L’Argentina finisce qui!

Le avventure di Pat e Syusy in Patagonia, ultima quasi-frontiera rimasta...
Patrizio Roversi, 25 Ago 2010
l'argentina finisce qui!
Dove eravamo rimasti? Nell’articolo precedente avevamo raccontato il nostro viaggio a Buenos Aires, in comitiva: Giorgio Comaschi e sua moglie Carla, Francesco Guccini e la sua compagna Raffaella, Flaco il chitarrista argentino di Guccini e noi due. Ma dopo Buenos Aires c’è il resto dell’Argentina, il luogo dell’avventura, forse l’ultima quasi-frontiera rimasta sulla terra: la Patagonia. Dire che è sconfinata è un luogo comune, in realtà oggi la Patagonia resta enorme, naturalmente, ma è piuttosto confinata, nel senso che è piena di confini e di recinti in filo spinato, che delimitano il nulla, ma che alla fine costano più della terra stessa. Se anticamente era piena di erba alta, che arrivava alla pancia dei cavalli, adesso è una landa desolata e arida, dove per alimentare una pecora servono due ettari di terreno. Io-Patrizio in realtà, dopo quel famoso viaggio con Guccini, in Patagonia son tornato di recente, in occasione del nostro viaggio sulle tracce di Darwin, assieme al gruppo dell’Università di Roma, di Padova e a quello dell’Università di Pavia e del Museo di storia naturale di Milano. E ho potuto constatare, interrogando hacienderos e gauchos, che se da una parte la Patagonia si sta sviluppando turisticamente, dall’altra da un punto di vista climatico, e quindi agricolo, è sempre più depressa: piove e nevica meno di una volta, e la terra rende ancora meno. Ma tutto questo non ha minimamente intaccato il suo fascino…

IL MITO

La Patagonia, assieme alla Terra del Fuoco che ne è la sua propaggine ancora più a sud, è da sempre nel nostro immaginario, appunto, “il mondo alla fine del mondo”, il luogo dove una natura terribile consentiva la sopravvivenza soltanto a pochi uomini, disperati o terrificanti a loro volta: Darwin, che c’è stato nei primi dell’800, ha descritto gli Indios locali come assoluti selvaggi (e si sbagliava). Le sue acque sono difficilissime da navigare, e Capo Horn è per i marinai come l’Everest per gli scalatori. E’ immensa e spopolata, ma proprio per questo ogni incontro con un altro essere umano è significativo. Io-Syusy, a questo proposito ho intervistato lo scrittore (cileno) Louis Sepulveda, che mi ha detto che su questo sfondo naturale a forti tinte ogni persona diventa un personaggio, e risalta di più. Per capire meglio il fascino della Patagonia e della Terra del Fuoco ci sono poi anche i libri di Francisco Coloane, nato a Chiloè, che nella vita da giovane aveva fatto appunto il gaucho e il marinaio: i suoi libri li traduce il nostro amico Pino Cacucci. Anche Jovanotti ha ceduto al mito della Patagonia, e se l’è fatta in bicicletta, scrivendoci anche un buon libro di viaggio. La Patagonia porta con sé il mito del deserto, della frontiera, della natura selvaggia, della miniera di fossili di un tempo immemorabile, e il cocktail che ne vien fuori ha un sapore unico.

IN VIAGGIO CON CHATWIN

All’aeroporto “interno” di Buenos Aires, quello da cui partono i voli nazionali, in attesa dell’aereo che deve portarci in Patagonia, in sala d’aspetto sono tutti fatti con lo stampino: attrezzatura da trekking e libro “in Patagonia” di Chatwin in mano. Non si scappa: l’eroe è lui, il grande viaggiatore anglosassone che percorreva a piedi centinaia di chilometri e ha raccontato in modo distaccato (a volte fin troppo distaccato) ma preciso i suoi viaggi in tutto il mondo, e ha celebrato la Patagonia come meta avventurosa per eccellenza. Lui andava in cerca del Milodonte, un bestione estinto 10-12.000 anni fa, in Terra del Fuoco. Noi invece ci siamo fermati prima, e abbiamo fatto la prima tappa patagonica nella Penisola di Valdez, che è uno dei punti della terra forse più ricchi di animali e di natura. A Puerto Madryn ci sono le barche che ti portano attorno al promontorio, a vedere foche, uccelli, leoni marini e – quando è stagione – anche le balene. Ma non si vede nessun porto. I barconi a fondo piatto sono tutti arenati, ben lontani dal bagnasciuga, in alto sulla spiaggia sconfinata, su dei carrelli. Poi arriva un trattore e traina il carrello fino a dove l’acqua è bassa, dove la barca galleggia. Come mai? Ci spiegano che qui il mare a volte è talmente grosso da aver distrutto tutta una serie di moli, quindi conviene questo metodo. Il giro in barca comunque è molto bello e interessante. Anche se le coste sono spoglie, le colonie di animali sono incredibili. Io-Patrizio ho approfittato di una speciale escursione e mi sono immerso con i leoni marini. Lo sconsiglio: l’acqua è fredda anche quando laggiù è estate, e sembra di fare il bagno nel piscio di foca… però è una esperienza. Quando tornate a terra con la barca non spaventatevi se vedete il capitano che punta la spiaggia a tutta velocità: è normale, si infila al volo sul carrello e poi il trattore recupera tutto.

GUANACHI & PINGUINI & LEONI MARINI

A Punta Tombo, Puerto Madryn o Punta Delgada, da terra, si possono vedere anche grandi colonie di pinguini: io-Syusy mi sono avventurata in mezzo a loro, e devo dire che sono un po’ meno buffi e romantici di come appaiono nei film o nei cartoni animati. Anzi, sono un po’ aggressivi… In compenso via terra si trovano anche i guanachi, cugini dei lama, che purtroppo a volte sono vittime di incidenti stradali oppure inciampano nei reticolati. Il nostro amico Mauro Olivero di Patagonia World-Mistral Tour che ci ha accompagnato ci ha fatto scoprire anche un albergo particolare, ricavato nel vecchio faro di Punta Delgada, dove Guccini e Flaco a cena hanno cantato e suonato fino all’alba. E, alla mattina presto, poco sotto il Faro ci aspettava una colonia di leoni marini. Magnifici. Anche se piuttosto incazzati e molto cagoni… A Puerto Piramide e Punta Balena quando ci siamo arrivati noi le balene non c’erano, in compenso le colonie di cormorani e gabbianelle erano numerose. In realtà il Tour-naturalistico è stato molto più interessante la seconda volta, quando sulle tracce di Darwin il nostro viaggio è stato sviluppato dal gruppo di naturalisti dell’Università di Padova del prof Andrea Pilastro: se vi capita un amico zoologo approfittatene, gli scienziati sono i compagni di viaggio più curiosi e attivi…

LUOGHI & STORIE & PERSONAGGI

In Patagonia, che è un luogo estremo, tutto è speciale, tutto ha una storia ed è pieno quindi di storie, personaggi e luoghi particolari, persi nel nulla. Per esempio io-Syusy ho conosciuto Jaquin Alonso, un artista che con materiali di recupero ha costruito una sorta di Museo-Parco giochi, il Desafio. Io-Patrizio, assieme al mio amico Orso, invece ho conosciuto Pablo Corzenyescky, un artista (pittore), archeologo (diceva d’aver trovato tracce di civiltà antiche di milioni di anni) e inventore (aveva un metodo per raddrizzare la Torre di Pisa). Poi non abbiamo resistito e siamo andati anche a Rio Gallego, a cercare la Banca dove nel 1905 fecero la loro ultima rapina Butch Cassidy e Sundance Kid, quelli del Mucchio Selvaggio: adesso però nessuno se li ricorda più, e al posto della banca c’è un supermercatino… Lungo la strada si notano spesso dei piccoli tabernacoli, delle immagini con davanti delle bottiglie d’acqua: sono gli omaggi alla Defunta Correa. Narra la storia che una donna, con in braccio il suo bambino appena nato, si sia spinta nel deserto alla ricerca del marito. Restata senz’acqua, è morta di sete ma il bambino invece si è salvato bevendo il suo latte: ecco il perché delle offerte sotto forma di bottiglie d’acqua. In un altro paese c’è un monumento a due cavalli. In questo caso la storia racconta che un insegnante di scuola, tedesco, che non sapeva cavalcare, era spesso preso in giro da tutti. Allora, per reazione, lui ha preso due cavalli, e a cavallo ha fatto dalla Patagonia a New York, scavalcando le Ande. Un altro, che faceva l’operaio, era stato redarguito dal suo padrone perché non sapeva bene spingere la carriola: allora per dispetto è partito a piedi con una carriola carica, ed è arrivato fino a Buenos Aires! In Patagonia la vita e la letteratura sono tutt’uno…

PECORE

Io-Syusy ho preso l’aereo da Trelew per andare velocemente a mia volta a Rio Gallego, e visitare le Tenute Benetton, che da queste parti hanno rilevato dei grossi allevamenti di pecore. (Dopo la nostra visita era sorta anche una frizione con le popolazioni autoctone, per il legittimo possesso della terra, poi risolta). La visita è stata interessantissima perché da queste parti la Storia è la storia dell’allevamento. Qui la terra non vale nulla, vale solo per il bestiame che ci vive e vale appunto più che altro per i recinti e i confini di filo spinato. Gli animali stanno sparsi in allevamenti grandi come una nostra Provincia, e i gauchos stanno magari da soli per settimane, a guardare il bestiame. D’inverno le pecore stanno tutte in branco e quando nevica rischiano di soffocare sotto il ghiaccio, allora il gaucho deve scovarle e aprire loro un varco. Poi, quando è il momento, vengono spinte nei recinti e tosate, in enormi capannoni che per il resto dell’anno sono deserti. Io-Syusy, ho anche provato a tosarne una… Io-Patrizio ho poi avuto occasione nel mio viaggio recente di incontrare altri allevatori, piccoli, che orami non ce la fanno più, perché piove sempre meno e la terra è sempre più arida. La storia dell’allevamento delle pecore è anche storia di lotte sociali: una delle visite più emozionanti è stata quella alla Estancia Anita, dove il 7 dicembre 1921 ci fu una sommossa di gauchos e operai sfruttati: l’esercito ha ucciso 120 persone. Nell’Hacienda tutto è rimasto fermo a quel momento drammatico. Poco lontano (si fa per dire) dall’Estancia Anita, c’è un’altra azienda, dove abita ancora il vecchio proprietario: racconta che ai suoi tempi (60 anni fa) si faceva due giorni di cavallo solo per venire a trovare la sua fidanzata. Tutte queste case, soprattutto nella tenuta Benetton, sono magnifiche e affascinanti: costruite ai primi del ‘900, secondo uno stile tutto loro, vagamente anglosassone. E molte, ora, sono diventate aziende agrituristiche.

USHUAIA

Guardi fuori dal finestrino dell’aereo lo spettacolo del Canal Beagle davanti alla baia di Ushuaia, e per un attimo pensi che si tratti di un effetto speciale, di una proiezione di una cartolina sul vetro medesimo, a cura dell’Ente del Turismo. La terribile e abusata espressione “panorama mozzafiato” (ormai insopportabile come la parola “attimino”) qui diventa lecita, e forse l’unica che, presa alla lettera, definisce lo spettacolo. Quando siamo atterrati noi era una giornata limpidissima, le acque specchiavano perfettamente le montagne e il cielo stranamente azzurrissimo. A terra le casette di legno, tutte colorate. Poi avremmo scoperto che queste case sono montate su slitte di tronchi, perché il terreno è tutto demaniale, e quando una concessione scade la casa viene trainata altrove. Ushuaia è davvero alla fine del mondo: gli argentini dicono che è la città più a sud del mondo (i Cileni ovviamente non sono d’accordo). In ogni caso è la frontiera, e tra gli immigrati degli ultimi decenni (dalla fine della guerra) ci sono molti italiani, e tra loro moltissimi bolognesi, tanto che la città ha rischiato di chiamarsi Nuova Bologna. A Ushuaia c’è il Parco Nazionale dove uno può farsi un’idea della natura, e dove si arriva alla fine della Ruta 3, a La pataia, cioè il posto più a sud, a bordo di un trenino costruito dai galeotti. E l’altra attrazione, davvero impressionante, è appunto il Carcere, dove è stato imprigionato fra gli altri anche Gardel, e in cui sono ricostruiti i manichini e le celle di alcuni famosi serial killer. Oltre al faro, è imperdibile anche il Museo Etnografico, dove in qualche modo è ricostruita la vicenda umana di questi luoghi, e cioè l’estinzione degli Indios (Onas, Jamanas) ad opera dei Bianchi. Terra del Fuoco deriva il suo nome appunto dagli indigeni fueghini, che tenevano sempre acceso il fuoco sulle barche sulle quali vivevano nudi e coperti di olio: i Missionari li hanno puliti e vestiti, loro hanno cominciato a sudare e morivano di polmonite. Anche Darwin li ha malgiudicati, eppure avevano una lingua complicatissima e precisa, con la quale definivano le forme della natura che conoscevano come nessun altro. Io-Patrizio ho fatto visita all’ultima India Onas, la signora Enrichetta, che era già molto anziana e di lì a poco è scomparsa.

CANAL BEAGLE E CAPO HORN

Il Capitano Fitz Roy, che comandava appunto il Beagle, il brigantino inglese su cui fece il Giro del Mondo Darwin nella prima metà dell’800, da queste parti ne ha fatte di tutti i colori: ha prima rapito e poi riportato a casa loro tre Indigeni Fueghini, che ovviamente hanno fatto una brutta fine, ma in compenso ha anche cartografato e navigato in lungo e in largo le coste. Io-Patrizio ho voluto rischiare e abbiamo noleggiato una barchetta a vela dal Porto di Ushuaia per un giro nel Canale. La sera prima ho tanto pregato le Divinità Locali, che il giorno della gita il mare era calmissimo, in assenza di vento, tanto che tutti erano stupitissimi, in un posto in cui il vento in media sta sui 40 nodi (70 Km/h). Quando invece c’è tornata Adriatica, durante il Giro di Darwin, il mare era tremendo, ma io in quell’occasione non c’ero, ero a terra… Visto che ogni esploratore che si rispetti vuole vedere almeno una volta nella vita Capo Horn, ci siamo iscritti all’Escursione in aereo, a bordo di un Piper a 4 posti: il Capo l’abbiamo visto, ma Orso a momenti muore di paura per il vento che ci sbatteva qua e là, e abbiamo dovuto tornare indietro perché c’era il pericolo che le guardie di frontiera cilene ci sparassero addosso. Durante il nostro primo viaggio Giorgio Comaschi, Francesco Guccini, Flaco, Carla e Raffaella hanno optato per la Crociera Austral, un giro in nave appunto per il Canal Beagle e lo stretto di Magellano, che prevede visita al Ghiacciaio Garibaldi, escursioni in gommone ecc: si sono tutti divertiti molto, anche se Guccini pare che sia sempre rimasto a bordo, a mangiare, bere e chiacchierare col capitano.

MILODONTE & PERITO MORENO

L’omaggio a Chatwin e a Darwin ci ha portato obbligatoriamente, in terra del Fuoco, in pellegrinaggio alla Grotta del Milodonte, dove c’è prima un piccolo Museo che racconta la storia di questo mastodonte, una specie di orso, che è vissuto assieme all’uomo, forse è stato addirittura semi-allevato e certamente dall’uomo è stato estinto, circa 10.000 anni fa. Poi c’è la grotta vera e propria, bellissima, enorme, impressionante, dove hanno ricostruito un milodonte a grandezza naturale. Nella grotta ci siamo tornati anche col gruppo dell’Università di Roma Tor Vergata, guidata dal prof Valerio Sbordoni, che nella grotta era andato per catturare un minuscolo grillo, studiando il DNA del quale ha ricostruito in pratica la storia della Terra e la deriva dei Continenti… Io-Syusy invece nella zona ho visitato delle grotte in cui l’attrazione erano pitture rupestri di popoli antichissimi. Per esempio la Cueva de los Manos, dove mi son fatta l’idea che sulla Terra avrebbe potuto essersi sviluppata una civiltà pre-storica, appartenuta ad un ciclo antecedente al nostro… In ogni caso tutta questa zona è, da un punto di vista naturalistico, unica al mondo. Di qui non si può, per esempio, non andare anche al Parco delle Torri del Paine, che sarebbe però in territorio cileno. Le frontiere sono un po’ complicate, perché Argentini e Cileni si guardano in cagnesco, per cui bisogna cambiare pullman e cambiare guida, ma ne vale la pena. Per restare comunque in Argentina, vale la pena certissimamente anche di andare a El Calafate, un paese che in pochi anni si è sviluppato moltissimo col turismo: la prima volta che ci siamo andati abbiamo conosciuto solo un gaucho che portava a spasso i turisti a cavallo (Gustavo il Chavon) e un Oste-artista di origini italiane (Don Diego), mentre ultimamente era pieno di negozi e di alberghi. Perché di qui si va sul Lago Argentino e sul ghiacciaio intitolato al Perito Moreno (che in realtà sarebbe Francisco Pascasio Moreno, perito in quanto esperto naturalista). Io-Patrizio sul ghiacciaio sono stato due volte, e non esiterei a tornarci altre due: ci si imbarca, si attraversa il Lago, si vede il ghiacciaio che a intervalli regolari “crolla” rumorosamente in acqua, poi si arriva alle sue pendici, ti mettono i ramponi e ci si arrampica tra i crepacci bianco-azzurri, quindi si festeggia con cioccolata e wiskey! E’ uno spettacolo bellissimo, oltre che una bella esperienza, alla portata di tutti. NB: questo ghiacciaio è forse l’unico al mondo in equilibrio, cioè non si ritira.

IL TOUR PALEONTOLOGICO

Durante il nostro ultimo viaggio è stato interessantissimo poi seguire l’itinerario patagonico di Cristiano Dal Sasso e Ilaria Vinassa del Museo di Storia Naturale di Milano, e dei geologi dell’Università di Pavia. La Patagonia infatti ha una storia geologica speciale: 150 milioni di anni fa era una regione rigogliosa, poi il sollevamento delle Ande ha modificato il clima ed ora restano delle vere e proprie foreste pietrificate assolutamente spettacolari, una sorta di libro geologico aperto su panorami unici e meravigliosi. Con Cristiano e gli altri io-Patrizio mi sono incantato davanti alle araucarie giganti fossilizzate di Colonia Sarmiento e di Jaramillo. Per non parlare poi della paleontologia, che qui trova il suo Paradiso: per chi è appassionato di dinosauri qui in Patagonia le attrazioni non mancano. Qui c’è il dinosauro erbivoro più grande (l’Argentinosauro appunto, al Museo di Plaza Huincul) e anche il carnivoro più grande (a Neuqen, o meglio a Villa El Chocon, al Museo Bachmann), dove tra l’altro Ilaria Vinassa mi ha fatto “giocare” al piccolo-paleontologo in una sorta di parco per ragazzi, e sono conservate le “reliquie professionali” di un grande scopritore di dinosauri, Ruben Carolini, che ho avuto la fortuna di conoscere. Ma, volendo, ci sono anche luoghi in cui toccare con mano il lavoro del paleontologo: lungo le coste del Lago Barreales per esempio c’è il Progetto Dino curato da Jorghe Calvo, un vero e proprio Campo di Paleontologi aperto ai ragazzi e ai turisti. Noi, nei paraggi, abbiamo partecipato anche agli scavi sul campo del gruppo di Paolo Gandossi, un giovane paleontologo lombardo che laggiù ha fatto scoperte importanti.

BUON VIAGGIO

Insomma, la Patagonia è un gran viaggio, e nel contempo è un viaggio alla portata di tutti, probabilmente anche non troppo caro, certamente dalle mille sfaccettature e che vi permette di sviluppare tanti interessi diversi. Noi abbiamo viaggiato per la Patagonia in tutti i modi: in barca, in macchina, in aereo o in nave, ma un modo economico e ottimo che abbiamo sperimentato per un tratto è stato quello dei grandi pullmann a due piani, che viaggiano per giorni e uniscono le varie località, anche distanti migliaia di chilometri. L’unico problema di un viaggio in Argentina (oltre al fatto che la loro estate corrisponde naturalmente al nostro inverno) è il tempo: è un peccato vedere Buenos Aires e non vedere la Patagonia e viceversa, è un peccato mortale vedere la Patagonia e non vedere la Terra del Fuoco, poi è addirittura un peccato non vedere anche la Patagonia Cilena… L’ideale è avere un mese, tre settimane si può fare, 15 giorni è il minimo-minimo, ma tocca rinunciare a qualche cosa. Un ultimo suggerimento: in Patagonia certo ci si può andare anche da soli, ma attenzione a non peccare di presunzione: per noi è stato essenziale, da un punto di vista turistico, il programma che ci ha proposto Mauro Olivero, che prima di diventare un Tour Operator professionista è stato un appassionatissimo viaggiatore di questi luoghi, e poi è stato essenziale seguire le tracce e gli itinerari dei nostri amici paleontologi e biologi, che avevano uno scopo preciso in testa, e quindi un itinerario motivato. In Patagonia ormai non ci si perde più nel deserto come la Defunta Correa, ma si rischia però di perdersi le cose più interessanti, che sono – come dovunque – nascoste.

Patrizio e Syusy