Da Emergency a Battambang

I ricordi di Syusy del suo viaggio in Cambogia
Syusy Blady, 11 Apr 2011
da emergency a battambang
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La Cambogia è un posto magnifico, ci sono stata durante la tappa indocinese del nostro Giro del Mondo, quindi ormai qualche anno fa, e naturalmente il mio primo istinto sarebbe quello di riparlarvi di Angkor Wat e dei suoi misteri. Ma di Angkor naturalmente se ne riparla qui, nei diari di viaggio degli altri turistipercaso. Un’altra tappa del mio viaggio in Cambogia – che in ogni modo è un viaggio nella storia, passata o recente – è stata a Phnom Penh il Museo del Genocidio (Tuol Sleng Genocide Museum), dove bisogna fare i conti con le conseguenze del folle progetto politico e antropologico di Pol Pot, che negli anni del dominio dei Khmer rossi (siamo nella seconda metà degli anni ’70) ha provocato deportazioni di massa e milioni di morti Ma sono contraddizioni queste che, nella logica dei nostri viaggi, non si possono ignorare: la storia di un Paese è la sua identità, la sua essenza. E guarda caso un altro luogo da cui ho riportato una profonda impressione è stato l’Ospedale di Emergency, a Battambang. Mi ci ha accompagnato Carla, un’amica che stava in Cambogia da anni. Appena arrivata, in questa struttura linda, moderna, efficiente, che contrastava con la situazione rurale e sottosviluppata che avevo visto lungo la strada, ho conosciuto Ciro, un giovane medico di Viareggio. L’ospedale era pieno di gente che aveva subito delle amputazioni dovute alle mine. Soprattutto bambini. In Cambogia di mine pare che ne restino ancora quasi 4 milioni e ci vorranno 200 anni per bonificare le campagne, senza contare le piogge frequenti che provocano smottamenti e le spostano di qua e di là. Le mine in Cambogia prima le hanno messe gli Americani per interrompere il sentiero di Ho Chi Minh attraverso il quale i Cambogiani rifornivano i Viet Cong, poi le hanno messe i Khmer Rossi contro i Vietnamiti del Nord. Quello delle mine è un grande business, costano poco, quindi bisogna venderne molte: fino al Trattato di Ottawa del 1987 che le ha teoricamente messe al bando se ne producevano anche in Italia. Fatto sta che ancora oggi è “normale” in Cambogia per un contadino che zappa la sua terra saltare su una mina e perdere le braccia, e anche solo andare a far pipì ai lati di una strada dietro ad un albero, in certe zone, è un rischio. E io infatti durante il viaggio mi ero fermata dietro ad un albero… Ciro mi ha fatto conoscere un ragazzino, che avrà avuto 12 anni, che aveva perso una gamba andando a scuola. Il giorno che sono arrivata all’Ospedale Ilaria Alpi era festa, c’era uno spettacolo fatto dai bambini ricoverati che infatti erano tutti truccati, e questo ragazzino ha cantato una canzone, con una voce dolcissima. Mi sono scritta la traduzione delle parole: “Io non posso smettere di amarti, in qualunque posto andrai. Io non posso smettere di amarti, anche se passerà del tempo, anche se non so dove sei. Ti cercherò sempre, senza smettere di amarti”. La scena era commovente in sé, ma a me è rimasta impressa la ritrovata serenità di questo ragazzino, e di qui ho toccato con mano che uno degli obiettivi dei medici di Emergency era appunto anche quello di ricucire e ricostruire la gioia di vivere dei pazienti. Ciro mi ha confessato che alla “normalità” degli effetti delle guerre, lui – che era già stato allora in Afganistan e anche in Sierra Leone – non riusciva ad abituarsi. Gli ho chiesto: “Perché sei venuto qui?”. Mi ha risposto: “Perché mi piace sentirmi utile, anziché sentirmi ricco, perché in Italia mi sentivo più che altro un manager, un procacciatore di pazienti/clienti…”. All’Ospedale di Emergency nessuno paga, non ricevevano contributi da alcuno Stato, ma l’Ospedale allora costava 800.000 euro l’anno. Visite come quelle che ho fatto io all’Ospedale di Battambang magari non sono nelle guide turistiche. Eppure sono esperienze di viaggio uniche nel loro genere. Si è parlato anche di Afganistan, del fatto che da una parte noi abbiamo paura che il terrorismo arrivi a casa nostra, ma dall’altra ci rendiamo conto dei disastri che come occidentali procuriamo agli altri. Ho pensato ai bisogni, ai problemi, alle guerre. E soprattutto mi son chiesta: come fare a invertire la tendenza? Possibile che le cose non possano andare diversamente?

Syusy