A cavallo tra Ungheria e Slovacchia

In viaggio tra Budapest, Szentendre, Vac e una cittadina come tante in Slovacchia, Sahy, subito dopo il confine tra le due nazioni
Scritto da: Yuri Benaglio
a cavallo tra ungheria e slovacchia
Partenza il: 09/08/2017
Ritorno il: 13/08/2017
Viaggiatori: 2
Spesa: 500 €

Budapest, rieccoci!

Oggi Ungheria e Slovacchia, principesse ancora non del tutto esplorate dell’Europa centrale, contano 15 milioni di abitanti (rispettivamente 10 e 5), un quarto rispetto alla nostra Italia. In Slovacchia, nata come la conosciamo oggi solo nel 1993 (è più giovane di me!), gli ungheresi sono la più nutrita minoranza etnica, gli slovacchi in Ungheria sono la terza minoranza dopo rom e tedeschi: un dato emblematico, che testimonia come queste due nazioni condividano vicende storiche e sociali, rapporti economici, cucina, assi turistici e tanto altro.

Partenza da Milano e arrivo a Budapest di prima mattina. Il volo fila liscio, ma il caldo è estenuante e lo sarà almeno per i primi tre giorni di vacanza, quando si toccherà la cifra record di 39 gradi. Prenotato su AirBnb un piccolo appartamento a Buda, ad attendermi all’aeroporto c’è il mio amico Zsolt, mezzo ungherese e mezzo slovacco (giusto per restare in tema). Prendiamo il bus 200E che dall’aeroporto conduce in città (mi dice Zsolt che da qualche settimana ne hanno messo un altro, più caro, che porta direttamente in centro) dove aveva parcheggiato la macchina. Avendo vissuto in centro (ora vive in periferia, in una strada d’accesso come Ulloi utca), ha il diritto di parcheggiarci gratis fino alla fine del 2017: ne approfittiamo e arriviamo a ridosso delle nostre prime tappe.

Camminiamo fino al Teatro dell’Opera e a Deak Ferenc Ter, snodo fondamentale della mobilità cittadina: qui gli spazi sono ampi, come da tradizione di Budapest. Ero già stato a vedere le attrazioni principali come la Sinagoga, la Basilica di Santo Stefano, il Parlamento, le Scarpe della Memoria all’Olocausto sul Danubio, la Piazza degli Eroi e dintorni, così pongo la mia attenzione su altro: sui bellissimi ponti, ad esempio, che collegano Buda a Pest e viceversa, sui moderni e frequenti (talvolta affollati) tram della città e sulle metropolitane: la linea M1, ad esempio, è stata dichiarata Patrimonio dell’Umanità nel 2002, sulla M3 circolano ancora i vecchi e affascinanti convogli sovietici, mentre la M4 (aperta parzialmente nel 2014) vanta alcune stazioni architettonicamente travolgenti. Un’altra cosa mi balza subito all’occhio (impossibile non accorgersene, tra annunci sonori sui mezzi e poster ovunque): è la settimana dello Sziget Festival, nato nel 1993 e oggi tra i più importanti festival musicali al mondo.

Sono le tre di pomeriggio: è ora di andare in appartamento per il check-in. Siamo a Buda, in Maros utca, nei pressi del mio primo soggiorno in questa magnifica città. Rivedo con piacere Szell Kalman ter, tirata a lucido nel 2016 (in effetti i miei ricordi di questa piazza non erano dei migliori…). Comunque Zsolt sbriga le formalità di casa mentre io sono già a letto sdraiato: mi sono alzato alle quattro del mattino per il volo e non ho di fatto dormito. Una annunciata pennichella diventa un riposo fino alle sette di sera e poi via, di corsa a vedere la Città Vecchia, il Bastione dei Pescatori, la Chiesa di San Mattia, il Castello, il Museo dell’Ospedale nella Roccia (per Zsolt il più bello in città) e il Varkert Bazar recentemente ristrutturato ai piedi del Palazzo Reale (ospita anche un centro culturale, la sera stessa proponeva un interessante cinema all’aperto). Non c’è tempo, purtroppo, per la crociera né per la Fontana Musicale (entrambe vincolate a specifici orari), ci sarà domani? Ci spostiamo quindi a Pest, dove passeggiamo per Piazza della Libertà (che ospita edifici clamorosi come l’ambasciata americana, la Televisione di Stato e la Banca Centrale, una statua di Donald Reagan, l’obelisco di ringraziamento ai sovietici per la liberazione dai nazisti e il controverso monumento alle vittime dei nazisti stessi). Poi, quasi d’improvviso, eccolo: il Parlamento, maestosa costruzione ottocentesca e a mio avviso uno dei monumenti meglio illuminati al mondo.

Isola Margherita

Ci si sveglia di buon’ora e, complice il gran caldo, optiamo per una rinfrescante tappa al Palatinus, una delle numerose strutture sportive (nonché la più grande piscina all’aperto di Budapest) della splendida Margit Sziget, l’isola di Margherita (santa ungherese) a metà tra Buda e Pest e collegata alla città da due ponti. L’isola è un’oasi di pace tra viali alberati e spazi a fiori: nei suoi due chilometri e mezzo di lunghezza e nei suoi 500 metri di larghezza, percorribili solo a piedi, in bicicletta, taxi e una linea di bus (linea 26), sono disseminate anche altre attrazioni come il Memoriale del Centenario del 1973 (dedicato all’unificazione della città), un giardino giapponese, la Torre Idrica e la splendida Fontana Musicale, di cui vi parlerò più avanti.

Dicevamo, il Palatinus: si tratta di uno splendido parco acquatico, la cui prima piscina (di circa dieci) venne aperta nel lontano 1919. Le piscine ivi presenti sono alimentate da acqua termale ricca di magnesio a temperature che oscillano tra i 20 e i 32 gradi, ma non mancano gli scivoli (anche adrenalinici), piscine con onde, idromassaggio e altre adatte ai più piccoli. A pranzo, giusto per stare leggeri, io e Zsolt ingurgitiamo un làngos, uno dei cibi di strada ungheresi più caratteristici: si tratta di una pizza fritta, arricchita da tantissimi condimenti a scelta (dolci e salati). Io opto per formaggio e una specie di salsa pannosa e acida di cui preferisco non approfondire gli ingredienti. Mi basta il commento del mio amico: “Il miglior làngos per decidere di non assaggiare mai più in vita tua un làngos”. Devastati dalla piscina (e dal làngos) ci rifugiamo, di ritorno a casa, presso una catena di gelati artigianali davvero ottimi: Levendula.

A casa doccia rapida e poi di nuovo in pista: questa sera, accantonata per mancanza di tempo l’idea della crociera sul Danubio, si torna sull’isola Margherita per la Fontana Musicale, riconsegnata in splendida forma ai cittadini nel 2013. L’ultimo spettacolo, alle 21, è un tripudio di colori e musica: gli zampilli si muovono al ritmo di musica classica, rock e pop (Ed Sheeran compreso).

Dintorni d’Ungheria

Il terzo giorno arriva: Zsolt deve sbrigare alcune commissioni in ufficio, così io mi lancio alla scoperta del Museo del Terrore presso Andrassy utca. Il museo è ospitato all’interno di un palazzo bellissimo nelle sue forme sinuose neo-rinascimentali, quartier generale di nazisti prima (il Partito delle Croci Frecciate) e di comunisti poi e sede di barbare esecuzioni e interrogatori disumani. Interessanti i colori scelti per l’allestimento e alcune ricostruzioni, come il carrarmato posto al centro del pian terreno. Riprese del tempo (sfilate naziste con Hitler acclamato dalla folla, parate sovietiche ecc…) si sommano alle toccanti testimonianze di donne che ricordano i mariti morti. Ancor più toccante la discesa nel seminterrato, dove le celle di detenzione sono piccoli spazi angusti e spesso senza finestre.

Ci ritroviamo dopo un paio d’ore, pronti alla volta di Szentendre, piccola gemma ad appena 20 km da Budapest: ci si arriva in auto, treno e – nei mesi estivi – anche traghetto. La località, nota come la città dei musei (ne conta una decina, a inizio Novecento fu presa d’assalto dagli artisti) vanta un reticolo di stradine tortuose, campanili eleganti e un’atmosfera mediterranea: Fo ter, la piazza principale, è circondata dalle case dei mercanti serbi dell’epoca (dopo l’ennesima riconquista di Belgrado da parte dei turchi molti serbi, infatti, si stabilirono qui).

Mangiamo una zuppa al volo (quanto amo le zuppe!) e poi continuiamo il nostro viaggio fino all’interessante cittadina barocca di Vac, a 32 km da Budapest e all’inizio dell’Ansa del Danubio. Proseguiamo poi tra le dolci vallate ungheresi e ci fermiamo in un piccolissimo spazio recintato con animali, una chiesetta saltuariamente meta di alcuni pellegrini di villaggi vicini, panchine e dell’acqua magica – secondo la leggenda – capace di ridare la vista ai bambini: siamo a Csitar, dove Zsolt veniva spesso con la mamma.

Ci rimettiamo in viaggio: manca davvero pochissimo al confine. Dopo cinque o dieci minuti entriamo in Slovacchia e prendiamo la terza via a destra. Eccoci a Sahy Ipolysag, per secoli parte del Regno d’Ungheria, poi della Cecoslovacchia, di nuovo Ungheria, di nuovo Cecoslovacchia e oggi, finalmente, Slovacchia: qui, in questo paesino abitato più da ungheresi che da slovacchi, abitano la nonna e la zia di Zsolt. Ci fermiamo da loro per un saluto e per una cena che non dimenticherò facilmente: paprika’s csirke nokedlivel. Si tratta di una tipica ricetta ungherese, con una specie di pasta accompagnata da del pollo immerso in una salsa rosa. Eccezionale.

Prima di andare a dormire a casa della zia arriviamo davanti a una porta che sembra chiusa. Zsolt la apre, i rifiuti ci sommergono ma quello che mi aspetta ha dell’incredibile: un lago, un lago un tempo balneabile. “Era un paradiso, in questo lago vedi me bambino” mi ha sussurrato. Ora è distrutto dal verde incolto, dai rifiuti e da rovine abbandonate in ogni dove: tavoli da ping pong, panchine, uno scivolo, un paio di tavoli da picnic, un bar (con i vetri rotti), le docce. Un tempo era un paradiso, ora non lo è più: purtroppo è una costante di Sahy.

Sahy: la Slovacchia al confine con l’Ungheria

Il quarto giorno è tutto per Sahy: ogni angolo diventa nostro e i ricordi si fanno nuova memoria, nella città dove è cresciuta la mamma di Zsolt che adesso riposa in cielo. Vista panoramica dalla cima della collinetta, qualche brutta casa e qualche graziosa villetta, il ristorante simbolo della cittadina e il centro, che altro non è che una piazza tagliata a metà dal traffico automobilistico. Mi fa vedere le scuole in cui ha studiato, gli uffici in cui ha lavorato sua mamma, il cimitero, poi torniamo dalla nonna e dalla zia per il pranzo. Questa volta mangiamo vados, altra super ricetta combinata: specie di pane (prodotto e venduto dal ristorante del paesino), brodo, pollo e verdura.

Di pomeriggio optiamo per una gita nel bosco: direzione Drégelypalànk. Il cammino è abbastanza breve (ad occhio e croce 40-45 minuti di buona lena) e si arriva su, tra i resti di un antico castello da cui si gode di una vista mozzafiato. Le persone in visita si contano sulle dita di un mano, c’è un vento incredibile ed è un piacere camminare. In un cassettino, chiuso, c’è il quaderno in cui lasciare un ricordo e una firma: come prevedibile il mio è il primo commento scritto in italiano, che onore! Di ritorno a Sahy veniamo ancora una volta sfamati dalla nonna e dalla zia di Zsolt, finalmente con una ricetta slovacca: kniedle vepsove azeli! Si tratta di una specie di piadina con ripieno di carne (ma dai?), da coprire con un’altra deliziosa salsa calda… Una goduria per il palato. Ancora di più se accompagnato da un vino ungherese come il leggendario Tokaji Aszù, che non ha bisogno di presentazioni, o un bel rosso Kekfrancos dal sapore robusto.

Anatra? No, grazie: birra!

Il quinto giorno è quello dei saluti: dopo l’ennesimo pranzo spettacolare, in questo caso i resti della cena del giorno prima, saluto con un briciolo di malinconia queste due donne fantastiche (e regalo loro un Valpolicella Ripasso, alla salute!) prima di ripartire in direzione Budapest, dove di sera mi aspetta l’aereo del ritorno per Milano. Tornati nella capitale ungherese prendiamo la metro e scendiamo nei pressi delle terme di Gellert, costruite a inizio Novecento in stile art nouveau, e saliamo fino alla Citadella, antica fortezza (oggi non visitabile) realizzata a metà Ottocento e circondata da un parco purtroppo non curatissimo. Qualche bancarella, qualche tiro con l’arco, cannoni e la Statua della Libertà (più propriamente Monumento alla Liberazione dal nazismo) completano il cerchio, ma il pezzo forte è la vista impagabile su Budapest. Pienamente soddisfatti torniamo giù e prendiamo un altro ponte per avvicinarci alla zona del mercato coperto: quello Liberty. Inconfondibile nella sua snella struttura in ferro verniciata di verde, incanta con i suoi lampioni, le sue decorazioni e le sue statue: in assoluto uno dei più belli! Il tempo, ad ogni modo, stringe e decidiamo di concederci un ultimo momento di relax: prendiamo la graziosa e pedonale Raday utca, a due passi da Kàlvin ter, e ci fermiamo da Puder.

Zsolt mi consiglia l’anatra con composta di patate, gorgonzola e ciliegie ma, complice lo sciagurato ricordo del primo làngos in piscina, opto per due birre: Soproni e Krusovice, la prima ungherese e la seconda slovacca. Mi sembrava il modo migliore per omaggiare chi, in un volto, racchiude la bellezza di due intere nazioni.

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