Una bellezza dell’altro mondo: in Lombardia c’è una chiesa vecchia di 1000 anni, ma nessuno sa come sia stata dipinta

Stefano Maria Meconi, 13 Dic 2023
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Santa Maria Foris Portas, una chiesa di un altro mondo. Dite la verità, potrebbe tranquillamente essere il titolo di un documentario condotto da qualche blasonato divulgatore, in prima serata sulle reti TV più importanti. E invece altri non è che il primo pensiero che attraversa la mente del visitatore quando si trova al cospetto degli affreschi di questa piccola chiesa, apparentemente piccola e, scusate il termine, insignificante ma, nella realtà dei fatti, scrigno di un tesoro su di cui, a tutt’oggi, la storia dell’arte ha ben poche certezze e molte, molte perplessità. Unica superstite di un antico e glorioso passato, il piccolo edificio si trova immerso nelle meravigliose campagne di Castelseprio, in provincia di Varese, e rappresenta uno dei più avvincenti rompicapi della storia dell’arte: chi ha realizzato queste opere pittoriche? Da dove veniva? Tanti gli interrogativi a cui dare una risposta ma, per il momento, andiamo a scoprire più da vicino questo vero e proprio mistero pittorico.

Parola d’ordine: semplicità

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Tre absidi semicircolari contraddistinguono la pianta

Il piccolo edificio sacro, risalente al IX secolo, è l’unico superstite di un castrum fortificato di epoca romana tardo imperiale (V secolo) presente sulle colline attorno a Castelseprio, edificato su strutture militare già esistenti. La sua longevità è certamente dovuta alla grande devozione legata a questo luogo di culto. L’impianto di questa chiesa, le cui decorazioni pittoriche sembrano di un altro mondo, è votato all’assoluta semplicità. L’edificio è caratterizzato da una pianta a croce greca polilobata, con una piccola licenza nella forma, considerando che un lato è leggermente più lungo. L’interno è scandito da un’unica navata rettangolare, non particolarmente lunga; sulle pareti, eccezion fatta per quella di ingresso, sono addossate tre absidi semicircolari, munite di contrafforti. L’unico elemento che contraddistingue i tre ambienti è la disposizione delle finestre; per il resto sono praticamente gemelli.

Se l’epoca di realizzazione è già carolingia, la concezione realizzativa è sicuramente longobarda; ricorda infatti gli edifici paleocristiani di Milano del IV-V secolo, le cui caratteristiche sono però rimaste in auge sino al IX. Sul lato d’ingresso è presente un semplice ma ampio nartece, un tempo aperto, ma che fu tamponato nel XVII secolo, realizzando poi un ampio arco a tutto sesto quale ingresso. Il materiale è stata realizzata tutta la struttura è il mattoncino rosso, tipico dell’area lombarda. Se l’esterno è semplice e passa quasi inosservato, quello che troverete all’interno vi lascerà decisamente a bocca aperta.

Affreschi (e chiesa) di un altro mondo

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L’interno dell’abside principale accoglie il ciclo di affreschi

Entrando nell’unica navata, l’attenzione del visitatore, ancor meglio se ignaro di quanto gli si presenterà davanti, è attirata, se non addirittura catalizzata, dal ciclo di affreschi che decorano l’abside principale, oggetto di un rinvenimento nel 1944 sotto altri affreschi di epoca seriore (XV – XVI secolo). Il tema iconografico principale è l’infanzia di Gesù, scandita in diversi episodi, probabilmente presi dal Vangelo apocrifo di Giacomo, particolarmente conosciuto in area orientale. Il pittore, ignoto e genericamente individuato come Maestro di Castelseprio, dimostra uno scollamento netto con quanto avveniva in occidente in quegli stessi anni, ossia prima della metà del XI secolo, come rilevato da un’iscrizione che ricorda l’arcivescovo di Milano Arderico, in carica dal 936 al 948, anno della sua morte.

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La resa delle figure umane e della prospettiva è strabiliante

La capacità pittorica dimostrata dal Maestro è sbalorditiva: il tratto deciso restituisce figure umane particolarmente realistiche e inserite in ambienti prospetticamente corretti, particolarità che in occidente non era più praticata da diversi secoli.

Il linguaggio pittorico corrente al periodo in area occidentale, di fatti, era improntato a una maggiore attenzione per il messaggio diretto al fedele, tralasciando le tecniche in auge in epoca classica che, tuttavia, erano ancora praticate in area bizantina. Ciononostante, la resa del Maestro di Castelseprio supera anche la perizia delle maestranza dell’Impero Romano d’Oriente, collocandosi come un unicum, un avvincete rompicapo storico-artistico al quale, con ogni probabilità, non si potrà mai dare una risposta certa ma solo suggestive ipotesi.

Datazione: la parola agli esperti

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Alcuni dettagli denotano una certa vicinanza con le opere della Rinascenza macedone

Inutile dire che su questo ciclo pittorico l’attenzione degli studiosi si è riversata per più di una volta, spesso con esiti completamente diversi l’uno dall’altro. Paul Lemerle, noto bizantinista parigino, accese il dibattito per primo, contestando la datazione del collega Kurt Weitzmann alla metà del X secolo (al tempo l’iscrizione non era ancora stata individuata); il tedesco, inoltre, associò il ciclo pittorico al periodo dell’arte bizantina denominato Rinascenza macedone. La comunità scientifica si spaccò fra chi avallava la datazione fornita dallo storico dell’arte tedesco e chi, di contro, anticipava al VI-VII secolo la realizzazione dei pregiati affreschi. Il dibattito andò avanti per diversi anni, salvo poi tornare sulle ipotesi iniziali di Weitzamann, come abbiamo già avuto modo di vedere, grazie al rinvenimento della iscrizione commemorativa.  

Oggi, siamo ben consapevoli sì della datazione ma, di contro, ancora ignoriamo l’autore e le sue origini. Un pittore orientale di passaggio? Un lungimirante pittore locale? O tutt’altro? Per ora non possiamo dare una risposta ma, certamente, possiamo godere di questo magnifico esempio di opera d’arte che è custodito dentro una chiesa ma sembra proprio di tutt’altro mondo.

Credit foto:
Vista interna abside – Wikipedia



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