In esclusiva due brani tratti da Golosi per Caso

Turisti Per Caso.it, 02 Nov 2005
Pubblichiamo due lettere in versione integrale, per farvi capire meglio lo stile della guida e pregustare insieme la lettura…

Iniziamo da quella Martino:

Cucina vastasa e raffinatezze da mangiare per strada

Palermo

Cari Patrizio e Syusy, E’ difficile parlarvi di Palermo senza citare i ricordi infantili di questa città quando i miei genitori mi ci portavano da bambino: il rumore e il cibo. Che un bambino della provincia siciliana trovasse rumorosa la prima città che vedeva è scontato, e crescendo mi sono accorto che in fondo Palermo non è più rumorosa di tante altre grandi città intasate dal traffico. Sul cibo, invece, non mi sono sbagliato. Allora come adesso, Palermo è la città dove la roba da mangiare è offerta dappertutto in modo provocatorio, sensuale e verrebbe perfino da dire piacevolmente osceno. I siciliani sono ancora affezionati al senso del pudore e lo coltivano soprattutto nelle questioni di sesso perché sono decisi a non volerne distruggere la magia.

L’esibizionismo è tutto riservato al peccato di gola, spudorato e quasi perverso. Lo stesso odore di Palermo è quello del cibo. Un misto di fritto, dolciastro e fumo di braci pronto a colpirti i sensi ogni dieci passi. Non vi sto parlando dei mercati, dove si raggiungono livelli orgiastici, ma delle strade del centro storico, dove non potete muovervi senza che la vista e l’olfatto siano esposti a continue tentazioni. Siamo nel reame della cucina di strada, sopravvissuta e immortale. Ora gli aficionados della “Vucciria” ne piangono la decadenza, ma hanno di che consolarsi. “Ballarò”, “Il Capo” e “Borgo Vecchio” godono di ottima salute assieme a tanti altri piccoli mercati sparsi per tutta l’area urbana. In questi mercati potete andarci anche solo per guardare e per sentire le “abbanniate” dei venditori delle quali non capirete una parola ma vi godrete la musica. Non si possono chiamare “grida”, perché questi richiami sono delle vere composizioni melodiche dalla cadenza orientale. Potete andarci solo per ammirare i pesci in mostra sui banconi di marmo e illuminati da lampade potenti anche sotto il sole di mezzogiorno per rendere ancora più brillante l’acqua con la quale sono furbescamente innaffiati di continuo. Oppure per farvi impressionare dagli spettacoli ranguignoleschi di quarti di bue, agnelli interi appesi davanti alle macellerie.Vedrete piramidi di olive incredibilmente in equilibrio, ognuna diversa per colore e qualità, e ortaggi di ogni sorta dei quali potreste anche ignorare l’esistenza. I più deliziosi sono i tenerumi, i germogli della zucca lagenaria sottile e lunga come un serpente. Ma io vi consiglio di andarci per mangiare.Tanto lo so che avrete il coraggio di affrontare le tipicità più rustiche e antiche della cucina ‘vastasa’, cioè popolana, che fanno la felicità dei palermitani e aranno anche la vostra. Dovete sapere che oltre alle carni crude, le macellerie all’interno dei mercati vendono i piedi e il muso di maiale, il costato, la pancia e la lingua di vitello. Tutto già lessato e da mangiare freddo con sale, pepe, e limone. Se volete puntare a gusti più forti, seguite i segnali di fumo sparsi per tutta la città e provenienti dai bracieri delle “stigghiole”, spiedini di budella di agnello o di vitello o di maiale inframmezzate con fette di cipolla e ciuffi di prezzemolo. Oppure puntate su cesti coperti con un panno candido e appoggiati su una bicicletta. Custodiscono le frittole, parti grasse di maiale fritte da mangiare al volo, ben pepate su un quadrato di carta paglia.Sempre da venditori-ciclisti è fornito il “quarume”, un bollito misto di trippa servito dentro i “coppi”, dei coni di carta pesante. E non mancano le biciclette con un piccolo rimorchio trasformato in bancone per lo “sfincione”, una pizza alta e morbidissima condita con pomodoro, cipolla, acciughe salate, caciocavallo e pangrattato. Se invece avete voglia di pesce cercate di adocchiare il pentolone di un polparo che vi offrirà polpo bollito da mangiare subito con un po’ di limone. Di pentoloni sono forniti anche molti fruttivendoli. Ci tengono in caldo patate bollite da sbucciare con prudenza e gustare subito con un po’ di sale gentilmente offerto, oppure carciofi o fagiolini a seconda della stagione. Le friggitorie dei mercati e quelle innumerevoli sparse per la città hanno spesso un piccolo laboratorio esterno sul marciapiede dove viene preparato espresso il “pani ca meusa” una focaccia soffice farcita con milza di vitello, ritagli di polmone,esofago e fegato bianco, bollita e ripassata nello strutto. Il panino è proposto in versione “schietta” con sale e limone o “maritata” con scaglie di caciocavallo oppure ricotta. Altre hanno l’occorrente per la preparazione immediata del pane con le panelle, frittelle fatte con farina di ceci e prezzemolo. Io ci vado pazzo.A differenza della maggior parte dei palermitani non amo condirle con il limone, ma come loro le rifiuto se sono già pronte e chiedo di friggermele al momento.Tanto, ci sarà sempre qualche turista meno schizzinoso e informato che smaltirà quelle avanzate. Se poi decidete di entrare nella friggitoria scoprirete il paradiso del mangiatore di strada, con piatti di una raffinatezza insospettabile, diretta espressione del barocco gastronomico siciliano: timballi di anellini (pasta al forno a forma di piccoli anelli condita con ragù di carne, melanzane fritte, piselli, caciocavallo), gattò di riso o di patate (timballi farciti con ragù o prosciutto e besciamella), sarde a beccafico (al forno, farcite di pangrattato, pecorino, uvetta, pinoli e aromatizzate con alloro o fette di arancia), pesce marinato, melanzane fritte o “a quaglia” (in umido), “trigghiola” (minutaglia di triglie fritte), cardi e cavolfiori fritti in pastella, carciofi arrostiti, cazzilli (crocchette di patate), caponata, più la serie di preparazioni da rosticceria che ormai hanno preso la via dei bar del centro per il break di mezzogiorno di professionisti e bancari. Anzitutto le notissime arancine di riso ripiene di ragù o “al burro” con prosciutto e besciamella, poi le “ravazzate” (focaccia di pan brioche ripiena di uno stufato di carne e piselli), gli “spiedini” (pan carrè con prosciutto e besciamella impanato e fritto) e tante altre specialità che sarebbe davvero lungo elencare e perfino noioso. Quindi ricordate: non impegnate tutti i vostri giorni palermitani con pranzi e cene seduti a tavola. Lasciatene liberi almeno un paio per mangiare per strada. Cara Syusy, non credi dopo quanto vi ho detto che Palermo possa essere un buon posto per imparare a vivere? Portaci Patrizio! Vostro Martino

Arancine

Ingredienti per circa 22 arancine: 1 kg di riso Arborio – ragù per arancine – 4 tuorli di uovo più un uovo intero – 2 bustine di zafferano – 50 g di burro – 50 g circa di primosale tagliato a dadini – 100 g di parmigiano grattugiato – pane grattugiato – farina 00 – olio di oliva per friggere – sale Tagliate il primosale a dadini e riservatelo.Tagliate il burro a dadini e portatelo a temperatura ambiente. Lessate il riso in acqua salata facendolo bollire 9 minuti dopo la ripresa del bollore.

Versatelo su un piano di marmo e unite il parmigiano, lo zafferano e il burro tagliato a dadini e portato a temperatura ambiente. Mescolate bene tutto. Lasciate raffreddare, unite i tuorli di uovo, l’uovo intero, e mescolate di nuovo. E ora viene la parte più difficile: riempire l’arancina. Lavorando con le mani umide, atteggiate a coppa la sinistra e foderatela con il riso per lo spessore di circa 3 centimetri. Riempite la conca con un cucchiaino da tè colmo di ragù e un dadino di formaggio, poi richiudete l’arancina con altro riso e modellatela a forma di palla. Ricordate che una buona arancina deve risultare ricca di ragù ma deve avere una “parete” di riso sufficientemente spessa perché non si apra durante la frittura… Un involucro spesso ma non troppo, perché la quantità di riso andrebbe a discapito del ragù. È un risultato difficilmente ottenibile alle prime arancine, ma possibile dopo un po’ di esercizio. Una volta chiusa, passate la palla di riso nell’ordine: 1. Nella farina 2. Nelle chiare sbattute 3. Nel pane grattugiato Modellate ancora l’arancina con delicatezza per chiuderla bene e riponetela in frigo fino al momento della frittura. Friggete le arancine all’onda per immersione nell’olio fino a quando non sono ben dorate. Mettetele a scolare in uno scolapasta, poi passatele in un vassoio ricoperto con carta da fritti e tenetele in caldo in forno caldo, spento e socchiuso fino al momento di servire.

Ragù per le arancine

Ingredienti per un ragù sufficiente a 1 kg di riso (circa 22 arancine): 150 g di lombo di maiale in un unico pezzo – 150 g di polpa di manzo da umido – 200 g di carne di manzo tritata 1 sola volta – 100 g di cipolla – 30 g di costa di sedano – 1 spicchio di aglio se grande, 1 e 1/2 o 2 se piccoli – 1/2 l di salsa di pomodoro – 100 g di concentrato di pomodoro – 200 g di piselli (peso netto) – 1 bicchierino di marsala secco – 1/2 bicchiere di vino bianco secco (80 cc) – 2 cucchiai di olio per rosolare – 1 cucchiaino raso di zucchero – più 1 cucchiaio di olio a metà cottura – più 1 cucchiaio di olio a fine cottura – pepe nero – sale Tritate la cipolla e il sedano. Scaldate 3 cucchiai di olio in un tegame di coccio e fatevi rosolare i pezzi di carne interi finché non sono dorati.Togliete la carne dal tegame e riservatela. Fate appassire nel fondo di cottura il trito di cipolla e sedano per 15 minuti a fuoco basso. Unite la carne tritata e fate rosolare a fuoco basso per 10 minuti. Alzate la fiamma, riunire il lombo e il manzo interi, rosolate bene dai 3 ai 6 minuti a seconda del tipo di tegame. La rosolatura è raggiunta quando è indispensabile bagnare. Salate, bagnate con il marsala e fatelo evaporare in circa 1 minuto. Quindi bagnate con il vino e fatelo evaporare in 5 minuti. Aggiungete la passata, il concentrato diluito in acqua, pepate e avviate la cottura. Alla ripresa del bollore, tenete la fiamma al minimo e il tegame semicoperto. Dopo 1 ora togliete i pezzi di carne intera dal fuoco, lasciateli raffreddare e tagliateli a dadini. Riunite i dadini di carne al ragù. Continuate la cottura a fuoco basso e tegame semicoperto per due ore. Aggiustate di sale. Aggiungete ogni tanto la poca acqua necessaria.Tenete il ragù piuttosto ristretto. 20 minuti prima della fine aggiungete i piselli, anche congelati. Finite di cuocere a tegame scoperto.Togliete il ragù dal fuoco.Travasatelo in un contenitore, lasciatelo raffreddare e tenetelo in frigo per almeno 12 ore.

Ora una di Syusy:

Il vino del Vulcano

Fogo, Isole di Capoverde Carissimo Martino, È un piacere leggere le tue lettere dalla Sicilia, un posto magnifico, con una natura forte, e di conseguenza ricco di materie prime “assolute”, di sapori altrettanto forti. Io – Syusy – uno dei rapporti più sorprendenti fra un territorio e un prodotto, nato in un contesto naturale particolarissimo, l’ho visto sull’isola di Fogo, che sta a Capoverde. L’isola è un vulcano, tutto nero nero più o meno come Pantelleria, ma forse è più nera. Non c’è (apparentemente) nulla. Io ci sono stata accompagnata da un frate, che mi ha portato lungo una strada (nera) che sale sulle pendici del vulcano. Ad un certo punto ho incontrato un villaggio, anche questo ricavato dalla pietra lavica: un villaggetto di poche case che basava la sua economia sulla produzione di… Vino! Ti sembrerà incredibile ma ho visto con i miei occhi delle vigne miracolosamente ricavate dal nulla. È stata un’idea dei frati. Praticamente hanno scavato delle buche nella lava nera, le hanno riempite con un po’ di terra importata da altre isole e ci hanno piantato la vite. Il risultato cromatico, stupefacente, è dato dal verde dei vitigni che sono incredibilmente cresciuti nel nulla, sullo sfondo del nero della lava. E il risultato gastronomico è un vino fortissimo, denso, liquoroso, che mi ha fatto appunto venire in mente la tua Sicilia. Ultimamente a Fogo erano arrivati anche dei produttori italiani che, tagliando il vino locale con altro vino importato da loro, hanno contribuito a produrre un ottimo vino, il Vino del Vulcano, in pratica un distillato di uva-di-lava… Per il resto – tu mi chiederai – cosa c’è da mangiare e da bere a Capoverde? Mah, caro Martino, come sai io non sono un’esperta di cibo come te e una maniaca golosa come Patrizio, per cui devo dire che la cosa che ho notato a Capoverde è soprattutto la gente: un misto particolarissimo tra Neri e Bianchi, una sintesi meravigliosa tra l’Africa e l’Europa, insomma un popolo unico al mondo per il suo aspetto e per la sua cultura. E se devo citare un prodotto particolare mi viene il mente il loro grog, un distillato che non viene prodotto su scala industriale, più che altro se lo fanno in casa ad uso domestico.A Capoverde lo bevono allungato con miele di canna da zucchero: buonissimo. E la cultura del grog è legata al piacere di socializzare, alla musica, al fado, alla capacità di stare assieme, di ballare, di rilassarsi. Insomma, non so bene che cosa mangino, ma so che a Capoverde sanno vivere! (Tutto il contrario di Patrizio…) Tua Syusy

Se questi due spunti vi hanno stimolato l’appetito, come si suol dire, potete trovare due brani inediti diversi sul sito di Velisti per Caso!

La Redazione



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