Speciale West Coast: San Francisco

Di Lara Ferrari foto di Marco Macchi Alla scoperta del Nord Ovest degli Stati Uniti, iniziando da una delle sue città più colte, affascinanti e progressiste. Il 24 luglio io, Lara, e Marco partiamo da Milano Malpensa alla volta di San Francisco, prima tappa di un itinerario costruito con cura e dedizione. L'entusiasmo è...
Turisti Per Caso.it, 26 Gen 2010
speciale west coast: san francisco
Alla scoperta del Nord Ovest degli Stati Uniti, iniziando da una delle sue città più colte, affascinanti e progressiste. Il 24 luglio io, Lara, e Marco partiamo da Milano Malpensa alla volta di San Francisco, prima tappa di un itinerario costruito con cura e dedizione. L’entusiasmo è tanto, ma ci accorgeremo cammin facendo che il viaggio è ampiamente superiore alle nostre già alte aspettative. Facciamo scalo a Philadelphia, subito ammirata dall’alto: verdissima, piena di parchi. La culla dei diritti dell’uomo è il nostro primo, vero contatto con l’America, in attesa di “Frisco”. Crediamo che l’inglese rappresenti un ostacolo. Ci sbagliamo. La parlata da quelle parti è molto rapida, è vero, però i nostri timori iniziali sono spazzati via dall’aperta giovialità degli americani. Un tratto tipico del carattere, che ritroveremo anche a Portland e a Seattle, le nostre tappe successive, è il loro essere ospitali con i viaggiatori.

San Francisco

L’atterraggio a San Francisco avviene quasi al tramonto, un tempo perfetto per saggiarne la luce sfolgorante. In una luce così bella e pervasiva non ci eravamo imbattuti mai. L’hotel è sito nel cuore di downtown, a pochi passi da Union Square. Questo ci consente di raggiungere a piedi molte delle attrazioni principali, di guardarci intorno stregati dal fascino senza pari di una metropoli oggetto di innumerevoli riprese cinematografiche e televisive. Dalla serie dell’Ispettore Callaghan di Clint Eastwood al telefilm di culto “Sulle strade di San Francisco” con Michael Douglas e Karl Malden fino a capolavori assoluti come “La donna che visse due volte” e “Gli uccelli” di Alfred Hitchcock, per non parlare di “Fuga da Alcatraz”, “Il laureato”, con Alamo Square sullo sfondo, “La signora in rosso” e via via all’infinito, sono tantissimi i film che hanno trovato in Frisco la location ideale. A tal punto che un turista potrebbe decidere di elaborare un itinerario solamente seguendo le tracce lasciate dai film.

Memorabile la scena di “Vertigo” in cui James Stewart salva dal suicidio Kim Novak, che si getta nelle acque gelide dell’Oceano Pacifico, a Fort Point, appena sotto il Golden Gate Bridge. Per visitare il ponte e le zone circostanti, Marina e Presidio, prendetevi almeno due o tre giorni. Si può decidere di prendere la macchina o perfino la bicicletta e andare dall’altra parte della contea, a Sausalito e Tiburon, località di villeggiatura dei californiani, con le loro deliziose casette colorate. Vale la pena anche il traghetto, per un bel giro panoramico lungo la costa. Così come per Alcatraz, del quale vi rimarrà appiccicato addosso un odore inconfondibile. Visitare The Rock vi porterà via comunque una giornata.

Mentre a ridosso del Golden Gate si trova un villaggio di pescatori e i boschi si infittiscono, fino a toccare le Sequoia “semper-vivens”, parco naturale protetto. Prospettive che inebriano gli sceneggiatori e i produttori lo sanno. Frisco è infatti già da sola un investimento sicuro nel successo di una pellicola. “Se mai un giorno andrò in Paradiso, potrò dire: sì, non è male. Ma non è San Francisco” – ha scritto un columnist del Chronicle, come riporta una targa al Pier 70. Vero. Ma quanto è bella.

Una mattina, nemmeno il tempo di entrare a Tenderloin, il quartiere più degradato e a rischio della città, veniamo a conoscenza di una manifestazione per l’Iran libero, con partenza da City Hall per raggiungere i punti più caldi del centro. E’ un’occasione unica non solo per partecipare alla causa di un popolo oppresso, che si batte per la liberazione di connazionali prigionieri politici – qui risiede uno dei gruppi universitari più attivi dell’intera nazione, in questo senso – ma anche per inoltrarci in alcuni dei quartieri più interessanti di Frisco: Civic Center, dove brillano il teatro dell’Opera e la Concert Hall, è tagliato a metà da Van Ness Avenue, che a sua volta incrocia Market St., sulla quale si affaccia gran parte della vita metropolitana, compresa quella difficile di Tenderloin. Tanti degli homeless che incontreremo lungo la strada si trovano in questo “neighboorhood”. A proposito di strada, a North Beach, dove il quartiere italiano incrocia Chinatown, la più popolosa comunità cinese del mondo fuori dalla madrepatria, si trova la celebre City Lights Bookstore, tappa obbligata per chi ama gli scrittori della Beat Generation. Qui sono passati davvero tutti gli autori tradotti da Fernanda Pivano: Allen Ginsberg, Lawrence Ferlinghetti e Gregory Corso, oltre al primo della lista, Jack Kerouac, al quale è intitolata una traversa di Montgomery St. Affissa a uno scaffale c’è una locandina d’epoca pronta per l’album dei ricordi: il reading di Charles Boukowski con data e testi scelti. Da rimanere a bocca aperta. Lungo Columbus Avenue, al numero 242 di Nob Hill, c’è invece il Tosca Cafe, luogo leggendario per diverse ragioni. Soltanto a mettervi piede sentirete un’atmosfera da caffè vecchia Europa, con gli sgabelli di pelle rovinata, le luci basse e il bancone lungo, dal quale fare le ordinazioni. Qui hanno girato alcune scene di “Basic Instinct”: ricordate quella in cui i poliziotti si ritrovano nel dopo lavoro? Ma anche i rockettari si possono lustrare gli occhi. Bono e The Edge degli U2 ci hanno ambientato un video anni fa. Un’attrazione è lo stesso cameriere: camicia bianca, sguardo scrutatore e poche chiacchiere. Sembra un personaggio di Martin Scorsese. Da provare assolutamente il cappuccino della casa, servito con il cognac, ma anche la cioccolata con il brandy. Noi ordiniamo il primo e lo sorseggiamo con voluttà, guardandoci intorno. Proprio sull’uscio scorgiamo un avventore singolo, giacca nera e stivali in tinta, con le gambe incrociate. Ha in mano un bicchiere di whiskey ed è immerso nei suoi pensieri. Sì, un posto così esiste veramente. Un po’ la stessa scena capitata ad Haight Ashbury, luogo d’elezione della rivolta studentesca, patria dei frikkettoni del pianeta, quando su una vetrina di un negozio old style troviamo la mappa per rintracciare le dimore delle star. Così scopriamo che Jimi Hendrix, Janis Joplin e Jefferson Airplane erano “vicini di casa”. O ancora quel manifesto sulla porta di un negozietto vintage che indica la line – up di un party, nel San Silvestro 1966: Pink Floyd e The Who come gruppo d’apertura. Beh, chi era presente a quel Capodanno ne avrà raccontate delle belle ai nipotini.

Confina con Haight Ashbury uno dei quartieri più caratteristici della città, la culla del movimento gay nel Paese e quindi nel mondo. Da Castro infatti ha mosso i primi passi in politica Harvey Milk, il militante per il movimento dei diritti degli omosessuali, primo consigliere comunale a dichiararsi gay a San Francisco. Variopinto e dinamico, punto di riferimento della cultura e della comunità omosex di Frisco, Castro vanta un teatro molto attivo, boutique alla moda e un centro di aggregazione, incontro, sostegno e aiuto per lesbiche e gay. A Castro c’è l’imbarazzo della scelta in quanto a ristoranti, caffè e gallerie d’arte. Noi scegliamo una creperie francese e un “Oyster bar” molto chic, che serve ostriche da mezzogiorno a pomeriggio inoltrato. Poi ci soffermiamo davanti a un negozio di mobili e oggettistica per la casa che ha affisso su una parete interna un poster in stile Pop-Art di Milk, idolo locale. Ogni angolo e incrocio riservano sorprese, le case sono dipinte con colori fluo e gli stessi mezzi di locomozione sono sui generis: come il sidecar giallo e a scacchi con a bordo una coppia di donne. Una vetrina di pietre esotiche e bigiotteria ci invita ad entrare: qui scoviamo preziosi e talismani, di provenienza soprattutto indiana, tra i quali uno molto particolare che secondo la descrizione dovrebbe accrescere potenza ed energia virili. Però. Uno degli esempi massimi di integrazione che vediamo con i nostri occhi da quelle parti, quindi non a parole, ma nei fatti, è rappresentato dall’impiegato cinese, addetto all’ufficio postale di Chinatown. Un orientale che lavora negli Stati Uniti, nel quartiere di appartenenza. Un modello di società multietnica funzionante, o che si sforza di esserlo. Di esempi contrari se ne possono citare a bizzeffe, ma i tentativi di far compenetrare e collaborare insieme le diverse nazionalità ed etnie esiste negli Usa. Altro quartiere, altra atmosfera. Entriamo a Mission District, all’incrocio con la Market. Siamo sulla 5th. Avenue e a pochi isolati si spalanca davanti ai nostri occhi quel gioiello architettonico che è lo SFMOMA, San Francisco Museum of Modern Art, progettato da Mario Botta. Per noi che l’avevamo visto sempre nei libri è una scoperta: struttura squadrata e massiccia color mattone, imponente, accoglie al centro un magnifico lucernario bianco percorso da righe grigie diagonali. Tra le collezioni permanenti, una magnifica sezione sulla Pop Art nella quale spiccano capolavori di Roy Lichtenstein, tra cui il celeberrimo “Love”. Fuori all’aria aperta, una pausa rigenerante è d’obbligo agli Yerba Buena Gardens, lì a due passi.

Se siete fortunati e il tempo è bello, potete assistere a uno dei tanti concerti jazz programmati tra la piccola chiesa gotica e la fontana a cascata. Un sonnellino o un pic-nic cullati dalle note di musicisti coi fiocchi non è niente male. Percorrendo Mission St. In direzione nord si arriva al Bay Bridge, l'”altro” ponte di Frisco. Adiacente al centro cittadino, si trova su una delle arterie più battute della città, ma chi ama gli scenari metropolitani avrà pane per i suoi denti. Con il solleone, Bay Bridge è splendido: piloni e strutture portanti più leggere rispetto al “rivale”, lambisce la Bay Area e offre un panorama spettacolare dovunque lo si guardi. Inoltre collega la città a Oakland, dove è sorto il movimento delle “Pantere nere” negli anni Sessanta, e attraccati ai moli sottostanti ci sono i traghetti che conducono a Berkeley, la cittadina universitaria. Dalla parte opposta rispetto a Chinatown ecco che si staglia l’obelisco di Japantown, la “porta” del quartiere. Abissale la differenza tra i due neighboorhoods: tanto è caotico, pittoresco e trafficato il primo, quanto è pulito, ordinato ed esteticamente raffinato il secondo, urbanisticamente simile a un rettangolo, lungo il quale si trovano ristoranti di sushi e sashimi, negozi di souvenir e di abiti, tra cui spicca il meraviglioso kimono, in tutte le fogge e tessuti. Costerà un po’ di più, ma vista la svalutazione del dollaro vale la pena acquistarlo in seta. Il centro vanta anche una palestra di “taekwondo” dove insegnano maestri titolati: lo attesta un diploma e relativa foto, che li ritrae insieme al governatore della California Arnold Schwarzenegger.

Noi rimaniamo qui una decina di giorni. Forse rispetto a New York, è un tempo sufficiente per visitare la città, anche se non ne siamo del tutto convinti. Di Frisco ci si innamora perdutamente, al primo sguardo. E non si vede l’ora di tornare.

Il Baseball

Esperienza da non perdere assolutamente per comprenderelo spirito a stelle e strisce: la partita di baseball. Ve l’avevano detto che qui l’americano medio si scatena? Beh, è vero. Il match infatti non lo si guarda, lo si affronta, come un gladiatore che al posto di mazza e scudo dispone di cibo e bevande gassate. Tutti in platea a mezzogiorno in punto, ora della pausa pranzo, per applaudire i giocatori in campo e gli “impiegati del mese” sugli spalti. Proprio così. Ogni giorno viene selezionato un addetto alla manutenzione o vigile del fuoco o di altra categoria che opera all’interno dello stadio per premiarlo con un distintivo. Una lista di lavoratori lunga così. Musica a palla, solleone a picco, la San Francisco Giants’ Home gremita in ogni ordine di posto e l’oceano sullo sfondo: lo spettacolo può cominciare. Le regole del baseball non sono di facile comprensione per un turista europeo, ma non importa. Godetevi lo show. Inno americano, mano sul cuore, pronti attenti via. Quel giorno i Giants affrontano i Pittsburgh Pirates, che come motto hanno “Pride and Passion”. I tifosi urlano, cantano, si danno di gomito anche se non si conoscono, e mangiano. Sempre. Panini, hot dog, coni di zucchero filato grossi così, spaghetti e zuppa di calamari. Poi via con la danza dei gelati. Tra un inning e l’altro, c’è tempo per preparare il biglietto di auguri all’indirizzo di un collega d’ufficio che si licenzia, e farlo girare per le firme. Il cibo in dosi da elefante viaggia su e giù per le gradinate, per raggiungere bocche già satolle e il giro vita di alcuni spettatori gareggia con quello della grande mascotte arancione. La partita scorre e siamo al 7° Inning,quello decisivo. Fiato sospeso, poi il boato del pubblico: vincono i Giants.

Dentro lo Stadium, un altro show: quello delle botteghe di souvenir e dei chioschi dislocati lungo il perimetro dell’arena. Per i più golosi c’è quello imperdibile di Ghirardelli, l’industriale del cioccolato vera e propria istituzione a San Francisco. Nel caso vi fossero rimaste delle perplessità riguardo questo sport, leggetevi l’insegna scolpita nel legno: “C’è chi dice che il baseball è solo un gioco. Sì, e il Gran Canyon è solo un buco in Colorado”.

Lo shopping

Notarellasullo shopping. Visitare gli Usa da qualche anno è assai vantaggioso, per il cambio favorevole. Questo ha evidenti ripercussioni sugli acquisti di qualsiasi tipo: dall’abbigliamento, con le creazioni dei giovani stilisti di punta, alla bellezza, con le unghie colorate che stanno facendo impazzire tutte le ragazze, parola di una super trend setter italiana. Poi l’hi – tech, che permette di fare davvero buoni affari. Ma c’è un valore aggiunto. A differenze di città caotiche come New York, nella perla della California si compra in tranquillità, soprattutto su Powell e Market Street, le vie dedicate.

Solo in poche occasioni accendiamo la tv. Ma quando lo facciamo c’è un programma di gossip che parla della nascente storia d’amore tra George Clooney e la “soubrette italiana Elisabetta Canalis” (!). Il risultato, adesso, è che si parla di nozze tra i due. Veloci e tempestivi, quello che ti aspetti dagli Stati Uniti.

L’ho sognata fin da bambina, cioè da quando ho l’età della ragione. San Francisco va oltre i cliché più banali, ti sorprende ogni volta, regalandoti impareggiabili vedute prospettiche a seconda del punto d’osservazione prescelto. Che meraviglia.

Si sa, ma non si dice

Il Big One è un tabù, non lo si nomina mai, tuttavia il suo fantasma incombe, la gente lo combatte tramite esercitazioni negli uffici e nelle scuole… Tentando vanamente di immaginarne la portata.

Il viaggio di Lara e Marco continua a Portland e Seattle, nel prossimo aggiornamento…



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