Sudan del Nord: otto giorni fra deserti, Nilo e archeologia
Partire per il Sudan non è banale per tanti motivi. Lo abbiamo deciso solo un mese prima della partenza. Chiedere il visto all’Ambasciata sudanese di Roma, con le feste natalizie di mezzo significava correre e affrettarsi. Prima di tutto abbiamo dovuto scegliere lo sponsor, obbligatorio per ottenere il visto turistico e ciò significava contattare un tour operator locale. Noi abbiamo scelto la Raidan Travel&Tours di Khartoum, con prezzi decisamente minori rispetto a quelli europei. Per 9 giorni ci hanno chiesto 910euro a testa, escluso il volo, quando altri chiedevano il doppio e persino il quadruplo. Riusciamo a ottenere velocemente il visto andando a Roma, ma proprio quando siamo a posto con le carte, iniziano le brutte notizie provenienti dal Sudan. Ci sono manifestazioni, crisi politica, triplicato il prezzo del pane, scarsità di benzina, tra i 20 e i 40 morti a causa delle proteste: ci prende l’ansia, ci informiamo ma nessuno può prevedere cosa potrebbe accadere. Valutiamo persino l’opzione di scendere a Il Cairo, dato che il Ministero degli esteri sul sito viaggiaresicuri sconsiglia il viaggio in Sudan. Per fortuna però il giorno prima della nostra partenza il segnale di allerta viene rimosso. E decidiamo di partire; dobbiamo solo evitare di girovagare nei mercati di Khartoum ed evitare assembramenti e manifestazioni. Il volo con Egyptair, con tappa al Cairo è pieno e ballerino. Si preannuncia un viaggio agitato. Sull’aereo incontriamo anche una ragazza bergamasca volontaria nel Darfour, con una organizzazione americana. Siamo curiosi di vedere cosa troveremo in Sudan.
6 gennaio – Atterriamo alle 3 di notte. L’uscita dall’aeroporto è velocissima, avendo come al solito solo bagagli a mano. Ci mettiamo pochi minuti a capire dove si trova la nostra guida che ci accompagna subito al Plaza hotel, tre stelle, non eccezionale ma discreto. Dopo una scarsa colazione di prodotti locali, alle 9.30 iniziamo il giro per la città con autista messo a disposizione dall’agenzia. Prima tappa alla Raidan per pagare e capire come organizzarci. Il simpatico e cordiale titolare sembra il fratello minore di Nelson Mandela. Accompagnati in auto da una giovane guida molto disponibile parlante inglese, iniziamo il tour della città. Visitiamo il museo etnografico, un museo piccolo e carino. In mezzo alla prima sala si trova un incredibile grosso tamburo di legno a forma di bue. Visitiamo il Palace Museum, una ex chiesa inglese usata dal presidente per la storia del Sudan dove sono messi in mostra i regali ricevuti dagli altri stati. Passiamo dal fish market, con il pescato del Nilo la notte precedente…. evidentemente non è ancora così inquinato come sembra. Visitiamo la tomba dell’eroe sudanese del 19° secolo, che ha combattuto gli inglesi e ucciso il comandante Gordon rendendo indipendente per qualche anno il Sudan. Si prosegue verso la riva occidentale del Nilo Bianco all’old suk di Omdurman, dove in effetti era sconsigliato andare, a seguito delle manifestazioni dei giorni scorsi. Per fortuna pare tutto tranquillo, vediamo solo lunghe file ai pochi bancomat e ai distributori di benzina chiusi per mancanza di carburante o presidiati dall’esercito; molte macerie di edifici distrutti. Il mercato è il tipico suk dell’Africa attuale, pieno di plastica made in China ma anche di alimenti e artigianato locale. Giriamo fino a perderci e quando la gola è secca ci possiamo rilassare in un bar-ristorante sul Nilo, davvero molto carino e confortevole. Gustiamo dei fantastici frullati: il guava fruit, per noi una sorprendente buonissima novità e limone-menta, molto dissetante. Gustiamo anche un piatto di carne alla griglia, molto saporito e speziato. Stiamo proprio bene! Infine visitiamo il polveroso ma interessantissimo Museo archeologico nazionale, di stampo egizio, che si trova vicino alla confluenza del Nilo Bianco e del Nilo Azzurro. Tra gli interessanti reperti troviamo persino mura di templi salvate e trasportate dal nord, che sarebbero altrimenti state inondate dalla diga di Assuan. Il museo tra l’altro era chiuso, ma qui di strappi alla regola se ne fanno tanti, pare. In generale si sta benone, i sudanesi sono molto gentili e pacati, anche generosi. Dopo un riposino, al tramonto, raggiungiamo a piedi il al waha mall, un grande magazzino con supermarket annesso: cerchiamo una sim card sudanese, usiamo il gestore Zian. Infine ceniamo in un buon ristorante siriano, dove incontriamo un gruppo di italiani in viaggio con AvventureNelMondo alla loro ultima sera. Ottima cena con 400 pounds, circa 8 euro in due.
Nagaa – 7 gennaio 2019 – Partiamo per la Nubia. Siamo puntuali all’appuntamento delle 8.30 con la nostra guida Mahmud che ci accompagnerà nel nostro tour concordato con la Raidan. Prima però è necessario fare rifornimenti di cibo e pezzi di ricambio per l’auto e quindi giriamo Khartoum. Al mercato facciamo anche due chiacchiere con un po’ di gente, curiosa ed affabile; tutti si danno da fare, si vende di tutto. Per fotografare bisogna chiedere e spesso non c’è problema. Sono già le 10 quando finalmente lasciamo la città con il suo traffico intenso e caotico. Gli enormi camion da e per Port Sudan invadono la strada che è asfaltata ma solo a due corsie e si capisce subito che il vero pericolo non è la manifestazione politica ma questa strada. Andiamo verso nord, le case si diradano e la plastica e gli edifici bassi dominano il paesaggio. Stranamente il cielo è nuvoloso e grigio, ci sono solo 20 gradi che poi arriveranno a 25. La strada scorre ora nel deserto, il Nilo con i suoi campi coltivati si percepisce solo dai banchetti di frutta lungo la strada, angurie soprattutto. Tanti i check-point di polizia e gli assurdi sorpassi di camion, pneumatici spaccati a bordo strada, polvere nell’aria e tra i capelli. Finalmente lasciamo la strada principale e svoltiamo a destra su una strada ancora in costruzione che dopo pochi chilometri diventa sterrata e per nulla segnata. Ci si perde andando verso Nagaa, tra montagne, alberi secchi, sabbia e sassi, pochi i punti di riferimento, persino l’autista sembra in difficoltà ad orientarsi. A Nagaa si trova il tempio nubiano di Amon del periodo tardo meriotico-egiziano 1° secolo d.C., chiamato anche il tempio delle capre per la serie di sfingi arieti al suo ingresso: è molto carino, non c’è nessuno. Piloni e colonne hanno incisioni in meroitico. All’interno ammiriamo un solido altare completamente decorato con bassorilievi su cui mi siedo per qualche secondo. Poco lontano visitiamo un altro tempio ricostruito dai tedeschi negli anni ’50 e dedicato al dio Apedemak, il dio leone. Le pareti esterne sono riccamente decorate con interessantissimi bassorilievi. Apedemak viene rappresentato con tre teste e quattro braccia: con due tocca i gomiti dei visitatori con le altre due fa loro vento. Il dio con più braccia indica anche un influsso della cultura indiana. Infine, come sbucati dal nulla troviamo una decina di persone del posto, adulti e bambini. Con l’aiuto di due asini tirano su un da un pozzo profondo circa 30 metri un grandissimo otre ricavato da pelle animale. Il pozzo è solo un antichissimo buco nel terreno sovrapposto da una rudimentale struttura in legno; di acqua ce n’ è tanta, viene raccolta tramite l’otre e poi fatta scorrere su un canale interrato che la conduce in una vasca in terra e pietre. Qui alcune bambine sembrano divertirsi a raccoglierla con miseri secchi di plastica e a travasarla di nuovo in un altro bidone, dove un asinello se la porta via. Chiediamo di fare le foto perché profuma di antico. Dai libri scopriamo che è un pozzo storico. Con 5 sterline sudanesi consegnate all’anziano del gruppo possiamo fotografare e registrare la fatica che comporta la raccolta di acqua. Rientriamo sulla main road, passando prima a visitare Musawwarat es Sufra, ad una trentina di chilometri dal Nilo. Affascinante: ma chi mai viveva e costruiva così lontano dal fiume? In posizione isolata visitiamo il tempio del Leone dedicato al dio Apedemak, del 2° secolo a.C. e ricostruito da una missione archeologica Tedesca negli anni ’60. Le pareti sono davvero conservate benissimo e le incisioni sono chiare, nitide e particolarmente interessanti. Riprendiamo la pista dell’andata per dirigerci alle piramidi di Moroe. Il cielo si è aperto, ma il tramonto è fosco e il sole è calato troppo in fretta. Il programma di passare la nottata in tenda purtroppo non viene rispettato: la guida voleva sistemarci lontano dalle piramidi e “casualmente” vicinissimo alla recente struttura che appartiene alla Raidan. La notte era già calata e il vento non dava tregua. Vabbé. Concordiamo allora di stare nella polverosa camera con bagno, poca acqua, porte cigolanti e buona cena. Siamo soli. Usciamo per una passeggiata: il cielo è nero e stellato, fa freddino. Buonanotte.
Meroe – Karima – 8 gennaio 2019 – Oggi è i giorno dell’alba alle piramidi della necropoli reale di Meroe, che vediamo all’orizzonte appena ci alziamo. Il cielo è limpido e iniziamo a camminare nel deserto per raggiungerle, le ombre sono ancora lunghe. Mahmud ci raggiunge con l’auto e i nostri zaini e ci dà lo strappo finale. Entriamo nella zona recintata, ci sono solo alcuni uomini che scavano fra le rovine, pare di essere in un film. Prima visitiamo le piramidi più a nord, poche, circondate e a volte coperte da belle dune di sabbia finissima. Ci sediamo e respiriamo l’atmosfera, gli orizzonti lunghi, il silenzio, solo il rumore del vento. Le mani e i piedi nudi sulla sabbia calda. Si attraversa la piana, immaginando di camminare sopra piramidi nascoste, poi raggiungiamo il gruppo di piramidi a sud, tante, alcune ristrutturate, altre diroccate, con numerosi incredibili geroglifici. I lavoranti paiono i figuranti di Harrison Ford: badili e carriole riempiono di sabbia le carriole che vengono svuotate dieci metri più in là. Su una duna riusciamo a perdere il samsung sopra il quale ho appoggiato per 30 secondi la testa, immediatamente è scomparso nella duna e ritrovato dopo un buon minuto 1 metro più in basso, giusto per dimostrarci ancora che le dune sono in movimento e la sabbia inghiotte tutto. Ripartiamo, ci aspetta un lungo tragitto nel deserto di Bayuda il “deserto bianco”. Non ci facciamo mancare i miraggi all’orizzonte. Dobbiamo fermarci ad Aktaba, la città delle università e delle manifestazioni, ma solo per fare benzina: file interminabili di auto in coda; noi passiamo davanti a tutti, nessuno fiata, militari che presidiano, un equilibrio precario. Il deserto di sassi e sabbia è sconfinato, ci fermiamo ad una casa di terra, dove ci offrono tè e biscotti; per la toilette ci si allontana un po’ nel deserto. Ripartiamo e dopo 200 km arriviamo di nuovo ad avvistare il Nilo e andiamo a vedere altre piramidi mentre tralasciamo le rovine di una chiesa del 500 dc, la guida infatti sembra sempre in ritardo. Tutto è polvere. Attraversiamo il Nilo su uno dei 5 ponti dei 2000 km a nord di Khartoum. I distributori di benzina sono miseramente deserti oppure con file interminabili di mezzi e presidiati dall’esercito. Passiamo di fronte al Jemel Barkal, il monte sacro, vicino ad un altro gruppo di piramidi. Purtroppo Mahmud non si ferma e senza informarci dei programmi ci porta alla casa nubiana, il nostro alloggio per questa notte, con letti di ferro, bagno esterno e lavandino più piccolo di un fazzoletto. Siamo perplessi! Andiamo a fare due passi e ci infiliamo a vedere il lodge dell’Italian Tourism Co. Di proprietà di Maurizio Levi e di sua moglie Elena Valdata, pionieri del turismo in Sudan. Situato proprio di fronte al Jemel Barkal è un lodge affascinante, raffinato e molto caro, che rispetta in pieno le aspettative dei turisti occidentali in viaggio in Africa, forse perché qui l’alloggio tipico è coperto di sabbia e polvere e non troppo comodo. Torniamo alla nostra casa nubiana e cominciamo a programmare i giorni futuri. Non vogliamo più farci guidare completamente e passivamente dal nostro autista. Comincia a fare freddino.
Karima – Tombos – 9 gennaio 2019 – Stamattina ci svegliamo presto e usciamo da soli. Stanotte abbiamo sofferto per il freddo e per la scomodità dei letti imbarcati e singoli. All’alba, prima di colazione, ci dirigiamo al Jebel Barkal, la montagna sacra per i Kush, per i faraoni nubiani e per i sultani musulmani. Siamo soli, nessuno in giro, nessun controllo; saliamo seguendo le poche orme rimaste sulla sabbia, cercando di indovinare il sentiero. Il monte non è altissimo ma si vede da molto lontano. E’ molto bello, in alto è piatto, dalla vetta si domina la valle. Apprezziamo il sole che sorge, la solitudine, la vista sul Nilo, sulla vallata, sul deserto, sulle piramidi. Sotto di noi ci sono le piramidi e i resti di antichi templi, un posto incantevole. Pare incredibile ancora una volta che i sudanesi sembrano non percepire la forza del potenziale turistico che hanno in casa. Scendiamo, sentendoci leggeri, dalla duna di sabbia finissima e torniamo a fare colazione. Il nostro autista ormai ha capito che ci deve sopportare come noi dobbiamo sopportare lui. Colazione, zaini, una mini sciacquata con la poca acqua del rubinetto esterno. Tappa al museo in costruzione sotto il Jebel. Rimaniamo di stucco a vedere quanti reperti antichi abbiano trovato e debbano ancora catalogare e sistemare: scatole piene di ossa e crani, uno scheletro intatto, vasellame a non finire, sassi di ogni forma e dimensione con scritte geroglifiche e tanto altro ancora. Sotto il Jebel Barkal si trova un tempio dedicato ad Amon è libero e aperto a tutti. Alla base della montagna, una pesante porta blocca l’accesso ad una grotta delle meraviglie all’interno della montagna, una camera-santuario dedicata alla dea Hathor, dea della gioia, della bellezza, della danza e della musica, rappresentata sui capitelli delle due colonne di fronte all’entrata. Una squadra di archeologi italiani ha fatto delle scoperte incredibili: pitture e geroglifici ancora piene di colore vivido. Rimaniamo a bocca aperta. I bassorilievi nelle sale interne, scavate nella montagna, rappresentano delle cerimonie sacre. Immagini simili si trovano ad AbuSimbel! Immaginiamo di essere in Egitto 200 anni fa, quando il patrimonio storico non era ancora pienamente valorizzato, all’inizio dell’egittologia. Sull’altro lato, nella piana desertica, svettano sette piccole piramidi, ancora in buono stato, slanciate e con spigoli arrotondati, circondate dal mistero per la totale assenza di iscrizioni. L’auto parcheggia a 5 metri; le scritte e i murales in arabo: vandalismo ed noncuranza per tali bellezze? Da un benzinaio presidiato da militari armati, il nostro autista taglia clamorosamente un’inimmaginabile coda perché abbiamo la precedenza in quanto turisti!! perplessi attraversiamo il deserto nubiano, una distesa ininterrotta di sabbia gialla, il vento soffia da nord. Intorno a noi il NULLA. Arriviamo finalmente al Nilo e ci fermiamo per un tè in un paese pieno di polvere e sorrisi. C’è il mercato. Qui sono tutti più alti, i bambini chiedono penne per scrivere. Il Nilo è sporco e la plastica è ovunque, ma per i locali l’acqua è pulita, ancora senza industrie alla fonte. Forse hanno ragione loro e la bevono tranquillamente. Ripartiamo per andare a Kerma, dove mangiamo in un tipico ristorante locale: piatto di patate e carne e verdure, si mangia tutto rigorosamente con mano destra e lavaggio di mani da bidone di acqua del Nilo, posto fuori dal locale. Rimaniamo fermi ad osservare il via vai di mezzi e animali, la gente che lavora, il mercato, belle donne giovani insieme a bambine colorate e sorridenti. La prossima destinazione è il sito archeologico Defuffa, dove è stata riscritta la storia del Sudan, con la scoperta della civiltà dei Kush e il ritrovamento delle 7 splendide statue dei faraoni neri della 25° dinastia a cura della missione archeologica di Charles Bonnet. Proseguiamo fino a Tombos vicino a Kerma, in un bell’alloggio comodo con ampio cortile interno dove si trovano anche bagno e doccia, con poca acqua proveniente da una cisterna sul tetto. Qui incontriamo sei simpaticissimi russi giramondo, tra questi una bravissima fotografa. Si cena tutti insieme e si parla di viaggi, usando un misto di inglese-francese-russo. Bella serata e a nanna coi “materassi” di paglia che preferiamo appoggiare a terra, per stare vicini ed evitare le scomode brande di ferro.
Tombos-Soleb – 10 gennaio 2019 – La nostra idea di oggi è di aggregarci ai russi, anch’essi clienti dell’agenzia Raidan, che stanno facendo il nostro stesso giro, con la sola differenza che loro proseguiranno il loro viaggio in Egitto, mentre noi torneremo indietro fino a Khartum. Dopo colazione andiamo insieme a loro a visitare la cava di granito di Tombos, dove si estraeva la pietra per le statue egiziane. Una grande statua, rotta 2500 anni fa durante il trasporto, rimane unica testimonianza di quell’epoca. A seguire, visitiamo una scuola, dove facciamo conoscenza di tanti alunni e maestre, accoglienti, simpatici e curiosi. Da qui inizia una mattinata nervosa e da dimenticare. Mahmud vuole fare di testa sua e non accetta la desiderata condivisione delle scelte con l’altro equipaggio, che noi avevamo chiesto per allacciare meglio i rapporti con il gruppo russo, accompagnato da una guida giovane ed esperta e con identica destinazione finale a Soleb. Discussione accesa, musi lunghi, email al capo a Khartoum che sblocca la situazione. Ma intanto ci sentiamo “rapiti” per tre ore, con un’unica sosta a vedere la terza cataratta e di sfuggita alcune incisioni rupestri che non riusciamo ad apprezzare. Si mangia finalmente tutti insieme sotto una tettoia, fuori un caldo torrido, aria secca, polvere, una distesa di nulla, una strada asfaltata, una linea retta, percorsa da qualche bus e camion. La sosta pranzo è sotto una tettoia, dotata di angolo “night club” con tanto di televisione con salotto in stile! Fra i clienti una famiglia che ci saluta cordialmente, scambi di sorrisi e parole incomprensibili e un giovane di intrigante bellezza. Più o meno rappacificati con la guida, si parte per attraversare il Nilo su una chiatta, chiamata ponton che può accogliere solo 4 auto. Nessun molo o altro. Solo una piacevole attesa per la traversata di tutte le nostre auto con relativi equipaggi e di auto locali. Poi via, verso Soleb, attraverso il deserto libico, piatto e polveroso senza alcuna pianta o cespuglio. Ci domandiamo cosa ci facciamo noi qui nel nulla con un gruppo di russi, un autista permaloso, i capelli e la pelle secchi e pieni di polvere, su strada sterrata, che attraversa diversi villaggi nubiani apparentemente disabitati ma puliti e molto caratteristici. Meglio non farsi troppe domande e godersela a pieno. Piano piano ci avviciniamo di nuovo al Nilo e alle palme; arriviamo al tempio di Soleb al tramonto. Si tratta di un tempio della 18° dinastia, 14° secolo a.C.; è molto grande, alcune colonne sono alte e svettanti, riccamente decorate con bassorilievi preziose fonti di informazioni. Il sito è stato valorizzato dall’archeologa italiana Giorgini che ci ha trascorso e lavorato per molti mesi all’anno e per molti anni. Il sole si inabissa piano all’orizzonte. Ceniamo nella bella e accogliente casa nubiana tipica con i neo amici russi: cena a base di cibo sudanese e vodka. Ich! La casa è ben tenuta e molto pulita: le mura esterne sono ad altezza uomo e di color deserto, niente pavimenti, ma terra ovunque; nelle camere solo semplici letti di legno e come rete una corda intrecciata. Ormai abbiamo capito che fuori Khartoum si vive solo così, all’interno delle case si trovano pochissimi oggetti, qualche utensile per mangiare, cisterne per l’acqua, mentre fuori si vive di agricoltura e relativo commercio. Le sole modernità sono i pali per i cellulari, un’unica strada asfaltata e le pompe per aspirare l’acqua dal Nilo, ma sempre e solo per i campi coltivati lungo le sue rive. Nilo e campi sono il vero tesoro di questo paese e proprio per questo mai utilizzati per altri fini, a parte nella capitale.
Soleb-Tombos – 11 gennaio 2019 – Da oggi si riprende la strada del ritorno, ci piace stare qui, ma i nostri capelli rivendicano acqua, il corpo è bianco di polvere, la pelle è secca. L’acqua, quando c’è, è sufficiente solo per le mani e i denti. Facciamo colazione in bella compagnia. La cisterna di acqua è vuota: non possiamo lavarci. Il proprietario Mohamed è però davvero cordiale ed accogliente: ci mostra orgoglioso la foto dell’archeologa italiana Giorgini! E saluta Laura con un tenero bacio. Partiamo per Jebel Dasha, a solo 5 chilometri di distanza. Non è mancata la solita discussione con Mahmud, autista bravo ma guida permalosa: stava inspiegabilmente partendo senza attendere le altre auto, quando ormai era chiaro a tutti che anche oggi avevamo deciso di stare in gruppo. Prendiamo atto e ce la godiamo ugualmente. Il Jebel Dosha , un promontorio di arenaria che si affaccia sul Nilo, è davvero carino e molto scenografico. Alla base si trova una cappella rupestre scavata nella roccia e decorata con immagini del faraone. Con una breve camminata raggiungiamo la cima e ammiriamo un gran bel panorama sul Nilo, con la striscia di verde e il deserto. Ne siamo scesi con una divertentissima scivolata sulla sabbia calda. Dieci chilometri più a nord di strada sterrata, raggiungiamo i resti del piccolo tempio di Sedeinga. Risale alla 18° dinastia egiziana, 1400 a.C.; è dedicato a Tiye, la sposa del faraone Amenophis III; i lavori di scavo sono iniziati grazie ad una spedizione italiana del 1964 ed hanno portato alla luce reperti interessanti. È il momento di salutare il simpatico gruppo russo, una piacevole compagnia. Cercheremo di tenere i contatti : tra loro c’è la bravissima fotografa di viaggi professionista, Victoria. Ci ha mostrato filmati e foto straordinarie. Ci sono anche un osteopata moscovita vestito da pakistano, un 72enne che ha girato il mondo, una donna di sanpietroburgo che va in giro con lo chador per vedere l’effetto che fa! Ci facciamo ora condurre dall’immusonito e ora silenzioso Mahmud sul Nilo, dove una barchetta a motore ci attende per portarci all’isola di Sai, un’isola che si trova a nord della terza cateratta in posizione strategica. L’isola è molto grande: camminiamo fra rovine ma soprattutto su una distesa di cocci di vasellame, magari recenti, ma potrebbero essere di epoca romana, cristiana, ottomana o islamica. Non siamo in grado di capirlo e non c’è nessuno a cui chiedere purtroppo. Qui un gruppo di archeologi francesi conduce gli scavi da oltre 40 anni. Ci sarà ancora molto da scoprire di un lontano passato e capiamo perché gli archeologici siano interessati al Sudan. Torniamo a riva e qui il barcaiolo ci sorprende: raccoglie un po’ di acqua dal Nilo usando un vecchio contenitore di plastica e ci prepara il tè, il fuoco con sterpaglie raccolte sotto le palme. Ci gustiamo il momento seduti all’ombra, sulla sabbia, tra le numerose cacche secche di cammello. E’ ora di ripartire verso sud, la strada è lunga e come sempre polverosa, di nuovo prendiamo il ponton, cioè il piccolo traghetto per attraversare il Nilo e tornare a est. Una breve sosta per il pranzo dove le mosche non danno tregua e dove incontriamo una giovane mamma con la sua bellissima figlia. E’ il tramonto quando raggiungiamo di nuovo Tombos, vicino alla più nota Kerma, dove eravamo stati due sere fa.
Tombos-Karima – 12 gennaio 2019 – Oggi lasciamo Tombos per Karima. Siamo di ritorno, sulla stessa strada dell’andata. Bene hanno fatto i russi a proseguire a nord: non ci abbiamo pensato e non sapevamo del confine Sudan-Egitto. Facciamo una breve sosta al mercato di Kerma una cittadina in mezzo al deserto. Un tè, in un isolatissimo sperduto “bar” nubiano: per il fuoco si bruciano rami secchi, ma dove li prendono? Per l’acqua del Nilo si usano i bidoni fino ad esaurimento. I piccoli bicchieri di vetro sono lavati in secchi di latta o plastica, sempre con la stessa acqua, si sciacquano in acqua un po’ più pulita di un secondo secchiello. Ci sediamo sul letto del barista. Al mercato tante spezie, file manzoniane per il pane, che i fortunati si portano a casa negli immancabili sacchetti di plastica gialla. A Karima informiamo Mahmud che abbiamo deciso di dormire nel lodge a cinque stelle dell’Italian Tourist Company, un po’ per sbarazzarci di lui per mezza giornata e un po’ per trattarci bene e lavarci. E così il pomeriggio lo trascorriamo a consumarci un po’ e a salire di nuovo sul Jebel Barkal con la spettacolare vista del sole al tramonto. E’ un posto magnifico da gustare con tutti i pori, dove i ragazzi sudanesi si divertono a lasciarsi scivolare sulla sabbia fine e a farsi selfie ignorando però le piramidi! Il nostro sguardo va lontano fino all’orizzonte che arde con il sole del tramonto. Quasi al buio camminiamo in mezzo ai templi di 3000 anni fa e torniamo al lodge per l’abbondante e la squisita cena.
Karima-Khartoum – 13 gennaio 2019 – Il contrasto fra il lodge a 5 stelle e il paesaggio è forte e stridente. Salutiamo i cordiali ospiti e riprendiamo il lungo viaggio di ritorno a Khartoum, la città dove il Nilo bianco e il Nilo azzurro si abbracciano. Le soste sono solo per la benzina o per mangiare qualcosa agli “autogrill” nubiani , semplicissime capanne di legno o lamiera, con grandi otri di terracotta con l’acqua del Nilo, tè preparato sul fuoco ricavato dalla legna. Numerosi i check point. Torniamo al Plaza Hotel, organizziamo le ultime cose, giriamo tra le vie, tra questa una è molto affollata di gioventù: è l’ora dell’happy hour? Alcuni uomini pregano rivolti verso la Mecca in ginocchio davanti ad un muro o ad auto parcheggiate. Siamo sempre guardati da visi sorridenti, spesso salutati, mai incalzati. Ceniamo ancora dai siriani prima delle 4 ore di dormita prima del volo.
14 gennaio 2019 – Il volo è alle 3.10 del mattino. In aeroporto nessuno schermo, poche indicazioni, bisogna chiedere. Il volo parte con 2 ore di ritardo, Laura in difficoltà per il mal di pancia. Per fortuna siamo in tempo per il cambio aereo al Cairo. Addio Sudan.