La più bella di New Orleans

Da Miami a New Orleans via Alabama, Mississippi, Texas
Scritto da: oriental2008
la più bella di new orleans
Partenza il: 12/01/2011
Ritorno il: 22/01/2011
Viaggiatori: 2
Spesa: 2000 €
Mercoledì 12.01.2011

0re 11.20 partenza da Milano Malpensa con volo Alitalia per Miami; volo piacevole, poltrone comode, vasta scelta di film, servizio ottimo. Arrivo al Miami International Airport dopo oltre 11 ore, coda di circa mezzora per l’espletamento delle formalità doganali, quindi ritiro bagagli. Troviamo facilmente la navetta (gratuita) per l’edificio che ospita tutte le maggiori compagnie di autonoleggio e, una volta arrivati, ci dirigiamo all’ufficio Dollar per il ritiro dell’auto che abbiamo prenotato dall’Italia tramite enoleggio in collaborazione con “vacanzeinamerica”. Ricevuti contratto e gps (il “garmin” è alleato insostituibile) ci rechiamo presso i parcheggi, dove l’addetto ci invita a scegliere fra più modelli del segmento mid-size. Alla fine la mia compagna individua una accattivante Ford fusion sel di colore grigio, comoda, spaziosa e full-optional. Il tempo di imparare la guida americana (l’approccio con il sistema “automatico” è meno complesso del previsto) e si parte. Impostiamo l’indirizzo del motel prenotato dall’Italia per le due notti a Miami (La Quinta Inn Miami Airport North al costo complessivo di 120 €) e in meno di mezzora siamo già in camera. Doccia veloce e si riparte per cena (a Miami sono circa le 19.00, in Italia le 01.00 ma non abbiamo sonno mentre in compenso la fame è tanta). Impostiamo per un ristorante della catena Red Lobster (aragosta rossa) che abbiamo trovato più volte consigliato dai viaggiatori di TripAdvisor. In breve tempo, ci troviamo seduti davanti ad un invitante megapiatto di aragosta e gamberi, accompagnato da una Corona gelata. Ottimo inizio e prezzi contenuti ( totale 66 $) compresa una fetta di torta al lime tipica della Florida. Si ritorna in motel, domani ci attenda la meravigliosa Miami.

Giovedì 13.01.2011

Ci svegliamo abbastanza presto e ci rechiamo nella hall per la colazione: sala affollata, una sorta di happening, con molta gente in piedi che mangia, guarda la tv, conversa con gli altri ospiti. Ci piace molto. Alle 09.00 siamo già partiti in direzione di So.Be. (South Beach) il posto più trendy di Miami; la temperatura è abbastanza piacevole, sui 17 gradi, ma nel primo pomeriggio arriverà sui 22-23. Utilizziamo la Mac Arthur Causeway e gli scenari che si aprono davanti a noi sono bellissimi con ponti, barche, ville, bracci di mare che si susseguono a ritmo continuo. Parcheggiamo l’auto a So.Be. In un parking a pagamento e ci avviamo subito su Ocean Drive ma appena arrivati, siamo attratti dalla famosa spiaggia per le tradizionali foto di rito. Dopo aver girovagato anche in Collins Avenue sotto un sole sempre più caldo, ci accorgiamo all’improvviso che è quasi l’una e individuiamo quello che fa al caso nostro: un caffè all’aperto con tavolini sotto alberi con piccoli uccelli canterini, 2 buonissimi piatti a base di pesce con la solita Corona ($58). Ripartiamo da So.Be. E ci rechiamo a Bayside Market Place, un enorme centro commerciale sul mare con negozi, bar, cantanti che suonano in piazza, spettacoli all’aperto; prima però facciamo un giro sul MetroMover (metropolitana automatizzata, sopraelevata e gratuita che ci scorazza fra i grattacieli di Downtown). Dopo la permanenza al Bayside ripartiamo verso Key Biscayne (l’ingresso al parco costa 6$), zona esclusiva dove parcheggiamo l’auto su una piazzola davanti ad una stretta spiaggia di sabbia bianchissima e ci gustiamo il tramonto sul mare. Da applausi. Ritorniamo in motel e ci accontentiamo di quel che riesco a prendere al vicino McDonald; domani si parte presto, ci attendono le Keys.

Venerdì 14.01.2011

Dopo la solita affollata colazione, impostiamo il garmin per Key West, la punta estrema degli USA continentali, che dista da Miami oltre 200 km.. Dopo essere usciti dal traffico di Miami, proseguiamo verso sud ed, a un tratto, cominciamo a vederla: siamo sulla Overseas Highway, autostrada sui mari, a sinistra l’Oceano Atlantico, a destra il Golfo del Messico. Posti incantevoli si susseguono: Key Largo, Islamorada, Seven Miles Bridge,Baia Honda dove ci fermiamo su una spiaggia meravigliosa ed infine arriviamo a Key West. Dopo la foto di rito al Southernmost point (punto più a sud degli Usa, 90 miglia da Cuba), ci immergiamo nell’atmosfera al contempo caraibica/gioiosa/elegante/glamour di Duval Street, vero cuore di KW. Dopo uno spuntino in un piacevole locale all’aperto messicano (scovato dalla mia compagna in una stradina laterale e dove ci hanno servito gamberi piccanti e la sempre presente Corona), ritorniamo sulla Duval per coglierne gli aspetti più stravaganti : Dopo una tappa al bar di Ernest Hemingway ( Sloppy Joe’s che conserva numerose foto e altri ricordi dello scrittore adorato dal mio amore), ci dirigiamo verso la celebre Mallory Square, dove ci si reca per il famoso rito del tramonto, chiamato Sunset Celebration. Questa opportunità non è però prevista dal nostro ambizioso programma di viaggio e prima del tramonto ripartiamo verso nord. Facciamo tappa a Homestead dove alloggiamo al motel Floridian (bene solo per una notte, la solita stanza con le varie dotazioni e letto King Bed a 59). Per la cena, visto che la mia compagna ed io siamo un po’ stanchi, faccio un salto ad un supermarket vicino dove per 4 dollari porto in camera due grosse confezioni di macedonia freschissima e dolcissima.

Sabato 15.01.2011

Dopo una prima colazione senza lode e senza infamia, risaliamo in auto e ripartiamo. E’ ancora abbastanza presto ma la strada da fare è lunga. Ben presto ci immettiamo sulla Tamiami Trail 41, la strada che taglia da est a ovest il parco delle Everglades, incredibile riserva naturale. Il sole ci accompagna mentre attraversiamo la sterminata area disseminata di paludi, canali e alberi di vario tipo; notiamo divertiti il cartello giallo con il disegno scuro di un alligatore e la scritta “crocodile crossing” ma ciò non influisce minimamente sulla decisione già presa la sera prima di non fare un giro nelle paludi sull’air-boat (piccole imbarcazioni a motore a chiglia piatta) mentre decidiamo volentieri di fermarci al villaggio degli indiani Miccosukkee per una visita piacevole ed istruttiva. Dopo la sosta riprendiamo la marcia, continuando a vedere un gran numero di uccelli di specie diverse e poi, in una specie di pozza a fianco della strada, intravediamo anche un coccodrillo piuttosto massiccio ma non molto lungo. Lasciamo il parco delle Everglades, siamo giunti ormai sulla costa del Golfo del Messico e ci dirigiamo senza indugio verso l’isola di Sanibel, autentico gioiello caratterizzata da una bellissima spiaggia di conchiglie rosa. Per arrivare a Sanibel, occorre utilizzare una strada che si snoda su lunghi ponti sull’acqua attraversando piccole baie incantate (si tratta di una arteria a pagamento, il costo è di circa 6 $ ma ne vale veramente la pena). Parcheggiamo la macchina in un parking orario dopo aver attraversato il centro (si fa per dire) di Sanibel, caratterizzato da villette e resort e cominciamo a camminare sulla famosa spiaggia; le conchiglie sono disseminate ovunque in quantità incalcolabili! Mentre ci avviamo verso il vecchissimo lighthouse (faro), all’improvviso alla nostra sinistra, a non più di cinque metri da riva, un delfino comincia a fare evoluzioni fuori dall’acqua catturando immediatamente l’attenzione dei presenti. Mezzora di sole e si riparte in direzione di Fort Myers per proseguire il cammino verso nord, ma in maniera del tutto casuale decidiamo di perdere dieci minuti e fare una puntata a vedere Fort Myers Beach, poco distante. Mai scelta fu più indovinata, ci siamo rimasti per oltre tre ore e non volevamo andarcene più!!! Posto affascinante, sole estivo, spiaggia bianchissima, gente allegra e spensierata; dopo aver gironzolato per un po’ di tempo, puntiamo un locale all’aperto da dove viene della musica, con diversi clienti ai tavoli ed una atmosfera che ci ispira fiducia:proviamo. Ci sistemiamo ad un tavolo di legno, posate avvolte in un tovagliolo di carta, al posto della tovaglia due fogli di giornale (per la cronaca si trattava del Fort Myers Beach Bullettin del novembre 2010) e ci sentiamo assolutamente a nostro agio. Brindiamo (ormai sapete con che cosa) e cominciamo con gustare degli ottimi gamberi, una dozzina di ostriche ma il “pezzo forte” arriverà da lì a pochi minuti: per gli amanti del “seafood”, la mia compagna ed io giuriamo che venire allo Smokin Oyster Brewery di Fort Myers Beach e provare il famoso “stone crab” o granchio di pietra vale da solo la pena di attraversare l’Oceano Atlantico. Con calma riusciamo ad avere la meglio sul gustosissimo e gigantesco granchio, non facendoci mancare dell’ottimo pane caldo. Finito l’indimenticabile pasto (costo complessivo 67$ comprese 4 birre) è d’obbligo una passeggiata sullo stretto pontile della cittadina per ammirare da un altro punto di osservazione (in compagnia di grossi pellicani che sostano nella parte finale del pontile stesso) la splendida località. Purtroppo è ora di ripartire, lasciando qui un pezzettino di cuore; risaliamo verso nord, oltrepassando Tampa Bay e St. Petersburg e arriviamo, ormai è buio già da un pezzo, a Orlando. Avevamo impostato l’indirizzo di un hotel consigliato da altri viaggiatori nella zona di Lake Buena Vista ma la struttura è al completo; prontamente la mia compagna mi invita a provare all’hotel a fianco e troviamo al costo di 92$ una super stanza dotata di ogni comfort compreso l’immancabile king bed a tre piazze. Il costo è superiore rispetto alle altre località ma ci troviamo a Orlando, paradiso dei parchi tema e quindi i prezzi in qualche modo ne risentono. Siamo talmente stanchi che decidiamo di non uscire per la cena e quindi subito a nanna.

Domenica 16.01.2011

Al mattino presto, dopo una 1^ colazione un po’ insolita (la sala del buffet è ben fornita ma non sono previsti tavoli e sedie, si prende quello che si vuole e si ritorna in camera) ,contrariamente a quanto ci si potrebbe aspettare a questo punto (visita ai famosi parchi della città) colpo di scena: già dal giorno prima abbiamo deciso di “saltare” le attrazioni di Orlando (magari sarà un altro motivo valido per tornare da queste parti prima o poi) e puntiamo deciso verso il Kennedy Space Center di Cape Canaveral culla dell’avventura spaziale a stelle e strisce. Siamo fra i primi ad entrare (costo del biglietto è di 44$ a persona) in una giornata che si presenta limpida e soleggiata. Cominciamo subito con la visita al Giardino dei Missili dove sono allocati i vettori (da Mercuri a Gemini ad Apollo) che hanno fatto la storia della sfida americana per la conquista dello spazio prima e del successo dello sbarco sulla Luna dopo (il primo avvenne l’11 luglio del 1969 con la missione di Apollo 11). Passiamo quindi alla visita dello Shuttle Lunch Experience dove proviamo appunto l’esperienza del simulatore di volo a bordo di un vero shuttle: dopo il lancio in orbita, il simulatore passerà lentamente proprio sull’Italia, una esperienza emozionante. Passiamo poi alla visita di un paio di siti all’interno dell’area, mediante l’utilizzo di bus interni: dapprima una sosta all’Apollo Center poi al LC-39 Observation Gantry dove è possibile , fra l’altro, osservare a una certa distanza due torri di lancio. Imperdibile. Ritornando verso il Visitors Centre notiamo qualche pacifico coccodrillo nei fiumiciattoli che attraversano l’area e finiamo il giro con la sosta all’Astronaut Memorial dove si possono vedere le immagini degli equipaggi caduti nel corso delle varie missioni (fra gli ultimi l’incidente del Challenger nel gennaio del 1986 durante la fase di lancio che costò la vita ai 7 membri di equipaggio e quello del Columbia nel febbraio del 2003 che si disintegrò durante la fase di rientro in atmosfera in cui perirono i 7 astronauti presenti). Dopo uno spuntino veloce (panini e patatine) in piedi, ci rechiamo in un grosso negozio all’interno del centro dove facciamo qualche piccolo acquisto. Sono circa le due del pomeriggio e decidiamo di ripartire, prossima tappa: Daytona ma, strada facendo, ancora una volta ci facciamo guidare dall’istinto e puntiamo verso la cittadina di St. Augustine dove, dopo aver attraversato un magnifico ponte con tanto di leoni in pietra e aver parcheggiato l’auto, ci ritroviamo immersi nell’atmosfera ottocentesca anglo-irlandese di St. George Street, con autentici pubs di quell’epoca, piccoli edifici coloniali, mulini con tanto di pale ad acqua dove però si può bere e ascoltare musica dal vivo, personaggi pittoreschi che pubblicizzano “ghosts tour” ovvero un giro a piedi con guida per visitare posti e luoghi infestati da fantasmi. Tuttavia, visto che siamo in piedi dalle 7 del mattino, che siamo abbastanza stanchi e che si è alzato un venticello decisamente fresco, decidiamo di puntare verso il Red Lobster presente in città dove con 72$ ci rimpinziamo come sempre di gamberi, aragosta e granchi accompagnati dalla solita messicana servita in bottiglia con lo spicchio di lime. Finita la cena ci dirigiamo verso il motel che avevamo “ipotizzato” in caso di sosta a Daytona: si tratta del Super 8 Daytona Beach, dove ci viene data la solita camera spaziosa per meno di 50$.

Lunedi 17.01.2011

Al mattino , dopo una sostanziosa colazione, partiamo diretti alla volta del celebre Daytona International Speedway: l’autodromo si presenta in tutta la sua magnificenza fin dall’esterno (a proposito, per la prima volta troviamo tempo incerto e qualche goccia di pioggia); dopo aver pagato il ticket (22$ a testa) ci portano in giro su un simpatico trenino con passaggio sul circuito, visita alle officine, al museo e al relativo negozio che vende varia mercanzia per gli appassionati. Verso la fine della mattinata siamo già in viaggio in direzione di Ocala, nel cuore della Florida, considerata una delle capitali mondiali dei cavalli. A tratti piove leggermente ma ciò non ci impedisce di ammirare splendidi ranchs come tante volte abbiamo visto in tv. Dopo una pizza (abbastanza buona) mangiata in piedi nel piccolo parcheggio di un take-away, proseguiamo il viaggio verso ovest; abbiamo pensato di fare tappa serale a Pensacola e quindi abbiamo ancora molta strada da fare, scartando perciò la visita di Tallahassee la città che, forse non tutti sapranno , è la capitale dello Stato della Florida. Proseguendo notiamo l’ennesimo cartello “bizzarro” di colore giallo che indica genericamente un pericolo: stavolta, dopo il coccodrillo, la tartaruga e la lince, vediamo disegnata sembra alcuna ombra di dubbio l’inconfondibile sagoma di un orso e ci rendiamo conto che mai avremmo indovinato la presenza di orsi in questo stato del sud. Poco dopo altra curiosità: a poche decine di chilometri di distanza da Pensacola, il nostro gps scatta indietro di un’ora, abbiamo “attraversato” un fuso orario e adesso siamo a meno 7 ore dall’Italia. Finalmente arriviamo a Pensacola e ci dirigiamo al Red Roof Inn vicino all’uscita dell’autostrada: i Red Roof (tetto rosso) sono una catena di motel di ottimo livello e per la notte riusciamo ad avere una sontuosa camera di almeno 40 m2 per 61$. Veloce doccia e ripartiamo subito per la città dove contiamo di cenare al Joe Patti’s Seafood, ristorante, manco a dirlo, di pesce. L’avvicinamento alla meta è però del tutto particolare: Pensacola è una città sul mare ma la zona più a ridosso delle spiagge e del porto sembra “abbandonata”, quasi spettrale, pochissime macchine in circolazione, nessun esercizio commerciale aperto, zero passanti e ovviamente il Joe Patti’s, pur con la vistosa insegna illuminata è chiuso, così come confermato dall’enorme parcheggio completamente vuoto. Chiediamo soccorso al nostro “garmin” che ci indica un altro ristorante a pochissima distanza ma anche questo tutto spento. A questo punto la mia compagna ha una delle sue solite intuizioni e decide di puntare verso “Fish House” o Casa del Pesce, nome invitante ma siamo curiosi di vedere se è aperto. Si, la particolare struttura (direttamente su un piccolo porticciolo) è aperta, ci sono diverse persone ai tavoli , vediamo anche un bellissimo acquario però l’atmosfera è talmente soffusa che potrebbe perfino mettere a disagio qualcuno ma certamente non noi che veniamo sistemati in un buon tavolo mentre il titolare ci porge il benvenuto. Il tempo di guardare la carta e ordiniamo una bollente zuppa di pesce con, a seguire, la specialità della casa (si tratta del famoso grits a ya-ya, particolare elaborazione di un jumbo shrimp o gambero gigante con funghi, semola di formaggio, burro, pancetta, scalogno e spinaci) qualcosa di veramente sublime, che nella nostra personalissima hit gastronomica si colloca di diritto al secondo posto, subito dopo il granchio di pietra di Fort Myers Beach. Cena spettacolare con l’immancabile Corona ( durante il giorno abbiamo bevuto soltanto acqua, succhi e coca-cola, giusto per tranquillizzarvi) al prezzo incredibile di 59$ (circa 20 euro a testa!!!). Ritorniamo in motel riattraversando la città fantasma e ci abbandoniamo al soffice lettone a tre piazze (quasi quattro!).

Martedi 18.01.2011

Il primo “impegno” della giornata è il Museo dell’Aviazione Navale degli Stati Uniti, vera attrazione della città: dopo aver superato un previsto “check-point” parcheggiamo a fianco dell’imponente struttura museale, al cui ingresso campeggia un autentico F14 Tom Cat, l’aereo protagonista del film “Top Gun”. Per un appassionato di aerei come il sottoscritto, la visita ai grandi padiglioni è qualcosa di veramente coinvolgente ma anche la mia compagna, almeno a giudicare dal numero di foto che scatta con la digitale, credo abbia trovato molti spunti interessanti. Non starò a dilungarmi su quanto abbiamo avuto modo di vedere (dai primi aerei ad un enorme idrovolante, dai vari modelli di vettori alternatisi sulle portaerei alla intera squadriglia di Blue Angels (equivalente delle nostre Frecce Tricolori), alla ricostruzione di varie locations. Insomma, per coloro che sono interessati, probabilmente si tratta di un posto unico al mondo, assolutamente da vedere. Verso l’ora di pranzo lasciamo Pensacola e riprendiamo la nostra corsa verso l’ovest; pochi chilometri e incontriamo il cartello che ci indica l’ingresso in Alabama; non abbiamo in programma alcuna tappa in questo Stato e proseguiamo senza indugio, accorgendoci però che la “qualità” dell’autostrada è alquanto diminuita rispetto al livello di quelle della Florida. Il tempo di fare queste considerazioni e passiamo un altro confine, arrivando in Mississippi. Per questo Stato vale quanto detto a proposito dell’Alabama: non sono previste fermate e d’altra parte il paesaggio circostante non invita nemmeno a considerare l’ipotesi di adottare qualche variante. Poco più di un’ora e arriviamo al terzo confine: un cartello ci informa che siamo giunti finalmente in Louisiana! La natura intorno a noi è molto particolare, a tratti addirittura inquietante: chilometri e chilometri di paludi senza la minima traccia di insediamento umano ad eccezione dell’autostrada, atmosfera resa ancora più cupa da un cielo scuro e da una pioggia che comincia a cadere con una certa insistenza. La mia compagna di viaggio (ma soprattutto compagna della mia vita) provvede subito all’antidoto, individuando una stazione radio con pezzi disco-dance anni ottanta. Nei pressi dell’imponente ponte che immette (provenendo da est) nella città portuale di Baton Rouge siamo accolti da un incredibile diluvio che ci costringe addirittura a fermarci; il ritardo ormai accumulatosi sulla nostra tabella di marcia ci induce a considerare l’ipotesi di “mollare” e dirigerci a sud verso New Orleans ma poi prevale ancora una volta lo spirito dell’avventura e ricominciamo a macinare miglia verso occidente:l’imperativo è quello di arrivare in Texas! Finalmente raggiungiamo la località prevista per la sosta notturna: si tratta di Lake Charles, l’ultima cittadina della Louisiana, di una certa importanza, prima del confine texano. Ci rechiamo al locale Red Roof Inn (comodissimo, vicino all’uscita dell’autostrada) dove,senza prenotazione, ci sistemano in una magnifica stanza per 79$. Oggi non abbiamo praticamente toccato cibo dopo la prima colazione e così, dopo una ristoratrice doccia, partiamo per la cena. Chiediamo consiglio al satellitare che ci indica una struttura abbastanza vicina ma l’ambiente circostante non ci sembra affatto rassicurante e propendiamo per una soluzione diversa. Manco a dirlo, arriva in soccorso il proverbiale “fiuto” di Lei che imposta sul garmin il ristorante “Pat’s of Henderson”; dopo una decina di minuti lasciamo la macchina nel parcheggio ed entriamo in una struttura a piano terra dal vago sapore storico. Veniamo accolti da un addetto che ci scorta all’interno della sala ristorante e qui, in una frazione di secondo, ci sembra di essere in un altro mondo, in una diversa epoca. Siamo in una sala molto grande, in tipico stile ottocentesco degli stati del Sud ( “Via col vento” per intenderci),vetrinette, candelabri, specchi, velluti, tavoli di varia foggia, coppie e famiglie ai tavoli con molti uomini con in testa il tipico cappello cow-boy, atmosfera al contempo raffinata ma informale. Subito una cameriera arriva al nostro tavolo e appena si rende conto che siamo viaggiatori si premura di darci dei consigli sulle specialità da assaggiare, consigli che accettiamo molto volentieri. Pat’s of Henderson è “Louisiana Seafood & Steakhouse” e quindi gustiamo sia degli ottimi gamberi, sia del filetto tenerissimo e molto gustoso, piatti accompagnati da vari piattini di contorno e birra Corona, con in ultimo scorpacciata di dolci tipici. L’ultimo ricordo del locale è la cameriera, che accompagnandoci alla cassa, ci chiede se siamo francesi e appresa la nostra identità ci regala un radioso sorriso (forse anche a lei, come al sottoscritto, i francesi non sono simpatici). Torniamo in motel e il pensiero è uno solo:Texas.

Mercoledi 19.01.2011

Ricca prima colazione e partiamo in direzione del confine texano; dopo circa quaranta minuti un enorme cartello blu indica che la meta è raggiunta ma proseguiamo perché dobbiamo arrivare a Houston, città bellissima e caotica. Il sole è veramente caldo, la natura circostante perde un po’ di colore verde ed aumenta nelle tonalità del giallo. Dobbiamo però tornare: questa sera dobbiamo essere a New Orleans e pertanto riprendiamo il cammino, stavolta verso est, percorrendo la confortevole autostrada texana. Rientriamo in Louisiana, traffico scorrevole, cielo limpido, buona musica, la mia compagna guida rilassata, sembra tutto tranquillo, ma ad un tratto Lei mi dice ……abbiamo una macchina della polizia dietro di noi….. Io rispondo….. Tranquilla, non starà mica seguendo noi…. Lei continua…. Mi ha fatto le luci…. Sto per ribattere quando mi dice ancora …. Ha acceso anche i lampeggianti. Va bene, freccia inserita e accostiamo. Ci eravamo informati sul fatto che, in caso di stop da parte delle forze di polizia in Usa, non bisogna assolutamente scendere dalla macchina, si deve abbassare il finestrino e mettere le mani sul volante o comunque bene in vista. Facciamo così e aspettiamo il poliziotto che intanto è sceso dalla jeep; da dietro il lunotto fa un gesto tipo”scendete dall’auto” ma noi impassibili rimaniamo seduti e alla fine è lui che si avvicina dal mio lato. Tiro giù il finestrino e lo sceriffo della contea, giubbotto di pelle e occhiali scuri d’ordinanza, ci chiede la patente di guida della mia compagna e dove siamo diretti. Forniamo patente di guida e passaporti e iniziamo a dire che siamo turisti italiani di ritorno dal Texas e diretti a New Orleans, lui ci chiede da che parte dell’Italia proveniamo (io sono originario della Puglia, Lei lombarda doc) e ottenuta la risposta ci sorride soddisfatto. Ci restituisce i documenti, chiarendoci di averci fermati perché stavamo superando di 10 miglia orarie il limite stabilito ma non ci sanziona e ci augura un buon viaggio, stringendomi la mano. Ripartiamo ad andatura moderata commentando l’incontro di poco prima e la mia compagna simpaticamente mi confessa che “avrebbe pagato per essere fermata dalla polizia su una autostrada americana”. Io non so, certo comunque che alla fine è un episodio da raccontare e ricordare. Dopo aver fatto una breve tappa per visitare un tipico villaggio “cajun”, verso la fine del pomeriggio arriviamo a New Orleans e ci dirigiamo subito verso il “Saint Charles” struttura appartenente alla catena “Qualità Inn & Suites”: si tratta di un ottimo motel situato lungo la omonima Saint Charles Street, una delle arterie principali della città. La stanza è davvero molto confortevole ed il prezzo di 41$ è comprensivo anche di un comodo parcheggio. Considerata la posizione davvero centrale del motel, ci dirigiamo a piedi verso il cuore pulsante di New Orleans ovvero il “quartiere francese” con la sua Bourbon Street dove arriviamo in meno di un quarto d’ora, non senza prima aver ammirato i celebri tram d’epoca che ancora vengono utilizzati su 3 linee e che i locali chiamano rigorosamente “streetcars”. Bourbon Street è una strada incredibile dove si alternano ristoranti, negozi vintage, orchestrine agli incroci, locali a luci rosse , birrerie esagerate, gli artisti più disparati ed il tutto è accompagnato da un sottofondo musicale in continuo mutamento. Dopo aver girovagato alquanto, facciamo tappa al ristorante La Bayou, cucina tipica cajun e creola, dove gustiamo zuppa ed una abbondante piatto di pesce fritto e patate, corona sempre presente. Riprendiamo a camminare per Bourbon Street e ci accorgiamo che la folla è notevolmente aumentata così come pure la musica: io e la mia compagna ci domandiamo cosa potrà mai essere fra qualche settimana quando comincerà il carnevale, l’evento più sentito in città! Decidiamo, come molti turisti, di acquistare una piccola bambola vodoo (della serie….non si sa mai) e regalo una collana con un giglio (simbolo di New Orleans) al mio amore, poi spiegherò perché proprio una collana. Anche oggi abbiamo fatto tante cose, siamo stanchi, torniamo alla base.

Giovedi 20.01.2011

Ripartiamo al mattino presto per la visita di questa città che, ricordiamo, si trova fra il Lake Pontchartrain, una distesa d’acqua salata a nord e la caratteristica ansa che il Mississippi forma prima di sfociare nel Golfo del Messico. Come prima tappa ci rechiamo in visita al Confederate Memorial Hall Museum dove si possono ammirare documenti, divise e vari oggetti risalenti al periodo della guerra civile americana (la Louisiana si schierò con la Confederazione del Sud); si tratta di un museo piccolo ma veramente molto ben organizzato ed articolato, una piccola chicca per eventuali appassionati. Dopo circa un’ora ci rechiamo al famoso River Walk Market Place, un esteso centro commerciale lungo il Mississipi dove si concentrano luoghi, suoni e sapori. La mattinata corre via veloce e per pranzo decidiamo di puntare al ristorante Franky & John al 321 di Arabella Street dove assaggiamo, fra l’altro, la celebre zuppa di alligatore. E’ ora di puntare per l’ultima volta il nostro gps verso la meta finale: il deposito della Dollar nei pressi del Louis Armstrong International Airport di New Orleans. Accade un fatto curioso: nell’ultimo tratto il nostro “garmin” non parla più, ci piace pensare che forse aveva capito che stavamo per lasciarci e si era fatto prendere dall’emozione. Stiamo naturalmente scherzando, anche se dobbiamo riconoscere che quando abbiamo lasciato l’auto ci siamo voltati a guardarla ancora una volta:in fondo abbiamo percorso quasi 5.000 (cinquemila!) chilometri in nove giorni. Visitiamo alcuni negozi all’interno dell’aerostazione,senza peraltro acquistare nulla e finalmente verso le 18.00 il volo 1314 della American Airlines (costo 80$ a testa) decolla con destinazione Miami, dove arriviamo dopo poco più di un’ora. Prendiamo un taxi per ritornare al La Quinta Inn Miami Airporth North dove avevamo già soggiornato le prime due notti a Miami. Siamo a piedi e ci dirigiamo verso un ristorante vicino, Argentina Steak House, dove ci concediamo una “parrillada” di carne; spendiamo 45 $ e sicuramente sono i dollari spesi peggio in tutto il viaggio: lo sconsigliamo a tutti. Torniamo in motel.

Venerdi 21.01.2011

Ci alziamo con calma, oggi è il giorno della partenza, facciamo colazione dopo le nove e ritorniamo in camera; facciamo poi una breve passeggiata per ingannare il tempo e alle 13.00 prendiamo la navetta (gratuita) del motel per raggiungere l’aeroporto. Sbrigate le formalità di rito, ce ne andiamo a zonzo per l’immensa struttura fino a quando, dopo esserci seduti in una delle innumerevoli sale, avviamo una conversazione con altri italiani in attesa di ripartire alla fine di una crociera. Risentiamo la nostra lingua, visto che a parte i dialoghi fra noi due, negli ultimi nove giorni avevamo parlato e udito solo l’inglese. Alle 18.00 ci imbarchiamo sul comodo A330 dell’Alitalia che, dopo un viaggio tranquillo e già pieno di ricordi, atterra a Malpensa alle 10 del mattino dopo.

Conclusioni

Un viaggio semplicemente indimenticabile in cui abbiamo visto luoghi bellissimi ma anche pieni di contrasti, conosciuto realtà diverse e da cui abbiamo imparato perfino a conoscere un po’ meglio anche noi stessi. Insomma, un vero viaggio “on the road” che consigliamo a chiunque abbia una minima dose di spirito d’avventura, iniziativa, una conoscenza di base della lingua inglese e un pizzico di lucida follia, esperienza che ci ripromettiamo di compiere fra un anno o due sulla costa occidentale degli Stati Uniti. Per i curiosi, infine, ricordo che il titolo di questo diario di viaggio richiama quello di una canzone di Davide Van de Sfroos , “New Orleans”, in cui si parla della più bella donna della città e del suo uomo che le regala una collana di perle (superfluo dire che siamo noi due!).

Daniela & Johnny



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