Anch’io come il Colonnello Fawcett!

Syusy racconta il suo viaggio in Brasile alla ricerca dell'Eldorado
Syusy Blady, 18 Apr 2011
anch'io come il colonnello fawcett!
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Quello che state per leggere è un itinerario “turistico” un po’ speciale. Parleremo di una meta molto gettonata – il Brasile – che stavolta viene raccontata con un taglio particolare. Infatti le motivazioni che possono spingerci a viaggiare possono essere molte, dalla voglia di una semplice vacanza in poi, ma da sempre l’avventura è una molla importante, il detonatore emotivo per viaggi spesso immaginati e a volte realizzati. I grandi esploratori, la letteratura di viaggio anche più estremo, ci fanno sognare da sempre. Qui di seguito parliamo di un grande esploratore del passato (il mitico Colonnello Fawcett) che sta per essere celebrato da Hollywood, di un moderno viaggiatore-esploratore (il mio amico Marco Zagni) e di un viaggio in Brasile quasi normale (il mio)…

IL COLONNELLO FAWCETT E LA CITTA’ DI ZETA.

di Marco Zagni.

Con la pubblicazione recente del romanzo di David Grann The lost city of Z anche in lingua italiana (Z la città perduta) – Il Corbaccio, 2010 – è ormai prossima (si parla del 2011, al massimo inizio 2012) l’uscita del film omonimo prodotto dalla Paramount (che ha acquistato i diritti del libro), per la regia di James Gray e Brad Pitt nei panni del mitico colonnello Fawcett. Il mondo hollywoodiano, si può dire, si è finalmente accorto di come si poteva trasportare nel mondo cinematografico una vicenda avvincente e romantica quale la vita e la misteriosa scomparsa del leggendario colonnello Percy Harrison Fawcett (1867-1925?). Perché nella data di morte c’è un punto interrogativo? Perché Fawcett non fu più ritrovato dopo la sua ultima spedizione, scomparve nel tentativo di trovare la grande Zeta. Era tempo che la storia del colonnello Fawcett diventasse popolare e non solo per gli “addetti ai lavori”. Noi che ci occupiamo di viaggi e di misteri conosciamo la storia del colonnello Fawcett, una storia emblematica per chi come lui è stato conquistato dalla ricerca dell’Eldorado.

Il colonnello inglese era addetto alla cartografia nell’esercito britannico, era stato in India e poi era arrivato in Brasile nel 1919, subito dopo la fine della Prima guerra mondiale. Qui aveva potuto vedere le carte , conservate al museo di Rio de Janeiro, che davano il resoconto delle spedizioni dell’epoca dei conquistadores, che parlavano di città perdute dentro la foresta, insomma dell’Eldorado. Dopo molte altre spedizioni precedenti tra il Perù, la Bolivia e soprattutto il Brasile, Fawcett si era convinto che la chiave per comprendere l’origine della civilizzazione precolombiana del Sud America andava cercata nel profondo della foresta amazzonica, cercando appunto la “Città di Zeta“ come l’aveva chiamata lui stesso. Questa città rappresentava per lui la città madre di un antichissimo “Impero Amazzonico“ esistito nel Nuovo Mondo migliaia di anni fa, forse erede della perduta Atlantide. Tornato in Brasile, Fawcett compì altre due spedizioni, sia nel 1920 che nell’anno successivo, viaggi utili e preliminari per cercare di restringere il campo di ricerca della presunta posizione della città di Zeta, la quale, più precisamente, avrebbe dovuto trovarsi tra il Rio Xingu ed il Rio Araguaia, all’altezza della Sierra del Roncador, in pieno Mato Grosso brasiliano. Ma dovette aspettare fino al 1924 prima di convincere del tutto la Royal Geographical Society di Londra a concedergli il pieno appoggio per quella che considerava la spedizione definitiva. E così nel febbraio 1925 iniziò l’ultima avventura del colonnello: con lui vi erano il suo figlio primogenito Jack, di 22 anni, ed un ex compagno di scuola amico di questi, Raleigh Rimell. Raggiunta Cuiaba (Mato Grosso) all’inizio di marzo, vi rimasero circa un mese per gli ultimi preparativi prima di effettuare l’ultimo decisivo sforzo. La partenza fu stabilita il 20 aprile. Durante la spedizione Fawcett scrisse alcune lettere alla moglie Nina, che venivano affidate man mano ad aiutanti indigeni in modo che facessero da corrieri. L’ultima lettera di cui siamo a conoscenza è datata 29 maggio 1925, inviata da una zona definita come “l’area del cavallo morto”. Da allora Percy e Jack Fawcett con Raleigh Rimell scomparvero.

Ecco una parte del testo dell’ultima lettera inviata alla moglie: “Siamo qui al campo del cavallo morto, a 11 gradi e 43 primi di Latitudine Sud, e 54 gradi e 35 primi Ovest, esattamente nel punto dove morì il mio cavallo nel 1920… Qui possiamo fare il bagno ma gli insetti ci costringono a farlo assai breve. Tuttavia la stagione è buona. Alla notte fa molto freddo, e fresco al mattino; gli insetti e il caldo arrivano alla metà della giornata, e d’allora fino alle sei di sera è una vera tortura. Ma non devi temere che non si riesca”.

Al di là di ogni forma di congettura possibile, non si seppe realmente mai più nulla di loro.

ANCHE IO COME IL COLONNELLO FAWCETT

di Syusy

Quando sono andata in Brasile sulle orme di Darwin ho visto Copacabana e ho assaporato il gusto di come i brasiliani siano un insieme assolutamente ben assortito di popoli diversi. Per me è stato bello tutto a Rio, persino le favelas, almeno quelle più vicine al centro della città. L’intera montagna che si affaccia sull’oceano e dà le spalle al Corcovado è strapiena di casupole dove fino a poco tempo fa non c’era la luce elettrica e per questo, per la fievole luce che facevano le candele che servivano ad illuminarle, presero il nome “favelas”. Di Favelas a Rio ce ne sono di vario tipo: in alcuni casi sono davvero terribili, popolate dagli ultimi inurbati, ma generalmente si tratta di quartieri popolari, dove certo tutto è abusivo, ma in cui la qualità della vita in fondo non è pessima, che hanno nel tempo organizzato una socialità davvero invidiabile, in cui i rapporti e le relazioni tra le persone hanno ovviato alla mancanza di strutture.

LE FAVELAS

Noi, già la prima volta che siamo stati a Rio, ci siamo fatti accompagnare alla Rosigna, una della favelas più popolose, e abbiamo stretto rapporti di amicizia con la gente che è assolutamente cordiale. Nei quartieri ricchi di Rio (Copacabana, Ipanema) le case sono sbarrate da inferriate e guardate a vista da portinai armati, nella favelas invece le case sono aperte, e la banca ha una porta di vetro, sempre aperta, e nessuno l’ha mai svaligiata… Patrizio, che come al solito si era beccato la diarrea del turista, si è fatto curare da un medico volontario, e – nonostante le fogne a cielo aperto e i fili della luce che sembravano dei grovigli inestricabili e improbabili – ci siamo sentiti subito come a casa nostra. Poi ci sono anche tornata, recentemente, e ho visitato scuole di samba, televisioni private che promuovono iniziative culturali per i giovani ed esempi di collaborazione spontanea tra la gente, che mi hanno lasciata incantata. Insomma: non si può visitare Rio senza aver almeno provato a farsi un’idea della vita nelle favelas, che ormai a buon diritto rappresentano una possibile meta “turistica”, un’occasione per conoscere davvero i brasiliani.

Ma, a proposito di Rio turistica, naturalmente sono salita sul Corcovado ed ho visto il grande Cristo a braccia aperte sulla montagna quasi ad accogliere chi arriva dal mare per segnalare che qui è il “paradiso in terra “ tanto agognato. La prima volta che sono andata a Rio sono persino andata al sambodromo e, confondendomi nel gruppo di italiani del Carnevale di Cento in provincia di Ferrara, ho sfilato addirittura tra corpi scossi dalla samba: suoni assordanti di bateria (circa 100 persone che suonano il tamburo alle tue spalle!) un’esperienza esaltante!

CURIOSITA’ DIVERSE

Ma questa volta la mia curiosità era un’altra. Chissà perché a Rio si pensa solo al divertimento e mai alla storia che c’è dietro a questa grande città. E d’altra parte mi pare un percorso turistico-mentale naturale: la prima volta che si arriva in una località famosa per la sua bellezza si è portati a privilegiare i percorsi turistici più “normali” (a Rio corrispondono a Ipanema, Copacabana, la samba, le isole tropicali di fronte ala città, il mare, la spiaggia ecc) ma, se poi hai la fortuna di tornare, di viene spontaneo approfondire un “tema”, un interesse specifico. In questo caso mi attirava l’idea del Mato Grosso misterioso e mitico, e in particolare il leggendario Eldorado, la città d’oro, la meta di tutti gli avventurieri e gli esploratori. Un mito, e un mistero. Avevo saputo che i documenti delle antiche spedizioni dei colonizzatori si trovavano alla biblioteca di Rio de Janeiro, un palazzo molto austero al centro della città.

LA BIBLIOTECA DI RIO

Anche io, come il mitico colonnello Fawcett di cui ci parla il mio amico (a sua volta esploratore) Marco Zagni, alla Biblioteca ci sono andata e ho avuto in mano i resoconti dei “banderantes”, gli esploratori avventurieri che al ritorno da una spedizione ai confini con la foresta amazzonica raccontarono di avere trovato una città con templi e piazze di grande bellezza che poi però nessuno è stato in grado di ritrovare. In Brasile, secondo l’archeologia ufficiale, è impossibile che ci sia una storia antica, tanto meno in Amazzonia, dove ora c’è la più grande foresta pluviale del pianeta ma che migliaia di anni or sono, molto probabilmente, aveva una orografia e condizioni climatiche molto diverse: al posto di una selva impenetrabile esisteva una sorta di savana fertile, utile ad insediamenti fissi. Ma stiamo parlando di molti millenni fa, almeno 10.000 anni or sono.

UNA STORIA SCONOSCIUTA

Quindi, se è vero che l’uomo è arrivato in America passando da Bering solo 13.000 anni fa – come si dice ufficialmente – questa civiltà di cui favoleggiava il colonnello Fawcet, che a questo punto tenuto conto che sta per uscire un filmone hollywoodiano dovete immaginarvi con la faccia di Brad Pitt (cosa che non mi sta bene ma purtroppo dovremo accettarlo) non potrebbe essere esistita. Io però ho sentito parlare di una archeologa italo francese, Niéde Guidon, che nonostante l’ostracismo di gran parte dei suoi colleghi archeologi soprattutto americani, ha dimostrato che il popolamento delle Americhe risale almeno a 50.000 anni or sono, grazie ai ritrovamenti di focolai e pietre scolpite avvenuti a Pedra Fugada. Chissà perché nessuno ne parla e tutti gli scienziati storcono il naso a questa scoperta? Forse perché davvero pensare l’uomo in America 50.000 anni fa vuole dire riscrivere la storia del popolamento delle americhe?! Naturalmente non potevo non andare ad incontrare Nilde Guidon, già che ero lì in Brasile!

SAN RAIMUNDO MAI NATO

Il problema è che il viaggio verso il villaggio di San Raimundo Mai Nato – che già dal nome rivela la sua vaghezza – è incredibilmente difficoltoso. Ad un certo punto finisce la strada e incomincia una pista piena di buche che fanno sobbalzare il fuoristrada oltre ogni sopportabile limite. Pensate a me che soffro di cervicalgia! In ogni caso a San Raimundo-mai-nato ci sono arrivata e una studentessa italiana, Giulia Aimola, mi ha presentata a Nilde Guidon. Grandissima donna! Ha organizzato in quel paese fuori dal mondo un museo all’avanguardia e un percorso protetto e percorribile, sotto la falesia in cui sono state trovate le presenze umane di 50.000 anni fa e le incredibili pitture rupestri degli insediamenti umani di 10.000 anni fa. Per proteggere i ritrovamenti, che si trovano in un posto splendido ed estremamente panoramico oltre che antico, la dottoressa Guidon ha organizzato molte donne, che sono diventate guardie del parco, produttrici di ceramiche bellissime, studiose e gestrici del museo. Una vera società matriarcale di amazzoni! E le amazzoni guarda caso danno il nome al Rio delle Amazzoni, perché quando gli esploratori spagnoli arrivano in questa zona vengono assaliti da un guerriero a cavallo poco vestito, stupendamente armato coi capelli lunghi e con…il seno! Era una donna amazzone indios. Una regina amazzone come qui ce ne sono state tante in passato.

Ma torniamo al colonnello Fawcet e al nostro Brad Pit: il colonnello aveva quindi ragione a tuffarsi nel profondo dell’inferno verde amazzonico sulle tracce della città di Z. Molti lo hanno seguito e lo seguiranno, compreso un mio amico milanese: Marco Zagni esploratore ed autore del libro L’Impero Amazzonico. L’ho intervistato per voi, per raccontarvi la biografia e il fascino di questa grande figura di esploratore e per raccontarvi una zona meravigliosa e in parte ancora sconosciuta del nostro Pianeta…

UN ESPLORATORE ITALIANO COME IL MITICO COLONNELLO FAWCETT! Syusy intervista Marco Zagni

Lo raggiungo al telefono, mi dice che è in palestra ad allenarsi: allora fa sul serio!?

Syusy: ma allora riparti alla ricerca della grande Zeta, di PAITITI come altrimenti viene chiamata?

Marco Zagni: sto già organizzando un nuova spedizione nel Perù andino, sulle tracce del mitico Paititi degli Incas. Stavolta andremo a cercarla alle pendici delle Ande fino all’inizio della foresta amazzonica.

S: Ma tu quante spedizioni hai fatto?

MZ: Diverse preliminari per la grande spedizione “Paititi 2000”, effettuata dallo studioso Greg Deyermenjian e dal sottoscritto nell’agosto-settembre 2000, sulle tracce della più famosa città perduta dell’area peruviana, Paititi appunto. Ma sono tre anni che sono fermo e debbo allenarmi per via del fatto che andremo dai 4000 metri al caldo umido della foresta.

S: Ma come è successo che ti sei messo sulle orme del mitico colonnello?

MZ: Avevo conosciuto e fatto amicizia con Timothy Paterson, il pro-nipote di Fawcett, scomparso poi nel 2004, e che allora abitava in Alto Adige, in una zona vicina ad una curiosa formazione rocciosa detta delle “Piramidi di terra”. Da ragazzo, colpito dalle avventure amazzoniche di Fawcett, mi ero ripromesso di tentare di continuare le gesta di questo avventuriero gentiluomo e, grazie al fatto di avere in famiglia un parente appassionato viaggiatore ed esploratore (ndr: il milanese Mario Ghiringhelli, scomparso poi in una spedizione in Indonesia nell’agosto del 1993), dopo un pesante periodo di addestramento specifico, mi ero cimentato nella prima spedizione amazzonica nell’anno 1984 (Guyana Francese , spedizione “Ghiringhelli“ ). Certo è che Fawcett, per tutti gli esploratori del Sud America, ha sempre rappresentato un simbolo ineguagliabile.

S: Cosa pensava il pronipote di Fawcett della sua misteriosa scomparsa?

MZ: Timothy, il nipote di Fawcet, era un uomo interessantissimo e molto colto. Anche lui aveva vissuto per molti anni in Brasile e aveva fatto viaggi avventurosi, e inoltre assomigliava moltissimo al suo più famoso “grande zio”, così come Timothy amava chiamarlo. Timothy, che apprezzava il mio spirito un po’ da “esploratore mistico”, mi disse che di suo zio non si era realmente saputo più niente. I resti di un supposto esploratore bianco che erano stati trovati negli anni ’50 da alcuni brasiliani (tra cui un cranio completo) non furono riconosciuti come appartenenti a Fawcett né dal figlio rimasto di Fawcett, Brian, né dalla madre di Timothy (la sorella di Fawcett). L’arcata dentale non corrispondeva assolutamente. Secondo Timothy, suo zio aveva raggiunto veramente la Grande Zeta.

S: Quindi la ricerca della grande Zeta e di Paititi continua nello stesso modo di quelli del ‘900: a piedi nella foresta. Ma secondo te un personaggio così mitico come il colonnello , tanto mitico da farci un film, era un visionario? Era un esoterico?…

MZ: Le credenze esoteriche avevano conquistato molti ufficiali famosi dell’esercito britannico in quel periodo di fine Ottocento-inizio Novecento ed è spiegabile facilmente: allora l’Inghilterra era l’unica vera “superpotenza mondiale” e manteneva centinaia di migliaia di uomini in svariate basi militari in molti punti strategici del mondo. Questi soldati in India, a Ceylon, in Australia e in Africa, vivevano a contatto loro stessi e le loro famiglie con le credenze locali per moltissimi anni, e ne assorbivano le conoscenze più disparate. In più il repentino sviluppo tra i militari inglesi delle dottrine filosofiche legate alla Teosofia di Madame Blavatsky, avevano fatto il resto.

S: Insomma quello fu un periodo veramente affascinante, dove i viaggi e l’esplorazione del mondo furono funzionali al potere dell’impero britannico, ma dove molti britannici vennero conquistati e folgorati da dottrine e conoscenze appartenenti ai mondi che a loro volta venivano esplorati e conquistati. Questa per fortuna è la nemesi storica delle conquiste militari! Allora in bocca al lupo e – come facciamo sempre – tienimi informata, vogliamo essere i primi a sapere se trovi Paititi e la grande Zeta del colonnello Fawcet!

MZ: Sicuramente, non mancherò.

PS: Se volete saperne di più… Brian Fawcett ( a cura di ) – Operazione Fawcett, Bompiani, Milano 1953. Henri Vernes – Bob Morane: sur la piste de Fawcett , Marabout, Belgio 1954. Timothy Paterson – Il tempio di Ibez, Società teurgica Italia-Brasile 1980. David Childress- Lost Cities and ancient Mysteries of South America, Adventures Unlimited, USA 1989. David Grann – Z la città perduta, Il Corbaccio, Milano 2010.

Syusy