La via della seta uzbeka

Alessandro e Mascia Cardi “La via della seta uzbeka” - quando: primavera - durata: una settimana - viaggio: aereo/autobus - alloggio: alberghi - costo a persona: 1750 € Shopping: ****  Divertimento: **  Relax: **  Cultura: *****  Globale: ****Finalmente l’agognata vacanza si...
Scritto da: alex68
la via della seta uzbeka
Partenza il: 08/05/2009
Ritorno il: 15/05/2009
Viaggiatori: in coppia
Spesa: 2000 €
Alessandro e Mascia Cardi “La via della seta uzbeka” – quando: primavera – durata: una settimana – viaggio: aereo/autobus – alloggio: alberghi – costo a persona: 1750 €

 Shopping: ****  Divertimento: **  Relax: **  Cultura: *****  Globale: ****

Finalmente l’agognata vacanza si sta avvicinando ed è ormai cosa dei prossimi giorni. Una settimana lungo l’antica Via della Seta da Urgench a Taskent in Uzbekistan.

Sono due anni che seguiamo tutte le notizie via internet sull’unico paese dell’Asia Centrale e dell’ex impero sovietico ad aver ottenuto l’indipendenza senza alcuno spargimento di sangue, e senza nessuna guerra civile. Da allora ogni occasione è buona per parlare di Samarcanda, Bukhara e di tutti i mitici luoghi di Tamerlano.

Siamo l’esasperazione delle nostre amiche Cristina ed Elisabetta dell’agenzia di viaggi, perché ogni 6 mesi chiediamo regolarmente l’aggiornamento di tutti i cataloghi.

Finalmente prenotiamo le nostre vacanze e l’otto maggio si parte.

Primo giorno: 8/05/2009 Partiamo di casa alle 14,00 per imbarcarci a Malpensa alle 17,00 e volare , via Parigi, a Urgench. Facciamo subito conoscenza degli altri 6 “dirottati” del volo Uzbekistan Airways che, come noi, per mancanza di posti non potranno usufruire del volo diretto, ma dovranno attendere le 22,00 nella capitale francese.

I nostri compagni sono grandi viaggiatori e si stabilisce subito il feeling che ci porterà a vivere il nostro tour in perfetta armonia.

Milano-Parigi con volo Lufthansa: ottima impressione, personale simpatico e aereo perfetto. A Parigi le indicazioni per il terminal 2 non sono molto precise.

Check in alle 21,15, partenza puntuale alle 22,00 su un Boeing Uzbekistan Airways. Giudizio: buono.

Secondo giorno: 9/05/2009 Giungiamo a Urgench alle 6,35 locali. Siamo un gruppo di 35 persone provenienti da Torino, Fossano, Bergamo, Parma, Venezia, Modena, Ferrara. Con noi un signore franco-canadese che scopro subito essere un “fanatico” della fotografia.

In aeroporto, all’arrivo, la sola pecca di tutto il viaggio: il disbrigo delle pratiche d’ingresso si protrae per 2 ore. Un solo operatore per 2 aerei. Comunque, nonostante il poliziotto sembra un ex agente del KGB, riusciamo a fare amicizia con gli altri del gruppo.

Io e mia moglie, di 40 e 33 anni, siamo i più giovani della compagnia. Anche gli altri viaggiatori sono esperti conoscitori del mondo. La coppia di 85 anni è reduce da un tour archeologico al Cairo! Usciamo dall’aeroporto (due aerei, i nostri, gli unici velivoli presenti) alle 8,35 e da Urgench, la nostra guida locale Nargis (una ragazza di 30 anni che grazie ad una borsa di studio ha frequentato per alcuni mesi l’Università di Perugia), che ci accompagnerà per il resto del tour, ci ragguaglia sul programma odierno. Arriviamo a Khiva all’hotel Malika per colazione. Urgench non ha altre attrattive oltre all’aeroporto! Khiva ci accoglie con le sue mura color ocra. E’ la città più intatta e remota della via della seta in Asia Centrale. Entriamo in città e subito il primo incontro con questo mondo così distante dal nostro: le donne mostrano orgogliose i loro denti rivestiti d’oro e ci chiedono di poter scattare alcune fotografie con loro. E’ infatti usanza uzbeka, visto che il turismo indigeno è prettamente interno, farsi ritrarre con i turisti stranieri per poi , una volta tornati nella città di appartenenza, organizzare una festa che coinvolga tutto il quartiere, durante la quale proiettare le fotografie.

Paghiamo 2000 sum, l’equivalente di 1 €, per poter fotografare tutta la città di Khiva nei due giorni di nostra permanenza.

Entriamo da una delle porte da cui nel 1500 d.C. Passavano i mercanti con spezie, pelli e tesori.

Visitiamo il complesso di IchanKala, la madrassa (scuola coranica) di Amin Khan, la stupenda moschea del venerdì, il bazar con i venditori di colbacchi e marionette, il minareto che il khan aveva commissionato ai suoi architetti per essere il più alto di tutta l’Asia e che invece alla sua morte (alcuni dicono alla morte del primo architetto) è rimasto incompiuto a soli 26 metri.

Nargis ci porta poi a visitare la fortezza Kunya Ark con l’harem, le stalle, le prigioni e la moschea.

Particolare oltre alla Madrassah Islam Kohja del 1910 (la più recente), il mausoleo di Paklavan Mahmud, l’eroe che grazie alla sua forza e astuzia riuscì a liberare dalla schiavitù centinaia di giovani di Khiva.

Paklavan è eroe nazionale uzbeko.

Nella corte del mausoleo a lui intitolato, abili artigiani intagliano leggii per il Corano con 9 diverse posizioni di appoggio ed i famosi bastoni di Khiva.

Uno stupendo gazebo in legno d’ebano copre il caratteristico letto uzbeko, luogo di riposo e relax all’aperto per tutta la famiglia .

Nel percorso che ci porta all’autobus, incontriamo una sposa deliziosamente vestita con un candido abito bianco che ci fa pensare più a un matrimonio nostrano che al rituale che Nargis in seguito ci descrive relativo allo sposalizio uzbeko.

Le tessitrici ci propongono i loro lavori appena ultimati: babbucce in lana multicolori, borse ricamate. Nel tardo pomeriggio visitiamo prima una terrazza panoramica che offre un bel colpo d’occhio sullo skyline di Khiva, città che come Bukhara è stata costruita in un’oasi del deserto di Kyzylkum (sabbie rosse).

Poi ci rechiamo all’interno di una madrassah, dove una famiglia di acrobati ci delizia con piroette e capriole a 10 metri d’altezza su di una fune di metallo.

Usciamo giusto per rimanere abbagliati dalla bellezza delle mura della città vecchia su cui il sole si poggia intenso.

Ricordo simili sfumature di colore a Marrakesch.

Ancora qualche sensazione: il cielo è terso e limpido, pochissime nubi “fotografiche”, il centro antico di Khiva con i suoi 5000 abitanti, le giacche anni sessanta degli autisti, i pulmini collettivi che ti caricano ovunque e ovunque ti accompagnano per pochi sum, i telefoni cellulari ostentati.

C’è aria di Gengis Khan, ti aspetti che compaia dietro l’angolo per conquistare questi visi mongoli…

Terzo giorno: 10/05/2009 Sveglia alle 7,30, partenza dall’albergo alle 9,00. La mattina la dedichiamo a visitare gli ultimi monumenti e gli ultimi scorci di Khiva. Iniziamo dalla stupenda moschea di Djuma lungo la strada che conduce dalle porte Palvan darvasa verso Ata darvasa. Moschea in stile antico con soffitti piatti unici in tutta l’Asia Centrale. L’edificio attuale fu eretto nel XVIII secolo. L’illuminazione scarsa (solo noi provetti fotografi riusciamo a scattare) dai lucernari del soffitto le 212 colonne, di cui 21 originali del x secolo, creano un’atmosfera da sogno.

Visitiamo il palazzo di Alla-Kuli-Khan (1825-1842) con il caratteristico caravanserraglio, i cortili chiusi, le terrazze con le colonne e le logge-ayvan. Una caratteristica della fortezza è il piazzale sopraelevato e tondo su cui veniva posizionata la yurta dei Khan.

Dovunque piastrelle policrome attraggono il nostro sguardo.

Nargis ci spiega la simbologia araba, il fiore della mandorla, il ciclo della vita, le svastiche orientali, i colori tenui e quelli forti: ogni ayvan, ogni rivestimento assume un significato unico.

L’architettura è intrisa di particolari arabo-musulmani e zoroastriani.

Ci rechiamo a pranzo in un tipico ristorante appena fuori le mura.

La cucina è intrigante. Si comincia sempre con antipasti salati e dolci già a disposizione sulla tavola: carote, pomodori, patate, cetrioli e ancora fragole, ciliegie (tipica produzione), arachidi ricoperte di zucchero.

Poi si passa alla minestra, solitamente con poche verdure e carne. Si termina con un piatto tipicamente uzbeko: il plof. È il piatto per eccellenza della cucina uzbeka, quello che accompagna tutte le feste ed in particolar modo i matrimoni. Tutta la comunità, il quartiere, si reca a casa della sposa la mattina dei 4 giorni rituali in cui si sviluppa la cerimonia, per partecipare alla festa assaporando il plof. Il risultato finale è un piatto di riso, sormontato da carne di montone, spezie, uvetta. La cottura segue l’impostazione opposta: si cucinano spezie e uvette, poi la carne di montone, e infine si versa il riso.

Dolce per chi vuole, thè o caffè. Anche il thè ha il suo rito particolare: thè verde, sempre pronto in ogni occasione, a colazione, pranzo e cena, come in molti paesi del nord Africa.

Davanti a ciascuna abitazione, in alcuni casi nell’ayvan, trova posto un enorme letto-divano utilizzato d’estate anche per dormire all’aperto e godere del refrigerio serale. In alcuni casi , come luogo di relax per giocare a scacchi.

Partiamo subito dopo pranzo per il lungo viaggio, circa 480 km, che ci porta attraverso il deserto di Kyzylkum a Bukhara, la Buxoro uzbeka.

Nargis lungo il tragitto ci spiega usi e costumi della sua nazione. Ci parla di come si viva nella tradizione e di come in molti casi il progresso stia pian piano eliminando le stesse tradizioni: matrimoni combinati, divorzio, matrimonio rituale, natalità elevata.

Ci ragguaglia anche sull’economia prima, in periodo sovietico mirata esclusivamente alla produzione di cotone. Dal 1991 l’Uzbekistan ha trasformato la monocoltura in diversificazione, producendo frutta, verdura e soprattutto grano. Per un uzbeko poter offrire il pane prodotto con il proprio grano è un vanto unico.

Facciamo due soste “tipiche” nel deserto. La prima lungo il fiume Amu-Darya, uno dei due corsi d’acqua che sanciscono quasi i confini del paese e che rappresentano nell’immaginario (Robert Byron – La via per l’Oxiana), il percorso della via della seta. Qui nei bagni infastidiamo un piccolo serpentello bianco che si rifugia in un foro del muro.

La seconda in aperto deserto, dove per esigenze fisiologiche, il nostro pullman si divide i pochi cespugli della brughiera! Arriviamo a Bukhara dopo circa 7 ore. Pochi istanti per la consegna del passaporto in reception, ceniamo e ci rifugiamo in un sonno ristoratore.

La nostra camera si affaccia su una piazza di chiara impronta sovietica che contempla oltre ai giardini e alle fontane, il palazzo delle comunicazioni e poco distante, lo stadio.

Quarto giorno: 11/05/2009 Il nome Bukhara deriva da un vocabolo di origine sogdiano (350 a.C.), Buxarah, il posto della felicità.

Clima: anche stamattina il cielo è terso e limpido e si preannuncia una splendida giornata di sole. In Uzbekistan il periodo migliore per un tour è proprio quello dei mesi di maggio-giugno e poi di settembre-ottobre. A luglio e agosto le temperature salgono a 50-55° mentre in inverno, in alcuni periodi, possono scendere a – 30°.

Consumiamo un’abbondante colazione a buffet e partiamo per la nostra visita di Buxoro. Lasciamo il parco sovietico posto di fronte all’albergo e ci muoviamo verso il centro cittadino.

Bukhara è forse la cittadina che meglio rappresenta l’Uzbekistan. Centro storico, castello, viali in perfetto stile da parata, contrapposizioni tra vecchio e nuovo, all’interno di un’oasi del deserto rosso.

Ci muoviamo verso il mausoleo di Ismail Samani del 915-943 d.C.. Fu costruito dal sovrano samanide per custodire le spoglie del padre anche se all’interno dell’antica costruzione è stato identificato solo il nipote di Ismail, Nasr Ibn Ahmad Ibn Ismail. Il complesso cubico, coperto da una cupola emisferica, è all’interno di un giardino fatto edificare in periodo sovietico. La leggenda vuole che nel periodo in cui Gengis Khan invadeva la zona distruggendo ogni tipo di costruzione, il mausoleo per essere slavato venne ricoperto interamente da terra e piante. Passata l’onda barbarica i discendenti di Ismail riscoprirono il mausoleo.

Attraverso un vialetto costeggiato da venditori di colbacchi, marionette e copricapi tipici, ci muoviamo verso il Chashma Ayub, il luogo in cui la tradizione vuole che Giobbe, poggiando il proprio bastone, fece sgorgare una sorgente d’acqua ancora oggi visibile. I locali, bevendo alla fonte, dimostrano la propria devozione e acquistano fortuna e benessere.

Passeggiamo lungo un viale in cui vecchie Fiat 124 costituiscono le botteghe di alcuni venditori di pane. Raggiungiamo così il complesso Bolohauz. Questo presenta di fronte ad una piscina circondata di alberi di gelso, una moschea con ayvan estivo del XX secolo, caratterizzato dalle decorazioni di complicate stalattiti a capitelli. Visitiamo la moschea dopo esserci tolte le scarpe (unica volta durante l’intero viaggio) e scattiamo un paio di foto aiutati dalla luce che il custode, viste le mance depositate nella cassettina all’ingresso, accende per un paio di minuti.

Prima di pranzo ci attende ancora la visita della fortezza Ark, l’antica città reale.

Pochi passi ci conducono al Registan , la piazza principale a ridosso della fortezza, luogo dove venivano svolte anche le esecuzioni pubbliche. Un commerciante del famoso pane di Bukhara si para davanti a noi con il suo esercizio commerciale, una bicicletta con portapacchi, e sorridendo accetta i mille scatti delle nostre macchine fotografiche.

Paghiamo i rituali 1500 sum per le foto e ci inoltriamo attraverso un grosso portone, nella cittadella fortificata. Il periodo più fiorente l’Ark lo passò sotto la dinastia dei Manghit, tra il 1745 e il 1920. Venne parzialmente distrutto dagli assalti dell’Armata Rossa nel 1920. La sua storia ha inizio nel III secolo quando le prime fonti sassanidi lo citano. Il caldo è intenso e percorriamo la via che lungo i bastioni circolari che caratterizzano le mura imponenti, ci conduce ad un piccolo museo di storia. A questo punto non ci rimane altro che ripercorrere la strada a ritroso visitando la moschea di corte, arricchita di decorazioni in gesso dipinto e cartapesta dorata.

Muovendoci verso il ristorante ci fermiamo a visitare il mercato dell’oro. All’interno di una corte, mentre sulla sinistra assistiamo alla distesa dei famosi tappeti di Bukhara, ci infiliamo sulla destra pronti a mercanteggiare per acquistare monili d’oro a 14 carati. Stranamente tutte le botteghe sono gestite solo da donne che sfoggiano sfavillanti “denti d’oro”.

Un super plof ci ristora nel locale più esclusivo di Bukhara. La sua terrazza panoramica ci permette di gustare il colpo d’occhio su cupole, minareti e sulle semplici case color ocra ricoperte da lamiere e “camere d’aria” di terra e legna miste a paglia, il solo sistema per ottenere l’ambiente caldo d’inverno e fresco d’estate.

Il pomeriggio lo dedichiamo alla visita del complesso composto dalla moschea Kalyan (sec. XIV, periodo timuride. Quattro ayvan aperti e una serie di gallerie in cui ancora oggi i giovani di Bukhara si recano per studiare, vista la tranquillità del luogo), il minareto Kalyan (anno 1127, alto 46 metri; ha avuto diverse funzioni oltre a quella di richiamo alla preghiera: torre di avvistamento militare e punto di esecuzione delle condanne a morte del khanato di Bukhara), la Madrasa Mir-i Arab (1535), la sola ancora frequentata in Uzbekistan.

Tutto l’insieme è fantastico. Di fronte all’ingresso della moschea, un vecchio venditore di orologi russi ci mostra orgoglioso la sua vetrina e ci invita per soli 5 dollari all’acquisto di questi cimeli del 1820! Nargis ci spiega come domani avremo il pomeriggio a disposizione per fare acquisti e goderci la fantasia, i colori, l’atmosfera di Bukhara.

Attraversiamo così il mercato coperto antico bazar di Toqi Zargaron, annusando le spezie e il thè, che qui in Uzbekistan viene bevuto ad ogni ora con un rituale tutto suo.

Antichi venditori sbucano un po’ ovunque dagli anfratti più remoti dell’intero quartiere dei mercati coperti. Ci infiliamo curiosi in un angolino, il più buio che c’è, per incontrare una ricamatrice dei famosi “Suzané”, coperte, tovaglie fatte interamente a mano.

Giocatori di scacchi, fabbri ci accompagnano al caravanserraglio di Sayfiddin del XIX secolo, dove in pochi resistono senza fotografare ed acquistare berrettini, suzané, scacchiere multicolori.

Ancora uno sguardo alla piazza Labi Hauz, alla sua piscina circondata da tavolini e panchine, dove le coppie di Bukhara sorseggiano thè al fresco anche in piena estate. Labi Hauz era uno dei maggiori acquedotti artificiali di Bukhara medievale, costruito su indicazione del primo ministro del khan Nudir Devon Begit. La madrasa Kukeldash conclude la serie di monumenti che si affacciano sullo specchio d’acqua e sulla sorridente statua di un uomo a cavallo: il personaggio leggendario che rappresenta il furbo contadino in grado di riscattare con la propria ironia, le sorti del popolo nei confronti del sovrano. In più parti della città si vendono libercoli con le barzellette e le storie legate a questo personaggio creato dalla mitologia popolare.

Per oggi terminiamo le visite. La sera, la guida di un altro gruppo di italiani, la simpatica Shoia, ci conduce in un bel locale di fronte al Poi-Kalyan e vedere la cupola ben illuminata della madrasa è uno spettacolo unico.

Shoia ha studiato in Italia, a Siena e a Torino e conosce bene la nostra città. Ci descrive un po’ la vita semplice della sua famiglia alle prese con una lavatrice che non può funzionare perché una volta manca l’acqua, una la corrente, l’altra il detersivo… Il costo della vita per noi occidentali è molto basso. La benzina quota 0,75 €, e una birra da 75 cent a 1,5 €. In contrapposizione una scheda per foto da 2 gb viene proposta a 22 €! Quinto giorno: 12/05/2009 Continuiamo e terminiamo la visita di Bukhara.

Nargis ci illustra il tipico vestito uzbeko: vestito lungo in fattezze di tunica, sotto il quale sono calzati i pantaloni con pizzo come orlo, calze, scarpe di colore identico al vestito (quello delle scarpe è un culto: i locali ti osservano e chiedono informazioni sulle calzature di tutte le nostre compagne di viaggio). Gli ombrellini da sole non mancano mai. Gli uomini indossano scarpe rigorosamente nere, camicia spesso bianca e pantaloni stile Italia anni 50-60.

A Bukhara le forme di pane sono più grandi rispetto a Khiva. La nostra guida ci spiega che in ogni città che visiteremo le forme, le dimensioni ed i decori saranno diversi.

Tra le vie di Bukhara scattare fotografie è un piacere: bambini che si esaltano, madri che mostrano orgogliose i loro figli, signore con la dentatura d’oro, vecchi venditori di semi e sigarette sfuse, mercanti di carote, di pani, sposi… Ci attende come prima tappa la madrasa Chor Minor, 4 minareti che la leggenda vuole siano stati fatti costruire da Halif Niazkul nel 1807, per ricordare le 4 figlie morte prematuramente.

Visitiamo la Chor Bakr, necropoli degli Sheikh della famiglia dei Seiid di Djnibar e ci dirigiamo al complesso commemorativo di Bakha Ad-Din Nakshbandi, protettore di Bukhara morto nel 1389.

Divenne esponente della comunità Sufi che negava l’ascetismo e si occupava di agricoltura. Al centro del complesso, un cortile rettangolare dove si trova il sepolcro di Nakshbandi.

Un gruppo di addetti scuote le piante di gelso per raccoglierne i frutti succosi. E’ usanza posizionare a fianco della tomba di un personaggio ritenuto Santo, una grande pertica sormontata da una coda di cavallo. Attorno a quella di Nakshbandi ruotano 3 volte i pellegrini credenti.

Visitiamo la necropoli moderna e ci dirigiamo verso l’uscita. Prima però il tempo necessario per fotografare un vecchio musulmano con la sua barba bianca di fronte al minareto.

Un tronco di un vecchio gelso è ritenuto un portafortuna se il credente vi gira attorno 3 volte passando sotto il ramo più vecchio.

Giancarla e Isabella, due nostre compagne di viaggio, non lesinano foto ai pellegrini in visita.

A questo punto ci dirigiamo con il nostro autobus al Mohi-Xossa. Il palazzo fu la residenza di campagna degli emiri di Bukhara. I lavori iniziarono alla fine del XIX sec. Sotto il regno di Abdullahad Khan (morto nel 1910). La costruzione evidenzia l’applicazione delle tecniche russe alle tradizioni locali. L’interno è sontuosamente affrescato e decorato.

Un’antica ghiacciaia completamente in vetro ci introduce all’ayvan coperto, addobbato di vasi russi e cinesi.

Visitiamo poi un piccolo museo di abiti e scarpe d’epoche diverse (gli zoccoli a due tacchi alti per camminare nella sabbia del deserto) e ci riposiamo qualche istante nella terrazza dell’harem. Da qui l’emiro sceglieva la concubina per le sue serate, dopo averla vista nuotare nella piscina di fronte e averla fatta cospargere di latte d’asina.

E’ tardi e torniamo in albergo per pranzo. Il pomeriggio lo dedichiamo allo shopping nella parte dei vecchi bazar. Impariamo a conoscere meglio la giovialità degli uzbeki, contrattando l’acquisto di vecchie cipolle russe , le figurine di ceramica che rappresentano i saggi antichi, i tappeti con le forme di Bukhara, coltelli e forbici incisi.

Accompagniamo gli altri compagni di viaggio sulla strada di ritorno all’albergo.

Cena e a letto presto: domani ci attende una lunga giornata di trasferimento.

Sesto giorno: 13/5/2009 Prima di lasciare Bukhara saliamo la 12° piano del nostro albergo per scattare qualche foto panoramica all’alba, un’alba che si staglia sui minareti e sulle cupole blu intenso.

Penso a lungo a quanto Nargis ci ha spiegato in questi giorni sullo sviluppo economico seguito alla indipendenza ed alla monocoltura del cotone, alla volontà di una popolazione di risollevarsi, di spingere il piede sull’acceleratore del progresso senza tralasciare il proprio passato.

Nargis ci ha illustrato il rito del matrimonio, con la sposa che deve indossare i 40 vestiti nuovi della dote, con scarpe abbinate, con il futuro sposo che al termine del primo giorno porta i cibi della festa dentro una tovaglia agli amici.

E ripenso ai volti tanto diversi che mi circondano: mongoli, tartari, russi, coreani, rumeni, uzbeki, giapponesi, coreani che si ritrovano alla festa del Navrus, il capodanno uzbeko quando le etnie si vestono degli abiti rituali e tra le vie cittadine allestiscono banchetti con cibo di benvenuto per tutti i passanti.

Iniziamo la giornata di trasferimento a Samarcanda. Lasciamo Bukhara sotto la scorta di mille Daewoo Matiz (costruite nella valle di Fergana da quando Daewoo è stata dichiarata fallita) e vecchie Fiat 124.

Facciamo una tappa dopo circa 2 ore di viaggio in direzione Shakrisabz. Un piccolo centro commerciale locale ci offre la possibilità di gustare il pane di queste parti: una pizza a sfoglia molto invitante e che divoriamo tutti facendo attenzione a non lasciar cadere briciole per terra, perché segno di malaugurio ed è considerato un insulto calpestare il pane. Io credo sia più che altro per igiene, in modo da non attirare topi e formiche! Mascia esce dallo scantinato con la forma circolare ancora fumante.

Alle 11 siamo finalmente a Shakrisabz, città natale del condottiero Tamerlano.

La “città verde” ci accoglie sotto un cielo blu intenso come solo in Asia centrale il cielo sa essere. La città è una delle più antiche, con i suoi 2700 anni. Solo Samarcanda ha festeggiato nel 2008 i 2750 anni dalla fondazione, che nuovi studi fanno risalire a più di 2850 anni fa.

Sotto il dominio mongolo, XII-XIII-XIX secolo, Shakrisabz divenne il principato del clan dei Barlas, di cui faceva parte la famiglia di Tamerlano. Il condottiero proprio per l’origine mongola materna, non sarebbe mai potuto diventare khan, ma solo emiro.

Shakrisabz, sotto il regno di Tamerlano (Amir Temur, Amir lo zoppo, per via di un incidente ad un ginocchio che durante un’esercitazione lo rese claudicante) venne abbellita con la costruzione di monumenti imponenti come il palazzo Ak-Saray, il palazzo più grande dell’Asia Centrale all’epoca di costruzione: 500 metri di lunghezza per 600 di larghezza, con un arco d’ingresso di oltre 80 metri. Sulle colonne che lo reggevano (tutto fu distrutto nel XVI secolo sotto Abdullah Khan) una scritta evidenzia l’importanza del “palazzo bianco” anche per chi lo vide costruire tra il 1380 ed il 1405: “se dubiti della nostra grandezza, guarda le nostre costruzioni”.

Il palazzo venne edificato con la collaborazione di architetti locali, del Khoresm e persiani. Tamerlano non riuscì a vederlo ultimato perché morì nel 1404, un anno prima del termine dei lavori.

Nel portale ritroviamo decorazioni a mosaico, con le immagini del leone e del sole e l’emblema di Tamerlano fatto di 3 cerchi.

I mosaici che ci ricordano “Allah è grande, Maometto il suo profeta”, ricoprono le pareti interne del portale.

Una variopinta scolaresca si mette in posa per gli scatti di noi turisti affamati di immagini.

Raggiungiamo la Dor-Us-Siyodat del XIV-XV secolo. La costruzione venne iniziata nel 1376 alla morte del figlio maggiore di Tamerlano, Djakhanghir. In 25 anni fu edificata una necropoli imponente che accolse poi anche il secondo figlio, Omarsheick. Nei pressi del palazzo solo in parte conservato, visitiamo il mausoleo di Amir Temur (1380-1404) dove Tamerlano doveva essere sepolto. Nel XX secolo gli archeologi trovarono la cripta sotterranea in cui non vi era però il corpo di Amir, tumulato invece a Samarcanda in quando al momento della morte non fu possibile trasferirlo per via delle pessime condizioni presenti nell’inverno uzbeko.

Percorriamo il giardino della Moschea di Hazrati Imom dove sono ancora fioriti 3 platani del 1370, periodo di Tamerlano.

La Ku’k Gumbaz Masijdi del 1434-1435 ci accoglie con le tombe di Shayx Shamsiadin (1373) e Gumbazi Saidon (1437). Nel mausoleo venne sepolto anche il maestro spirituale di Tamerlano, Sheikh Shams Ad-Din Kulal Al- Keshi.

Ci fermiamo a pranzo in un “agriturismo” locale. Ancora 170 km ci separano da Samarcanda, ancora il deserto di Kizylkum, terra rossa, che man mano che proseguiamo diventa sempre più implacabile: alla nostra destra le colline in alcuni punti solcate da mandrie di capre, pecore, asini e mucche. Alla nostra sinistra deserto a perdita d’occhio. Un panorama terribile ed affascinante al tempo stesso.

Sembra di poter scorgere piccole carovane mongole che si fermano per allestire le proprie yurte e piantare l’urga! Scopriamo subito, avvicinandosi a Samarcanda, che le costruzioni cambiano struttura: terra, argilla e paglia a Khiva e Bukhara, pietra a Samarcanda.

Molto bello questo percorso in autobus che mostra un altro volto dell’Uzbekistan: il deserto, i parchi naturali con molte specie protette, le fabbriche di estrazione del gas (esportato poi in Russia ed in Europa) perse in mezzo al nulla (sembra, isolando la vista, di essere ricatapultato nel periodo sovietico, con uno stato centralista avido nello sfruttare le province produttive).

Nonostante il viaggio sia comunque difficile e stancante, i nostri simpatici amici di 87 e 84 anni non perdono un colpo.

Quasi d’incanto il deserto scompare lasciando il posto a colline verdi e piantagioni di grano e cotone.

Ancora un piccolo sforzo per visitare il museo delle rovine di Afrosiab (antica città sorta prima di Samarcanda sulle colline sovrastanti) che conserva interessanti affreschi del VII secolo ed i resti dell’astrolabio di Ulug Beg, il nipote scienziato di Tamerlano. L’osservatorio è datato 1420 e venne completamente distrutto non appena Ulug Beg morì, per mano degli imam che temevano che l’apertura mentale del sovrano potesse far evolvere la popolazione e allontanarla così dalla religione.

Ulug Beg è un altro personaggio molto importante del nostro viaggio, accompagnandoci, la sua figura, come l’ombra di Tamerlano.

Finalmente, stanchi pesti, ci attende una cena ristoratrice all’Afrosiab Hotel.

Dopo cena attraversiamo la strada e dopo pochi passi dall’hotel , ci troviamo di fronte al mausoleo di Tamerlano, ben illuminato a differenza di molti altri monumenti della città. Domani torneremo sui nostri passi. Per il momento il sonno si impossessa di noi.

Il primo approccio con Samarcanda ci presenta una capitale in cui la gente è ben conscia della propria posizione strategica all’interno del complesso sistema economico uzbeko. Sicuramente una città dal fascino eterno come Marrakech, come Baghdad (che mai potremo più vedere), come Herat. Una città che ti ispira fantasie da Mille e Una Notte, da Sinbad il Marinaio, con il mausoleo illuminato, i minareti splendenti e le stelle nel cielo, Alì Babà che ti aspetta nel bazar…

Settimo giorno: 14/05/2009 Dopo un’ottima colazione a base di caffè, fragole e piccoli dolci morbidi come il pane, ci incamminiamo per iniziare la nostra ultima giornata di visite guidate.

I giorni sono trascorsi velocemente, come i tanti chilometri percorsi, i siti visitati, i volti amichevoli dei nostri nuovi amici uzbeki.

Cominciamo la visita dal complesso dedicato al teologo sunnita Imam Ismail Al –Bukhariy (morto nel 870 d.C.). L’Imam fu colui che raccolse centinaia di migliaia di “Khadis” le leggende sul profeta. Gli scritti furono canonizzati nel X secolo e il complesso di Ismail Al – Bukhariy divenne da subito una delle principali mete del pellegrinaggio islamico, dopo la Mecca.

Ci accolgono all’ingresso diversi fotografi “professionisti” che con le loro tascabili scattano immagini che corrono immediatamente a stampare e che per 3000 sum ti consegnano in formato 30×20.

Anche i locali amano farsi fotografare in questo posto sacro e per di più, amano farsi ritrarre con noi turisti. Mascia ed alcune compagne di viaggio aiutano nell’impresa tre ragazze della capitale.

Oggi il cielo è fantastico, blu terso come non mai.

Assistiamo alla preghiera di un gruppo di pellegrini che poi si reca nel laghetto di fronte al sarcofago che custodisce la sepoltura di Ismail Al Bukhariy, per bere e aspergersi il capo con l’acqua beneaugurante.

I saggi, barbe bianche, ne approfittano per scambiarsi auguri e saluti amichevoli.

Pochi chilometri ed eccoci al complesso monumentale Shohi Zinda. In versione “latina”, Shakhi – Zinda vuol dire “scià vivente”. La leggenda ci racconta che il profeta Elia guidò Kusam Ibn Abbas, cugino del profeta Maometto, sul dirupo del colle di Afrosiab, a nord dell’attuale città di Samarcanda. Kusam partecipò alle campagne militari arabe nel Maverannakhr. Venne poi ferito a morte presso le mura della città e si nascose in un palazzo sotterraneo dove si dice viva tuttora.

Dal IX secolo Samarcanda incontrò una fase di forte sviluppo ed intorno al mausoleo di Kusam si creò una imponente necropoli. Ancora nel XIV sec. Con il culto degli “uomini pii”, il sito si ampliò e Tamerlano ne fece luogo di sepoltura per molte donne della sua casata. Nel 1435 Ulug Beg fece erigere la porta d’ingresso monumentale.

Paghiamo i 1500 sum per poter fotografare e cominciamo a salire i 40 gradini che ci porteranno ai molti mausolei timuridi, di emiri, uomini e donne della dinastia di Timur: Shodilmulk , Shirinbeka, Sakkiz Qirrali.

Vuole la tradizione che se si contano gli scalini durante la salita ed il numero coincide con quanti gradini saranno contati nella fase di discesa, la vita sarà sicuramente fortunata.

Per non offendere i nostri ospiti, contiamo e iniziamo l’ascesa.

Il complesso è davvero ciclopico. Mausolei sormontati da cupole blu cobalto, lungo una via che si perde verso la collina.

Nargis ci porta a visitare anche la zona del cimitero moderno per farci vedere le differenze tra persone comuni, importanti, ricchi , poveri, mussulmani (non ci sono immagini), russi, ecc.

Un mullah all’interno del mausoleo Qusam Ibn Abbos con la sua cantilena ci augura felicità, salute e ricchezza.

Giusto il tempo per acquistare qualche souvenir nei piccoli negozietti presso l’ingresso della necropoli e una bottiglia d’acqua (il caldo oggi è particolarmente insistente) e ci dirigiamo alla moschea Bibi-Khanym, del XIV-XV sec, periodo timuride. Venne commissionata da tamerlano dopo una campagna vittoriosa per rappresentare l’ingresso a Samarcanda da nord.

Più tardi sarebbe stato costruito il mausoleo di Saray Mulk Khanum, la moglie prediletta di Tamerlano. Due minareti assistono l’enorme portale d’ingresso e ci incutono un certo rispetto mentre diamo fondo ad altri 1500 sum per fotografarne l’interno.

Qui incontriamo uno studente uzbeko che da qualche mese sta imparando l’italiano a scuola. Ci assisterà alla visita del ricco e variopinto mercato, per contrattare con i venditori locali e per far pratica con la nostra lingua.

Prima di lasciare la moschea riesco a riprendere una ragazza nel suo abito da sposa, uno dei 40 che dovrà indossare nel periodo che segue lo sposalizio.

Il mercato si presenta con i suoi venditori di semi, arachidi, frutta secca, e con la trattativa continua tra “banco e pubblico acquirente”, ceci, grano, mais fanno bella mostra sui tavoli del mercato coperto.

Anche l’olio di cotone viene venduto con la solita asta del prezzo.

Passiamo ai banchi di verdura dove possiamo riconoscere visi russi dietro ogni bancone.

Pochi gradini e siamo in “panetteria”, dove la fragranza e l’aroma delle ciambelle decorate ci assale. Per fortuna pochi minuti ed andremo a pranzo altrimenti un paio di pani sarebbero tranquillamente finiti nelle nostre pance.

Carote, zucchine, sedani grattati, sono offerti da simpatiche signore che si proteggono dal sole con i loro variegati ombrellini.

Tornando verso Nargis incontriamo una ragazza con una lunga treccia. Ci spiega che 1 o 2 trecce sono simbolo di donna sposata, più trecce vengono utilizzate dalle donne nubili.

Mascia non resiste ed acquista una sciarpa in kashmir a poco più di 10 dollari.

Devo trascinarla a forza prima che acquisti l’intero campionario della ragazza che ci segue all’autobus! Finalmente ci ritroviamo a pranzo nel nostro hotel. La cucina di Samarcanda è sicuramente la più ricca. In albergo la birra è un po’ più cara ed un buon bicchiere lo paghiamo 5000 sum (2,5 €).

Qualche defezione da parte dell’altro gruppo che viaggia con noi, inizia ad esserci. Noi sembriamo “invincibili”, come dice Nargis.

In effetti la nostra è una comitiva relativamente più giovane.

Questo pomeriggio ci aspetta il mausoleo di Gur-Emir, proprio di fronte all’hotel, dove già ieri sera facemmo un breve sopralluogo. Il sito illuminato da sicuramente un colpo d’occhio stupendo.

Fu costruito su volere di Tamerlano nel XV secolo per rappresentare il luogo di sepoltura del nipote ed erede al trono, Muhammad Sultan, morto anzi tempo a soli 29 anni. In realtà il mausoleo contiene le lapidi sepolcrali dei due figli Miransham e Shah Rukh, della guida spirituale Saqyyd Barakh e di Ulug Beg. Anche Tamerlano venne qui sepolto nel 1405, impossibilitato ad essere inumato a Shakrisabz.

La tomba di Tamerlano è un’immensa pietra (giada azzurra) in unico blocco. L’interno è finemente decorato e a differenza di altri mausolei riporta l’unica scritta MUHAMMAD, non ad indicare il Profeta, ma il nipote di Tamerlano. Ultimo complesso che ci attende, ma come si suol dire “last but not least”, il Registan.

L’immensa piazza appare all’improvviso dietro una statua in bronzo rappresentante un’antica carovana. Bambini festanti salgono, non capiamo come, sui cammelli scultorei in fila indiana.

Il Registan era la piazza delle adunanze, e come quella di Khiva veniva usata per le esecuzioni capitali.

Si affacciano tre madrasse: quella di Ulug Beg (1420 d.C.), la madrasa Tilla Kari (1650 d.C.), e la madrasa Sher Dor (1636 d.C.).

Prima che fosse costruito l’osservatorio di Ulug Beg, sul piazzale si effettuavano le osservazioni astronomiche. La madrasa a lui intitolata ospitava oltre 100 studenti.

La Sher Dor replica quella di Ulug Beg che la fronteggia: il portale è sormontato da mosaici rappresentanti il disco del sole e una tigre che assale un daino, tutti simboli zoroastriani. Al suo interno è stato creato un mini bazar dove ascoltiamo musica tipica eseguita da uno studente che riesce a venderci qualche CD.

Infine la madrasa Tilla Kari, che fu eretta quando la moschea di Bibi Khanim andò in rovina. La madrasa – moschea fu così chiamata “coperta d’oro” per le decorazioni che ne fecero il monumento più ammirato dell’intera Asia Centrale.

A questo punto le foto di gruppo rituali davanti al Registan e soprattutto la foto di noi “8 dirottati su Parigi”. Stella, la nostra accompagnatrice, sembra una giapponese colta da furore fotografico: le sono affibbiate una decina di compatte da noi tutti. E’ comunque brava anche questa volta a districarsi.

Un ultimo sguardo all’insieme e ci prepariamo per la cena. Stasera andremo al teatro ad assistere ad una rappresentazione in costume da parte di un gruppo folcloristico che si è già esibito in Francia ed in Italia . Ci porge il suo saluto il Presidente dei Teatri nonché rettore dell’Università di Samarcanda.

Ci accomiatiamo tutti subito dopo il termine della rappresentazione perché domani ci dovremo svegliare all’alba per l’ultimo passaggio a Taskent. Salutiamo così coloro che faranno il volo da dirottati su Ginevra. Questa volta a noi tocca il diretto.

Ultimo Giorno: 15/05/2009 Lungo i circa 300 km che ci separano dalla capitale ne approfittiamo per scambiarci gli indirizzi e le ultime confidenze anche con Nargis, che invitiamo a venirci a trovare con la sua famiglia in Italia.

Buoni i compagni di viaggio anche se, soprattutto nell’altro gruppo, in troppi sembravano non avvezzi ai viaggi, continuando a lamentarsi con la guida di turno per i bagni a volte non troppo dignitosi, per dover pagare l’equivalente di 50 centesimi di € per fotografare, ecc.

In aeroporto salutiamo Nargis con un po’ di malinconia.

Sicuramente un bel viaggio assaporando la storia, passata e recente. I volti scolpiti con l’accetta, sorrisi e saluti ovunque. Abbiamo, anche se solo parzialmente visto che il nostro tour è stato organizzato dall’Italia, assaporato l’ospitalità del popolo uzbeko, un popolo che vive nel tempo che fu e che in parte potrebbe essere ancora…Mi pare di sentire Amir Timur bussare alla porta della nostra camera, scortato da 10.000 guerrieri pronti alla pugna.

Arrivederci amici uzbeki.



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