Hakuna Matata!! 2

(“Tutto bene, nessun problema” in lingua Swahili) Diario del viaggio in Tanzania di Luc, MG e Marco Agosto 2001 Prologo La faccenda ha avuto un'evoluzione particolare. Già da qualche mese i primi sintomi, inequivocabili, si erano fatti sentire: quella particolare, tenace, invincibile voglia di viaggi in terre lontane alla quale sappiamo...
Scritto da: sidecarural
hakuna matata!! 2
Partenza il: 07/08/2001
Ritorno il: 22/08/2002
Viaggiatori: fino a 6
(“Tutto bene, nessun problema” in lingua Swahili) Diario del viaggio in Tanzania di Luc, MG e Marco Agosto 2001 Prologo La faccenda ha avuto un’evoluzione particolare. Già da qualche mese i primi sintomi, inequivocabili, si erano fatti sentire: quella particolare, tenace, invincibile voglia di viaggi in terre lontane alla quale sappiamo bene di non saper resistere a lungo, soprattutto dopo un paio d’anni trascorsi – mollemente – a goderci in panciolle il sole della Costa Azzurra durante le agognate vacanze estive.

Eccoci di nuovo, allora – dapprima con finto distacco, sostituito ben presto da determinato e professionale impegno – a sfogliare atlanti, valutare programmi, scrutare mappamondi, leggere resoconti, confrontare idee, immaginare itinerari, navigare in esotici siti internettiani, raccogliere informazioni e pareri da amici, conoscenti, parenti … Con un sempre più irresistibile richiamo dall’Africa che si fa prepotentemente sentire.

Le spiagge dell’Oceano Indiano sono affascinanti, con chilometri di sabbia finissima, barriere coralline, palme, pesci esotici… Ma, d’altra parte, come resistere al fascino delle savane africane, gli animali esotici padroni del loro selvaggio universo, i confortevoli ‘lodges’ immersi nella natura, dove sorseggiare un esotico cocktail in braghette sulla veranda, con il sole che tramonta ed i leoni che ruggiscono in lontananza… Cosa scegliere ??? Semplice, la soluzione è di abbinare i due programmi! E così sia: dapprima ci dedicheremo ad una eccitante settimana di safari in Tanzania – su sferraglianti fuoristrada – nel mitico parco Serengeti e nelle magiche atmosfere del parco Ngorongoro (tra regali leoni, temibili leonesse, famelici leopardi, placidi pachidermi, sonnacchiosi ippopotami, leggiadre gazzelle, scattanti ghepardi, serafiche e snelle giraffe, inquietanti iene, cornuti rinoceronti, stupidi gnu) e poi una settimana di relax sulle bianche spiagge della mitica isola di Zanzibar, al largo della costa della Tanzania, tra le vestigia di antiche civiltà, intriganti atmosfere, profumi di spezie esotiche, sontuosi palazzi di illuminati sultani e tracce della antica saga della tratta degli schiavi, della quale Zanzibar era il baricentro alcuni secoli orsono.

Bando alle ciance, allora, e si passi senz’indugio alcuno al resoconto di questa ennesima, audace avventura in terre lontane! 7 agosto – martedì Siamo quasi dei campioni nella preparazione dei bagagli: con un po’ di attenzione e qualche astuzia, siamo riusciti a stipare tutto il necessario alla nostra avventura in tre soffici sacche, più tre zainetti leggeri. Potremo portare il tutto con noi in cabina in aereo, e poi non avremo difficoltà nei trasferimenti tra parchi e savane. Verso le 18 ci trasferiamo a Malpensa, dove lasciamo l’auto al parcheggio ed iniziamo le pratiche per l’imbarco. Attorno a noi una vociante e variopinta folla di vacanzieri. Notiamo con meraviglia che tutti si portano dietro mezza casa, e certo l’intero guardaroba estate-inverno: c’è chi viaggia con enormi bauli, giovani coppie sono costrette ad ammettere – alla verifica del check-in – oltre 60 chili (in due) di bagaglio, e così via. L’addetta alla distribuzione dei biglietti non crede alle proprie orecchie quando le diciamo che noi non abbiamo bagaglio da far inghiottire dalle viscere dell’enorme B767 che ci trasporterà in terra africana, e viaggiamo con pochi, leggeri colli a mano…

Espletate le formalità di rito, mangiucchiamo qualcosa al baretto dell’aeroporto (pagando un conto faraonico per poco e mediocre cibo), e finalmente ci accomodiamo a bordo.

il 767Air Europe, occupato in ogni ordine di posti, decolla in orario.

Dopo un veloce spuntino ci accoccoliamo alla bell’e meglio e cerchiamo di dormire.

Mercoledi 8 agosto Arriviamo a Zanzibar di primo mattino il cielo è coperto, ma la temperatura è buona.

Dopo un oretta ci imbarchiamo su un piccolo bimotore Chessna, assieme ad un gruppetto di italiani che condivideranno con noi il safari; la faccenda è emozionante: seduti accanto al pilota, possiamo godere pienamente delle fasi preparatorie al volo, i fitti contatti con la torre di controllo, le prove dei motori e tutto il resto.

Finalmente allineatici sulla pista di decollo, il comandante da tutta manetta ed in un battibalemo siamo in aria. Il volo, assai panoramico, dura poco più di un oretta. Ecco che davanti a noi si intravede la pista di atterraggio dell’aeroporto Kilimangiaro di Arusha.

Il pilota non dimentica di azionare il carrello che esce dalla pancia del nostro aeroplanino tra inquietanti schricchiolii e in un attimo siamo sulla pista.

Atterriamo in modo soffice e burroso, e tributiamo calorosi applausi al pilota, Parte dei nostri bagagli sono stati caricati su un aeroplanino gemello, che atterra dopo pochi minuti.

Recuperati tutti i nostri averi saliamo sul pullmino che in un oretta d strada ci porta ad Arusha. Poche auto in giro, molti muli ed asini e parecchie biciclette. Pranziamo al Novotel poi carichiamo le nostre mercanzie su una jeep zebrata. Il nostro driver si chiama Taddeo è nero e alto e ha grosse mani callose. Condividiamo il rustico mezzo con tre amici: Lella ed Alberto di Bologna, e Romano di Verona.

Dopo un paio d’ore di strada, in gran parte asfaltata e confortevole, giungiamo all’ingresso del parco Taragnire e lo spettacolo comincia! Taddeo smonta il tetto del fuoristrada, cosicché noi occupanti, in piedi sui sedili, possiamo godere di una vista indisturbata della savana che ci circonda. Abbiamo naturalmente abbandonato l’asfalto, ed ora avanziamo su una pista sterrata, in un turbinio di polvere. La vegetazione è caratterizzata da enormi baobab, col grosso tronco sormontato da rami senza foglie.

Non abbiamo fatto che poche centinaia di metri ed ecco che Marco di vedetta sul tetto della jeep avvista la prima giraffa. Ma è solo l’inizio ecco che poco dopo avvistiamo 2 elefanti sulla nostra destra dalle lunghe e bianche zanne e poi decine di zebre, eleganti impala, ancora elefanti, giraffe, struzzi, uno gnu in compagnia delle immancabili zebre, una colonia di babbuini.

In occasione degli avvistamenti più succosi Taddeo ferma la jeep e così possiamo procedere, in tutta calma, alle fotografie di rito. La natura è selvaggia e ricca di vegetazione; la temperatura semplicemente perfetta, l’aria impregnata di animaleschi effluvi. Affrontiamo anche qualche passaggio impegnativo, a bordo del nostro possente mezzo a quattro ruote motrici, sul quale veniamo sballottati senza pietà alcuna. Prima di arrivare al nostro lodge (sono circa le 18) avvistiamo altre zebre, gazzelle ed elefanti. Una natura semplicemente entusiasmante! Il nostro fuoristrada si ferma all’ingresso del Tarangiri Sopa Lodge, elegante, moderno e perfettamente mimetizzato nella vegetazione, e subito siamo circondati da uno stuolo di simpatici inservienti, agghindati in vesti multicolori, che si prendono cura dei nostri bagagli. In pochi minuti siamo in camera, spaziosa e dotata di tutti i necessari conforts, ma soprattutto con una bella veranda affacciata sulla savana: riceveremo forse la visita di qualche curioso animale, ansioso di socializzare ??? Lo sapremo presto…

Ceniamo nel bel ristorante, circondati dalle premure dei camerieri; i più simpatici si chiamano Due (proprio così, come il numero) e Ajo. Spiccicano un po’ di italiano, e si esprimono in ottimo inglese. Si impegnano ad imparare subito i nomi di noi clienti, e ci chiamano per nome in ogni occasione. Il cibo è discreto, anzi ottimo se si considera che siamo a molte ore di fuoristrada dal mondo – diciamo così – civilizzato, e circondati da una fittissima savana! Dopo cena e tranquille chiacchiere con i nostri amici, ci rincantucciamo finalmente sotto le coperte: fa un bel freschetto, altro che Africa dalle torride temperature! Giovedì 9 agosto La giornata è dedicata alla scoperta del magnifico parco Tarangire: alle otto del mattino siamo già pronti sul nostro poderoso fuoristrada, per partire alla scoperta del parco e delle sue meraviglie. Incredibile a dirsi, pioviggina, così ci imbacucchiamo nelle giacche a vento, MG indossa il suo cappellaccio da esploratrice, chiediamo a Taddeo di aprire il tetto della jeep, e via !!! Poco oltre il cancello del nostro lodge, il primo incontro con una bella coppia di elefanti, che pascolano placidamente. Proseguiamo, e gli incontri con la fauna si susseguono: giraffe, numerosissime zebre, antilopi, ancora giraffe, timidi gnu, che si rifugiano subito nella boscaglia, mentre gli altri animali non sono affatto timorosi, e semplicemente ci ignorano. La gita prosegue, tra panorami di straordinaria bellezza. La vegetazione è bellissima, e soprattutto gli immensi baobab ci colpiscono per la loro mole maestosa. Ci fermiamo anche ad ammirare i numerosissimi uccelli che ci circondano, tra i quali aquile e pellicani.

Proseguiamo e ci avviciniamo alla grande palude che occupa la parte centrale del parco: qui il colore predominante è il verde, nelle sue diverse sfumature. Un fiumiciattolo ci separa dalla parte più rigogliosa della palude; qui l’occhio vigile di Taddeo – bene allenato da anni di esperienza – riesce finalmente a scorgere due leonesse, ben acquattate tra l’erbetta verde: una osserva serafica il paesaggio, l’altra è a pancia all’aria, perfettamente rilassata. Le due signorine sono piuttosto distanti (saranno 80-90 metri), così dobbiamo utilizzare binocoli e teleobiettivi per osservarle un po’ da vicino, e le foto sono rimandate ad una prossima, più propizia occasione. Certo che è comunque una bella emozione !!! Proseguiamo: più oltre incontriamo una grossa mandria di zebre, frammiste a gnu dallo sguardo poco sveglio, poverini. Ecco anche una coppia di elefanti, con sullo sfondo la scenografica collina Tarangire Hill.

Poi ci rimettiamo sulla via del lodge: siamo in giro da oltre tre ore, ed abbiamo fatto una bella scorpacciata di avvistamenti. Non è disdicevole, adesso, rilassarsi un po’ all’interno della jeep (buona parte delle osservazioni, si ricordi, vengono effettuate in piedi, utilizzando il comodo tetto scoperchiabile). Verso l’una siamo di ritorno al lodge, dove pranziamo allegramente ai bordi della piscina, approfittando del buon buffet. Poi ci concediamo un riposino, prima del safari del pomeriggio, programmato per le 16.

Il tempo è sempre incerto, ma almeno non piove, così possiamo lasciar perdere le giacche a vento e goderci liberamente il panorama dal tetto aperto del nostro mezzo semovente. Ci dirigiamo in una zona a Nord-Ovest del parco: attraversiamo paesaggi di rara bellezza e suggestione, e facciamo numerosi incontri con animali: giraffe, elefanti, zebre, gazzelle, dik-dik, impala… Più tardi, un assembramento di bianchi fuoristrada ci fa presagire un avvistamento di rilevo… Così è, in effetti: si tratta di un grosso gruppo di babbuini, almeno una cinquantina di individui, che occupano, nel loro trasferimento, buona parte della pista. Osserviamo il loro passaggio con interesse: i maschi, grossi come cani di media taglia, hanno un aspetto poco rassicurante e denti aguzzi, i piccoli saltellano allegramente qua e la, e si fanno trasportare sulla groppa o appiccicati alla pancia delle mamme. Il passaggio di questi simpatici animaletti è accompagnato da un acre, inconfondibile afrore.

Passato il gruppo di babbuini, ci rimettiamo sulla via di casa fermandoci di tanto in tanto per godere degli scorci più suggestivi e di nuovi avvistamenti. Bello lo spettacolo di un piccolo branco di elefanti che avvistiamo poco distante dal lodge, all’imbrunire.

Poi rientriamo, impolverati fino alle mutande, ma pienamente soddisfatti. Dopo una buona doccia, che ci libera di chili di incrostazioni polverose, ceniamo circondati dalle amorevoli attenzioni dei nostri amici Due e Ajo.

A letto verso le 10, è stata una lunga giornata! Venerdì 9 agosto Partenza alle 8:30. Oggi ci trasferiamo dal parco Tarangire al parco del lago Manyara, tre o quattro ore di viaggio. Pochi chilometri dopo aver lasciato il nostro lodge, fitte comunicazioni radio tra Taddeo e gli altri ‘drivers’ dei fuoristrada che sono partiti prima di noi ci fanno presagire che c’è qualcosa di elettrizzante nell’aria. Dopo una collinetta scorgiamo due o tre fuoristrada fermi sulla pista: ci siamo! Ci avviciniamo anche noi, ma non scorgiamo niente. Poi Taddeo ci dice la parola tanto attesa: “Simba, leone”. Eccolo li!!!! È a pochi metri da noi, non più di quattro o cinque, accucciato tra le stoppie gialle, perfettamente mimetizzato (ecco perchè noi cittadini non ci eravamo accorti della sua presenza). Ci muoviamo con cautela ed in perfetto silenzio, acchiappiamo macchine fotografiche, cineprese e binocoli, e ci mettiamo all’opera. Il nostro leone è un animale piuttosto giovane, con una criniera ancora non completamente sviluppata, lo sguardo fiero, un nasone umido e nero. Ci guarda senza tradire alcun interesse per noi. Ci avviciniamo ancora con la Toyota, ormai siamo ad un paio di braccia di distanza dal regale felino. Taddeo richiama nuovamente la nostra attenzione e ci fa notare che… Ce n’è un altro !!! Proprio accanto al primo, a tre o quattro metri da noi, sdraiato e perfettamente mimetizzato tra l’erba gialla. Il mimetismo di questi animali è sorprendente !! Scattiamo parecchie foto alla crinieruta coppia, e restiamo parecchi minuti ad osservare la scena per cercare di ricordarne ogni dettaglio. Poi ci rimettiamo in marcia: questo è stato certamente l’incontro più emozionante della nostra visita al Tarangire, che si chiude davvero in bellezza!!! Proseguiamo; usciti dal parco, riprendiamo per qualche chilometro la strada asfaltata, sulla quale Taddeo può spingere il fuoristrada ad andature considerevoli. Poi imbocchiamo nuovamente una pista sterrata, e sono dolori !!! Si tratta di una via piuttosto trafficata, anche da mezzi pesanti, ed il fondo è in condizioni pessime. Si tratta della famigerata “toule ondulée”, come dicono i francesi: il fondo stradale, in pratica, è pieno di cunette trasversali al senso di marcia, provocate dal passaggio delle auto e dei camion. L’unica possibilità per salvarsi il fondoschiena sarebbe quella di affrontare la pista ad alta velocità, in modo da “saltare” da una cunetta all’altra. Ma poiché il nostro mezzo non ce lo consente, ci tocca sciropparci l’intero percorso a sobbalzoni, godendoci una per una tutte le asperità. La faccenda dura alcune decine di chilometri, ed alla fine le nostre budella sono attorcigliate come fusilli alla napoletana.

La vegetazione cambia improvvisamente: alla steppa quasi desertica si sostituisce, nel giro di pochi chilometri, una natura super rigogliosa: è il parco del lago Manyara, una foresta pluviale che costeggia il lago omonimo.,. La visita è prevista per il pomeriggio, così proseguiamo e ci inerpichiamo, lungo una strada sterrata e quanto mai polverosa, risalendo il costone che domina la vallata. Il colpo d’occhio è spettacolare: sotto di noi la foresta impenetrabile, con tutti i toni del verde. Al di là si intravede la distesa del lago, i cui confini si perdono nella foschia. Ci fermiamo ad un banchetto sulla strada dove sono in vendita semplici articoli di artigianato. Dopo aspre contrattazioni comperiamo un nodoso bastone Masai per Luciano ed una testina intagliata nell’ebano, di graziosa fattura, per MG. I prezzi richiestici inizialmente sono fuori di testa, ma basta contrattare un po’ e si torna nell’ambito del ragionevole. Ancora pochi minuti e siamo finalmente al Serena Manyara Lodge, arroccato sul costone e con una drammatica vista sul parco sottostante. Mangiamo qualcosa nell’elegante ristorante e, dopo un riposino con i minuti contati, torniamo – instancabili – sulla jeep e iniziamo la visita del parco Manyara. Sin dall’ingresso la natura è straordinaria: alberi altissimi e rigogliosi, ruscelletti, piante di ogni specie. Passano pochi minuti ed incrociamo una colonia di babbuini blu. Ci fermiamo per ammirarli, e notiamo che in effetti tutti gli alberi attorno a noi brulicano di bestiole; ci saranno, senza esagerare, parecchie decine di babbuini intorno a noi. Proseguiamo; in uno spiazzo ci imbattiamo, a distanza assai ravvicinata, in due belle giraffe, che brucano le foglioline più tenere degli alberi. Non sono affatto interessate a noi, così possiamo osservarle e fotografarle con calma, senza arrecare loro alcun disturbo. La vista prosegue; pochi minuti ed ecco un bellissimo branco di elefanti: 5 o 6 adulti ed alcuni piccoli che li seguono a fatica, trotterellando. Ad un certo punto ci addentriamo nella foresta più selvaggia, dove assistiamo ad un singolare spettacolo: un branco di circa 200 babbuini che si stanno spostando da una parte all’altra della strada; ci sono parecchi cuccioli di babbuini appiccicati alla pancia della mamma o sulla solida groppa del padre. Si tratta – come detto – di un branco imponente, così spegniamo il motore del Toyota, ed aspettiamo. I Babbuini ci circondano, siamo immersi un una brulicante moltitudine animalesca, dal caratteristico ed aspro odore. Ad un tratto si accende una rapida e cruenta zuffa proprio accanto al nostro fuoristrada: due grossi maschi si affrontano, sollevando un grosso polverone e dandosela di santa ragione, tra alti strilli degli altri babbuini del gruppo. Poi improvvisamente tutto si placa di nuovo. La pista si è parzialmente liberata, così procediamo di qualche decina di metri con il fuoristrada. Raggiungiamo una radura con una scena di rara bellezza: c’è un laghetto, parecchi alberi ed altra vegetazione con tutte le possibili sfumature del verde, gazzelle che si abbeverano, babbuini che passeggiano, zebre. Un colpo d’occhio straordinario davvero !!! Proseguiamo. Incontriamo due splendide e serafiche giraffe, ed un altro branco di elefanti; questi pachidermi sono assai numerosi al Parco Lake manyara, che rappresenta per loro un habitat ideale. Poi imbocchiamo la pista in direzione della sponda del lago, che raggiungiamo dopo pochi minuti. Qui Taddeo ci consente di scendere dalla nostra poderosa jeep, in modo da poter esplorare più da vicino il paesaggio circostante. L’acqua del lago è limacciosa, e non invita certo ad un bagnetto rinfrescante – che sarebbe comunque ad alto rischio coccodrilli !!! – ma il paesaggio che ci circonda è indimenticabile. A poca distanza da noi ci sono dei facoceri, ed un enorme elefante, dalle belle zanne, sta placidamente attraversando la radura, con il suo incedere lento e maestoso.

Un paio di turisti che si sono allontanati per poter fotografare da più vicino l’enorme animale vengono prontamente e caldamente richiamati dal nostro autista e invitati a tornare al più presto nel gruppo: con gli elefanti non si sa mai…

Rimaniamo sulla sponda selvaggia del lago, a goderci la bella atmosfera, per una mezz’oretta, quindi risaliamo sul nostro mezzo e ci dirigiamo verso casa (sono quasi le 18, e comincia ad imbrunire). In breve arriviamo al nostro lodge, dove è doveroso fare una bella doccia, visto che siamo completamente ricoperti della penetrante e grassa polvere rossa africana.

Adeguatamente restaurati, ceniamo al ristorante del lodge e guardiamo un interessantissimo documentario sugli elefanti del Lake Manyara. Quindi scriviamo un po’ di diario e andiamo finalmente a rincantucciarci sotto le coperte.

Sabato 11 agosto Oggi ci aspetta un lungo viaggio di circa 200 km, tutto su strade sterrate (ahia!), che ci porterà nel famoso parco Serengeti. Durante il viaggio assistiamo a continui cambiamenti di paesaggio, dalle rigogliose colline di Lake Manyara, alle aride pianure che ben presto lasciano il posto alle fresche ed impenetrabili foreste pluviali del parco Ngorongoro (che oggi ci limiteremo ad attraversare: la visita vera e propria verrà effettuata tra un paio di giorni), per arrivare alla mitica savana del Serengeti. Attraversiamo numerosi villaggi e notiamo che l’agricoltura è in via di sviluppo: in un paio di paesini vediamo delle enormi e nuove macchine agricole parcheggiate al centro del villaggio, certo finanziate da qualche organismo internazionale, con grandi e piccini che si accalcano intorno ai mostri meccanici, incuriositi ed orgogliosi. Ci accorgiamo per la prima volta che una piccola parte dell’enorme distesa di campi che ci circonda è coltivato, a mais e granoturco soprattutto. Sostiamo brevemente al “Visitors Center” all’ingresso del parco Ngorongoro, poi iniziamo ad inerpicarci per giungere sul bordo dell’enorme cratere vulcanico. Fa freddo, c’è una fitta nebbia, e noi ci infagottiamo nelle nostre giacche a vento. D’altronde, siamo quasi a 2500 metri di altitudine. Scorgiamo sul bordo della pista piccoli gruppi di guerrieri Masai, alcuni con le caratteristiche tuniche rosso scarlatto, altri con tuniche nere e la faccia completamente dipinta di bianco. Taddeo ci spiega che questi ultimi sono ‘aspiranti guerrieri’, cioè giovani prossimi all’iniziazione, ma non cede alle nostre richieste di fermarci per fotografarli: problemi di sicurezza ??? Non lo sapremo mai, il nostro autista è a volte un po’ enigmatico. Comunque ci conferma che tra poco ci fermeremo a visitare un autentico villaggio Masai, e lì potremo fare tutte le foto che vogliamo… A patto di mettersi d’accordo con il capo villaggio, e di concordare un adeguato compenso per la comunità.

Così accade, infatti. Ci fermiamo in una radura accanto ad un villaggio di capanne di fango, protetto da una staccionata. I notabili del villaggio sono seduti fuori dal recinto, all’ombra di un’acacia. Appena ci fermiamo, arriva il capo villaggio, un Masai relativamente giovane, che si esprime in un inglese decente e chiede 10 dollari a testa per farci visitare il suo villaggio. È una discreta cifra, da queste parti, ma d’altronde è un’occasione forse irripetibile, ed il villaggio è senz’altro genuino. Accettiamo, ed il capo villaggio intasca le banconote con un largo sorriso, che mette in mostra una dentatura urgentemente bisognosa delle attenzioni di un dentista votato alle imprese disperate…

Pagato l’obolo, entriamo nel villaggio. Attorno a noi, donne con la tunica rossa e variopinti monili fatti di perline; decine di bambini, seminudi e sporchi ma apparentemente in buona salute e di ottimo umore: vecchi incartapecoriti, seduti nella polvere fuori dalle loro capanne, con un’aria ancora fiera e nobile: giovani guerrieri, alti e dai fini lineamenti, che si offrono alle fotografie tenendosi per mano. Ci disperdiamo all’interno del villaggio, aggirandoci tra le capanne; queste ultime sono fatte di fango, con i tetti di paglia, non più alte di un metro e mezzo. Entriamo in una di queste abitazioni, accompagnati dal capo villaggio: dentro è buio fitto, c’è solo una minuscola finestrella, così ci muoviamo a tentoni ed a schiena curva (la capanna è tropo bassa per stare in piedi). Un forte sentore di fumo pervade l’ambiente. Il capo ci spiega che qui vivono anche 5 o 6 persone, cucinando i parchi pasti sul fuoco interno alla capanna, e dormendo in qualche modo su semplici giacigli. Usciamo a prendere una boccata d’aria; i bambini ci circondano, e MG viene circondata da una vociante e festosa moltitudine quando prende per mano un marmocchio per fare una foto: altri bambini vogliono essere presi per mano, e molte mamme chiedono che anche il loro piccolo venga fotografato.

Sentiamo dei ritmici canti: un gruppo di ragazze Masai sta inscenando una danza nella piazza – diciamo così – del villaggio, mentre il gruppo dei giovani guerrieri, dall’altra parte della piazza, si esibisce nella tipica gara di ‘salto a piedi uniti’: ogni guerriero deve fare tre salti, a piedi rigorosamente uniti e sotto l’incitamento dei compagni. Coloro che fanno i salti più alti ed eleganti si aggiudicheranno le grazie delle fanciulle, che assistono alla tenzone. L’atmosfera è assai pregnante ed indubbiamente autentica. I bambini ci circondano, anche se restano un po’ timorosi… Attorno allo spiazzo centrale del villaggio, le donne hanno sistemato dei banchetti sui quali espongono alcuni oggetti di artigianato: collane di perline, per lo più, bastoni dei guerrieri masai, lance, zucche che vengono usate per contenere latte e sangue degli armenti e l’odore pungente che emanano ne è testimonianza!). I masai traggono tutto il loro sostentamento dalle mandrie di bovini, ed il sangue di vacca (fatto zampillare da una grossa vena sul collo, raccolto nella zucca e bevuto ancora caldo) costituisce una parte importante della loro alimentazione (gasp!). MG compra una graziosa collana di perline, e la trattativa viene svolta direttamente dal capo villaggio, che agisce quasi in qualità di “intermediario” tra il compratore e la donna masai che vende. Restiamo nel villaggio per un’oretta, dando fondo a parecchi rullini: il posto è straordinariamente scenografico. Poi salutiamo con calorose strette di mano il capo villaggio (che ci gratifica di radiosi sorrisi al dentrificio Durbans), e riprendiamo il viaggio.

Il panorama diventa sempre più piatto, e quasi desertico: attorno a noi, non si vede nulla sino all’orizzonte. La vegetazione è limitata a radi cespugli, e la fauna a sporadiche gazzelle. Dopo una buona ora di traversata del deserto, ci fermiamo per un breve ristoro alla stazione dei rangers all’ingresso del parco Serengeti. Mentre Taddeo sbriga le formalità di rito con i Rangers, noi curiosiamo nei dintorni. Si segnala la presenza di coloratissimi ramarri.

Dopo la stazione dei rangers, il paesaggio cambia: siamo nella famosa savana del Serengeti, gli alberi (acacie soprattutto) sono numerosi, anche se la vegetazione è meno rigogliosa (almeno in questa prima parte) di quella del Tarangire.

In una mezz’oretta o giù di lì siamo al nostro Serengeti Sopa Lodge. Veniamo accolti con la consueta cordialità dal personale dell’albergo, e gratificati di bibite fresche e salviette rinfrescanti, per toglierci di dosso un po’ della grassa polvere che abbiamo abbondantemente ingurgitato per via.

Entriamo nella nostra spaziosa camera per depositare i bagagli, e restiamo senza fiato: una delle pareti della stanza è costituita da un’enorme vetrata, con una vista mozzafiato sul parco, che dominiamo grazie alla posizione del nostro lodge, arroccato sulle pendici di una montagnola. Ammiriamo per qualche istante lo straordinario panorama – con le nuvole che disegnano inconsuete, nette zone d’ombra nella piana – prima di trasferirci al ristorante per uno spuntino. Taddeo ci ha dato appuntamento per le 15:30, per un pomeriggio è dedicato ad un primo giro di orientamento in questo parco sterminato, regno delle più svariate specie animali, dai placidi erbivori ai famelici predatori: si narra che un gruppo di turisti sia riuscito, la scorsa settimana ad imbattersi anche nei rari e solitari leopardi che, con i ghepardi, costituiscono la preda fotografica più ambita. Saremo altrettanto fortunati? Partiamo, pieni di aspettative, a bordo del nostro possente mezzo meccanico. Ci imbattiamo quasi subito in branchi di gazzelle, che cominciamo a riconoscere nelle loro diverse varianti, le gazzelle di Thomson e quelle di Clark. Incrociamo anche un Kudu, gazzella dalle rilevanti dimensioni.

Vediamo una coppia di giraffe assai eleganti e dei facoceri. Poi abbandoniamo la pista più trafficata e ci addentriamo nella savana lungo una pista assai più accidentata. Arriviamo in una radura dove, maestose, sonnecchiano tre bellissime leonesse. Riusciamo ad ammirarle molto da vicino e ad apprezzarne la regale felinità. Dapprima le leonesse sono appisolate, e dormicchiano in pieno relax. Poi una delle tre si sveglia, e si guarda tranquillamente attorno. Sul muso ha qualche cicatrice. La luce e l’atmosfera sono ideali per le foto, e ci tratteniamo in zona per un bel po’.

Poi proseguiamo il nostro giro; attraverso il tetto scoperto del nostro veicolo possiamo scrutare la savana alla ricerca di prede fotografiche. Avanziamo in una zona straordinariamente ricca di gazzelle e zebre: ce ne sono a centinaia, a migliaia tutto intorno a noi. Scorgiamo anche un possente elefante solitario, dotato di lunghe zanne, che resta pero’ piuttosto distante . Andiamo ad esplorare una pozza che potrebbe ospitare degli ippopotami; a giudicare dalle generose deiezioni che caratterizzano la zona i leggiadri animali dovrebbero essere nei dintorni, ma non si lasciano scorgere. È ora di tornare verso il lodge; imbocchiamo la pista e, appollaiati in precario equilibrio sul tetto del nostro fuoristrada (rischiando di essere catapultati fuoribordo…), ci godiamo uno straordinario tramonto tipicamente africano; il sole è grande come una grossa ciambella e ci sono delle nuvole che assumono fantastici colori. Ci godiamo lo spettacolo in perfetto silenzio per non rovinare l’atmosfera con banali commenti, mentre Taddeo guida con maestria il pesante automezzo evitando le buche più dure. Arriviamo al lodge con le ossa un po’ rotte ma contentissimi per la nostra caccia odierna: il Serengeti ha mantenuto in pieno le sue promesse… E domani si replica !!! Dopo una buona cena nell’elegante ristorante del lodge, assistiamo alla proiezione di un filmato sugli animali che popolano questo parco ed il vicino parco Ngorongoro, che visiteremo tra qualche giorno. Poi scriviamo un po’ di diario, suscitando malcelata curiosità quando sfoderiamo il nostro tecnologico Ipaq e soprattutto la sua tastiera pieghevole, dopo di che un profondo sonno è quel che ci vuole.

Domenica 12 agosto Giornata interamente dedicata al safari nel Serengeti; e, come si vedrà si tratterà di una giornata memorabile. Ma procediamo con ordine. La prima oretta di corsa sulla polverosa e sgangherata pista non offre particolari emozioni. Molte gazzelle certo, ed innumerevoli zebre ma nulla di particolarmente eccitante e nuovo. Cominciamo a chiederci se anche gli animali di domenica non si concedano un po’ di riposo e non preferiscano starsene tranquillamente a casa, davanti al televisore. Siamo immersi in queste profonde meditazioni quando un piccolo assembramento di fuoristrada risveglia la nostra attenzione. Ci avviciniamo ed eccolo! Un magnifico simba, di 5 o 6 anni, con la criniera già ben formata, accoccolato ai bordi della pista, all’ombra di un’acacia. Lui ci guarda senza alcun interesse, mentre noi ci diamo dentro alla grande con cineprese, binocoli e macchine fotografiche. L’animale è a non più di 3 metri da noi. Sono passati circa una decina di minuti quando succede qualcosa di totalmente inaspettato: il regale felino rizza le orecchie, si mette sulle zampe ed annusa l’aria con le umide narici. Ha sentito qualcosa … Ci guardiamo intorno, e scorgiamo, a qualche decina di metri, una piccola gazzella di Thomson. Il felino si mette lentamente in marcia verso la gazzella. L’atmosfera è carica di tensione, mai avremmo immaginato di assistere in diretta ad una vera azione di caccia del re della foresta !!! Il leone si avvicina alla gazzella, che rimane parzialmente nascosta dai cespugli. Ed ecco che una vecchia scema, sulla jeep accanto alla nostra, comincia a squittire, e ad incitare la gazzella a fuggire! La inceneriamo con lo sguardo, e la minacciamo di darla senz’altro in pasto al felino se non la smette immediatamente. La scema si zittisce. Torniamo alla cronaca dell’attacco: il leone è a pochi metri dalla gazzella, ed inizia a trotterellare. La gazzella se ne accorge e, in un paio di balzi, è ormai lontana. Il nostro crinieruto amico si rende conto che non è il caso di insistere, e termina senz’altro l’attacco. La vecchia sulla jeep tira un sospiro di sollievo. Il leone gira attorno alla nostra jeep, e prosegue languidamente la sua passeggiata fino ad un praticello di morbida erbetta, sulla quale si accuccia. Non sembra molto dispiaciuto di non aver acchiappato la gazzella. Noi siamo super eccitati per la scena che si è svolta a pochi metri da noi, e che resterà senz’altro tra i ricordi più emozionanti del nostro safari. Ci allontaniamo e proseguiamo l’esplorazione dei dintorni.

Imbocchiamo una pista secondaria e – dopo qualche minuto di sballottamenti – arriviamo in una radura che sovrasta un placido corso d’acqua. Taddeo ci consente di scendere dalla jeep. Cosa assolutamente eccezionale. Ci avviciniamo alla scarpata ed osserviamo il fiumiciattolo sotto di noi. Non ci sono ippopotami ma… Tre enormi coccodrilli, che si godono il sole su una spiaggetta. Il più grosso sarà lungo almeno quattro metri, e dormicchia con la bocca spalancata. Il tutto a non più di una ventina di metri da noi, forse meno. Poi Taddeo ci invita ad aggirare la collinetta: lì il fiume fa una curva, e ci sono altre sorprese! Ci avviamo e incontriamo altri due enormi coccodrilli sulla spiaggia, un altro sulla scarpata, ed alcuni ippopotami, proprio sotto di noi… Che spettacolo !! I bestioni acquatici restano nascosti sott’acqua, e spuntano solo le narici e le orecchie. Pero’ ogni tanto tirano fuori la testa, e si guardano intorno. Emettono anche qualche cavernoso grugnito, e sommesse e subacquee flatulenze. Marco avanza l’ipotesi che i rotondi pachidermi siano affetti dalla rara turba nota sotto il nome scientifico di “Ventilatio Intestinalis Putrens”.

Dopo una mezz’oretta e decine di foto lasciamo il posto, e proseguiamo la nostra esplorazione. Attraversiamo un guado, ed incontriamo un’altra colonia di ippopotami. Questi sono più visibili, anche perché l’acqua è più bassa, e possiamo così ammirare i loro enormi deretani.

Proseguiamo. La vegetazione attorno a noi è splendida, e l’orizzonte vastissimo: le montagne che scorgiamo laggiù in fondo sono probabilmente a qualche centinaio di chilometri ! Ad un tratto Taddeo ferma la jeep e ci fa notare un bel branco di elefanti, a circa 200 metri da noi: una dozzina di individui adulti, ed almeno altrettanti piccoli. C’è un grosso elefante, che sembra essere il capo, che guida il branco, e si dirige nella nostra direzione. Ogni tanto, i pachidermi si fermano a mangiare erba o interi arbusti, o anche interi rami di alberi. In effetti, questi animali provocano parecchi danni alla vegetazione. Anzi, il passaggio degli elefanti è chiaramente testimoniato dagli alberi distrutti che segnano il loro cammino. Ma non distraiamoci, e torniamo a noi: il pachiderma capo-branco (forse una matriarca) si è ulteriormente avvicinato, ed ora comincia a fissarci, ed a muovere minacciosamente le enormi orecchie. Il prudente Taddeo capisce subito che non è il caso di correre rischi, così mette in moto il Toyota e ci spostiamo di una ventina di metri. E facciamo bene, perché dopo pochi minuti l’intero branco attraversa la pista proprio dove eravamo noi poco prima: ci avrebbero evitato, o ci avrebbero miseramente schiacciati sotto le loro enormi zampone, come croccanti noccioline ???? Non lo sapremo mai, e certo è meglio così. Il branco prosegue tranquillamente nella sua marcia, ed in breve viene inghiottito dalla boscaglia. Il safari prosegue: incontriamo un grazioso terzetto di giraffe che brucano germogli dagli alberi. E leggiadre e sexy gazzelle, che spesso condividono il pascolo con le zebre. Ci fermiamo per pranzare al sacco presso una stazione di ‘rangers’ del parco, e gustiamo uova sode, patatine fritte fatte con le banane, panini con salame di facocero (forse), frutta, noccioline.

Poi riprendiamo la via. Ed ecco uno dei momenti più emozionanti dell’intero safari: Taddeo (un tipo di poche parole, ma con una vista semplicemente sensazionale) ferma la Toyota e – senza tradire emozione – ci dice di guardare a sinistra. Inforchiamo i binocoli e… A una trentina di metri da noi scorgiamo una coppia di rarissimi ghepardi !! Il sogno di ogni safarista, quello di scorgere un ghepardo, e noi ne abbiamo di fronte una bella coppia!!! I nostri due esemplari sono splendidi, e si stanno muovendo lentamente verso la boscaglia. Dopo pochi minuti li perdiamo di vista, ma Taddeo sa il fatto suo: partiamo con la jeep ed aggiriamo il boschetto…Bingo! I nostri due amici sono lì, ad una cinquantina di metri, accucciati nell’erba, a una decina di metri l’uno dall’altro. Il ghepardo più vicino, dopo qualche minuto, si rizza sulle zampe anteriori, ed inizia ad annusare l’aria. Poi si rimette a quattro zampe e comincia a puntare una preda !!! Si muove con estrema lentezza, ponendo una zampa dopo l’altra con grande circospezione, quasi al rallentatore. Ogni tanto si ferma con una zampa a mezz’aria, e resta in osservazione. Non vediamo cosa sta puntando: una gazzella, un dik-dik ? Il ghepardo prosegue la sua lentissima marcia, e noi tutti osserviamo la scena con i nervi a fior di pelle: quando lancerà l’attacco ?? Poi il felino sparisce alla vista dietro un gruppo di cespugli, ne intravediamo la sagoma solo con i binocoli. Quando riappare, l’agile felino appare improvvisamente più rilassato, ed abbandona la caccia. Si accuccia su un piccolo dosso, e riprende a scrutare il paesaggio. Il suo compagno lo raggiunge poco dopo. Che emozione!! Non solo abbiamo avuto la fortuna di vedere un, anzi, due ghepardi, ma abbiamo assistito ad una vera azione di caccia degli scattanti felini maculati !!! Abbandoniamo la scena pienamente soddisfatti, e ci rimettiamo sulla pista. Ma le emozioni non sono finite, anzi !!! Dopo pochi minuti, il fido Taddeo riceve una chiamata radio. Confabula brevemente in swahili, e poi, senza proferir verbo, imbocca una pista laterale. Facciamo circa un chilometro, e scorgiamo un assembramento di fuoristrada, almeno una mezza dozzina di veicoli: ci deve essere una preda grossa !!! Ci avviciniamo anche noi, e sulle prime non vediamo nulla. Poi Taddeo ci dice di guardare bene su un albero: inforchiamo binocoli e teleobiettivi e lo vediamo. È lui !!! Il sogno di ogni safarista !!!! Il mitico leopardo! È languidamente sdraiato a cavalcioni del grosso ramo di un’acacia, e guarda dalla nostra parte. Col binocolo possiamo osservarlo in ogni dettaglio (sarà ad un’ottantina di metri da noi): il bel manto maculato, la grossa coda penzolante dal ramo, vediamo bene perfino i penetranti occhi gialli. Purtroppo è troppo distante per le foto…

Su un albero vicino c’è una grossa scimmia, che continua a lanciare il suo acuto richiamo: Taddeo dice che sta avvertendo il suo branco di un qualche pericolo. Forse il leopardo nelle vicinanze ?? Osserviamo la straordinaria scena per una buona mezz’ora. Poi, improvvisamente, il leopardo sembra svegliarsi dalla sua pennichella, si stiracchia un po’ in bilico sul suo ramo, e finalmente si appresta a scendere. Un paio di passi tenendosi bene in equilibrio sul ramo, poi un gran balzo, e sparisce nell’erba alta. Una scena memorabile !!! Sparito il leopardo, tutti i fuoristrada si rimettono in marcia alla ricerca di nuove maschie emozioni. Mentre sloggiamo, incrociamo un paio di Land Rover con dei safaristi italiani. Ci chiedono cosa abbiamo visto. Un po’ perfidamente gli diciamo che c’è un grosso magnifico leopardo, e solo dopo aver gustato per qualche istante il loro entusiasmo e la loro eccitazione gli diciamo… Che se n’è andato !!! “Svegliatevi prima, la prossima volta !!!” gli diciamo malignamente, e tosto ci allontaniamo in una nuvola di polvere rossa, scomparendo nella savana…

Siamo stati davvero fortunati, non c’è che dire: ghepardi e leopardo nella stessa giornata sono un colpo formidabile ! Ora possiamo dirigerci tranquillamente verso il lodge, e magari goderci un po’ di sano “far niente” ai bordi della piscina, con la spettacolare vista sulla savana.

L’acqua della piscina è gelida, ma ci sistemiamo comunque sulle sedie a sdraio, a poltrire e ad attendere il tramonto. Dopo una mezz’oretta si annuncia un bel temporale: da Est avanzano minacciosi nuvoloni scuri, carichi di pioggia (da questa parte dell’equatore il tempo viene da Est, e non da Ovest come nelle nostre contrade…). Tutti gli altri turisti se ne vanno, mentre Luc e MG decidono di aspettare i primi caldi goccioloni prima di battere in ritirata. Ci mettiamo ben comodi su due poltroncine, ed ammiriamo l’incredibile panorama, che non smette di entusiasmarci: il temporale in arrivo ad Est, il tramonto imminente ad Ovest, la sterminata savana sotto di noi, punteggiata di acacie e brulicante di animali… Uno spettacolo indimenticabile.

Veniamo distolti dalle nostre meditazioni geografico-naturalistiche da un vociante gruppetto di giovani tanzaniani, che si aggirano per la piscina scattandosi reciprocamente fotografie. Sono vestiti elegantemente, e sembrano reduci da un pranzo di nozze o qualcosa del genere. Ad un tratto, uno del gruppo si avvicina, e ci chiede se siamo disposti a fare una foto con loro: accettiamo volentieri, e ci mettiamo in posa con il primo giovane tanzaniano. Il succinto abbigliamento di MG (in costume da bagno, e con una leggera e sexy maglietta “vedo-non vedo”) suscita grande interesse, e anche gli altri giovanotti insistono per avere la possibilità di scattare una foto con noi, mentre le ragazze del gruppo commentano vivacemente tra loro e prorompono in maliziose risatine. La faccenda si ripete tre o quattro volte, con i giovani tanzaniani che a turno posano con noi, Poi (malauguratamente per loro…) finisce la pellicola: chi è rimasto a bocca asciutta è assai dispiaciuto dell’occasione persa, ma tutti ci salutano calorosissimamente, augurandoci un felice soggiorno nel loro paese.

Comincia a gocciolare: torniamo in camera a prepararci per la sera. Dopo cena, assistiamo al documentario naturalistico (un interessante documento d’epoca, un raro reperto degli anni cinquanta), e finalmente ci abbandoniamo tra le braccia di Morfeo, certi che questa giornata resterà memorabile.

Lunedì 13 agosto Oggi ci trasferiamo al parco Ngorongoro, ma dedicheremo la mattinata ad un’ultima escursione nel Serengeti, prima della tappa di trasferimento pomeridiana.

La notte scorsa ha piovuto, e – mentre la pista principale è in buone condizioni – appena imbrocchiamo una pista secondaria, cominciano i guai: c’è molto fango, vischioso e color cioccolato, e la Toyota fatica parecchio a procedere. In un paio di occasioni, rischiamo di rimanere bloccati in mezzo ad un lago di fango, con le ruote che girano a vuoto sollevando alti schizzi limacciosi; alla fine Taddeo decide che è meglio cambiare itinerario, ritorniamo sui nostri passi e prendiamo un’altra pista, meno disastrata. Arriviamo sulle rive di un laghetto, nel quale sguazza placido un grosso ippopotamo e sgambetta un fenicottero. Uccelli dai colori sgargianti svolazzano tutt’intorno. Dopo le foto di rito, torniamo sui nostri passi, e ci dirigiamo verso Est, attraversando una prateria con rari alberi. Dalle scarne indicazioni di Taddeo, capiamo che dovrebbe essere una zona di rinoceronti, così ci sistemiamo tutti in posizione di vedetta (chi in piedi sui sedili, con la testa fuori dal tetto scoperchiato, chi addirittura seduto sul tetto, con vista indisturbata a 360 gradi), e scrutiamo con piglio professionale il paesaggio. Di rinoceronti neanche l’ombra, ma la savana è comunque affascinante. Non c’è nessuno per chilometri e chilometri, solo noi e la nostra jeep gemella, che esplora la zona qualche chilometro più a nord. I due autisti si tengono in contatto con le ricetrasmittenti, pronti a convergere in caso di avvistamenti.

Dopo chilometri e chilometri di piatta savana, giungiamo in una zona caratterizzata da strane ed inaspettate formazioni rocciose, isolate in mezzo a questo sterminato altopiano. Niente rinoceronti, ma gli avvistamenti non mancano: zebre, graziosissime gazzelle, perfide iene, struzzi, uccelli serpentari (che si cibano di rettili), grandi come tacchini, e con strani piumaggi sulle gambe, che ricordano i pantaloni alla zuava.

Lasciamo la pista principale per addentrarci in un’area piuù verde per la presenza di un corso d’acqua: scorgiamo altre gazzelle ed un’altra iena che sonnecchia all’ombra. Finalmente arriviamo i prossimità di un laghetto, popolato da diverse decine di ippopotami. Sono tutti in acqua, suddivisi in due gruppi. Di alcuni si intravedono solo le narici e le orecchie, altri mettono fuori tutta la testona, per esibirsi in cavernosi sbadigli. Uno dei passatempi preferiti di questi gentili animali sembra essere quello di sparpagliare per bene le proprie deiezioni – che vengono prodotte a ciclo quasi continuo -, tramite il codino che viene mantenuto in perenne movimento e sparge tutt’intorno ciò che esce dal posteriore. Una simpatica quanto inconsueta abitudine.

Assistiamo anche ad una paio di duelli tra grossi individui, che si affrontano a bocca aperta, mostrando una gola profonda e grossi denti giallastri.

Ammiriamo per una mezz’oretta lo spettacolo, prima di tornare sui nostri passi. Dopo uno spuntino al sacco presso la stazione dei ‘rangers’, usciamo dal parco Serengheti, che ci garantirà un’inesauribile riserva di ricordi per parecchi lustri. La strada per il parco Ngorongoro è ancora lunga; mentre noi cittadini ci concediamo un sonnellino o tranquille chiacchiere, il fido Taddeo ci conduce con abilità lungo piste impervie ed assai polverose. Il paesaggio è quasi desertico, ma a poco a poco comincia a cambiare, mentre ci avviciniamo al parco Ngorongoro. Incrociamo diversi villaggi Masai, e parecchi pastori-guerrieri masai, con la caratteristica tunica rosso scarlatto. L’immancabile bastone e – in qualche caso – anche un’acuminata lancia. Le abitudini di questa popolazione non sono cambiate da centinaia di anni, e non appaiono contaminate dalla presenza dei turisti che battono queste regioni. A metà pomeriggio, sotto un sole implacabile e – era ora! – tipicamente africano, giungiamo nell’interessante sito archeologico di Oldupai (foto a fianco). Qui uno scienziato tedesco, e la di lui consorte, hanno lavorato per decenni rinvenendo memorabili vestigia dei nostri antenati di milioni di anni orsono. Visitiamo il piccolo ma interessante museo, che conserva – tra l’altro – il calco delle orme di questi progenitori, lasciate milioni di anni fa sulle ceneri eruttate dal vulcano Ngorongoro, che svetta poco distante: si vedono chiaramente le forme dei piedi di due individui (che camminano l’uno mettendo il piede sull’orma dell’altro), e di un fanciullo. Si vedono anche i segni lasciati dallo zoccolo di un cavallo. Da una terrazza si può ammirare la vasta area interessata dagli scavi, che hanno riportato alla luce anche ossa e teschi dell’Homo Habilis e dell’Homo Sapiens. Alcuni pastori masai vendono oggettini di artigianato su un banchetto.

Dopo la visita proseguiamo il viaggio; continuiamo a salire, il nostro amico Alberto ci tiene aggiornati sulla nostra altitudine, tramite l’altimetro incorporato nel suo tecnologico orologio.

Finalmente Taddeo ferma la Toyota in prossimità di un dosso, dal quale si gode una vista straordinaria dell’interno del cratere Ngorongoro: il cratere (testimonianza di un enorme vulcano che era attivo circa 8 milioni di anni orsono) ha un diametro di ben 16 chilometri! Riusciamo ad abbracciarne l’intera estensione da questo punto vi vista molto spettacolare. Al centro del cratere c’è un lago, e l’intera zona contornata dal cratere costituisce un habitat ideale per decine di specie animali.

Proseguiamo il nostro faticoso ma scenografico viaggio, costeggiando il bordo superiore del cratere, immersi in una vegetazione rigogliosa. Manca ancora una mezz’oretta di viaggio prima di giungere al nostro Ngorongoro Sopa Lodge, quando inizia un fitto scambio di messaggi via radio tra Taddeo ed il suo collega della jeep gemella. Non capiamo cosa stia succedendo, certo è che lo scambio di messaggi è continuo, e coinvolge anche l’operatore radio del Sopa Lodge. Solo più tardi scopriremo che la jeep gemella ha avuto un guasto, e che è stato necessario trasbordarne gli occupanti (compresi i bagagli) su un mezzo di fortuna. Tutto si risolve, comunque, per il meglio.

Arriviamo al Ngorongoro Sopa Lodge giusto in tempo per il tramonto. Il lodge è bellissimo, forse il più scenografico tra quelli frequentati in questo safari: un corpo centrale elegante ed in puro stile ‘africano’, una bella ed elegante ‘lounge’, con un enorme camino nel quale scoppietta un bel fuoco, e soprattutto una vista mozzafiato sull’interno del cratere con il suo lago.

È quasi il tramonto, e tutti i turisti si stanno raccogliendo sulla terrazza ai bordi della piscina, per assistere allo spettacolo. Buttiamo i bagagli in camera, e ci precipitiamo anche noi per accaparrarci una poltroncina ed assistere al drammatico tramonto. Scattiamo qualche foto al sole che sparisce dietro al bordo del cratere, mentre nuvole tipicamente africane disegnano il cielo, ma ci rendiamo conto che non sarà possibile rendere che in minima parte la magìa di questi momenti.

Poi, ad imbrunire incombente, indossiamo qualcosa di caldo (siamo a 2400 metri, e fa decisamente freschino) e cui concediamo un cocktail e tranquille letture attorno al caminetto scoppiettante della ‘lounge’. Scambiamo quattro chiacchiere con un gruppetto di canadesi, reduci dall’ascensione al Kilimangiaro, e curiosi sulla possibilità di vedere leoni nei parchi. Li rassicuriamo, i felini non mancano !!! Poi una buona cena nell’affollato ristorante, ed a letto sotto le coperte nella notte ricca di misteriose presenze. 14 agosto – martedì Dopo una robusta colazione, carichiamo armi e bagagli sul Toyota e ci apprestiamo al safari nel parco Ngorongoro.

Prendiamo una ripida pista che, con arditi tornanti, ci porta in pochi minuti dal bordo del cratere al vasto altopiano che occupa la parte centrale del cratere stesso. Per via incrociamo un nutrito branco di babbuini, che occupano gran parte della pista, provocando inevitabilmente un piccolo ingorgo di fuoristrada. Finalmente riusciamo a proseguire ed iniziamo la nostra scorribanda all’interno del cratere.

Ora, sarà bene ricordare che la caratteristica principale di questo parco è costituita dal fatto di trovarsi in gran parte – come detto – all’interno di uno sterminato cratere vulcanico. Una volta raggiunto il vasto altopiano centrale, il colpo d’occhio tutt’intorno è davvero unico, con il bordi rialzati del cratere che circondano la pianura interna. Accedere all’interno del cratere non è semplicissimo, e tampoco uscirne; questo fatto ha preservato – nel corso dei millenni – la ricca fauna caratteristica del posto.

La notorietà di questo parco, e la sua estensione nettamente inferiore a quella, per esempio, dello sterminato Serengeti, hanno un riflesso negativo: la presenza dei safaristi è molto più massiccia, e visibile. In ogni momento, guardandoci intorno, possiamo scorgere almeno due o tre fuoristrada di altri turisti che – come noi – sono alla ricerca di crude ed animalesche emozioni. Risultato: meno avvistamenti del solito, gli animali sembrano beffarsi di noi – o forse sono soltanto infastiditi da tanta umana presenza – e si mostrano con minore generosità.

Intendiamoci: anche qui le emozioni non mancano! Avvistiamo (oltre alle onnipresenti gazzelle e zebre) grassi e placidi ippopotami che sonnecchiano nel paciugo.

Incontriamo anche un bel branco di zebre, che si abbevera ad una pozza. E non manca un bel leone, addormentato in mezzo ad una radura.

Vediamo anche alcuni bufali, che sono piuttosto scontrosi e si tengono a debita distanza. Non mancano neppure gli gnu, anzi veniamo letteralmente circondati da una scalpitante mandria di gnu in trasferimento. Taddeo, in reltà, ci terrebbe a farci vedere il mitico e raro rinoceronte, ma la faccenda sembra più complessa del previsto. Poi finalmente la radio i bordo comincia a gracchiare, e Taddeo – dopo un breve scambio di battute in swahili – inverte precipitosamente la marcia e si getta a rotta di collo su una nuova pista. Ecco che poco distante scorgiamo un gruppo di fuoristrada, qui particolarmente numeroso. Ci avviciniamo e, al centro di una radura, scorgiamo un bel rinoceronte bi-cornuto che pascola placidamente. Sarà a 100-120 metri da noi, sfoderiamo cannocchiali e binocoli e lo osserviamo con attenzione. La distanza non consente fotografie significative, così ci limitiamo ad una osservazione naturalistica. Il bestione si muove poco, e seguita a brucare l’erbetta, immerso in placide meditazioni.

Dopo una decina di minuti, ci rimettiamo in marcia. Una breve sosta fisiologica poco distante da un branco di ippopotami, ed imbocchiamo finalmente una pista assai accidentata, che ci riporterà sul bordo del cratere. Taddeo deve innestare le ridotte per tirarci fuori dal Ngorongoro, ma in una mezz’oretta siamo sani e salvi sulla cresta del cratere.

Un’ultima occhiata a questo straordinario panorama, e ci buttiamo giù per la pista che – fiancheggiata da umida foresta pluviale, nella quale si percepiscono copiose animalesche presenze – ci porta alla stazione dei ‘rangers’ all’ingresso del parco.

Qui è in programma una sosta per il pranzo al sacco. Il nostro driver distribuisce a tutti la scatola contenente lo spuntino (oggi il rustico ma sano menù prevede pollo fritto, patatine, formaggino, banana, dolcetto, gallette, anguria, acqua); mentre i nostri amici si sistemano accanto alle jeep, su un muretto, noi tre adocchiamo un praticello al limitare della foresta, e ci accoccoliamo comodamente sull’erbetta, con l’acquolina in bocca.

È un attimo: MG lancia uno strillo, e balza in piedi con un salto acrobatico, brandendo la sua coscia di pollo a mo’ di spada e mimando colpi di scherma con un misterioso avversario; Luc si alza, temendo che il caldo, la stanchezza e le privazioni abbiano giocato un brutto scherzo all’equilibrio psichico della dolce consorte, ma – giratosi – si trova di fronte ad un enorme babbuino, uscito dalla boscaglia, che cerca di impadronirsi della scatola con il cibo di MG. Viene tentata una blanda reazione, ma il babbuino si alza sulle zampe, mostrando un piglio aggressivo ed un paio di gialli dentoni acuminati, e ci stende con una zaffata di alito pesante.

È meglio battere in dignitosa ritirata. Luc e Marco riescono a salvare la propria scatola, e con essa il pranzo, ma MG rimane con un becco di naso, ed una striminzita coscetta di pollo in mano, mentre il babbuino banchetta con il suo pranzo, frugando avidamente nella scatola (e la foto qui a fianco ne è la prova) La scena viene seguita con scoppi di irrefrenabile ilarità dagli occupanti di uno sgangherato pullman locale, e noi facciamo la figura dei piccioni.

Ma poco male: la solidarietà tra turisti consente anche a MG di rimediare un parco pasto, ingurgitato con occhio vigile alle mosse del babbuino che, completato il banchetto, é stato raggiunto da una numerosa famiglia e continua ad aggirarsi con fare minaccioso. Riprendiamo il viaggio, che è ancora lungo. Per fortuna, ci pensa Taddeo a guidare, e noi possiamo sonnecchiare o dedicarci a pacati chiacchiericci. In serata arriviamo ad Arusha, il capoluogo di questa regione, dove ci sistemiamo al Novotel. Salutiamo Taddeo, elargendogli una mancia plurimilionaria, e – dopo un sommario restauro in camera – ceniamo al ristorante dell’albergo.

Durante il pasto, ci scambiamo – con gli amici della nostra jeep, e con quelli della jeep gemella che hanno fatto il nostro stesso giro – impressioni e commenti sul safari, e facciamo anche una seria votazione segreta sul livello di gradimento dei diversi parchi, e degli alberghi nei quali siamo stati ospitati. A beneficio dei posteri, i risultati della democratica votazione sono i seguenti:  Parchi: 1° Serengeti, 2° Ngorongoro, 3° Tarangire, 4° Lake Manyara  Lodges: 1° Serengeti Sopa, 2° Ngorongoro Sopa, 3° Lake Manyara Serena, 4° Tarangire Sopa Non mancano accesi commenti ai risultati, pesantemente condizionati dal giudizio negativo sul Ngorongoro Sopa Lodge da parte di Alberto, influenzato dal fatto di aver scovato due innocui topolini di montagna in camera…

Con la serata di Arusha si conclude la prima parte del nostro viaggio in Tanzania, quello dedicato al safari: domani ci trasferiamo a Zanzibar, e sarà sole, mare e dolce far niente…

Dal 15 agosto – mercoledì – al 21 agosto – martedì Ci trasferiamo all’aeroporto di Arusha, dove già ci attende il pilota del nostro aeroplanino personale. Il pilota si occupa di tutto: carica i bagagli sull’aereo, distribuisce i sacchetti per il mal d’aria, poi si siede ai comandi e ci porta in volo, validamente assistito da Marco, che gli siede orgoglioso al fianco, al posto del secondo pilota.

Sorvoliamo dapprima una zona arida e apparentemente poco popolata, poi un tratto di costa ed il braccio di mare che separa Zanzibar dal continente. Dopo poco più di un’ora di volo, siamo in vista dell’aeroporto di Stone Town, la capitale di Zanzibar. Atterriamo sofficemente, e tributiamo un bell’applauso al nostro pilota. Poi un’oretta scarsa di pullman, attraverso strade costeggiate da ricca vegetazione, per giungere al nostro villaggio Karibu, sulla spiaggia di Kiwenga. Espletate le formalità di rito, prendiamo possesso del nostro bungalow, in posizione privilegiata sulla collina, circondato da un curatissimo giardino. Dietro i ciuffi delle palme, di fronte a noi, si intravede il mare dai colori spettacolari! La vita al villaggio si svolge con ritmi assai rilassati: il mattino è il momento ideale per godere della splendida spiaggia, di sabbia bianca con la consistenza del borotalco. La distesa di sabbia è lunga alcuni chilometri. Il mare è di un bel colore azzurro turchino, che diventa più scuro avvicinandosi alla barriera corallina, 7-800 metri al largo, dove si vedono frangersi le onde dell’oceano Indiano.

Il fenomeno della marea è assai marcato: quando c’è l’alta marea, la profondità della spiaggia si riduce a pochi metri, e spesso il mare è spumeggiante di cavalloni, ideali per allegre capriole e fanciulleschi spruzzi. Quando, invece la marea è bassa, il mare si ritira sino oltre la barriera corallina, ed è così possibile esplorare il fondale corallino (ricchissimo di conchiglie e stelle marine multicolori, così come di insidiosi ricci). Luc e MG dedicano buona parte del tempo libero a placide letture e tranquille passeggiate, mentre Marco socializza – assieme al suo amico Alessandro, unici maschietti giovani del villaggio… – con un nutrito gruppo di vivaci e procaci fanciulle, e si dedica a rudi sport, come la canoa ed il tiro con l’arco. In pratica, lo salutiamo al mattino, e lo rivediamo – quando va bene – a notte fonda…

Le nostre passeggiate sulla spiaggia sono l’occasione per fare amicizia con le miriadi di bambini nerissimi che giocano sulla spiaggia, e per entrare in contatto con i simpatici locali, che gestiscono negozietti sulla spiaggia per la vendita di semplici oggetti di artigianato, e bei quadri ‘naif’, realizzati con la tecnica detta “Tinga-Tinga”. Dopo aver analizzato e confrontato cosa offre il mercato, passiamo senz’altro all’acquisto di quattro belle tele, trattando direttamente con i pittori. La fase di trattativa è complessa, ma fa parte del gioco partire con richieste astronomiche, da parte del venditore, alle quali vengono contrapposte offerte ridicole, da parte di noi acquirenti. Prima o poi ci si accorda per un prezzo ragionevole (in tutto paghiamo all’artista qui a fianco – che sembra piuttosto soddisfatto – per quattro tele piuttosto grandi, 35 dollari più un vecchio orologio di plastica… Vale anche la tecnica del baratto!) Siamo molto soddisfatti dei quadri che abbiamo comperato, ai quali bisognerà far spazio sulle pareti di casa, in qualche modo…

Comperiamo anche due modellini di barche, realizzati dai giovani del luogo. Bisognerà imbottirle bene, quando si tratterà di fare i bagagli! I giovanotti che gestiscono i negozietti sulla spiaggia sono davvero molto simpatici, e si esprimono in ottimo italiano, imparato “in diretta” dai turisti. C’è un baldo ragazzone, tifoso dell’Inter e di Ronaldo, e da lui comperiamo un animaletto intagliato nel legno. La trattativa sul prezzo prosegue blandamente, inframmezzata da divagazioni calcistiche, finché ci accordiamo per pagare pochi dollari per la figurina. Al che il nostro amico ci fa, scivolando lievissimamente sul romanesco: “Va bene, d’accordo amico, ed ora CACCIA LA GRANA!” Scoppiamo a ridere a crepapelle, mentre il giovanotto ci guarda senza capire le ragioni della nostra ilarità…

La sera ci diamo appuntamento con i nostri amici nei pressi del ristorante, dove Enzo (uno della troupe del villaggio, un simpatico e sagace toscanaccio) intrattiene i villeggianti con chitarra ed armonica a bocca. Poi si pasteggia, approfittando abbondantemente del ricco buffet, prima di concludere la serata con tranquille chiacchiere o qualche spettacolino al teatrino del villaggio.

Visitiamo anche la capitale dell’isola, Stone Town: interessante il variopinto mercato, piuttosto banale il resto. Acquistiamo alcuni sacchetti di spezie, e familiarizziamo con un gruppetto di giovanotti locali, tra i quali un dolcissimo ragazzino che diventa un inseparabile amico di Marco.

I negozi del centro sono ‘tourist traps’ con prezzi esorbitanti, così curiosiamo molto ma non comperiamo nulla.

Insomma, la settimana di mare trascorre in un battibaleno, e presto ci troviamo a rifare mestamente le valigie: mentre imbottiamo di calzini maleodoranti e magliette informi e dal colore ormai indefinibile borse e zaini, ci ritroviamo inevitabilmente a ripercorrere i momenti più indimenticabili della nostra bella avventura africana: le scorpacciate di polvere sulla nostra jeep senza tetto, il Tarangire con i suoi splendidi panorami, i baobab e l’emozione dell’incontro con i primi leoni, la scassatissima strada torcibudella per raggiungere il Lake Manyara, il bell’hotel sulla cresta della collina, i babbuini blu ed i branchi di elefanti che pascolano ai margini della foresta pluviale, la lunga giornata di viaggio fino al Serengeti, le sgroppate per il parco con l’avvistamento dei ghepardi e del leopardo sull’albero, i grassi ed irriverenti ippopotami e le onnipresenti gazzelle e zebre, il panorama dalla veranda della nostra camera sulla sconfinata savana brulicante di animali, i coccodrilli, il villaggio masai ed i bambini timorosi ma curiosi, il bellissimo scenario del Ngorongoro, con lo spettacolo del tramonto goduto dalla poltrona sulla terrazza, il viaggio sul nostro aeroplanino personale, la rilassante settimana a Zanzibar, con la spiaggia di una struggente bellezza e la simpatia dei bambini e degli abitanti…

Quando si riparte ??? Fine



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