Attimi di terrore a Zanzibar

A Zanzibar abbiamo vissuto attimi di terrore in spiaggia a Jambiani
Scritto da: sofiajom
attimi di terrore a zanzibar
Partenza il: 29/11/2018
Ritorno il: 12/12/2018
Viaggiatori: 3
Spesa: 2000 €
E’ impossibile raccontare il nostro viaggio a Zanzibar non partendo da quell’istante che, di fatto, ha messo la parola fine alla passione per questa vacanza. Jambiani è una località particolare: il mare forma una laguna immensa ove l’acqua è bassissima e per circa un km ci si può addentrare in mare sempre toccando il fondo. Ma, per diverse ore al giorno, la marea si ritira e quel km diventa solo spiaggia. Spettacolare, davvero spettacolare. A noi piace camminare e quindi una mattina che, come le altre, il mare non risulta accessibile, decidiamo di fare una passeggiata fino al conosciuto ristorante “the rock”. Quantifichiamo una ventina di km lungo l’interminabile spiaggia. Ci armiamo di zainetto, cappello, creme, occhiali da sole, entusiasmo, rinunciamo alla macchina fotografica che tanto coi cellulari le foto vengono bene comunque e partiamo… se e quando saremo stanchi ci si ferma e si torna con un taxi. La passeggiata è piacevole… si ammira il paesaggio lunare, le raccoglitrici di alghe, i bambini sulla spiaggia. I pochi turisti che passeggiano, la fila interminabile di hotel e lodge semivuoti che si susseguono praticamente ininterrottamente da Jambiani a Paje a Dongwe, la nostra meta. Vi sono anche ciclisti che percorrono la spiaggia. I soliti “beach boys” che si offrono per gite, barche, acquisti… Tutto prosegue sereno finché non mi sento strattonare… mi volto e nel mio totale stupore mi trovo di fronte un ragazzo con un machete con una lama lunga almeno 40 cm che cerca d’impossessarsi dello zainetto. È piegato sulle ginocchia in modalità attacco… infatti attacca, mi spinge a terra, mi punta il machete alla gola, la sorpresa diventa puro terrore, sembra un incubo, un film horror. Mia moglie urla terrorizzata. Lui si impossessa dello zainetto contenente un po’ di soldi ma, soprattutto, entrambi i nostri cellulari, e scappa. Il tutto dura 10, forse 15 infiniti, interminabili, secondi, in cui capisco la teoria della relatività del tempo. Giovanna scappa verso il vicino hotel. Mi incita a correre. Non ce la faccio, le gambe sono pezzi di legno. Ci soccorrono. Un’ospite spaventata confessa che la reception del suo hotel invita a non camminare in spiaggia per i numerosi casi di rapina. Io sono confuso. Giovanna si lascia andare ad un pianto dirotto. L’incubo è finito. Per un istante chiudo gli occhi, sperando che sia veramente solo un incubo.

Eppure era tutto cominciato come sognavamo. Partiamo il 29 Novembre con Qatar Airways (2h scalo a Doha – 380 € a/r p.p.), splendido servizio a bordo. La prima settimana viene anche nostra figlia. Facciamo il visto in aeroporto, al consolato di Milano ci avevano chiesto 80 € a persona. A Zanzibar costa 50 $. Temiamo di perderci chissà quanto tempo, ed invece in 15 min. passiamo l’immigrazione, un po’ di più per le valige (non c’è nastro trasportatore, quindi le valige vengono ammassate in un’area e la scena per il recupero è un po’ fantozziana).

Un’ora di taxi già prenotato e siamo a Nungwi. Soggiorniamo al favoloso Makofi, un po’ guest house, un po’ ostello. Atmosfera giovanile, rilassata. Noi abbiamo una camera doppia con bagno, mia figlia la capanna senza. Gestito benissimo da Francesco, simpatico italiano che ha fatto la scelta giusta. In quella settimana ci godiamo un mare fantastico, unico posto in Zanzibar non soggetto al fenomeno delle maree, 2 pinnate e già sei circondato da miriade di stelle marine. Birrette e cocktails a base di cocco o amarula godendoci dei tramonti meravigliosi, veramente i più belli mai visti, di quelli che si fondono sulla retina… Ceniamo in splendidi ristorantini sul mare come il “Mama Mia” o il “Baraka” (il nostro preferito) con spesa media di 10 € a testa. Una sera barbeque a “Makofi”, occasione per stringere amicizie che ti rimangono dentro… Ari, ragazzotto americano che gira il mondo da 3 anni, una famiglia cino/canadese reduce da un safari nel Serengeti, mia figlia lega con una coppia di coetanei francesi. Vi è anche un’altra coppia di francesi che ritroveremo a Jambiani e che sarà nostra ancora di salvezza…Certo dobbiamo fare i conti coi famigerati Beach Boys che sono veramente molto, ma molto, ma molto più stressanti di ogni più pessimistica previsione… Ma alla fine impari a tenerli a bada e, personalmente, a trovarli persino simpatici. Da Fabio Cannavaro a Gattuso. Da Leo Messi a Lorenzo il Magnifico. Da Marco Polo a Francesco Totti, insomma nomi tipicamente tanzaniani. Noi per le gite, però ci affidiamo all’Hotel o ad un’agenzia locale… ci piace avere un riferimento preciso. Dopo una settimana ci tocca abbandonare il paradiso. Contrattiamo un taxi che ci porti prima in aeroporto a Stone Town. Mia figlia torna a casa. Gli abbracci di rito e, da bravi genitori preoccupati, le nostre raccomandazioni su cosa fare dovesse succederle qualche cosa. Una volta lasciata la figlia proseguiamo per Jambiani.

E qui cambia tutto. Jambiani presenta il problema delle maree, quindi diventa difficile godersi il mare senza una barca. La spiaggia alle 17:00 è in ombra e ci dimentichiamo lo spettacolo del sole rosso che tramonta sul mare. Inoltre i prezzi sono mediamente il 30% più alti che a Nungwi. Il paesaggio è selvaggio. La prima sera ceniamo nel ristorante del nostro Lodge. Poi al “Karibu” (di fatto il ristorante è la casa di un abitante di Jambiani). C’è molta meno gente, insomma l’ideale per chi vuole la massima tranquillità. Ma a noi da troppo un senso, come dire, d’inattività. Cerchiamo alternative.

A noi piace camminare e quindi, una mattina…

Siamo sconvolti. La prima reazione è quella di scappare. Fortuna ci sono alcuni ospiti dell’hotel che si prendono cura di noi. La famiglia di Aldo, un belga di origine italiana che vive ad Abu Dhabi, di fatto ci adotta riportando un pò di serenità. William, il francese che si trovava a Makofi rinuncia alla sua legittima privacy e praticamente ci cede per quei giorni il suo telefono consentendoci di comunicare con nostra figlia avvisata dell’accaduto, nonché con mia sorella e mia cognata che, ormai, utilizzano il cellulare di William per messaggiare, col poveretto che fa la spola tra la sua sdraio e la nostra, tra la sua camera e la nostra. Comunque non riusciamo a goderci i restanti giorni a Jambiani. Il morale risale solo quando ci trasferiamo a Stone Town (soggiorniamo al Dhow Palace Hotel – splendido palazzo ottocentesco nel cuore di old town). Il tempo che ci rimane lo dedichiamo a girovagare per le intricate viuzze, comprare i soliti regali, scatole di quel “Africaffe” che gustavamo nelle nostre colazioni a Makofi. Il classico dipinto dell’elefante tutto colorato che già sappiamo sarà fonte di litigate sul dove appenderlo. Spezie e quant’altro. Rimane il tempo, ovviamente, per una cena al Mercury, locale fronte mare che mirabilmente sfrutta l’omonimia col più famoso dei zanzibariani.

Un’ultima considerazione prima di partire: la paura vissuta in quei secondi non riuscirà a scalfire la nostra passione per i viaggi da turisti per caso ed il mio amore per l’Africa. E l’indomani si torna a casa… Hakuna Matata.



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