Non la solita Tunisia
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La partenza
Siamo arrivati a Djerba con un volo da Venezia. E ci siamo diretti con macchine a noleggio verso Tataouine, sulla strada per Ghomrassen, in quella che è ancora la vallata dove arrivavano le carovane che attraversavano il deserto. Qui ci sono ancora gli ksour come quello di Ksar Ouled Soltane. Si trattava di granai fortificati, in pratica un insieme di piccole cellette (a guardarli sembrano condomini) che servivano per la popolazione locale per stipare grano e cereali coltivati in queste vallate quando il clima, evidentemente, non era così arido come ora; o quando i fiumi, che ancora lasciano sul terreno il loro letto secco, erano pieni d’acqua molto di più di quanto lo siano ora. Se da qui passassimo attraverso il deserto sahariano fino ad Acacus, dove ho avuto la fortuna di andare prima del conflitto in Libia, vedremmo come anche lì ci sono testimonianze di un’agricoltura fiorente molto antica. Ci sono scene di vita dipinte dall’uomo del neolitico che era agricoltore e allevatore. A giudicare dalla quantità di ksour che si trovano qui, questo doveva essere un paradiso per l’agricoltura! Questi ksour e i villaggi trogloditi, scavati nella roccia e nell’argilla, formano paesaggi incredibilmente fantasiosi, che sono serviti da scenografia per il film di Star Wars come nel caso dello Ksar Haddada, dove si trova perfettamente conservato il set della cantina di Mos Eisley, la taverna della celebre saga di fantascienza che trabocca di foto e cimeli.
A dorso d’asino
Per l’ultimo dell’anno, i ragazzi di Astart hanno organizzato un’escursione a piedi. Si trattava di raggiungere il bellissimo villaggio troglodita di Douiret attraverso la montagna. Niente di male per i prestanti giovanotti che erano con me, ma io non sono portata per le discese. Le salite sì, le faccio velocemente come una capra, ma le discese sono proibitive per i miei già compromessi menischi. Niente paura – mi dicono – c’è un asino che porterà le provviste e al bisogno potrai anche salirci in groppa. Mi convincono ad andare. Naturalmente, dopo aver affrontato le salite viene il momento di cavalcare l’asino, ma dopo il pranzo, all’ombra di un grande albero, il quadrupede se ne va insieme al padrone e non c’è verso di fermarlo. Ed io che faccio? Procedo a piedi ancora per un po’, siamo lontani da tutto, non si vede il villaggio, si vedono però tracce di dinosauro. Già il posto adatto per loro, ma io che ci faccio io qui? Chiedo timidamente – temendo la risposta – dove si trovi mai il villaggio troglodita; mi fanno segno che si trova proprio dietro quella montagna ma lì è impossibile arrivarci. Non ce la posso fare, la strada da percorrere è davvero troppa. Allora, mi siedo per terra e protesto. Mi vergogno a farlo ma m’impunto: “Voglio il mio asino!”. Interviene quindi Luigi, il geologo: deve aver capito che c’è il rischio concreto che io rimanga lì tutta la notte, forse in eterno, e il tramonto è già arrivato. Si decide per un pronto intervento: ormai il ciuco delle provviste è troppo lontano, ma il più vicino può arrivare proprio da Douiret. Infatti, grazie ai messaggi lanciati coi telefonini, dopo un po’ arriva un asinello, ma piccolo, portato da un ragazzone con gli zoccoli e le gote rubizze. Mi fanno salire – si fa per dire – sul docile quadrupede, esile e senza sella, mentre io cado un po’ di qua e un po’ di là, ma così almeno posso risparmiare le ginocchia. Ci avventuriamo da soli per un sentiero incredibile, tra rocce e dirupi, e poi arriviamo su un sentiero a strapiombo sulla valle di sotto. Da una parte la montagna, dall’altra il dirupo con un sottilissimo (e sassoso) lembo di terra sul quale passare. In lontananza vedo la Moschea dei Sette Dormienti di Cenini. Il ragazzotto mi racconta (in francese), mentre mi sostiene, visto che casco un po’ da una parte e un po’ dall’altra, la storia dei Sette Dormienti. Intuisco che sia interessantissima ma non sono in grado di connettere bene. Ed ecco, dopo un bel po’, che mi si para davanti una delle visioni più affascinanti e cinematografiche (se si può dire così) che abbia mai visto durante i miei viaggi. E sono qui su un asinello, da sola, senza operatore e non ho la telecamera e neppure posso tirare fuori il telefonino per fare foto, visto che sono aggrappata con tutte e due le mani al ciuco! La visione è il villaggio troglodita di Douiret.
Il dinosauro
Oggi – dice Luigi – andiamo a caccia di reperti fossili. Aggiunge: “Sugli strati superficiali ci sono impronte dei dinosauri che infestavano questa zona”. È una lezione sul campo che ci fa provare il brivido del lavoro dei geologi e dei paleontologi. Ma è proprio così, qui i resti di dinosauro affiorano dal terreno con grande facilità: Luigi ed altri, infatti, hanno di recente portato alla luce un reperto di grande rilievo scientifico. È stato trovato a El Mra nel 2011 e l’hanno chiamato Tataouinea Hannibalis, ma la cosa straordinaria è che questo sauropode aveva un apparato respiratorio molto simile a quello degli attuali volatili, rappresentando una fase chiave dell’evoluzione.
La magia (e il freddo!) del deserto
Con le jeep, accompagnati da Aldo e Graziella, due italiani che svernano qui e offrono guida e assistenza a chi vuole avventurarsi nella steppa col fuoristrada, arriviamo proprio dove il deserto fatto di sassi lascia il posto alle dune sabbiose gialle e impalpabili. Si fa tappa a Ksar Ghilane, un’oasi artificiale. Qui si scavò in profondità per trovare petrolio, ma invece del prezioso oro nero, ne sgorgò un altro non meno importante: l’acqua! Acqua fossile termale! Così la zona è diventata un ritrovo per turisti, stranieri e locali, appassionati di ogni sport da fare sulle dune, anche il motocross. Ma si può anche fare un giro in cammello e arrivare ad un antico forte romano. Qui ho ballato con dei locali, affascinata dal modo berbero di muoversi e di suonare il tamburo. Tra l’altro, il nome Berberi non vuole dire nulla, deriva dal vezzo degli antichi Romani di chiamare barbaro chiunque non parlasse latino (cosa che mi ricorda gli inglesi). Approfondendo, capisci che qui sono passate diverse popolazioni con nomi diversi e storie che vengono da lontano. Poi ecco il deserto del Sahara. Ci si ferma al suo cospetto come succede per il mare: lo guardi, ci giochi, buttandoti giù per le dune, ma attraversarlo è un’altra storia. Occorre un’altra sapienza. Allora non resta che dormire una notte all’accampamento Smila, nelle tende sulle dune, sotto una volta stellata incredibile. Con i fuochi accesi dei locali dove scaldare nelle braci bottiglie piene di acqua per riuscire a dormire tra le coperte con un po’ di tepore. Perché non c’è da illudersi: d’inverno anche nel deserto fa un gran freddo!