Tornare a un arcaico-futuro?
Il primo dato, che un Tg finalmente mi ha trasmesso con chiarezza (mi pare fosse il tg3) è quello storico: cose del genere in Liguria e in particolare a Genova erano già successe, molte volte, a partire dalla tragedia del 1970, che provocò (vado a memoria) 20 morti. Le immagini sono incredibili, proprio perché sono identiche a quelle di oggi. Questo “particolare” (che francamente può sfuggire alla memoria di uno spettatore distratto o a chi non abita queste zone) dimostra senza dubbio che tutto questo non era affatto imprevedibile. Ma l’altro dato – che ho capito vedendo uno speciale tg2 ma soprattutto i video della gente – è che la modalità (e quindi le ragioni) dei disastri sono più o meno sempre quelle, alle Cinque Terre come in centro a Genova: molto spesso di tratta di fiumi (torrenti) che vengono deviati e soprattutto coperti, intubati. E sopra alla fogna in cui viene costretto il torrente, si sono costruite strade o addirittura case. E allora non bisogna essere ingegneri idraulici per immaginare cosa possa essere successo: il torrente (che scende con dislivelli fortissimi da una montagna che sta quasi a ridosso del mare) si ingrossa all’improvviso, il tunnel riduce la portata e diventa una bomba ad acqua compressa. La famosa strada di Genova nella quale sono accadute le cose più dolorose, a monte ha appunto questa situazione. A Vernazza è accaduta la stessa cosa, come ci hanno raccontato i nostri amici che ci abitano. Certo, la colpa è di tecnici e politici che, per ignoranza o in malafede, hanno avallato questo tipo di sviluppo. La colpa è di quegli imprenditori-speculatori che su questo hanno lucrato.
Ma ci siamo dentro tutti: tutti (o quasi tutti) abbiamo condiviso (dal dopoguerra all’altroieri) questa cultura. E, tornando a Genova, non si tratta quindi di stabilire semplicemente se il Comune ha fatto bene o no a lasciar aperte le scuole: il problema è che finora abbiamo (quasi) tutti più o meno condiviso un punto di vista: la qualità della nostra vita quotidiana odierna si basa su una filiera produttiva del tipo sviluppo-costruzioni-cemento-case-strade. Un palazzo, letteralmente costruito sopra ad un fiume, che era stato la causa dell’inondazione di qualche anno fa, avrebbe dovuto esser demolito 10 anni fa: invece è ancora in piedi, e ci abita della gente. Magari abbiamo dei “piani di emergenza” in vista della prossima alluvione, ma non abbiamo un Piano B per orientare diversamente lo sviluppo. E non basta nemmeno smettere di costruire e non ripetere più gli errori del passato: secondo me (che sono modestamente soltanto il figlio di un geometra, sia pure idraulico) bisogna tornare indietro, abbattere, restaurare filologicamente il territorio. A questo proposito – da turista – mi viene in mente un esempio: il Parco dell’Isola della Cona, dalle parti di Monfalcone (a cui facciamo cenno anche nel numero di dicembre di Turistipercaso Magazine). In quel caso si è s-bonificato una buona fetta di territori agricoli, per ristrutturarli e riportarli a come erano prima, per facilitare la sosta e il passo degli uccelli migratori. Avete capito bene: decenni fa si era fatta molta fatica a bonificare quei terreni, per darli all’agricoltura, e qualche tempo fa sono stati ri-allagati. Non è decrescita, anzi: anche il PIL potrebbe goderne benefici. Infatti quei pochi ettari di terra rendono di più ora, col Parco, di quanto potrebbero rendere se li coltivassero a frumento.
E sempre da turista, potrei fare altri esempi che abbiamo visto coi nostri occhi: per esempio il Governo dei Territori d’Oltremare della Polinesia Francese che danno dei contributi per convincere qualcuno a tornare a coltivare il cocco e la copra, cioè a fare manutenzione sulle isole. Oppure l’esempio del rilancio dell’allevamento della pecora Alpagotta, che ottiene innanzitutto il risultato di pulire la montagna laddove la meccanizzazione non arriva, evitando frane e alluvioni. Syusy direbbe che bisogna tornare ad un arcaico-futuro, cioè recuperare il passato per affrontare il futuro: non è un ossimoro, è un dato di fatto. Ma tutto questo cosa implica? A Genova “restaurare” il territorio significherebbe abbattere le case costruite nei posti sbagliati, deviare le strade e restituire ai fiumi il proprio alveo naturale. Chi se ne assume la responsabilità? Bisogna davvero cambiare mentalità, accettare altre priorità: il turismo, come attenzione al territorio e come sua possibile risorsa, potrebbe far molto per ri-orientare la cultura amministrativa. Per questo ne stiamo parlando su un sito come questo.
Patrizio