Marieta monta in gondola…

Cibovagando a Venezia
Scritto da: f_bignone
marieta monta in gondola...
Partenza il: 24/10/2014
Ritorno il: 28/10/2014
Viaggiatori: 2
Spesa: 500 €
You desire to embrace it, to caress it, to possess it; and finally a soft sense of possession grows up and your visit becomes a perpetual love affair.” Henry James

Venezia, la regina della laguna.

Un luogo incantato. Uno di quei posti in cui ti ritrovi improvvisamente innamorato e nemmeno ti sei accorto che ti stava accadendo, proprio come diceva Henry James. La magia di Venezia è ancora lì che circuisce quanti vogliano perdersi tra le sue innumerevoli calli, ponti, campi e campielli, senza dar troppo peso al fatto che ormai la città è praticamente spopolata, che le botteghe hanno lasciato il posto a negozietti di paccottiglia cinese, che è più facile trovare un russo o un giapponese che un veneziano.

Siamo tornati qui 7 anni dopo il nostra primo viaggio insieme, ancora da fidanzati, esattamente negli stessi giorni di 7 anni prima. Abbiamo scelto una piccola, semplice pensioncina in sestiere San Polo, vicino a campo San Tomà (Al Campaniel) per poter essere in centro senza spendere un capitale per dormire. Volevamo infatti stare a Venezia (e non a Mestre) per goderci il momento migliore per viverla, quando, dalle 6 di sera in poi, la grande massa dei visitatori fa ritorno al treno o autobus o alla nave da crociera e, all’improvviso, come per magia, la città si svuota e le calli diventano liberamente percorribili laddove solo poche ore prima si creavano ingorghi umani continui.

La prima volta che siamo venuti a Venezia eravamo così concentrati sui monumenti (e su noi stessi, a dire il vero) che non abbiamo dedicato molto tempo a riflettere sulla vita cittadina. Semplicemente avevamo pensato che “al di là” della zona lagunare la vita scorresse normalmente come in ogni altra città d’Italia. Non ci siamo posti il problema che i veneziani potessero vivere davvero a Venezia, né che la vita qui potesse essere diversa da ogni altro posto. Questa volta, invece, non avendo dedicato tempo a Palazzo Ducale o a San Marco, l’analisi della città è stata più attenta. Abbiamo visto mamme andare su e giù per il ponte di Rialto con il passeggino (complimenti, altro che palestra!!), vecchine trasportare per ponti e calli pesanti borse della spesa. Abbiamo fatto caso al fatto che se ti serve un idraulico o un calzolaio… semplicemente non ci sono! Ci siamo perciò chiesti come si viva qui. Indubbiamente una volta si viveva e anche bene, visto che i veneziani sono sempre stati fierissimi della loro città. Ma adesso? Come si può stare senza auto? senza motorino? senza supermercato? E soprattutto: dove sono finiti i veneziani? Abbiamo notato che la zona intorno a San Marco, ormai, ha ben poco di “vero”, purtroppo. Solo grandi e piccoli hotels, ristoranti poco accattivanti e negozietti di souvenirs che vendono tutti esattamente le stesse cose. E, cosa interessante, il business è praticamente tutto in mano agli orientali. Poi, si sa, ci sono Bulgari, Ferragamo eccetera eccetera per far contenti i russi e gli arabi. Diciamo che trovare un negozio che sia una giusta via di mezzo è praticamente impossibile. Ci sono davvero poche boutiques che si possono considerare decenti e immaginiamo che il motivo sia semplice: se non ci sono veneziani a cui vendere delle belle scarpe o un bel cappotto… a chi lo si vende? Ai turisti che, per lo più, arrivano qui in aereo o in treno e non hanno posto in valigia?? E’ stato strano vagare per un città così famosa eppure così mal fornita sotto il profilo commerciale. Insomma, non che avessimo intenzione di fare shopping (a parte i deliziosi guanti in nappa di Fanny!), sia chiaro, ma la cosa ci ha colpiti. Per spiegarci meglio: esiste a Venezia una pasticceria che sia “vera”? ossia che abbia un laboratorio artigianale dove si producono dolci freschi di giornata secondo ricette tradizionali? Magari sì, ma noi di certo non l’abbiamo trovata… ed è un genere che ci garba parecchio. Chi vendeva dolci (perché, a questo punto, ci rifiutiamo di chiamarle pasticcerie) aveva esposte esattamente le stesse cose di ogni altro negozio, tutte uguali, tutte confezionate. E i famosi tramezzini veneziani, imbottiti fino quasi a scoppiare e belli anche solo da guardare, dove sono spariti? Ricordo che da piccola non riuscivo nemmeno a finirne uno da quanto erano pieni di ogni ben di Dio…

E’ un vero peccato che Venezia stia conoscendo questo generale abbandono e ci chiediamo cosa succederà con il passare del tempo: un’inversione di tendenza o un peggioramento tale per cui, alla fine, spariranno anche quelle pochissime bottegucce rimaste?

I prezzi degli immobili sono alle stelle e spesso ne fanno incetta gli stranieri danarosi per poi trascorrere qui quei dieci giorni all’anno (forse). E i prezzi salgono, e i veneziani vendono e si trasferiscono, e gli stranieri comprano e gli appartamenti sono, alla fine, sempre chiusi. E i negozi chiudono perché non hanno nessuno a cui vendere… Anche questa è Venezia: una città-museo da cui la gente oggi scappa dopo esserci cresciuta.

Ma non è solo questa, per fortuna. In città, infatti ci sono ancora pochi, ma buoni, angoli che si sono salvati. Uno di questi è la zona attorno al ponte di Rialto dove ogni giorno viene allestito un mercato che è ormai diventato il “supermercato” più frequentato di Venezia (perché, sembra scontato, ma dove fanno la spesa i veneziani che i supermercati si contano sulle dita di una sola mano e si tratta perlopiù di minimarket tristissimi?). Qui si trova il pesce freschissimo, appena pescato e perfettamente pulito e squamato da pescivendoli più che esperti. Peccato non avere un angolo cottura e un forno dove improvvisare una pasta allo scoglio… Il pesce del mercato va, ovviamente, a finire in tavola nei ristoranti della città e nei “bacari”, ossia piccole osterie che cercano di rimanere “come una volta”. Nei bacari venziani si fa uno spuntino in piedi direttamente al bancone o in strada se il tempo è bello… sotto il “portego” se piove. Di solito si mangiano “cicheti” ossia piccole porzioni (che ricordano un po’ le “tapas” spagnole) di baccalà su crostini di pane, schie (gamberetti di laguna…. deliziose!) in umido con la polenta, frittelle varie di fiori di zucca o verdure. E si accompagna il tutto con una buona “ombra de vin” locale o anche friulano, perché no. Di bacari autentici ne restano pochi, ma li consigliamo di cuore a chi abbia voglia di mangiar bene al punto da accettare anche di mangiare in piedi: Osteria Al portego (Calle della Malvasia, Castello), All’ Arco (Calle Arco, San Polo), Al mercà (Campo Bella Vienna – San Polo , quest’ultimo è un “bacaro moderno”, non ha posto per sedersi, si mangia in piedi in piazza, ma in una giornata di sole è una sosta molto valida) tutti in zona ponte di Rialto, chi attorno al mercato, chi dall’altra riva. Abbiamo anche provato un ristorante molto buono, seppur non troppo a buon mercato, l’Osteria Antico Dolo che si trova in Ruga Rialto al 778.

Con la pancia piena di ciccheti abbiamo fatto delle meravigliose camminate nella notte di Venezia, aggirandoci per le calli ormai deserte, sentendo risuonare solo il rumore dei nostri passi…. ed è stato meraviglioso. Ci siamo volutamente persi, abbiamo attraversato tutti i ponti possibili, abbiamo ammirato la città, avvolta nella nebbia notturna, dai più diversi punti di vista, incuranti del freddo umido. Ci sembrava davvero di essere finiti tra le pagine del libro “L’amante senza fissa dimora” di Fruttero e Lucentini.

Ad un certo punto ci siamo ritrovati davanti all’Arsenale e lì siamo rimasti di sasso davanti all’incredibile ed inaspettata vista di una nave da crociera che ci sfilava davanti nel buio della notte. Ci ha fatto davvero impressione!! Non immaginavamo che fossero tanto grandi e tanto lunghe e soprattutto che passassero così vicine alla riva!! Avevamo letto diversi articoli in proposito, le proteste dei veneziani e degli ambientalisti… ma non immaginavamo che l’impatto fosse così forte. In un attimo Venezia e tutta la sua immensa maestà ci sono parse minuscole davanti a quel colossale “grattacielo orizzontale galleggiante”…e, onestamente, non è stata affatto una sensazione piacevole!

Speriamo che venga vietato quanto prima alle navi da crociera di attraversare la laguna.

Un angolo particolarmente suggestivo di Venezia è il Ghetto ebraico di Cannareggio, uno dei più antichi d’Italia. Qui si vede chiaramente che le case sono costruite soprattutto in altezza, dato il pochissimo spazio destinato alla popolazione ebraica, che era costretta a costruire le proprie abitazioni le une sulle altre. Ogni sera il ghetto veniva chiuso a chiave così da non permettere a nessun ebreo di girare la notte… Anche se è giorno, non si può far a meno di lasciar correre la fantasia ed immaginare il vecchio Shilok (il cupido ebreo de “il mercante di Venezia”) che si aggira furioso tra le calli anguste e buie, maledicendo la propria sorte… Se si è fortunati a passare dal ghetto il sabato, si può dare un’interessante occhiata all’interno del ristorante ebraico Gam Gam dove gli ebrei locali staranno festeggiando lo Shabbat. I “gentili”, ossia i non ebrei, non potranno unirsi a loro per pranzare o cenare, ma sbirciando all’interno vedrete che si festeggia alla grande! Insomma, forse il Ghetto di Cannareggio, nonostante le mille peripezie che avrà vissuto, forse un’anima la possiede ancora…

Concludendo, questa è stata la nostra Venezia… forse un’occhiata personale e un po’ insolita a questo meraviglioso contenitore di bellezza vuota che sta diventando la Regina della Laguna. Speriamo con tutto il cuore di poterci tornare tra 40 anni e scoprire che qualche sindaco illuminato è riuscito a far ribattere un cuore tra questi palazzi vuoti e che Venezia sia tornata ad essere una città viva e abitata da veneziani, non solo da stranieri… chissà! E se invece tornando qui tra tanti anni scoprissimo che non esiste nemmeno più la tradizione di andar per bacari? Che i gondolieri sono diventati tutti stranieri? Per carità, l’integrazione è una cosa bellissima e noi siamo tra i suoi più grandi sostenitori…. Ma le tradizioni, anche quelle sono qualcosa da sostenere e tramandare, quantomeno se vogliamo continuare a ricordarci chi eravamo.

Francesca & Alberto



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