Di passaggio in India

Primissimo viaggio di Turistipercaso, Syusy alla ricerca dell'Agarthi
Syusy Blady, 02 Lug 2010
di passaggio in india
Ascolta i podcast
 
Val la pena di ripeterlo: il nostro primo viaggio in assoluto è stato appunto l’India, perché è il viaggio di formazione per eccellenza. Il viaggio che hanno fatto Pasolini e i Beatles. Il viaggio che ti cambia la vita. Io, in India, ci volevo andare a tutti i costi, perché sono disponibile a cambiarmi la vita (e più che la vita il punto di vista sulle cose) ad ogni piè sospinto. Patrizio no, naturalmente… Quindi lui non ci voleva venire. Per lui l’India erano appunto le tre EMME: merda, malaria, miseria. Per convincerlo gli regalai la nostra prima telecamerina Super8HB, in modo che, stando dietro all’obiettivo, pensasse di essere semplicemente… in televisione. Insomma, come qualcuno ricorderà è stato il nostro primo filmato della serie di Turistipercaso. Era il 1990. Ma poi io in India sono tornata, molto più recentemente, con una Missione da compiere: trovare l’Agarthi, cioè il Mondo sotterraneo! Che secondo le mie fonti si dovrebbe trovare a Pathal Bhuwaneshwar, un luogo semi sconosciuto e difficile da raggiungere nel nord-est dell’India. Ho cominciato con l’arrivare a Delhi.

UNA GOCCIA CHE FA TRABOCCARE IL VISO

Per prepararmi al viaggio, per prima cosa sono andata in una… beauty farm ayurvedica! Dove usavano soltanto erbe ed estratti oleosi naturali e vegetali per fare massaggi, bagni e soprattutto il fantastico trattamento con la goccia d’olio caldo che ti scende sulla fronte. L’olio scende appunto da un imbuto che ti mettono sulla testa, poi ti fanno fare una sauna in una specie di sarcofago di legno profumato. Le Beauty Farm del Kerala sono molto conosciute e frequentate: una nuova moda che però discende da una antichissima tradizione medica indiana. Ma anche questa medicina è frutto sì della lunga esperienza umana ma (lo dicono anche gli stessi cultori di queste discipline) anche di un “regalo divino”: un ulteriore traccia che mi fa pensare che la mia ricerca dell’Agarthi sia giusta. Comunque, rinfrancata dal trattamento, vado alla stazione dei treni. Dove in cinque minuti tutti i benefici della medicina ayurvedica vanno a farsi friggere, in mezzo alla confusione totale, con grida e strepiti e gran folla, e l’immancabile scontro coi portatori di valigie (i famosi coolies, che noi pronunciamo “culi”, ma senza offesa). Tutto mi lascia pensare ad un futuro viaggio tragico, in un treno ottocentesco: invece il treno è modernissimo e dotato di tutti i confort.

IL RE DEL MONDO

E durante il viaggio mi rileggo il libro sul Re del Mondo, il Reggitore dei nostri destini, Colui che entra ed esce appunto dall’Agarthi, cioè dal Mondo Sotterraneo. E arrivo nello Stato dell’Uttar Pradesh, e in particolare ad Haridwar, una delle città più sacre dell’India. Poi in taxi arrivo sulle rive del Gange, o meglio della Ganga, perché la fiuma è femminile. Dove i pellegrini fanno offerte e abluzioni. Gli uomini col costumino da bagno, tutti ganzi, e viceversa le donne completamente vestite, sia pure con trasparenze che mostrano tutto. Uomini e donne si immergono nell’acqua, attaccati a catene ancorate alla riva per non fasti trascinare dalla corrente del fiume. E’ giorno di offerte, e prima della puja (preghiera) serale bisogna procurarsi degli spiccioli perché la ticka (l’elemosina) è obbligatoria. E lo spettacolo serale è meraviglioso: quella che di giorno sembra una semplice spiaggia o una piscina affollata, di sera assume un aspetto sacrale incredibile. Da una parte della riva i sacerdoti (i bramini) suonando insistentemente dei pezzi di metallo che emettono un suono ancora più penetrante e acuto delle campane, officiano la cerimonia del fuoco. Si tratta di candelabri accesi, mossi in modo circolare, mentre la gente – cantando – dona al fiume le offerte, che consistono in una foglia, sulla quale c’è un fiore e un lumino acceso. Lo spettacolo delle foglie che galleggiano, coi lumini che se ne vanno portati dalla corrente, è uno dei ricordi più belli che ho, dell’India e non solo. Molto meglio qui che i famosi templi-luna park di Aridvar!

IL BRAMINO DI SHAKTI

Il mio viaggio continua verso Rishikesh. La mia amica Sandra, che mi accompagna, mi spiega che il nome della città significa “i capelli di Rishy”, cioè i capelli del Santone, perché in questa zona vivono nella foresta molti Sadu (uomini santi). Mi dicono anche che il Sadu più importante lo posso trovare al Tempio della Dea Shakti, che sta molto in alto, in cima ad un monte. Il problema è che buona parte della salita tocca farla a piedi, lungo scale che salgono fino al Tempio. E dopo tutta questa fatica il tempio, almeno da un punto di vista estetico e architettonico, non è nemmeno tanto bello. E’ stato rifatto recentemente in cemento. Senza contare che lì accanto, visto che siamo appunto in cima ad una collina, è pieno di parabole di telecomunicazioni e di cellulari. Ma il Bramino del Tempio è molto disponibile e pieno di storie da raccontare. E mi racconta appunto che lì Parvati, la moglie di Shiva, fece cadere i suoi seni, e per questo si tratta di un luogo sacro e pieno di energia. Parvati, Shakti… sono tutti simboli di energia femminile. L’energia più importante, mi dice il Bramino. Perché anche i grandi Dei maschi, per diventare importanti, devono servire per migliaia di anni la Dea Shakti, per poi ottenere da lei ognuno la propria compagna. E anche il Bramino mi conferma che, se voglio trovare l’Agarthi, devo andare a Pahtal. Quindi continuo il viaggio…

IL VACCINO DEL GANGE

Devo proseguire verso nord, e mi aspettano molti chilometri da fare su una vecchia auto, una fiat Millecento, guidata da un autista bramino. Ma lungo la strada non voglio perdere l’occasione di fare rafting sul Gange! E’ una esperienza meravigliosa, anche perché il Gange ha un’acqua tutt’altro che limpida. E’ fangosa, ma quasi calda: è acqua solforosa, perché il fiume ha origini vulcaniche, e per questo sopporta il continuo inquinamento di batteri, addirittura di cadaveri, che vengono gettati nelle sue acque. Mi dicono che per “vaccinarsi”, almeno una volta all’anno bisognerebbe bere l’acqua del Gange. Evidentemente esiste una qualche spiegazione scientifica alla sacralità del fiume. Viaggio verso Almora, ma per arrivare a Pathal mancano ancora 600 chilometri. Senza considerare il fatto che si tratta di strade indiane, e senza considerare anche che lungo la strada accadono spesso delle rapine… da parte delle scimmie, che entrano improvvisamente dentro la macchina afferrando tutto ciò che è commestibile. Per fortuna disdegnano di rubare i portafogli, almeno spero!

IL BRAMINO SCETTICO

Il mio autista bramino si chiama Krisna, e come tutti gli autisti si ferma sempre a mangiare, e naturalmente non capisce come mai io – una turista italiana – voglia andare a Pathal. Cosa ci vado a fare a Pathal? Secondo lui là non c’è niente. Né un albergo dove dormire, né un ristorante dove mangiare. Che poi Pathal sia l’ingresso dell’Agarthi, io non glielo dico e lui non me lo conferma… Certo che però il nome – Pathal Bhuwaneshwar – vuole dire proprio “Mondo Sotterraneo” (Pathal vuol dire sotto). Una cosa però è certamente vera: lungo la strada non si incontra un turista, siamo gli unici. E quando incontriamo una scuola elementare, dove il maestro insegna sotto un albero ad una classe di 50 bambini, faccio una sosta e mi fermo a guardare. Il Governo ha incentivato la scolarizzazione, ma i bambini non hanno nulla, né quaderni né matite e… neanche la scuola. Eppure la mamma mussulmana velata che parla con me, mi dice che sua figlia vuole a tutti i costi venire a scuola, e lei è ben felice di accompagnarla.

IL TEMPIO DELLE CAMPANE

Ad un certo punto la strada si fa davvero scoscesa, con un paesaggio che assomiglia alle nostre Alpi: non sembrerebbe proprio di essere in India, se non si incontrassero donne coi vestiti tradizionali e, ogni tanto, qualche tempio. Come ad esempio quello delle Campane, che mi fermo a visitare. E’ pieno di migliaia di campane di tutti i tipi e di tutte le misure. Praticamente è un Tempio dedicato al Suono Primigenio. Qui si fanno sacrifici animali, ma io preferisco sacrificare una noce di cocco. Che, a ben guardare, ha anche lei una specie di piccola “faccia”, con gli occhietti e il nasino, poverina. Per questo la sacrificano al posto degli animali, perché ha qualche cosa di “umano”. In ogni caso sono arrivata a Nanithal, dove c’è un Lago che mi ricorda quello di Garda.

IL FUNERALE

Il paesaggio è proprio cambiato, siamo sempre più in montagna, una montagna indiana. Il viaggio è sempre più duro e il bramino autista Kisna è sempre più disperato: qui non trova posti di suo gusto dove mangiare. Per fortuna la prossima tappa è Jaki Isvar, dove c’è un tempio Indù con una bellissima architettura, stranissima: all’interno del Tempio si sta celebrando una cerimonia, forse un matrimonio, davanti a un Shiva Lingam molto grande, cioè una pietra a forma di fallo. Ma da un’altra parte del Tempio c’è anche una sezione dedicata alla Joni, cioè alla vagina. E, uscendo, assisto ad un funerale. Lungo le rive di un fiumiciattolo, i maschi della famiglia vengono rasati, cioè i capelli sono tagliati a zero. E girano attorno alla salma avvolta nel lenzuolo bianco molte volte. Per poi dar fuoco alla pira. E’ una cosa molto toccante. Vedi un’altra ritualità, di fronte ad una cosa che tutti ci tocca, e cioè la morte di una persona cara. E’ un distacco lento, ritualizzato. Ma a me tocca ripartire.

IL RAMAIANA

Dopo lunghe ore di viaggio notturno, in cui le ruote della millecento rischiano spesso di finire nel vuoto del burrone, lungo la strada assolutamente priva di guard-rail, arriviamo finalmente a Pathal. Laggiù comincia a vedersi una luce. Che caso: tutti gli abitanti di Pathal questa notte assistono al Rama Theatre. Stasera si rappresentano le storie del Ramaiana. Gli interpreti sono attori improvvisati, coi costumi fatti in casa, ma alla luce delle poche lampadine mi sembra proprio di essere arrivata dentro al Ramaiana, nella Terra degli Dei! Dormiamo – bene o male – in un alberghetto imprecisato. E all’alba il paesaggio che si vede tra le nuvole, là sotto, sembra quello di un luogo fuori dal mondo. E girando per il Paese scopro che il bambino che adesso sta andando a scuola è quello che ieri sera faceva Rama, il poliziotto interpretava il Dio Scimmia e il Bramino era il narratore. Ed è appunto il Bramino di Pathal che si convince ad accompagnarmi alle Grotte, cioè all’ingresso dell’Agarthi!

LA GROTTA

Mi dice che nell’antico libro Skanda Purana si racconta che le grotte furono scoperte dal Re Ritipurna, in un’epoca incalcolabilmente antica, detta il Tetra Yuga. Il nonno del Bramino ebbe una visione in questa grotta: ha visto Shiva, che gli ha portato fortuna tutta la vita. Le grotte sono importanti – mi dice il Bramino. E sembra che concedano il permesso di fare riprese solo a me, e mai più in futuro a nessun altro, perché per capire la spiritualità del luogo bisogna andarci di persona, non basta vederle in TV! L’ingresso della grotta è scivoloso e stretto. Sembra di entrare in un utero caldo e umido. All’interno ci sono stalagtiti e stalagmiti, le cui concrezioni particolari rappresentano in modo sorprendente i Miti e le Leggende della cosmogonia Indù. Questa religione ha 330 milioni e tre (330.000.003!) divinità. E tutte queste divinità (compreso Rama, Krisna e Visnù) sono rappresentate e si concretizzano nella materia della grotta. C’è una stalagmite che rappresenta il Kali Yuga, cioè il nostro Tempo. Quando la stalagmite incontrerà la sua stalagtite, anche il nostro tempo finirà. Noi siamo solo all’inizio del Kali Yuga, il Tempo in cui tutto andrà male… Poi ci sono tre passaggi nella Grotta: due sono le Porte che si sono già chiuse. L’unica ancora aperta è quella di Moxa, che rappresenta la Liberazione, il Nirvana. Anche quella porta si chiuderà, ma fin che è aperta bisogna approfittarne… Non saprò mai se, oltre quella Porta, c’è davvero l’Agarti. Ma certamente io, ancora una volta, ho trovato il pretesto per un viaggio. Più che un pretesto vero e proprio, un senso. Un pensiero che mi ha accompagnato.