Viaggio dell’anima con Franco Battiato
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LA META DEL NOSTRO VIAGGIO
Io credo che per compiere il “viaggio” che è la nostra vita, abbiamo bisogno di sapere quale sia mai la meta. È vero che il viaggio è “durante”, ma è anche vero che il viaggio finisce e che, secondo i sapienti buddisti, da lì inizia un altro viaggio, quello dell’anima nell’aldilà. Non vale la pena di saperne di più? Per quanto la nostra vita sia scialba e priva di eventi significativi, ricordiamoci che ci aspetta un’esperienza straordinaria: un salto in una dimensione impensata, la Morte, o per meglio dire il viaggio finale dell’anima, il Bardo. Un viaggio che tutti dobbiamo fare… E il viaggio – per saperne di più su questo “viaggio”– lo faccio con Franco (Francesco) Battiato. A proposito: lo sapevate che Francesco è il suo vero nome? Al tempo dei primi dischi c’erano già Francesco Guccini e Francesco De Gregori, così il discografico suggerì Franco, e Franco è rimasto. Me lo ha raccontato lui in questi giorni passati assieme e sorvolerò su un sacco di altri aneddoti divertentissimi. Franco è un uomo veramente empatico e arguto, che ama le battute (cosa che a volte gli ha procurato non pochi problemi).
L’ho seguito in questa avventura perché non potevo certo farmi scappare l’occasione di essere con lui alla ricerca di un Mistero. Il vero mistero che ci unisce tutti e che solo i lama tibetani nella conoscenza del Bardo sembrano comprendere: “l’ultimo viaggio”, il “passaggio” da questo a un altro mondo. Sarà l’argomento del prossimo documentario di Battiato, e io mi sono accodata per raccontare in un filmato il backstage, il dietro-le-quinte. Con noi c’è appunto anche un monaco italiano: Massimo Stordi, che svolge attività a Pomaia, in Toscana, nel Centro buddista Lama Tzong Khapa.
ARRIVO A KATHMANDU
Siamo in viaggio, un viaggio lungo con due scali, a Francoforte e a Delhi, ma all’arrivo in Nepal cominciamo dall’aereo a vedere le prime montagne himalayane. Atterriamo a Kathmandu e all’arrivo bisogna registrarsi: la burocrazia nepalese è però in questo molto meno complicata di quella indiana. Il visto lo fai all’arrivo all’aeroporto, compilando un foglietto dove devi specificare il motivo del tuo viaggio. Tra i vari motivi, business e turismo, c’è anche “pellegrinaggio”. Scelgo di mettere quello, in fondo sono qui per la prima volta con uno scopo diverso dal turismo; sono qui per qualche cosa che ha effettivamente a che fare col pellegrinaggio! Fuori la città è ancora più invivibile di come me la ricordavo. Anche l’ultima volta che ci siamo stati c’era con noi Franco Battiato, ma era per un viaggio di Turisti per caso. Mi ricordo anche allora strade piene di gente e un traffico caotico, ma ormai qui ora è il parossismo, non è umanamente affrontabile, perché l’aria è irrespirabile! La gente porta, pateticamente, mascherine o fazzoletti sulla bocca, ma evidentemente non serve a molto. Spazzature ovunque, anche sugli argini del fiume. Per un progetto di allarga mento delle strade principali, il governo ha ordinato la demolizione di tutte le costruzioni abusive che si allargano sulla strada. Il risultato è che sembra ci sia stata la guerra, mentre spiccano manifesti pubblicitari di telefonini e di palestre di body building. Per i nepalesi? Penso che sono così piccoli e delicati… Poi ricordo che qui ci sono anche i Gurkha, i corpi speciali militari più aggressivi dell’Asia… vabbè. Franco sopporta stoicamente anche gli scossoni del pulmino e l’aria irrespirabile, mentre Massimo dice che c’è venuto la prima volta nel 1981. Allora era completamente diverso, era un paradiso! Una valle verde in mezzo alle montagne, con un fiume al centro, boschi tutt’attorno, con un clima mite e un cielo azzurro. Lui qui ha seguito gli insegnamenti di Lama Zopa, che parla inglese e insegna al monastero di Kopan, che si trova più su, verso la montagna, dove tutto questo smog non riesce per fortuna ad arrivare.
IL BARDO DI LAMA MONLAM
Anche il Lama che andiamo a trovare per l’intervista che deve fare Franco abita fuori Kathmandu, a più di un’ora di pulmino. Lama Champa Monlam è un anziano monaco che ho avuto la fortuna di conoscere e vedere in varie situazioni, in Nepal l’altra volta che venimmo, ma anche in Italia a Bologna. Il mio amico medico naturopata Erus Sangiorgi lo frequenta da anni e spesso lo ha ospitato a casa sua, nella nostra città. La Storia di lama “Mulan”, che viene da anni di servizio nel Potala a Lhasa, è significativa, come lo deve essere una storia di vocazione. Nasce in Tibet nel 1926 da una famiglia di nomadi. All’età di 4 anni entra nel Monastero, e un giorno un astrologo gli predice che morirà poco dopo i 40 anni. Pensa, allora, che deve prepararsi all’evento e diventa monaco per meditare e studiare. Lo fa nel tempio di Lokesvara situato all’interno del Potala. Nel 1962 Lama Monlam si risce in Nepal, passa i primi nove anni di ritiro in una minuscola capanna sulla collina di Swayambhu (il Tempio delle scimmie), poi a Parpin, dove lo abbiamo raggiunto e dove continua incessantemente la sua pratica in relazione alle divinità di Tara Bianca. Adesso ha 88 anni e risponderà alle domande di Franco su che cosa sia il Bardo. Il Bardo è lo stato della mente dopo la morte, è lo stadio intermedio, quando la coscienza viene separata dal corpo. Il Bardo rappresenta lo stato tra la vita passata e quella futura. Nel Bardo la mente acquisisce un corpo mentale simile a quello del sogno e ha il potere di raggiungere qualsiasi luogo, in qualsiasi momento e senza alcun ostacolo. La durata massima dello stato del Bardo è di 49 giorni, ma in qualsiasi momento la coscienza può assumere una nuova vita, in uno dei sei reami descritti nel Buddismo. Questo dipende dal karma delle vite passate e soprattutto da quello della vita precedente. La vita nel Bardo può essere fatta di sofferenze, sia per la non accettazione della propria morte, sia per l’attaccamento a sé stessi, alla famiglia, agli amici, ai propri averi.
IL SENSO DELLA VITA
Il “Libro Tibetano dei morti” spiega in modo dettagliato le allucinazioni e le esperienze che avvengono nello stato del Bardo e introduce al riconoscimento dello stato illusorio del corpo e della mente. In pratica, si dice: “Se sei nel materiale è difficile uscire da questa illusione, per questo serve una pratica di meditazione mentre siamo ancora al mondo, per saperne uscire al momento giusto, quando saremo dall’altra parte”. Anche la nipote di Lama Monlam, Tenzin, è una giovane monaca del monastero di Kopan. Da lei ci arriva una spiegazione sensatissima a proposito della sua vocazione: ci dice che vedendo tutte le sue sorelle più grandi di lei condurre la vita classica delle donne – amore matrimonio figli casa e lavoro – aveva avuto il tempo d’accorgersi che lei voleva qualche cosa di diverso, di più grande. Non voleva restringere i suoi interessi alla sua casa e ai suoi figli, ma offrirsi una vita più estesa, più piena. Facendosi monaca, aspira a questa maggiore espansione della sua anima. L’intervista è finita e mi sorprende una volta di più verificare come sia approfondita la conoscenza dei vari stadi di passaggio tra la vita e la morte nei monaci tibetani. All’uscita, ognuno riflette sul senso e la missione della propria vita. Ci deve essere un senso nel fatto che uno come Battiato sia riuscito a coinvolgere tante persone con la sua musica e con il suo modo di essere.
Mi sono sempre chiesta da dove prenda la sua ispirazione. C’è da pensare che, a volte, quella che chiamano ispirazione, non sia altro che riuscire ad accedere a un sapere più vasto di noi, al quale ogni tanto qualche genio trova il modo di attingere. Per tutta risposta, vicino alla casa di Lama Monlam, c’è un Monastero e uno Stupa con una grotta dalla quale si è “manifestata” misteriosamente una figura di Ganesh, il Dio Elefante, e ora di Tara, che rappresenta la Compassione e il Principio femminile.
LA QUIETE DI BOUDHANATH
Alla sera abbiamo il tempo di andare nella Piazza di Boudhanath. Stare qui è molto piacevole, per la mancanza di traffico, per il sole, per il cielo azzurro che contrasta con il bianco dell’enorme stupa che tutti aggirano in senso orario come atto di devozione. Ma siamo al tramonto in controluce! Visto che dobbiamo fare riprese, non si potrà invertire il senso? No, non è possibile, il giro è quello in senso orario: andare al contrario si può fare, ma a proprio rischio e pericolo. Scherzo, naturalmente, ma il senso di tutto questo girare in tondo si capisce meglio vedendo la piazza dall’alto. Il fatto che ci siamo dentro non ci fa rendere conto che, visti appunto dall’alto, siamo all’interno di un Mandala, cioè all’interno di una rappresentazione di un Ciclo! Girare attorno allo Stupa, quindi, è un atto magico, un rito che ci mette in accordo con la natura, i pianeti, il cosmo. In questa piazza tutto ruota, anche i cilindri da preghiera che infatti vengono mossi sempre in senso orario dai fedeli che girano attorno allo stupa. Ogni gesto oltre che sacro è rituale, perché si accorda appunto alle regole universali. Del resto sono quelle regole che fanno girare i pianeti e sono quelle regole che esistono fin dall’origine del tempo e dello spazio, fin dal Big Bang.