In Kerala in House-Boat!
Personaggi e interpreti:
Patrizio & Maurizia: turistipercaso. Stefano Disegni: disegnatore satirico (che infatti ci ha preso in giro tutto il viaggio). Margaretha (esperta di arte, compagna di Stefano) e Zoe (figlia di Patrizio e Syusy, adolescente curiosa ma critica).
Indice dei contenuti
IL TRENTINO DELL’INDIA
Il Kerala sta all’India come il Trentino-Alto Adige sta all’Italia. Infatti il Kerala è una regione sviluppata, ordinata, evoluta ed è – per lo standard dell’India – una zona abbastanza ricca. Storicamente è stata una delle porte dell’India: il commercio qui è iniziato tremila anni fa, qui sono arrivati Fenici, Arabi e Cinesi e poi alla fine del ‘400 i Portoghesi con Vasco de Gama. Il Kerala da sempre ha ospitato comunità di Ebrei, Ortodossi e Mussulmani. Ma qui soprattutto sono arrivati i missionari cristiani, per cui nel Kerala il 30% della popolazione è cattolica, soprattutto nella zona centrale dove siamo andati noi. Dopodichè, nel 1957, nel Kerala è andato al potere il primo partito comunista al mondo eletto liberamente, e tutt’ora l’economia del territorio ha un vago sapore socialista, nel senso che c’è stata grande attenzione alla scuola, ai servizi, alla divisione equa delle ricchezze e della terra. E si vede: il Kerala è una regione tranquilla, senza gli enormi squilibri sociali che si trovano altrove in India. Qui la rigida divisione in caste è molto più sfumata. Qui l’India non ha i suoi odori affascinanti ma a volte sconvolgenti: qui la miseria non arriva agli estremi che si toccano in altre zone del Nord o nelle grandi città. Il Kerala è la regione della medicina ayurvedica, la regione dove si è sviluppata la cultura del kathakali. Insomma, il Kerala è un ottimo modo per approcciare l’India, senza prendere la diarrea del turista.
DREAM VOYAGER
La barca è arrivata a prenderci al Punnamada Resort, un albergo coloniale fatto di casette tradizionali confortevolissime, con tanto di clinica-della-salute ayurvedica, sulle rive del Lago Vembenad, a due ore di strada da Cochin. Era da una vita che volevamo fare un viaggio in House Boat. Avevamo sognato di farlo sul Reno, sul Rodano, magari sul Po: mai avremmo pensato che la nostra prima volta a bordo di una barca fluviale sarebbe stata in India! In Italia lo sanno in pochi, viceversa Tedeschi, Francesi e Inglesi hanno scoperto da tempo questa zona del Kerala, e questo specifico modo di viaggiare. La zona in questione si chiama Back Waters, ed è una vastissima zona di risaie, fiume e laghi. E la nostra barca si chiamava appunto Dream Voyager. Ed era superiore ad ogni immaginazione: una barcona di legno, a fondo piatto (pesca meno di 2 metri), lunga 32 metri, larga circa 8. Più di cento tonnellate di teck. Ricoperta da un guscio, una specie di “carapace” fatto di bambù intrecciato. Il risultato è una sorta di enorme e meravigliosa tartaruga, o meglio di armadillo-natante: una “creatura” acquatica stupefacente, arredata con gran gusto e confortevolissima: tre cabine larghe come vere camere d’albergo, ognuna con bagno – niente a che vedere con le normali cabine di una barca, qui c’erano lettoni matrimoniali di legno, comodini e armadi. Poi due ponti e un “retro”, cioè una poppa, dove c’era la cucina e l’alloggio dell’equipaggio. Se tanto lusso ce lo avessero proposto in qualsiasi altro posto, non sarebbe stato possibile goderselo, ma in India si può. Sia perché materialmente uno se lo può permettere senza spendere troppo, sia perché esteticamente si entra in un trip estetico post-colonalista dove tutto sembra possibile, dove se ti lasci andare e spegni le remore ideologiche, decisamente te la godi…
LE BACKWATERS
Negli anni ’50 del secolo scorso, con uno sforzo immane che io-Patrizio, in quanto figlio e nipote di operai e geometri che hanno lavorato da sempre nelle Bonifiche padane, faccio fatica ad immaginare, qui in Kerala hanno trasformato una vastissima zona paludosa in una enorme risaia in cui fiumi e canali scorrono sopraelevati rispetto al resto del territorio. In pratica il fiume scorre tra due sponde che sono delle dighe di terra, e sotto (con un dislivello che a volte arriva a due metri) ci sono i campi, cioè le risaie. Ogni tanto c’è un antiquato ma efficiente sistema di pompe idrauliche che mettono in comunicazione il fiume con la risaia, dove vive e dorme un guardiamo per prevenire smottamenti degli argini o piene improvvise, pronto ad azionare le pompe in un senso o nell’altro. Un’opera straordinaria, fatta in totale sintonia con la natura. Abbiamo visto più volte gli uomini immergersi nel fiume e scavare e caricare a mano le loro barchette di legno – ricavate in un tronco – con il fango del fondo con cui fare la manutenzione agli argini. Il fango infatti è molto denso, e una volta seccato è forte come il cemento. Il risultato è un paesaggio di incredibile bellezza, dolce come lo scorrere delle acque lente e silenziose, rilassante come il verde acceso delle sconfinate risaie. E lungo questa ragnatela di laghi, fiumi, canali ci sono i villaggi e le case. Casette basse, colorate, pulitissime, ognuna con davanti il lavatoio e la barca. Ogni tanto un tempio indù, o più spesso una chiesetta cristiana, che in ogni caso rompono il silenzio con altoparlanti pazzeschi che diffondono musica sacra, di qualsiasi tipo. Questa è la zona che abbiamo esplorato, in una settimana di “crociera” sul Dream Voyager, percorrendo fiumi che si chiamano Chitina, Rani, Mathi Kayal, Kainagiri.
LA NAVIGAZIONE
Questo genere di barche, fino a qualche decennio fa, erano adibite al trasporto del riso. Ora moltissime si sono riciclate come alberghi galleggianti. Alcune fanno servizi giornalieri, e in pratica portano in “gita” i turisti che arrivano qui in Kerala per visitare Cochin o per farsi una settimana di cure ayurvediche. Altre, come la nostra, ospitano invece piccoli gruppi per crociere più lunghe. A noi è andata bene: il Dream Voyager è il corrispettivo di un 4 stelle. L’ospitalità è al limite della coccola: a bordo c’erano 4 persone d’equipaggio e, come nelle grandi crociere internazionali, si mangia e si beve 24 ore al giorno. Solo che, mentre nelle crociere americane si mangiano hamburger, qui si mangia indiano. Come prima cosa però abbiamo chiesto pietà al cuoco: per favore poche spezie! E infatti ci ha nutrito con una cucina indiana “light” che ha rispettato anche il mio (di Patrizio) stomaco assai malandato: mi aspettavo di dover mangiare solo riso in bianco e chapati (cioè pane indiano), invece ho mangiato come un matto e sono stato benissimo. Navigare nelle Back-Waters è la cosa più rilassante che ci sia: la barca procede tranquilla, attracca più o meno dove vuole e c’è sempre una palma a portata di mano a cui legare una cima d’ormeggio. Si naviga con la luce, dalla mattina fino alle sei di sera. Una volta abbiamo fatto tardi, e ci è toccato navigare anche col buio, ma l’esperienza dell’equipaggio ci ha rassicurato. Sashid (che di cognome fa Dharan), funge da capo-barca (a metà fra lo skipper e la guida), ma è anche armatore: fa parte della società che ha costruito la barca. Ci spiegava che costruire una barca del genere qui può costare anche 200.000 euro (circa un decimo rispetto ai nostri cantieri, ammesso che riescano a farla). Sashid per fortuna parla anche italiano, e questo ci ha permesso in ogni momento di chiedere, approfondire, farci spiegare ogni aspetto del viaggio.
CHAMBAKULAM
La prima tappa è un villaggio sulla riva di un canale molto grande: Chambakulam, dove il monumento importante è rappresentato da una chiesa, la chiesa più antica della zona, forse la più antica dell’India, perché risale ai primi insediamenti dei missionari, dopo l’arrivo dei Portoghesi. Certamente bella ma… di chiese antiche noi siamo pieni in Italia. Stiamo ragionando sul fatto che l’aspetto cristiano di questa zona dell’India ci toglie un po’ di sorpresa e gusto per la diversità, quando scopriamo a lato della Chiesa un altro “monumento”, si fa per dire: una montagna (di cemento colorato, alta 5 o 6 metri), dentro cui era incastonata la Madonna, con una Santa che pregava inginocchiata e anelante, a grandezza naturale. Il tutto in perfetto stile Bollywood-Sai Baba-Gardaland. Ecco l’India! Riaffiora comunque, e malgrado tutto, con il suo stile colorato. Dopo la Chiesa, il mercato: passeggiata lungo una “galleria” di chioschi con oro e stoffe (più o meno preziose) e paccottiglia varia, che però ci ha portato anche nel laboratorio di uno scultore del legno. Poi il Dream Voyager riparte: prima di sera dobbiamo arrivare alla casa del pescatore che deve rifornirci di pesce, granchi e gamberoni di fiume. La casa del pescatore è alla confluenza di due canali, c’è anche un chiosco con le bibite perché è una fermata del “vaporetto” che fa servizio di autobus pubblico. La differenza sostanziale tra il pescato di fiume rispetto a quello di mare è il colore: gamberoni e granchi qui sono verdi, non rossi. E infatti i granchi (enormi) sembrano elmi da tedesco, o mine anticarro… Io ricordo che il pesce dei nostri laghi e fiumi, nella Bassa Padana (tinche, carpe, gobbi) era immangiabile, perché pieno di lische e sapeva di fango. Invece alla sera scopriamo che il pesce di qui, fatto alla brace o fritto, è squisito.
AMBALA’ PURA’
La sosta successiva, ad Ambalà Purà, fa rima con variaumanità&spiritualità. Scendiamo a terra, dove con un paio di Tuc-Tuc (o triwiller, le ape-car trasformate in taxi) facciamo qualche chilometro lungo stradine piccole ma molto curate, e arriviamo da un astrologo che predice il futuro, un bel signore scuro di carnagione e bianco di capelli, che ti chiede la data di nascita e poi ti racconta come sei messo con gli astri. Non parla dopo il tramonto e non fa l’oroscopo ai minorenni. Lui consulta i suoi testi antichi, mentre suo nipote gli gioca accanto. Io-Patrizio, ovviamente, all’inizio sono scettico, poi però sono entusiasta: l’astrologo ha detto, in pratica, a Syusy che deve fare a modo, e nella vita deve darmi retta! Poi si va al Tempio di Krisna-infantile, cioè dedicato a Krisna da piccolo. Ed eccola l’India, l’India dei templi, delle piscine sacre, dei fuochi, dei riti e dei canti. Persino Stefano Disegni, agnostico-laico per natura e dissacratore per vocazione, resta a bocca aperta. Solo Zoe è schifata: scopre infatti l’ingresso al tempio è vietato alle donne con le mestruazioni, e lei invoca Durga-Khalì e tutte le divinità femminili terrifiche di cui le ha parlato sua madre, contro il maschilismo globalizzato. Potrà sfogarsi fuori dal tempio, in quello che – se fossimo in un Museo – potremmo chiamare lo “shop”: un mercatino paramistico dove compra un Ganesh che suona il tamburo, un Ganesh di legno e un altro Ganesh “animato” con la tecnica delle vecchie figurine del formaggino Mio, che se lo guardi da più angolazioni cambia. Io-Patrizio faccio amicizia con una mucca bellissima ed enorme, marrone, che è la Mascotte del tempio.
MOHAMMA’
Sul fondo dei fiumi del Kerala ci sono un sacco di vongole, e i pescatori le raccolgono a quintali. Poi le aprono, ma buttano la vongola e tengono il guscio! La bestiolina infatti pare non sia buona, ma in compenso il guscio bruciato e tritato produce un fertilizzante ottimo per le risaie. Il Villaggio di Mohammà è un esempio incredibile di filiera eco-compatibile e di artigianato-naturale: navigando incontriamo le barche piene di vongole, poi a terra ci sono quelli che le bruciano e quindi le caricano su altre barche. Ma più in là c’è una famiglia che si dedica alla lavorazione della fibra di cocco. I gusci vengono lasciati a macerare nell’acqua, poi la buccia viene battuta con grande pazienza (come abbiamo visto fare con altre fibre vegetali in Polinesia) e si ottiene una specie di stoffa. Da questa stessa fibra i vicini di casa ricavano delle corde, con un procedimento artigianale interessantissimo, mezzo manuale e in parte affidato ad una macchina che starebbe bene in un museo di archeologia industriale. Oppure c’è chi lavora le foglie del cocco, le secca e poi le intreccia: servono per i tetti delle case, o anche per la copertura delle barche, che va rifatta ogni anno. Il governo (socialista) aiuta e incoraggia questo tipo di filiera produttiva, che ha una ricaduta positiva in termini di cura del territorio, di sfruttamento delle risorse e di equilibrio sociale. Raramente abbiamo visto una armonia simile: la gente sembra serena. La vita scorre con apparente, grande tranquillità. Una simile atmosfera ci ricorda i villaggi del Vietnam lungo il Mekong, oppure le isole Fiji: che sia merito dell’acqua, che trasferisce all’uomo la sua liquida trasparenza e la sua inerzia dinamica regolare? Ma allora perché i veneziani non hanno lo stesso buon carattere? Alle porte del Paese c’è anche una piccola fabbrica di zerbini, fatti con le fibre di cocco di cui sopra. Ci lavorano i giovani del paese, in una atmosfera molto operosa ed efficiente ma anche rilassata: ridono e scherzano, mentre tagliano gli zerbini e li colorano a spruzzo secondo le mascherine che gli danno la forma di piedone o di telefonino o di autobus londinese. I ragazzi si prendono le pause quando vogliono, e se li vedesse Marchionne li licenzierebbe tutti. Ma l’unico vero neo della fabbrica è che la vernice sembra altamente tossica.
KAINE KIRI
Dalla grande prua del Dream Voyager siamo scesi al volo (si fa per dire) su una barchetta lunga e sottile, che ci ha portato a navigare dentro ai canali più stretti. Noi eravamo tranquilli, io-Syusy mi sporgevo da una parte per fare le foto e io-Patrizio mi sporgevo dall’altra per fare riprese, mentre Stefano Disegni urlava per la paura che la barca si rovesciasse: per un po’ quindi ha smesso i panni del cinico-ironico e abbiamo scoperto il suo tallone d’Achille, e cioè l’acqua. Non male per un viaggio sul fiume. Poi siamo scesi a terra, e abbiamo fatto una passeggiata, una semplice passeggiata. Ma nulla è banale se sbarchi in un villaggetto del Kerala. Grazie al fatto che quasi tutti parlano inglese, grazie a Sashid che ci ha messo a nostro agio, abbiamo parlato con un sacco di gente. Era sabato, e tutti erano intenti a faccende domestiche para-festive. Le donne lavavano il bucato nel canale, le ragazze dell’età di Zoe erano tutte in ghingheri e passeggiavano lungo i sentieri tra le casette curatissime. Abbiamo parlato col falegname, che costruisce mobili per la comunità. Io-Syusy ho provato ad avventurarmi dentro la risaia, per andare a conoscere un gruppo di donne al lavoro, ma dopo qualche passo ho dovuto desistere: sono affondata fino al ginocchio in un fango denso, e ci ho messo due giorni a ripulirmi. I passanti ci hanno raccontato la vita di un Santone (una sorta di Gandhi locale) a cui hanno dedicato statue e tempietti, che ha lavorato a lungo per l’armonia tra le varie religioni. Poi è passata una barca, con sopra un impianto che neanche Vasco Rossi nei suoi concerti, che urlava musica e slogan politici: tra poco in Kerala ci saranno le elezioni, e la dialettica politica è accesa. Da una parte c’è il Partito Comunista (comunista si fa per dire): ogni tanto abbiamo visto dei “tempietti” (tutto in India ha il sapore del tempietto) con falce e martello – e dall’altra il Partito del Congresso. Comunque l’atmosfera, anche qui, era (almeno apparentemente) rilassata: un vero “sabato del Villaggio”, che se Leopardi fosse stato qui avrebbe forse cambiato qualche descrizione, ma lasciata intatta l’atmosfera.
COCHIN
I giorni della crociera sono passati velocemente, tra soste e navigazioni placide in un paesaggio di una dolcezza struggente e oltremodo rilassante, tra rive punteggiate (e puntellate, visto che le radici tengono gli argini) di palme e sconfinate distese di risaie. Ma comunque, all’inizio o alla fine del viaggio, merita assolutamente fare una tappa a Cochin, la città dove si parte e si arriva con l’aereo. Ha uno spessore storico unico nell’India: le reti dei pescatori raccontano ancora dell’influenza cinese, poi ci sono le moschee, la sinagoga del 1600 e il Palazzo del Raja che è anche Museo (bellissimi gli affreschi sui muri). Noi abbiamo visto un interessantissimo e divertente spettacolo di Katakali (accorciato e spiegato a scopo didattico-divulgativo), poi ci siamo fatti fare svariati massaggi ayurvedici e quindi, da bravi turisti, ci siamo sfogati nei mercati. E qui io-Patrizio e Stefano Disegni abbiamo dato il peggio di noi: abbiamo accompagnato – ovviamente con maschile distacco – le donne in un grande magazzino di vestiti. Ma alla fine loro hanno fatto acquisti moderati e noi invece ci siamo comprati tre camicie, due completi da cerimonia (in pratica dei panjapi da matrimonio), due turbanti, due giacche da sera buone per un party a Bollywood – il tutto al prezzo di un paio di mutande firmate a Bologna o a Roma. La sera poi, in barca, ci sono venuti a trovare dei musicisti, amici di Sashid. Disegni non ha resistito e ha suonato e cantato con loro, concludendo che i Beatles non hanno inventato nulla: le canzoni del loro periodo “indiano” sono prese pari pari dalle melodie tradizionali indiane. Poi, con il triplo dei bagagli con cui eravamo arrivati (calcolando anche i due zerbini di cocco a testa acquistati sull’isola di Mohammà), abbiamo preso la via del ritorno. Ma del viaggio e dei suoi particolari organizzativi parliamo qui a fianco…
Per info su questo viaggio:
Le Monde Tour Srl Via E.Fermi 24/26 00146 Roma Tel.06/5580602 fax 06/5578955
UN VIAGGIO ACCESSIBILE
L’unico vero difetto del viaggio è stato causato dalla nostra fretta, la tipica mancanza di tempo del turista, ma bisognava tornare a scuola e al lavoro. Infatti il trasferimento in sé è abbastanza lungo, il fuso orario è di 4 ore e mezzo, per cui costringere il tutto in una settimana è relativamente faticoso. Noi abbiamo viaggiato con Le Monde Tour, che ci ha apparecchiato un volo Emirates in cui tutto è andato liscio ma, se uno arriva fino in Kerala, il consiglio è di starci un po’ di più. Le occasioni non mancano. Si può visitare l’interno (le piantagioni di the, il Parco degli elefanti del Peyar), si può fare una puntata alle Isole Laccadive (di cui dicono un gran bene) oppure semplicemente restare in zona per una settimana di cure ayurvediche. La stagione è quasi sempre buona, meno propizia tra maggio-luglio, fermo restando che il clima lungo le Backwaters è ovviamente e tendenzialmente umido. Dopodichè, inaugurando la nostra collaborazione con gli amici di V4A (Village for all, cioè viaggi&villaggi per tutti) proviamo a tracciare anche qualche nota per i turistipercaso con qualche disabilità. Partiamo dalla mia (di Patrizio) disabilità-gastrica, e anche da quella di Margaretha (che è allegica a spezie e peperoncino): la cucina del Kerala in generale è certamente più accessibile (in termini igienici) di quella di altre zone dell’India, ma in particolare avendo un cuoco a bordo, tutte le nostre esigenze sono state rispettate. Per chi ha difficoltà di deambulazione il viaggio è “normale”, nel senso che negli aeroporti di Fiumicino e di Dubai ci sono tutte le strutture e gli ausili, magari all’arrivo a Chochin un po’ meno, ma nulla di insormontabile. Salire e scendere da questo genere di barche è molto semplice, perché hanno i bordi bassi e si avvicinano facilmente a terra: basta che l’equipaggio armi uno scivolo per la carrozzina. I percorsi all’interno della barca sono larghi, le cabine sono spaziose. I bagni del Dream Voyager non sono specificatamente attrezzati, ma hanno dimensioni notevoli, tipo bagno-di-casa. Lungo le Back Waters, nei villaggi, tutto è pianeggiante, le stradine sono lisce, di terra battuta. Per quanto riguarda invece i trasporti a terra non è così facile: salire su un tuc tuc non è semplice, ma si possono noleggiare auto, e comunque contare sulla disponibilità incredibile degli Indiani. Molto difficoltoso (ma non impossibile) il trasbordo sulle barche più piccole. Per ipovedenti o non-vedenti invece il viaggio non presenta particolari difficoltà- almeno rispetto ad altri viaggi in barca – anche se è d’obbligo un accompagnatore.