Avventura in Sudafrica
Ecco la seconda parte del viaggio che abbiamo fatto tra sole donne in Sudafrica. Vi parlerò di ciò che più comunemente viene associato al turismo in Sudafrica: gli animali del Kruger National Park!
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IL KRUGER
È un parco naturale “grande come la Svizzera”. Noi lo abbiamo visto due volte; evito di dire “ben due volte” perché solitamente i turisti e i locali che vanno in visita ci tornano molto più spesso! Esemplare il caso di Daniela Kofler e Alberto Scattolin, proprietari del Matimba Bush Lodge, originari di Udine ormai vivono a Phalaborwa da anni. Daniela è una fotografa di professione e delle sue foto naturalistiche scattate al Kruger ne ha fatto un libro. Alberto è diventato ormai una guida ufficiale del parco e ci porta i turisti del lodge ogni giorno. “E se non ci sono dei turisti da portare, ci vado per conto mio!”. È Alberto che ci accompagna in una visita al parco che dura ben nove ore, durante le quali non smette mai di parlare. Il primo giorno ero elettrizzata all’idea di vedere gli animali del bush, ma allo stesso tempo mi ero chiesta cosa avremmo dovuto inventarci per dare un senso ai filmati sul Kruger Park, ovvero per dire qualcos’altro che non fosse “oddio, che bello, che bello”. Invece le informazioni sul parco e sulla vita degli animali sono tante e sono incredibili. Vi siete mai chiesti come mai il manto delle zebre sia fatto così? Io ho sempre trovato strano il fatto che le zebre avessero un colore facilmente distinguibile nella boscaglia, invece ha senso: le strisce nere catturano il calore, mentre le zone bianche riflettono la luce, cosicché da creare per l’animale la temperatura ideale. Sapevate poi che i leoni, in realtà, hanno una vita molto difficile? E conoscete l’organizzazione sociale degli elefanti? Sapete che spesso capita di trovare branchi di erbivori che convivono tutti insieme: zebre, impala, bufali e giraffe? O che le giraffe per via del loro collo così lungo hanno il vantaggio di poter controllare il territorio che le circonda? Se avvistano un leone o un essere umano, lo osservano fisso, ma non scappano finché questo non superi la distanza di sicurezza stabilita. Spesso, ci dice Alberto, quando mangiano dai rami più bassi e poi tirano su il lungo collo tutto d’un colpo, le si può vedere barcollare in modo ridicolo per qualche minuto, in attesa di ristabilizzarsi.
PRIMI AVVISTAMENTI
Se non siete amanti dei viaggi in auto, in Sudafrica vi ci abituerete e possibilmente vi ricrederete. Per la nostra visita di nove ore siamo partiti dall’hotel alle 4,50 del mattino, per essere i primi a entrare nel parco e avere quindi più possibilità di avvistare degli animali. Spesso, infatti, finché non arrivano i visitatori, gli animali se ne stanno placidamente sull’asfalto delle strade a dormire, perché le strade asfaltate sono meno umide e più calde del terriccio del bush. Con noi ci sono anche altri turisti italiani che stanno facendo questo viaggio con il tour operator South African Dream. Una volta entrati con l’auto nel parco e una volta contati dalla ranger di turno – è obbligatorio controllare che, se si entra in 12, si ritorni anche in 12, per motivi di sicurezza – i primi animali che vediamo sono le iene. Come previsto, sono sdraiate sull’asfalto in attesa dell’alba e una sta allattando il suo cucciolo. Ogni tanto alzano il muso per guardarci, ma per il resto del tempo sono estremamente tranquille. Alberto ci racconta che le iene sono specie animali del tutto particolari, che non appartengono a nessun’altra famiglia: formano, infatti, una famiglia biologica a sé stante. Poi è il turno di un bufalo nero africano che ci sbarra la strada osservandoci fisso attraverso il vetro dell’auto, mentre mangia e urina. Dopo una mezz’ora ci lascia andare ed è in quel momento che vediamo le giraffe e poi degli elefanti solitari. “Spesso i turisti vengono e non sono mai completamente soddisfatti finché non vedono il leone. Ma c’è molto altro da vedere e il bush può rivelarti i suoi doni finanche all’ultimo momento”. Infatti, è proprio all’ultimo momento che avvistiamo un gruppo numeroso di elefanti che si dirigono tutti verso un unico punto. Gli elefanti sono capaci di percepire dove si trova l’acqua, anche quando è sottoterra, spesso preferiscono scavare il terreno e bere l’acqua filtrata con la sabbia piuttosto che lavarsi e bere nelle pozze aperte dove altri animali si sono lavati e hanno lasciato le loro feci. Questa loro preferenza può anche essere d’aiuto agli altri animali che nei periodi di siccità si affidano alle buche scavate dagli elefanti per poter bere. Lo spettacolo che ci troviamo davanti è qualcosa che porterò sempre con me. È una di quelle visioni che ti ricordano di stare effettivamente vivendo la tua esistenza e che c’è qualcos’altro davanti a te di vivo. Gli elefanti continuano ad arrivare, tra loro ci sono due cuccioli, uno più piccolo dell’altra (Alberto è riuscito a indentificarne il sesso – non so come, esattamente). Continuano a spruzzarsi a vicenda e a farsi spazio. Nelle riprese non si vede, ma eravamo letteralmente circondati: altri elefanti continuavano a venire dal bush e da dietro l’auto verso la pozza. “E questo è il benvenuto del bush.” Ci dice Alberto. Restiamo a guardare gli elefanti per un’ora buona. Nove ore in auto nel bush non sono mai abbastanza.
DRITTE SUL KRUGER PARK
Questa che ho appena raccontato è stata la nostra seconda visita al Kruger. La prima l’abbiamo fatta su un’auto aperta (mentre fuori pioveva a dirotto) con la nostra guida che ci ha seguito in buona parte del viaggio, Geertz, un autista che ha incarnato per noi il ruolo del classico afrikaans rigido, sempre pronto a sgridare un po’ la troupe. Tra un tentativo e l’altro di coprire le telecamere e non prenderci un raffreddore troppo evidente, durante la prima visita siamo giunte a fare una pausa caffè a uno degli ingressi del parco. Là abbiamo inscenato inconsapevolmente la reazione tipica di ogni italiano che passa all’estero più di due giorni: mia madre ha provato a ordinare un macchiatone, poi a fermare il caffè lungo che la barista stava facendo con la macchinetta per renderlo più simile a un espresso… Ovviamente tutte azioni vane: sappiatelo, italiani, il caffè che prendete nel bush è, e sempre sarà, un caffè ancora più liquido di quello americano. Il lato positivo è che Geertz, dopo la scena alla caffetteria e dopo avergli tradotto la battuta su come fanno a stare quattro elefanti su una 500 (la risposta è: “due davanti e due di dietro”), si scioglie un po’ e si confida: il suo cognome è Kruger, è uno dei discendenti del leader boero Kruger, da cui prende il nome la riserva naturale. E comincia anche lui a raccontarci curiosità sugli animali.
VI RIVELO UN CONSIGLIO…
Sappiate che non sempre vedrete tanti animali al Kruger, potrebbe piovere e voi potreste trovarvi in una jeep senza finestrini, ma se avete pazienza e se vi affidate a persone appassionate che conoscono il parco, il bush vi darà il suo “benvenuto”! Soprattutto andateci nella stagione giusta, verso settembre, non come noi a febbraio! Sapendo che siamo comunque riuscite a vedere così tanti animali, immaginatevi a che scene si riuscirebbe ad assistere in alta stagione… Su dove andare potreste chiedere consiglio a Luca e Valeria, altri due italiani (questa volta d’origine romana) che vivono in Sudafrica e che gestiscono il Baobab Bush Lodge. Oltre ad essere molto ospitali, sono appassionati di natura e spesso fanno gite in famiglia col figlio al Kruger. La mattina dopo averci ospitato, ci mostrano delle foto scattate con una telecamera notturna davanti a una fontanella del lodge costruita appositamente per gli animali: una famiglia di facoceri, apparentemente, ha deciso di fare un bel bagno durante la notte! “Per andare a vedere gli animali, la cosa migliore è andare in zone che conoscete bene e appostarvi lì per qualche ora, specialmente alla mattina”, mi dice Luca. Poi ci raccontano che c’è un leopardo nella zona del bush vicino al lodge, quindi alla fine è meglio non vagabondare troppo. La verità è che nelle vicinanze del Kruger la convivenza con gli animali è la prassi e questo significa che bisogna stare molto attenti. Gli “incontri” con gli animali intorno alle strade percorse dagli abitanti della zona di Phalaborwa possono essere di vario tipo. Dal vedere un po’ di scimmie che camminano in branchi sull’orlo della carreggiata a trovare giraffe che si piazzano davanti alla macchina, fino ai fiumi dove rischi di incappare in un ippopotamo, uno degli animali più pericolosi per l’essere umano! Ricordo un pomeriggio al Matimba Bush Lodge in cui improvvisamente delle scimmie sono entrate in cucina dalla portafinestra e hanno cominciato a rubare cibo e a scaraventare tutto per terra, mentre Daniela e dei camerieri urlavano e le cacciavano via con delle scope. Vivere in Sudafrica appresso ad animali così incontrollabili può anche essere molto pericoloso, per questo ci sono molte regole nel Kruger Park, tra le quali il non potere mai scendere dall’auto se non nelle zone di sosta (e anche qui con attenzione!). Dentro al Kruger, nella zona della linea del Tropico del Capricorno, c’è un chiaro cartello che attesta che è possibile scendere dalle auto, ma che lo si fa a proprio rischio e pericolo, prendendosene la responsabilità. Nei giorni in cui noi eravamo nella zona è successo che un migrante clandestino abbia avuto il grande coraggio di percorrere tutto il Kruger da solo a piedi, riuscendo a sopravvivere, per poi essere mangiato da un leone dietro a un fast food fuori dal parco Kruger! Il leone ne aveva seguito le tracce da giorni e aveva usufruito anche lui di uno dei buchi nella recinzione del parco.
BRACCONAGGIO, WWF E I NOSTRI POST SU FACEBOOK
Oltre a rendersi conto del pericolo che rappresentano per noi gli animali, bisogna rendersi anche conto del pericolo che noi umani rappresentiamo per loro. Non sto parlando solo degli uomini che fisicamente mutilano i rinoceronti (adesso una specie a rischio di estinzione) per vendere i loro corni al mercato nero. Non mi riferisco solo alle persone che hanno la bella idea di andare nei parchi di caccia e pagare per uccidere un leone. Sto parlando proprio di noi turisti, noi ingenui. Uno dei modi più banali con cui si può aiutare il bracconaggio, ad esempio, è semplicemente pubblicare le belle foto scattate al Kruger su Internet, indicando (e spesso i social network fanno questa operazione automaticamente) il luogo preciso dove si è visto quell’animale. In questo modo i bracconieri hanno indicazioni molto precise su dove si trovano gli animali in quel preciso momento, così da poterli andare a prendere subito o capire quali sono i posti che abitualmente visitano. È anche per questo – per sensibilizzare i turisti, ma anche per creare una rete di aiuto pratico e immediato – che la prima cosa che si legge sul volantino del Kruger Park è il numero verde da chiamare se s’intravede nel bush (e intorno al suo recinto) qualcosa che non va, ad esempio un’auto abbandonata, delle persone a piedi o parte della rete tagliata. Fortunatamente, sul territorio sono già presenti associazioni che combattono il bracconaggio. Noi siamo andate a visitare il Wildlife Collage, sostenuto dal WWF. Si tratta di una scuola di ranger finalizzata a creare reparti preparati a sorvegliare le riserve. L’addestramento è aperto a tutti, indipendentemente dal reddito e dalla classe sociale, dura un anno ed è militare. Abbiamo parlato sia con gli studenti sia con gli istruttori, moglie e marito, che hanno dedicato all’insegnamento dei ranger vent’anni della loro vita. Per le donne e gli uomini che partecipano al programma è una vera opportunità per trovare un lavoro di qualità e per sensibilizzarsi sulla situazione degli animali nel parco. Si tratta però di un addestramento duro e di un lavoro duro, che comporta la responsabilità di sapere che si rischia uno scontro a fuoco con i bracconieri, nonché eventualmente l’esigenza di testimoniare in tribunale. È stato strano parlare con queste persone dall’esperienza quotidiana così diversa dalla mia, ma mi ha dato tanto. Dopo averle filmate e averci parlato, hanno cominciato loro – gli studenti – a fare domande a noi e a scattarci delle foto. Sicuramente una delle esperienze più forti che ho vissuto durante il viaggio.
AL CENTRO DI RECUPERO
La seconda tappa sulla via della lotta al bracconaggio è Hesc, Hoedspruit Endangered Species Center, un centro di recupero per animali feriti per mano di esseri umani. I casi possono essere diversi. Ad esempio, al centro vediamo due leoni che erano stati allevati in cattività e che per questo non possono tornare nel bush, perché non riuscendo più a cacciare o a difendersi da altri leoni morirebbero. Ma ci sono anche diversi rinoceronti mutilati dai bracconieri e altri la cui madre è stata uccisa e che senza un aiuto non sarebbero sopravvissuti al bush. Ci sono pure degli avvoltoi a cui si offre l’opportunità di avere del “cibo gratis” (una pila ordinata di carcasse provenienti dai resti del cibo dato agli altri animali del centro), cosicché non mangino il cibo avvelenato che spesso i coltivatori fanno loro trovare nei campi. Chi l’avrebbe mai detto di dover dire: “salviamo gli avvoltoi!”. In realtà sono gli “spazzini” del bush e svolgono un ruolo fondamentale per l’ecosistema. La visita a Hesc rappresenta anche la prima volta in assoluto che ho visto un giaguaro e che sono stata inseguita da alcuni struzzi (che amano le macchine fotografiche, a quanto pare). Alla fine della visita abbiamo intervistato Milan, un ranger di ventun anni che ci ha fatto da guida e ci ha mostrato l’archivio fotografico degli “ospiti” del centro. Se volete farvi un’idea sulla situazione della lotta al bracconaggio in Sudafrica, vi consiglio di fare visita a Hesc.
FINE DEL VIAGGIO
Il nostro viaggio termina con una visita al Marula Festival, che tuttavia non si tiene a causa pioggia. Così abbiamo l’occasione di conoscere Phalaborwa e chi la vive, grazie a Daniela che ci fa da guida in città. Andiamo in una township, una zona periferica rispetto al centro della città in cui la popolazione è a maggioranza nera (92%), a conoscere una cooperativa di donne che si riunisce ogni anno per il festival per fare la birra di marula, un frutto leggermente alcolico da cui si possono ricavare anche olio e liquori. Le scimmie, a quanto pare, ne vanno matte, così come gli elefanti, la differenza è che le scimmie quando ne mangiano troppe si ubriacano e cadono dagli alberi, stando a quello che mi ha raccontato un ragazzo! Siamo andati in una scuola, abbiamo visto una danza tradizionale in cui eravamo gli unici turisti presenti (tutti gli altri spettatori erano i bambini di una scuola elementare, ed erano tanti!), infine siamo andati in un collettivo di donne che dirige un centro culturale e una sartoria. Se amate il viaggio, vi consiglio caldamente di uscire dai percorsi turistici, inoltrarvi un po’ nella vita quotidiana delle città che state visitando e parlare con le persone. Magari fatevi guidare, mirate a fare amicizia con amici di amici, o abbracciate l’idea d’essere il turista strano che si mette a scambiare due chiacchiere con la signora che sta preparando la birra di marula per strada. E poi, dopo quest’ultima immersione in un paese che un poco abbiamo imparato a conoscere, siamo tornate a casa. EgyptAir, da Johannesburg al Cairo, per poi tornare a Milano e prendere il treno per Bologna. Mi è sembrato d’essere mancata da casa per un mese, o forse per un anno. Un viaggio indimenticabile e molto intenso che sento che in questa vita dovevo fare. E che consiglio anche a voi!
Zoe Roversi Giusti