamo verso il paese attraversando di nuovo tutto il parco naturale che racchiude la parte settentrionale dell’isola. Arrivati a casa, Gala ci fa trovare calda la banya (sauna russa), in cui si alterna il caldo della stanza dove vi sono le pietre roventi, con mestolate di acqua ghiacciata, per poi concludere con un rilassante thè caldo bevuto all’aperto rinfrescati da una leggera brezza. Concludiamo la giornata con la solita ottima cena preparata dal cuoco hippy, che noi supponiamo sia un adepto dello sciamanismo, che poi si è fermato qui a lavorare. Cercando di approfondire la nostra conoscenza sulla scimanismo, capiamo che ognuno dei pali di betulla coperto da nastrini, che vediamo in giro per l’isola, è stato piantato da uno sciamano il giorno della sua iniziazione e che invece gli adepti del movimento new-age/hippy, di cui è piena l’isola, non sono proprio ben visti, anche se a dire il vero, sono probabilmente la maggior fonte di reddito dell’isola. Facciamo un giretto serale per per il paese, ma sembra non esserci in giro nessuno nelle buie e polverose viette e quindi ci prendiamo semplicemente un paio di birre da bere davanti al fuoco accesso nel cortile.

17 agosto 2015

Oggi è in pogramma il tour del sud dell’isola, e quindi, dopo la colazione, il solito furgonico 4×4 guidato dalla guida Andrey, ci carica e parte. La gita di oggi a dire il vero è meno affascinante rispetto a quella del giorno precedente, infatti, anche se al guida cerca di portarci in alcuni luoghi abbastanza inaccessibili, da cui è possibile godere, di ottime vedute, la cosa pare un po’ ripetitiva e noiosa, con spostamenti in auto un po’ troppo lunghi. Al rientro il marito della padrona di casa ci chiede se vogliamo fare allenamento con lui e quindi ci attacca con una corda ai cani da slitta, che hanno bisogno di allenarsi anche d’estate, e questi iniziano a tirare come disperati, rimanendo però sempre ubbidienti appena vengono richiamati dal capo. Io porto, o meglio vengo portato da Sky, un husky che in quanto capobranco pretende di rimanere davanti a tutti i costi, Anna e il marito di Gala invece sono attaccati a due samoyedo che procedono affiancati l’un l’altro, nel medesimo modo in cui sono abituati a camminare in inverno, quando si ritrovano a tirare le slitte, Al rientro dopo un’abbondante tipica cena buriata composta da verdure, pelmeni e un tortino di riso, Anna porta a far sgranchire le gambe, il bellissimo cavallo nero di Gala, Nel mentre è arrivato un altro solitario turista italiano, Giovanni con cui facciamo un po’ di chiacchiere, confrontandoci sull’andamento e sull’organizzazione del viaggio. Quindi calato il sole, ci ritiriamo per preparare gli zaini in vista del giorno successivo.

18 agosto 2015

Oggi sveglia alle 7, veloce colazione e quindi dopo i saluti agli amici di questi giorni, saltiamo sul bus che ci porterà fino ad Irkutsk. Il viaggio è più lungo e noioso del previsto, infatti l’autista prima deve caricare tutta una serie di persone che abitano in vari punti del paese e poi, arrivati in città deve fare altrettanti giri per scaricarli nei vari alberghi. Alla fine dopo quasi 8 ore di viaggio arriviamo in stazione, dove facilmente riusciamo ad acquistare i biglietti per la terza classe del treno che l’indomani ci porterà ad Ulan-Ude, ad un prezzo assai più basso rispetto ai costi che avevamo visto su internet, e ciò ci fa pensare che gli acquisti degli altri biglietti fatti da casa sono stati abbondantemente caricati da diritti di agenzia. A questo punto arriva l’impresa più complicata e divertente della giornata e cioè raggiungere con un taxi il nostro albergo situato in pieno centro città. A prima vista il tassista non sembra essere espertissimo, e così per fare 2/3 km in pieno centro impieghiamo più di mezz’ora, con l’autista che chiede informazioni a qualsiasi passante, spegnendo l’auto 5 o 6 volte, cosa che ci fa sorgere il dubbio che non abbia nemmeno la patente. Ma comunque riusciamo ad arrivare alla meta e appena siamo in albergo ci facciamo dare una mappa e iniziamo a visitare la città, avendo pochissimo tempo a disposizione. Fortunatamente in nostro aiuto arriva la linea verde, un progetto a mio avviso molto interessante, presente sia qui che a Ekaterinenbourg, consistente in una linea ben visibile sui marciapiedi della città, che delinea un percorso in cui sono presenti e segnalati i punti di maggior interesse turistico della città. Purtroppo ormai è sera e quindi non riusciamo ad apprezzare al meglio le chiese e i bei palazzi a cui il percorso ci conduce, ma l’idea che ci facciamo è comunque di una città molto elegante e pregna di storia. La città si sviluppa su due vie principali, la Karl Marska e la Lenina, alla cui fine vi è una zona pedonale in cui sono concentrati i locali e i ristoranti della città Decidiamo di cenare al Rossolnik, ristorante sovietico, fin troppo esagerato nei suoi riferimenti al periodo socialista, con scranni decorati da falce e martello, televisioni anni ’60 e collezioni di musicassette appese al muro. La cena è decisamente buona ed è composta da piatti provenienti dalle varie ex-repubbliche socialiste del vecchio impero URSS. L’atmosfera è un po’ rovinata dall’arrivo di un massiccio gruppo di giapponesi, armati fino ai denti di macchine tecnologiche e pronti a scattar foto ad ogni persona e oggetto che si muova all’interno del locale. Chiudiamo, per digerire la pesante cena, con una vodka ghiacciata e una passeggiata sino al fiume Angera, dove c’è una camminata molto ben curata e anche abbastanza animata.

19 agosto 2015

La partenza del treno è fissata per le 8, ma noi alle 7 noi siamo già in stazione, con tutti questi fusi non vorremmo sbagliare clamorosamente. Fatichiamo un po’ a capire quale sia il nostro treno, ma alla fine una provodniza più simpatica della norma, ci indica il vagone e il posto giusto. Questa volta viaggiamo in terza classe, in cui tutti gli scompartimenti sono aperti e si ha un minor spazio a disposizione, in quanto i posti passano dai 36 del vagone di seconda classe a 54. Il treno percorre per circa tre ore un tratto molto panoramico sulla sponda meridionale del lago Bajkal ed a volte è davvero vicino al lago e ne è separato da pochissimi metri di terreno e si possono vedere molto bene anche i pochi pescatori che sono all’opera lungo questa lunghissima costa. L’atmosfera a bordo è molto meno vacanziera rispetto al precedente tratto, infatti qui i passeggeri sono tutti russi che si spostano tra le varie città e noi, in quanto unici stranieri a bordo, siamo un po’ al centro dell’attenzione, tanto è vero che una ragazza che fa la provodniza nel turno di notte e quindi ora è in pigiama, coglie l’occasione per venire a dirvi le poche parole in inglese che conosce. In questo tratto non ci sono fermate a cui scendere per acquistare cibo e quindi di tanto in tanto si va al samovar per mettere acqua nelle minisetre liofilizzate o per farsi un the. Alle 5 arriviamo a Ulan Ude e dopo un po’ di girovagare, dove incontriamo tutte persone che appaiono molto gentili e che ci danno una mano con le indicazioni, qui prettamente in circillico arriviamo nell’albergo che avevamo prenotato in realtà solo per il giorno seguente non sapendo bene se saremmo riusciti ad arrivare in tempo, dove ci viene detto, che oggi sono al completo. La signora ci fa capire, attraverso google translate, che può trovarci un altro albergo in zona per la notte. In due minuti siamo in una stamberga lì di fianco, e nonostante le condizioni non proprio da 5 stelle accettiamo la camera non avendo altre possibilità. Lasciamo giù i nostri bagagli e iniziamo a girovagare per la città alla ricerca di un’agenzia che ci possa procurare i biglietti per il bus che ci dovrà portare sino a UlanBaatar e se è il caso anche di una stanza per la notte, migliore di quella in cui siamo finiti. Troviamo solo una suite nel mega albergo Buriazia ad un prezzo inaccessiibile e quindi rinunciamo e ci dedichiamo alla visita della città. Il clou è sicuramente la gigantesca testa di Lenin che sovrasta la piazza centrale della città, che pare avere il curioso guiness di testa di Lenin più grande al mondo, chissà quante ce ne saranno sparse in giro per il mondo. Ceniamo poi in una trattoria, molto alla buona, dove alla modifica cifra di 3 euro in due ci portano i classici ravioli di carne al brodo, verdure e laghman. Chiudiamo la giornata con un giro serale dove visitiamo quallo che secondo me è il monumento più bello della città (ma ciò vale in quasi tutte le città russe) il monumento ai caduti della seconda guerra mondiale.

20 agosto 2015

Ci alziamo dopo una notte praticamente insonne, dato che mezz’ora dopo che siamo andati a dormire, sono arrivati Natasha, Andrey e compagnia bella, che hanno prima fatto un caos tremendo tra urla e schiamazzi e poi inscenato una tragedia amorosa con tanto di pianti isterici, pugni contro il muro e grida fino alle cinque del mattino, quando Natasha si è addormentata e anche noi abbiamo potuto chiudere occhio. Peccato non capire il russo, quantomeno per sapere come è andata a finire la storia con Andrey. Lasciamo la stanza e incontriamo il buon Andrey che ci chiede l’ora e ci da il buongiorno! Abbandoniamo a gambe levate la stanza e portiamo i nostri bagagli nell’albergo che abbiamo prenotato per oggi e quindi alla stazione dei bus lì vicino per acquistare i biglietti del bus per il giorno seguente. Torniamo poi in piazza Sovietov, sotto il testone di Lenin, da dove partono tutte le mastruka della città. Prendiamo la 97 in direzione nord, che in mezz’ora circa ci porta nel moderno tempio buddista situato su una collinetta fuori dalla città. La struttura, che rispetta tutti i canoni dello stile buddista, seppur estremamente moderna, infonde il classico senso di rilassatezza e pacatezza tipico di questi templi. Dentro al tempio abbiamo qualche problema quando ci viene consegnato un foglio che dobbiamo compilare con i nostri dati e richiesta una certa somma, che pensiamo sia il prezzo dell’entrata. In realtà si tratta di una donazione e sul foglio vanno indicate le persone a cui si vuole che vengano rivolte le preghiere dei monaci. Ritorniamo in piazza e dopo una dissetante Kvas, bevanda rinfrescante che viene venduta ad ogni angolo di strada per 11 rubli, cioè più o meno 40 centesimi di euro, saliamo su un’altra matruska che ci porta al museo entografico. Durante il viaggio siamo al centro dell’attenzione generale e le signore cercano di capire dove vogliamo andare per indicarci la giusta fermata a cui scendere. Alla fine riusciamo a capirci e queste parlano all’autista che addirittura fa una deviazione dal percorso per portarci esattamente all’entrata del museo. Prima di entrare decidiamo di fermarci a mangiare qualcosa nella trattoria adiacente, ma qui ci ingozziamo con cinque pesantissimi piatti, tipo pappa d’avena, ravioli ripieni di carne di montone e omul. Siamo KO, ma decidiamo comunque di entrate nel museo, scelta che si rivelerà poi azzeccata perchè troveremo il museo molto realista e ben conservato. La struttura consiste in una vasta area su cui sono state, in parte ricostruite e in parte semplicemente trasportate le diverse tipologie di abitazioni delle comunità che hanno abitato la regione nel corso dei secoli. C’è quindi un accampamento di gher, un villaggio tipico dei vecchi credenti (ala estremista del cristianesimo, andata in conflitto con gli ortodossi che si sono emarginati dal resto della società), e anche case urbane di metà 800. Rientrando in città, vediamo un gran fervore in centro, scopriremo in serata il perchè, si tratta del concerto dei Kosca, gruppo rock russo, pare molto conosciuto, che si esibiscono proprio sotto lo sguardo severo del tovaresh Lenin. Ci ascoltiamo il concerto e dopo un ultimo giro della città andiamo a letto perchè domani la sveglia è puntata alle sei.

21 agosto 2015

Partenza dalla stazione dei bus alle 7,30, il percorso prevede varie pause per bagno e sigarette fino al confine mongolo. Abbiamo scelto di attraversare il confine con il bus per evitare il lungo periodo di stop che affronta il treno in dogana, cosicchè si calcola di risparmiare circa 12 ore di viaggio. Il bus è molto confortevole e il viaggio scorre piacevolmente e nel giro di 4 ore siamo già in dogana, dove effettivamente verifichiamo che le procedure sono più rapide del previsto ed in un paio d’ore siamo già tutti di nuovo a bordo del bus oltre al confine, dove con perfetta organizzazione ci attendono prima i cambiavalute e poi una trattoria dove è possibile mangiare carne di montone nei modi più disparati, zuppa, ravioli, filetto etc etc… Da qui in poi il paesaggio cambia completamente e alla tundra siberiana si sostituisce una steppa abbastanza verde, dove di tanto in tanto si vedono in lontananza branchi di pecore e di cavalli al pascolo e puntini bianchi isolati che indicano gli accampamenti di gher. Nel viaggio incrociamo solo qualche piccolo villaggio ed una città, che è la terza per popolazione di tutta la nazione, ma che sembra più che altro, un semplice insieme di casette costruite un po’ alla rinfuse con l’aggiunta di qualche palazzone e fabbrica in stile sovietico. Alle 19 circa, ora locale (qui siamo a +6 rispetto Mosca) entriamo ad Ulanbaatar, dove ad attenderci c’è un traffico inaspettatamente caotico, tanto che il bus impiega più di un’ora a raggiungere la stazione. Ad un primo sguardo la città sembra essere molto ampia, in quanto il milione e duecentomila abitanti sembra che viva tutto sparso in piccole casette ad un piano, ma scopriremo entrando nel centro della città che non è così, in quanto vi sono lunghi vialoni ai cui bordi sorgono infinite file di palazzi a dieci piani tutti identici. Appena scesi dal bus veniamo accalappiati da una ragazza che ci propone alcuni tour della Mongolia, cosa che vorremmo comunque fare, e quindi ci facciamo convincere e intanto le scrocchiamo il passaggio in auto fino al centro città, dove in un palazzo scalcinato c’è la sede dell’agenzia viaggi e guesthouse che lei rappresenta. Sorseggiando thè, ci illustra i possibili viaggi e poi ci porta all’ostello che abbiamo prenotato da casa. Anche qui la prassi è la medesima thè, viaggi etc etc….ma al momento siamo stanchi e anche un po’ affamati e quindi rimandiamo le decisioni a domani. Ceniamo con dei ragazzi italiani appena conosciuti, in una tavola calda, dove anche qui ci propino l’amatissima carne di montone e quindi un po’ stanchi andiamo a dormire.

22 Agosto 2015

Dopo aver fatto colazione in ostello cerchiamo di prelevare qualche tugrit, la moneta locale. Ci fiondiamo nei bellissimi magazzini generali di stato, ma ahimè, infiliamo la nostra tesserina in una macchinetta che non è un bancomat e quindi ci viene mangiata. Dobbiamo attendere un’ora perchè arrivi l’addetto a sbloccarla, ma nel mentre possiamo fare un giro per questo, che oggi è un centro commerciale di lusso, in stile moderno, ma che un tempo era effettivamente un gigantesco emporio statale. Trovato un change così da avere qualche spicciolo in tasca per poter finalmente iniziare il giro della città, e per prima cosa andiamo nella piazza principale della città, che è dedicata all’eroe della liberazione dalla Cina, Sushaabatar. Come sempre da queste parti, la piazza è imponente e circondata da alti palazzi, mentre nel mezzo è eretta la statua dedicata all’erore. Sul lato corto vi è un alto colonnato sotto al quale vi sono l’imponente statuta di Gengis Khan, con ai due lati, di dimensioni ridotte, il figlio e il nipote. Quindi con una passeggiata di un paio di chilometri raggiungiamo il monastero buddista principale della città, dove oltre ad una serie di templi, alla scuola e alla biblioteca, e presente un enorme Buddha di 26 metri, con intorno una serie infinita di ruote da far girare, di cui ovviamente non ne perdiamo una. Rispetto agli altri monasteri fino ad ora visti, questo sicuramente è più imponente, ma trasmette anche meno il senso di tranquillità tipico d questi luoghi. Il resto della città a dire il vero, non ci pare così interessante da visitare, in quanto è un susseguirsi di palazzi, centri commerciali e negozi e quindi dopo un abbondante pasto a base, tanto per cambiare, di carne di montone e di una strana bevanda con un fondo di noccioline, in una trattoria frequentata anche dai monaci, andiamo nell’agenzia che dovrebbe organizzarci il tour di quattro giorni, Gher to Gher. Siamo un po’ riluttanti, perchè via mail non ci hanno mai dato conferma che il tour si farà e anche qui non siamo ancora riusuciti a contattarli, e anche i loro uffici appaiono abbandonati. Ma arrivati qui, questa volta le cose cambiano e un ragazzone americano ci fa sedere e compilare una serie di form in cui viene chiesta una sorta di anamnesi medica. Poi parte, con quella che dovrebbe essere una breve illustrazione del viaggio, che durerà quattro ore ininterrotte e spazierà dalla sociologia e politica del paese, sino ad un breve trattato medico su come interrompere eventuali tagli di vene o di arterie e una breve dimostrazione di come difendersi da vipere e cobra che potremmo incontrare durante il nostro soggiorno, il tutto in un americano velocissimo, che ci permette di comprendere si e no il 30% delle informazioni. Capiamo comunque che il giorno dopo dobbiamo prendere un bus alle 7,30 e scendere ad una determinata fermata, il tutto basandosi sull’aiuto dell’autista, dato che tutte le indicazioni sono scritte in un alfabeto cirillico, peraltro diverso dal russo, al quale ci eravamo minimamente abituati. Finito il corso ci confrontiamo con le altre due persone che erano con noi, madre e figlio francesi molto simpatici, che anche loro ridono di tutto il sermone condito da terrorismo psicologico che ci ha fatto l’americano.

23 Agosto 2015

Alle 6, scendiamo e chiediamo alla ragazza dell’ostello se può chiamarci un taxi, ma dato l’orario ha qualche problema nel trovarne uno e così andiamo sulla peace avenue, la strada principale della città, dove la prima auto di passaggio si ferma e senza troppi preamboli ci porta sino alla stazione dei bus per 10.000 tuktri. Il ragazzo dell’auto molto gentilmente ci indica anche il bus che dovremo prendere, che ha una destinazione impronunciabile. Capiamo che partirà alle 8 e ci accordiamo con l’autista perchè ci avverta quando saremo alla fermata che ci è stata indicata il giorno prima in agenzia. Il viaggio passa tranquillamente con tutto il bus un po’ addormentato e dopo circa quattro ore il bus si ferma in una cittadina. Chiediamo all’autista se sia questa la nostra meta e lui ci fa segno di si, così scarichiamo i nostri zaini e attendiamo davanti ad una locanda che venga qualcuno a prenderci. Dopo un quarto d’ora si presenta una ragazza che ci fa salire sulla sua auto, dove già ci sono il marito, la vecchissima ma bellissima nonna e i sue due bambini. Facciamo una ventina di chilometri nello sterrato e arriviamo alla gher che ci ospiterà per oggi. Ci salutiamo e ci diamo appuntamento tra tre giorni, quando verremo recuperati dalla stessa ragazza. Nel piccolo accampamento ci sono solo il papà e il figlio di 14 anni, che parlando un po ‘di inglese ci aiuta con le presentazioni e le sistemazioni. Dopo il solito abbondante pranzo composto da spaghetti fatti in casa in brodo, con carne di montone e un pezzo di un formaggio durissimo, che è più da ciucciare che da sgranocchiare, il ragazzo va a prendere tre cammelli con cui andremo a fare una passeggiata. Montiamo in sella e al verso di “ciù” partiamo al trotto, verso una montagna, che all’apparenza sembra essere molto vicina, ma che in realtà dista almeno cinque chilometri. All’andata andiamo in stile carovana, guidati tutti dalla nostra piccola guida che ci tiene alla fune, mentre al ritorno, una volta appresi i semplici comandi, non dissimili da quelli usati per i cavalli, andremo in autonomia, ognuno guidando il proprio cammello. Intanto la nostra guida continua ad esercitarsi con il suo inglese e ci parla del suo bestiame, della scuola che frequenta e dell’argomento per eccellenza di tutti i ragazzi del mondo di quella età, il calcio. Scopriamo inoltre che la vita del pastore la fa solo in estate, perchè d’inverno torna in città, dove frequenta la scuola, gioca a calcio e fa la lotta (lo sport nazionale). Ci fermiamo presso alcune rocce dove ci sono parecchie persone in pellegrinaggio religioso, ovviamente buddisti. Al rientro riposo per tutti, in attesa che torni il papà e dopo la cena, ovviamente a base di montone, stiamo un po’ con loro mentre compiono i lavori serali, che consistono nella raccolta dello sterco secco, che viene utilizzato come combustibile per la stufa e la cattura di alcune pecore che avendo delle ferite necessitano di cure. Al calar del sole la temperatura, che è stata per tutto il giorno molto calda, si abbassa sensibilmente tanto che dobbiamo andare a dormire chiusi nel sacco a pelo, con pantaloni e maglietta. Prendere sonno è semplice data la stanchezza accumulata durante la giornata e l’assoluto silenzio e buio che circonda l’accampamento.

24 Agosto 2015

Ci svegliamo prestissimo e facciamo in tempo a vedere una bellissima alba, con il sole che nasce da dietro le montagne che circondano la vallata. Facciamo una colazione a base di thè e formaggio e quindi salutata la famiglia, saltiamo in groppa ai cammelli e partiamo dietro al papà che guida la carovana, ma che nel mentre ha sempre il binocolo in mano per verificare la posizione del figlio che ha lasciato a casa da solo….seppur un duro pastore mongolo e pur sempre un papà apprensivo. Attraversiamo un paio di vallate e man mano che procediamo vediamo apparire sempre più gher fino ad arrivare a ridosso della strada principale asfaltata, quella che abbiamo fatto anche ieri in auto, dove ci sono molte tende e anche quello che ci sembra un piccolo villaggio turistico. Ci fermiamo in un luogo frequentato anche da altri cammellieri e qui il papà ci fa capire che a breve verrà a prenderci una jeep, ed infatti dopo cinque minuti arriva un’auto con a bordo una giovane ragazza, la madre e un fratellino che ci portano fino al loro accampamento formato da tre gher, di cui una destinata a noi. Cerchiamo di dialogare un po’ attraverso lo scambio di foto e le poche parole in inglese che ci possono accomunare. Poi ci viene offerto il pranzo che consiste nei buzzy, i tipici ravioloni ripieni di carne di montone. Qui siamo molto più in basso rispetto a ieri e il caldo nel pomeriggio è molto forte anche se molto secco, e quindi dopo il pranzo, tutti nelle gher a fare il riposino, sino alle cinque quando l’accampamento si rianima e abbiamo l’occasione di conoscere anche il capo famiglia, che nel mentre è andato con la moto a recuperare i cavalli. Quindi dopo averne acciuffatti tre con il lazzo in stile cow boy, ci invita a montare in sella e a partire per una gita. Siamo un po’ scettici perchè le bestie sembrano un po’ nervose, ma probabilmente ciò è dovuto solo al gran caldo e agli insetti dai quali devono difendersi. Arriviamo attraverso un bellissimo percorso sino ad una collinetta scoscesa sulla cui sommità c’è un ovoo, cioè un punto sacro per i buddisti. Qui dopo aver fatto i canonici e propiziatori tre giri intorno alla struttura, rimaniamo estasiati dal meraviglioso paesaggio che si vede dai quattro lati dell’altura e dall’assoluta pace che si respira. Per pochi minuti, come un miraggio, appare Guido un motociclista astigiano, che arriva da Capo Nord, e che dopo averci raccontato brevemene l’infinito e solitario viaggio che sta compiendo e che durerà complessivamente tre mesi, riparte in sella alla sua moto. Torniamo a bordo dei nostri cavalli e arrivati all’accampamento, dopo esserci lavati con l’acqua della borraccia, non essendoci ovviamente nè docce, nè wc, ceniamo con ravioli in brodo e quindi terminiamo la serata leggendo e scrivendo davanti ad una tazza di thè e ad una splendida stellata.

25 Agosto 2015

Ci svegliamo, prepariamo i nostri zaini e quindi attendiamo il segnale. Si monta in sella e si parte per una una cavalcata di un paio d’ore in una vallata “molto” frequentata per poi entrare in una zona di dune, oltre le quali ci inerpichiamo per una collina dalla cui sommità si domina un’altra ampia valle, ed è qui che c’è la gher che ci darà rifugio per la nottata. Il piccolo accampamento è formato in tutto da quattro gher, di cui due vengono adibite agli ospiti. Anche qui, come successo gli altri giorni, non veniamo praticamente calcolati dal padrone di casa, che ci tratta alla stregua degli altri suoi animali, dandoci da mangiare, tenendoci d’occhio e ogni tanto portandoci a fare un giro. L’unica persona dell’accampamento che ci presta attenzione è la nonnina tutta curva che rimane con noi, cercando di dialogare e portandoci ogni tanto del disgustoso formaggio di pecora appena fatto. Dopo il solito pranzo a base di montone e le due ore di siesta pomeridiana, usciamo con uno dei due figli del padrone di casa per una bellissima cavalcata. Il giro dura due ore circa, nelle quali andiamo a vedere un laghetto, una zona desertica e un ovoo. La giornata è molto calda e stavolta il desiderio da esprimere nel fare i tre giri intorno al monumento è quello di una birra gelata da sorseggiare al rientro. E seppur non ci sia un bar o qualsiasi altra struttura nel giro di qualche decina di chilometri, il miracolo si avverà, ed infatti nella tenda accanto alla nostra è arrivata una coppia di tedeschi che fa saltare fuori un cestello di birre fresche, oltre a vino, caffè e sigarette. Si passa quindi la fresca serata a lume di candela nella loro tenda a chiacchierare delle esperienze del viaggio, che per loro si limita alla Mongolia del Sud e della vita in generale in questa nazione grazie alle informazioni che ci dà il loro traduttore locale.

26 Agosto 2015

Oggi giornata oziosa, ci alziamo presto ma sembra che non ci sia nulla da fare. Rimaniamo ancora un po’ in compagnia dei due tedeschi ai quali promettiamo un chilo di caffè di torreffazione, in cambio delle sigarette e delle birre che ci hanno offerto. Poi i due ragazzi della gher ci portano in modo assolutamente svogliato e, secondo me anche bestemmiandoci addosso, a fare una passeggiata di mezz’ora a cavallo. Nel mentre vediamo anche la tecnica che viene utilizzata dai pastori locali per mungere i cavalli e capiamo anche il perchè del costo elevato di questo prodotto, dato che per avere una decina di litri di latte, devono mungere almeno 5 cavalle. Devo dire che comunque non ci è piaciuto rimanere in questo ultimo accampamento e dopo il pranzo, rimaniamo in attesa che passi l’auto a prenderci per portarci alla fermata del bus. Noia mortale! Alle tre e mezza finalmente ecco arrivare il jeeppone con a bordo la guida, la nonna e due bimbi. Purtroppo la nonna, molto anziana, sta molto male lungo il tragitto che porta in paese, ma non capiamo se sia un problema precedente o se sia dovuto al percorso estremamente tortuoso che stiamo affrontando, sta di fatto che ci fermiamo per un paio di volte, sia per le condizioni della nonna, sia per il surriscaldamento della macchina. Arriviamo comunque con un certo anticipo alla fermata del bus, anche perchè perderlo sarebbe un bel problema dato che non ha proprio la frequenza della 90 a Milano e se va bene c’è un bus al giorno. Il viaggio fino alla capitale dura circa tre ore e mezza e arriviamo in città al calar della sera, e dopo una snervante attesa per ritirare i bagagli che sono mischiati a tutte le mercanzie alimentari, che la gente del posto si è portata appresso, voliamo in taxi in ostello per vedere se sono arrivati i nostri biglietti ferroviari per Pechino, per i quali eravamo in pena sin dalla partenza, perchè nessuno ci aveva dato conferma che i biglietti fossero stati fatti e non sapevamo nemmeno se vi siano ancora posti disponibili adesso. Ci sono! E quindi possiamo finalmente rilassarci con una bella cena vegana, che è quello che ci vuole dopo quattro giorni di montone, chiusa da una normale dose di vodka mongola, che consiste in un bicchiere da acqua pieno fino all’orlo di una bevanda fortissima. Barcollando rientriamo in camera e ci addormentiamo tra le urla dei giocatori di basket notturno del parchetto sotto la nostra finstra.

27 Agosto 2015

Ci alziamo alle sei convinti che il treno parta alle sette ed un quarto e con un cartello “train station” ci buttiamo in mezzo alla strada. La prima macchina che passa ci carica e ci lascia, senza dire una parola, alla stazione centrale dei treni, dove scopriremo che il treno parte alle otto, così da avere il tempo per spendere gli ultimi tugrik nella colazione e in qualche sigaretta sfusa La vita sul treno questa volta scorre molto rapida, d’altronde sono “solo” 30 ore di viaggio, e tra un pranzo nell’ottimo vagone ristorante, una lettura e un pisolino, alle venti e trenta arriviamo al confine. La procedura doganale e di cambio dei carrelli del treno, che deve essere fatta per il diverso scartamento dei binari tra i due paesi, dura circa cinque ore, tre delle quali rimaniamo a bordo, mentre gli operai nel deposito, alzano con quatto pistoni idrauilici il nostro vagone. Poi ci spostiamo alla stazione di Erlian, che è la prima città cinese oltre il confine, dove abbiamo un’altra ora di attesa. Al primo impatto notiamo subito una netta differenza rispetto alle ferrose e ampie stazioni siberiane, piene di signore che vendono i loro prodotti casalinghi, qui infatti ci sono ai bordi dei binari parchi ben tenuti ed un market fornitissimo che accetta anche i dollari e persino musica lounge trasmessa da alto parlanti situati sulla banchina. Compriamo qualcosa da mangiare e chiacchieriamo con un viaggiatore solitario italiano conosciuto sul treno, che diventerà a breve il nostro nuovo compagno di viaggio. Poi si ritorna sul treno che parte per il suo ultimo tratto di viaggio, fino alla capitale cinese.

28Agosto 2015

Alle sei ci sveglia una brusca frenata del treno che entra in una stazione, ne approffito per scendere un attimo dal letto e precedere tutti nella corsa mattutina alla toilette. Scoprirò più tardi che la stazione in cui ci siamo fermati è di una “piccola” cittadina cinese di quattro milioni e mezzo di persone di cui non ho mai sentito il nome, e già da qui ci si può fare un’idea della vastità e di come cambino le grandezze in questa nazione. Il treno riparte e ci dirigiamo al vagone ristorante per farci cambiare un po’ di soldi in moneta cinese, in modo da non arrivare completamente sguarniti a Pechino e qui ci incolliamo al finestrino per vedere il meraviglioso paesaggio collinare, spezzettato da un’infinita serie di gallerie, che precede l’entrata nella regione della capitale. Si arriva in stazione e dopo un veloce congedo con i compagni di viaggio, ci dirigiamo coi nostri zaini in strada per cercare un taxi che ci porti all’albergo. L’impatto con la città è scioccante, in ogni senso e direzione ci sono migliaia di persone che si muovono in fretta. Abbiamo bisogno di fermarci un attimo a riprendere fiato, perchè dopo migliaia di chilometri nella steppa desolata, il contrasto è da far venire le vertigini. Andiamo quindi alla ricerca di un taxi, già conoscendo il prezzo che dovremo spendere per il tragitto da compiere, ma fatichiamo un po’ perchè tutti vedendoci turisti appena arrivati, ci chiedono 4/5 volte il prezzo corretto, finchè non troviamo un tassista che usa il tassametro e quindi andiamo abbastanza sicuri. Arriviamo nel nostro bellissimo albergo situato in un vecchio hutong (i vecchi vicoli stretti di Pechino) del centro. In Italia un posto del genere, sarebbe decisamente sopra le nostre possibilità economiche, ma qui, seppur il costo della vita come scopriremo più avanti non è così dissimile dal nostro, possiamo permettercelo. Le camere e tutto l’albergo sono arredati con mobili antichi cinesi, e anche il personale veste con abiti tipici. Dopo una veloce doccia, inforchiamo le biciclette che ci vengono messe a disposizione e iniziamo la scoperta della città. La bici è sicuramente il mezzo più adatto per girare la città, sia perchè ci permette di entrare meglio in quella che è la vita locale, qui infatti tutti girano o con bici o con motorini elettrici, ed ogni strada ha una corsia riservata ai mezzi a due ruote, sia perchè le distanze tra un punto di interesse e l’altro sono davvero notevoli e con difficoltà si potrebbero percorrere a piedi. Per prima cosa ci dirigiamo nella via più famosa e turistica Wangfujing, addirittura chiusa al traffico ciclistico, dove a metà si apre un vicoletto sui cui lati c’è una infinita serie di bancarelle di street food, che vendono pressochè qualsiasi cosa si possa o non si possa immaginare di mangiare, persino scorpioni, stelle di mare e cavalluci, da friggere e gustare passeggiando. Riprendiamo la bici e dopo la visita al tempio dei Lama, gigantesco edificio in centro città, ci perdiamo un po’ involontariamente e un po’ no, in alcuni bellissimi hutong brulicanti di persone all’opera. La gente è molto disponibile e appena ci vedono in difficoltà con la mappa, si forma intorno a noi un capannello di persone che tentano di spiegarci la strada per ritornare al nostro albergo. Nel mentre vediamo tutte quelle che sono le immagine tipiche di Pechino che ci aspettavamo, i giocatori di scacchi in mezzo alla strada, i venditori seduti quasi dormienti fuori dai loro negozi ete etc La sera ceniamo con un’anatra alla pechinese, che prevede anche tutto un suo rituale su come tagliarla e su come mangiarla, che ci viene spiegato dal cameriere.

29 Agosto 2015

Dopo una colossale colazione, attendiamo che arrivi Marco, l’italiano conosciuto sul treno, per partire per la gita verso la Grande Muraglia Cinese, ma purtroppo tarda qualche minuto in quanto anche il tassista fatica a districarsi nel dedalo di vie che costituiscono il centro della città e così quando la guida innervosita dalla attesa, inizia a farci una parte che non finisce più, decidiamo di mandarla al diavolo e di rinviare la visita al giorno seguente. Riorganizziamo la giornata e decidiamo di andare in un parco proprio dietro la città proibita, dove troviamo un’atmosfera assolutamente rilassata con gruppi di anziani che fanno le attività più disparate, tra cui una banda di fortissimi armonicisti e una signora che tiene una lezione, a cui partecipiamo anche noi, di tai-chi. Quindi saliamo sulla collinetta sita in mezzo al parco alla cui sommità è appollaiato un piccolo tempio buddista e da cui si ha una splendida vista sull’interno della città proibita. Dato che purtroppo non potremo visitarla, in quanto è chiusa per via di una imponente manifestazione che si terrà nei primi giorni di settembre per festeggiare la fine della seconda guerra mondiale, dobbiamo accontentarci di fotografarla da qui, con la ripromessa di tornarci in un’altra occasione, chissà. Dalla visuale offerta dall’altura appare evidente come ci sia una grossa differenza tra il centro città, verde, con esclusivamente case ad un piano e formato dall’intersezione dei grossi viali con stretti hutong e la periferia, dove la città si sviluppa principalmente in verticale. Prendiamo quindi un taxi che ci porta al palazzo d’estate che dista circa 12 km dal centro, e che è una sorta di Versailles di dimensioni multiple, con al suo interno un lago lungo circa due chilometri e che nell’idea dell’imperatore doveva dare la medesima visuale che si ha del fiume azzurro a sud della nazione. Il posto è di una bellezza e di una maestosità disarmante e per girarlo, senza soffermarsi troppo sui vari templi e palazzi che si incontrano durante il percorso, occorrono almeno cinque ore. Alla fine provati dalla visita, ci prendiamo una birra fresca e ci facciamo una passeggiata sul lungo lago, per poi rientrare in città. Ci facciamo lasciare all’albergo di Marco, per provare il brivido della metro, dove abbiamo solo qualche contrattempo in biglietteria in quanto non conoscendo la numerazione da farsi esclusivamente con le mani, abbiamo qualche difficoltà nel farci capire. Ci rincontriamo con Marco verso sera sulla via principale della città, dove uscendo dalla metro la sensazione è quella di essere al centro del mondo (e forse lo siamo) per la quantità di persone, di palazzi, di luci colorate, che ci sono in ogni angolo della strada. Giovanni, un ragazzo cinese, amico di Marco, ci porta a mangiare in un ristorante dal menù infinito che comprende piatti provenienti da tutte le regioni della Cina, e quindi nulla a che vedere con la cucina esclusivamente cantonese alla quale siamo abituati in Europa. Lui essendo del sud ovviamente preferisce la cucina di questa regione e quindi ci fa assaggiare una serie di pietanze della sua zona. E’ interessante parlare con questo ragazzo, che ha esperienza anche di vita occidentale, e che si esprime anche perfettamente in italiano e quindi abbiamo modo di sfogare tutta la nostra curiosità sulla politica, la geografia, gli stili di vita etc etc. Alla fine facciamo un pasto colossale, e nonostante nessuno al tavolo sia assolutamente a dieta, avanziamo parecchia roba, e considerando che il posto è uno dei più lussuosi del quartiere (ci sono a mangiare anche gli atleti dei mondiali di atletica leggera) la spesa, meno di venti euro, è davvero irrisoria. Verso la una rientriamo in albergo, percorrendo una Pechino ancora animatissima, in cui c’è gente ancora al lavoro per strada nonostante sia sabato sera.

30 Agosto 2015

Ci riproviamo con la Grande Muraglia e stavolta va bene! Tutti puntuali e la guida Tian Tian oggi, a differenza di ieri, è di una gentilezza quasi nauseante, supponiamo che ieri sia stata sgridata dopo le nostre rimostranze a causa del suo nervosismo al limite dell’isterismo. Comunque si parte e il viaggio sino al tratto di mura che andremo a percorrere dura circa un’ora e mezza durante la quale dopo aver passato la verticale periferia di Pechino, attraversiamo una serie di valli nelle quali incontriamo una serie di paesini molto caratteristici. Scesi dal bus, ci prende un colpo quando vediamo la guida procedere avanti a noi con l’ombrellino alzato a mò di gita giapponese in Piazza Duomo a Milano, ma fortunatamente la cosa dura pochi istanti e la guida ci lascia all’ingresso della funivia, dandoci l’orario per il rientro. La funivia ci porta sulle mura 400 mt più in alto. Qui purtroppo il tempo è nuvoloso, ma è comunque affascinante vedere la muraglia inerpicarsi sulle strette e scoscese montagne vicine, per poi perdersi tra le nuvole. Le mura hanno dimensioni davvero imponenti, sono alte 10 metri e larghe 5 e ogni tot vi sono posti di guardia e casematte. La camminata non è per niente agevole perchè vi sono tratti molto ripidi e i due chilometri visitabili diventano così, molto lunghi da percorrere. L’ultimo tratto si presenta in condizioni autentiche, senza nessuna ristrutturazione, così da poter vedere l’effetto che erosione e furti dei locali, che prelevavano pietre per costruire le proprie case, hanno prodotto su questa immensa costruzione. Arrivati alla fine del percorso visitabile, guardando in basso vediamo dei minacciosi nuvoloni avvicinarsi alla nostra altezza, e quindi giriamo i tacchi alla svelta, prendendo in giro anche gli immancabili venditori di ombrelli che sono già pronti a fare affari d’oro, ma a metà strada veniamo colti in pieno dall’acquazzone, col risultato di arrivare alla funivia completamente fradici dalla testa ai piedi, salvando solo diario e macchina fotografica. Dopo un pranzo rapidissimo in una locanda convenzionata con l’organizzazione della gita, rientriamo a Pechino, dove, dopo un thè caldo e una doccia, ci concediamo un’oretta di sonno in vista della serata. Trascorriamo una bellissima serata nella zona centrale di Niauxiolang, il vero centro di Pechino, e grazie a Giovanni, scopriamo una zona in cui sono concentrati tutta una serie di ristoranti, tra i quali anche il coreano nel quale mangiamo noi, un’altra in cui vi sono invece tutta una serie di baretti in ognuno dei quali c’è un gruppo di giovanissimi musicisti che si esibisce. In un’altra via sono concentrati invece i negozi di artigianato locale, tra i quali un bellissimo negozio di stampe, gestito da un maestro d’arte. Infine, stanchi della lunga camminata, ci fermiamo per una birra e per un po’ di chiacchiere con Giovanni che ci fa capire quanto poco noi conosciamo del continente cinese, ma anche quanto poco loro conoscano del mondo occidentale, con tutta una serie di barriere che quindi vengono a crearsi.

31 Agosto 2015

E’ l’ultimo giorno della vacanza, stasera si lascia Pechino e si rientra in Italia, decidiamo quindi, dopo 20 giorni tutto sommato intensi, di dedicare questa giornata al relax. Andiamo in giro per la città alla ricerca di souvenir per parenti e amici, ma finiamo, dapprima in un mercatino delle pulci dove si vendono buddha alti 3 metri, difficili da far passare come bagaglio a mano, e poi in un centro commerciale, vera trappola per turisti. Decidiamo quindi con Marco, di darci allo shopping sfrenato di cineserie all’ultima moda, prodotti probabilmente pericolosissimi, malfunzionanti e magari anche tossii, che hanno l’unica pregio di non superare mai le due euro. Quindi dopo una cena in una birreria in cui ci siamo infilati,dove proviamo le specialità del locale: cervella in umido, fritto e con ogni sorta di salsina, ci fiondiamo in un bar nel quale suona un duo acustico niente male, per il brindisi finale. Quindi torniamo in albergo e con una punta di tristezza e il sentore che già sta affiorando la nostalgia dei posti visti e delle persone conosciute, ci carichiamo lo zaino in spalla per l’ultima volta, per andare a prendere il taxi che ci condurrà all’aereoporto per il volo di rientro.

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